CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 27 ottobre 2014 n. 5308 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11662 del 2003, proposto dal Comune di Rapino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marcello Russo, con domicilio eletto presso il signor Marco Croce in Roma, via Nizza, n. 63; contro La s.r.l. Sagifur, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Giulio Cerceo, con domicilio eletto presso l’avvocato Nino Paolantonio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2; per la riforma della sentenza del T.A.R. Abruzzo – Sez. di Pescara, n. 191/2003, resa tra le parti, concernente la sospensione immediata del lavaggio e della nobilitazione di pelli e l’emissione di fumi e di vapori. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti l’avvocato Gianluca Lemmo, su delega dell’avvocato Marcello Russo, e l’avvocato Attilio Spagnolo, su delega dell’avvocato Giulio Cerceo; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La s.r.l. Sagifur, odierna appellata, proponeva il ricorso n. 43 del 2000 dinanzi al TAR per l’Abruzzo, Sez. staccata di Pescara, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza 29 ottobre 2000, n. 37, con la quale il Sindaco del Comune di Rapino aveva ingiunto alla ricorrente di sospendere l’attività di “lavaggio e nobilitazione pelli”, nonché “l’emissione di fumi e vapori”. 2. Il giudice di prime cure accoglieva parzialmente il ricorso, rilevando l’illegittimità del provvedimento gravato per la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, nella parte in cui aveva inibito in toto l’attività svolta dalla ricorrente e non soltanto quella attività che comportava l’emissione di fumi e vapori. 3. Propone appello l’amministrazione comunale di Rapino, che premette in fatto come l’originaria ricorrente esercitasse l’attività di conceria di pelli, da qualificarsi come attività industriale insalubre di prima classe, in zona inquadrata come residenziale-artigianale, in assenza della necessaria autorizzazione regionale ai sensi del d.P.R. n. 203/1988 e che, pertanto, l’accertamento dei fatti fosse urgente, onde poter rilevare senza preavviso l’effettivo svolgimento dell’attività in questione. Da ciò deriverebbe che l’atto impugnato vada qualificato come diffidatorio, sicché non vi sarebbe alcun obbligo di comunicazione ex art. 7, l. n. 241/90. Ed in ogni caso, anche a volerlo qualificare come atto immediatamente eseguibile, in ragione della sua natura vincolata, perché attuativo del diniego regionale all’autorizzazione, si dovrebbe comunque escludere che fosse necessario l’avviso di avvio del procedimento. Né ad una diversa conclusione potrebbe giungersi, ritenendo che il destinatario avrebbe potuto incidere attraverso la sua partecipazione sul contenuto del provvedimento, dal momento che il Comune – avendo la Regione respinto l’istanza di autorizzazione con l’atto 14 dicembre 1998, n. 12816 – non poteva che adottare l’atto impugnato, limitandosi, peraltro, a vietare le sole attività di emissione di fumi e vapori di carattere nocivo. 4. Costituitasi in giudizio in data 14 gennaio 2004, la s.r.l. Sagifur s.r.l. ha chiesto l rigetto dell’appello. Nelle successive difese, contenute nella memoria depositata il 25 luglio 2014, l’appellata ha evidenziato come l’atto impugnato in primo grado non possa qualificarsi come diffidatorio, avendo natura di ordinanza contingibile, tanto da richiamarsi all’art. 38, l n. 142/1990. Inoltre, l’appellata ribadisce la necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento, non potendo ritenersi che un simile obbligo non valga per le ordinanze contingibili ed urgenti, quando giunga, come nella fattispecie, all’esito di un lungo contraddittorio con il destinatario. L’appellata si duole del fatto che, se avvisata, avrebbe potuto chiarire nel corso del procedimento come la sua linea produttiva comprendesse un’unica sezione capace di produrre occasionalmente fumi e vapori, mentre l’ordinanza impugnata inibendo anche l’attività di lavaggio e nobilitazione, avrebbe sospeso fasi produttive, che non producevano emissioni. 5. Nella memoria depositata in data 16 settembre 2014, l’amministrazione comunale precisa che l’efficacia dell’ordinanza contingibile ed urgente è venuta meno per decorso del tempo e che la ditta appellata da un decennio ha cessato la propria attività di conceria, rilevando inoltre che l’area dove svolgeva la sua attività è risultata inquinata ed è soggetto a sequestro penale. 6. L’appello in esame deve essere accolto, considerato che la giurisprudenza di questo Consiglio ha da tempo ritenuto che non sussista l’obbligo di avviso di avvio del procedimento quando l’ordinanza contingibile ed urgente non possa tollerare il previo contraddittorio con l’interessato a pena di svuotamento di quella effettività e particolare rapidità cui la legge preordina l’istituto in questione e di conseguente la compromissione di valori fondamentali quali quello della tutela della salute (Cons. St., Sez. I, 29 ottobre 2008, n. 2442). Né del resto ricorre quell’eccezione che ha caratterizzato il giudizio concluso con la sentenza citata dal primo giudice (Cons. St., V, 9 febbraio 2001, n. 580), relativa ad un’ordinanza contingibile ed urgente avente ad oggetto la realizzazione di opere per contrastare l’elevata soglia di inquinamento acustico provocato dal passaggio dei veicoli lungo l’autostrada. Infatti, nella motivazione della citata pronuncia si legge: “Il collegio è consapevole che proprio in materia di ordinanza contingibile ed urgente questo Consiglio ha ritenuto non necessario l’avviso di avvio del procedimento, in considerazione dell’eccezione normativa relativa alle esigenze di particolare celerità (Cons. Stato, V Sez., 14 aprile 1997 n. 354). Però tali concrete esigenze, come dimostrato, non ricorrono nel caso di specie, sicché vale il principio più sopra affermato, secondo cui l’ordinanza contingibile ed urgente dev’essere assistita da tutte le garanzie che siano effettivamente compatibili con i presupposti e gli effetti dell’atto e, tra di esse, non può che essere assorbita anche la fondamentale garanzia di partecipazione al procedimento… L’inciso iniziale dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, relativo alla sussistenza di ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità, non ha l’effetto di esentare una categoria astratta di provvedimenti amministrativi, quelli la necessità ed urgenza, dall’obbligo di comunicare l’inizio del procedimento, ma impone solo la verifica delle effettive e peculiari ragioni di ogni singolo caso. Oltretutto, come anticipato, la partecipazione del destinatario era necessaria rispetto ad un procedimento che si prefiggeva di provvedere in via definitiva alla situazione denunciata dall’Amministrazione comunale. La varietà degli interessi coinvolti, l’obiettiva difficoltà di individuare le concrete misure tecniche e la specificazione del soggetto obbligato avrebbero non solo richiesto la partecipazione del destinatario, ma anche favorito l’adozione di moduli procedimentali fondati sul contatto diretto se non addirittura sull’accordo tra interessati”. Nel caso in esame, invece, l’ordinanza contingibile ed urgente ha l’effetto di sospendere un’attività industriale insalubre priva della necessaria autorizzazione, sicché la situazione di pericolo per la salute pubblica ha giustificato un intervento immediato, differendo ad un momento successivo alla sospensione dell’attività pericolosa non autorizzata il contraddittorio con l’amministrazione. Del resto ciò che rileva nell’adozione dell’ordinanza sindacale contingibile ed urgente è l’attualità della situazione di pericolo nel momento in cui il Sindaco provvede, e non anche il tempo trascorso dal momento in cui detta situazione si è per la prima volta manifestata, posto che il decorso del tempo, nella fattispecie un anno da quando era stata denegata l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività, può solo aggravare e non certo sanare il riscontrato pericolo. 7. L’appello in esame va, pertanto, accolto. Le spese dei due gradi del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello (R. n. 11662/2003), come in epigrafe proposto, accoglie l ‘appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 43 del 2000. Condanna Sagifur S.r.l. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di Rapino. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati: Luigi Maruotti, Presidente Francesco Caringella, Consigliere Fabio Franconiero, Consigliere Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore Raffaele Prosperi, Consigliere DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 27/10/2014.
© Copyright 2024 ExpyDoc