territ¯orium 2 - Aracne editrice

territ¯orium

Direttore
Aurelio B
Università degli Studi di Ferrara
Comitato scientifico
Fulvio A
Università degli Studi di Bergamo
Alberto B
Università commerciale Luigi Bocconi
Emilio C
Università degli Studi di Teramo
Gabriele D F
Centro Studi Sistema
Giovanni D
Centro Studi Sistema
Ekaterina D
Università degli Studi di Padova
Vittorio F
Università degli Studi di Milano–Bicocca
territ¯orium
Il territorio è un’opera d’arte: forse la più alta, la più corale
che l’umanità abbia espresso
— Alberto M, Il Progetto locale
Con i libri pubblicati in questa collana s’intende contribuire al dibattito
scientifico, a livello sia nazionale che internazionale, su una gamma di
argomenti inerenti in particolare le relazioni che intercorrono fra:
— le attività produttive, con particolare attenzione a quelle di
carattere innovativo e di piccola dimensione;
— il territorio, nelle diverse accezioni assunte nelle discipline in
cui esso è oggetto di studio;
— l’intervento di regolazione svolto dall’operatore pubblico, con
prevalente riferimento a quello regionale e locale;
— il ruolo esercitato dall’Unione europea nel contesto mondiale
e il suo impatto sulla regolazione nazionale ai diversi livelli
territoriali.
Tale campo d’indagine, vasto e multidisciplinare, attiene a problematiche estremamente rilevanti nell’ambito dei moderni sistemi
economici in cui le complesse reti di relazioni intrecciate sul territorio risultano determinanti ai fini del successo delle iniziative imprenditoriali e tali da richiedere metodi di studio tendenzialmente
innovativi.
Si ringraziano la Dott.ssa Caterina Pazzi e la Dott.ssa Rita Tognoli, responsabili — rispettivamente — dell’Ufficio Statistica, Studi e Informazione economica della Camera di
Commercio di Ferrara e della Biblioteca del Dipartimento di Economia e Management
dell’Università di Ferrara per la cortese segnalazione e fornitura della documentazione
statistica necessaria allo svolgimento delle rilevazioni che stanno alla base dell’indagine
contenuta nel presente libro.
Stefano Bonnini
Aurelio Bruzzo
Elena Curzola
Ferrara –
L’evoluzione socio–demografica della provincia per sistemi locali
del lavoro nei  anni dall’Unità d’Italia
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice int.le S.r.l.
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via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: agosto 
Indice

Introduzione
di Aurelio Bruzzo

Capitolo I
Metodologia di analisi statistica e fonti dei dati
di Stefano Bonnini
.. Censimenti e popolazione,  – .. Le variabili di interesse,  – .. Sistemi Locali del Lavoro nella provincia ferrarese,  – .. Elaborazioni
statistiche e indicatori, .

Capitolo II
L’evoluzione socio–demografica della provincia
di Elena Curzola
.. Inquadramento delle condizioni economiche e sociali dell’Italia dal
 ad oggi,  – .. Popolazione residente e presente,  – .. Popolazione residente distinta per genere,  – .. Popolazione residente
distinta per stato civile,  – .. Popolazione residente distinta per classi
di età,  – .. Popolazione residente distinta per titolo di studio,  –
.. Famiglie residenti,  – .. Abitazioni presenti,  – .. Servizi in
dotazione nelle abitazioni presenti, .

Capitolo III
Andamento demografico per sistemi locali del lavoro
di Elena Curzola
.. Composizione per aree: consistenza relativa delle aree individuate dai
sistemi locali del lavoro sul totale provinciale,  – ... Sistemi locali del
lavoro di Copparo e di Comacchio,  – ... Sistemi locali del lavoro di Argenta
e del Comune di Bondeno,  – ... Sistema locale del lavoro di Ferrara, 
– ... Sistemi locali del lavoro di Cento e di Mesola,  – .. Andamento
temporale per la provincia nel complesso e per ciascuna sua area,  –
.. Densità demografica per sistema locale del lavoro, .

Indice


Conclusioni
di Aurelio Bruzzo

Appendice statistica
di Elena Curzola

Bibliografia
Introduzione
di Aurelio Bruzzo
In questi ultimi tempi sono stati pubblicati senza dubbio numerosi
libri riguardanti vari aspetti della vita ferrarese: fra i più recenti a cui
soprattutto la stampa locale ha dedicato qualche attenzione, si possono
ricordare — ovviamente, a titolo meramente esemplificativo — uno
sulla flora ferrarese che ha soprattutto l’obiettivo di trattare la biodiversità delle piante in provincia di Ferrara, legata alla conformazione del
suolo del suo territorio, e uno sull’agricoltura a Ferrara nel ‘, che
in realtà non riguarda solo le tecniche produttive impiegate nell’ultimo
periodo preindustriale, ma anche i costumi e gli stili di vita prevalenti
in quella lontana epoca.
Invece, per quanto ci è dato a sapere, non è stato finora pubblicato alcun libro riguardante la ricostruzione storica, dal punto di vista
socio–demografico, dei  anni trascorsi dell’Unità d’Italia, magari
nell’ambito di qualcuna delle manifestazioni ufficiali che sono state organizzate per celebrare questo importante evento, il quale purtroppo è
caduto in un periodo particolarmente travagliato della vita economica
e sociale per il nostro Paese e, pertanto, anche per l’Emilia–Romagna
e in particolare per la provincia di Ferrara, che senza dubbio è quella
meno sviluppata della regione.
Il significato di una simile circostanza a nostro avviso è particolarmente importante: la celebrazione dell’Unità nazionale, infatti, rappresenta
l’occasione più adatta per riflettere sul nostro passato, più o meno lontano; aggiornare i pochi elementi informativi di cui si dispone per trarne
un bilancio, almeno approssimativo; cercare in tal modo di rispondere
alle varie domande che nel frattempo sono state formulate sull’Italia
unita e sulle sue numerose e, per certi versi, anche straordinarie realizzazioni; ed infine significa guardare anche al futuro, per cercare di capire
verso quale direzione la società italiana e, con essa, quella ferrarese sono
dirette ed eventualmente dove sarebbe meglio che si dirigessero.


Introduzione
In effetti, nel , oltre alle celebrazioni sono state condotte dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) e da altri centri di ricerca alcune
rilevanti indagini statistiche a livello nazionale, mentre non ne sono
comparse né a livello di regioni , né tantomeno a livello di singola
provincia, come invece vuol essere il libro che si sta presentando.
Ecco il principale motivo per cui la ricorrenza dei centocinquanta
anni dell’Unità d’Italia — avvenuta fra l’altro in concomitanza col °
Censimento generale della popolazione e delle abitazioni — ci permette, a qualche anno di distanza per poterci avvalere dei dati definitivi,
di redigere un affidabile bilancio circa la realtà socio–demografica
della provincia di Ferrara nel passato e nel presente, il suo andamento
durante questo lungo periodo, nonché la sua articolazione territoriale.
Si è così in grado di meglio comprendere i numerosi e profondi
cambiamenti che sono intervenuti durante questo periodo relativamente ai più rilevanti aspetti demografici, alle principali caratteristiche
della società ferrarese e, più in generale, allo stile di vita delle persone
abitanti in questa provincia emiliano–romagnola.
La limitata attenzione prestata in occasione della ricorrenza dell’Unità d’Italia all’analisi dei fenomeni demografici registrati nel corso di
questo lungo periodo in provincia di Ferrara è con tutta probabilità da
attribuire al mancato riconoscimento della rilevanza esercitata dall’andamento demografico nei confronti del processo di sviluppo rilevabile
all’interno di una nazione o di una regione, rispetto a quello analogo
di aree geografiche contermini o simili a quella in esame, secondo una
specifica teoria scientifica denominata “teoria della convergenza” .
Infatti, per “teoria della convergenza” s’intende il collegamento
che si presuppone esistere tra lo sviluppo economico di un Paese e i
corrispondenti mutamenti riscontrati nella struttura e nell’organizzazione sociale dello stesso Paese (A, S, , p. ). Questa
relazione che si può cogliere soprattutto nelle tendenze demografiche
che la società presenta in relazione al suo livello di sviluppo economico, sfocia nella menzionata teoria secondo cui i percorsi seguiti da
Paesi differenti per raggiungere un livello simile di sviluppo dovreb. Cfr. SVIMEZ ().
. Un’eccezione è costituita da uno studio condotto dall’ISTAT sulla Sicilia; si veda
ISTAT ().
. Cfr. A, S ().
Introduzione

bero portare anche ad una “convergenza” della loro struttura sociale
e dei connessi indici demografici. In particolare, ad esempio, negli
anni Cinquanta e Sessanta si è ipotizzato che il modello di sviluppo
assunto dai Paesi emergenti avrebbe sostanzialmente ricalcato quello
delle società occidentali, indirizzandosi verso una sorta di processo di
modernizzazione e attraversando le stesse tappe “evolutive”.
Secondo gli studiosi che condividono questa teoria, la transizione
demografica costituisce uno dei modi migliori per rappresentare
le variazioni intervenute nei comportamenti delle popolazioni e il
presentarsi di determinate convergenze tra due diverse aree territoriali:
tale teoria espone il passaggio tra due situazioni di equilibrio, la prima
caratterizzata da alti livelli sia di fecondità che di mortalità, mentre
la seconda assume invece una posizione opposta, contraddistinta da
bassa fecondità e mortalità.
In altre parole, la transizione demografica si sviluppa in determinate
fasi, più o meno uniformi e prevedibili nei diversi Paesi, che risultano
associate a diversi livelli di sviluppo. Nella fase pre–transizionale si
registra un alto livello di mortalità e di fecondità, che porta a una
lenta crescita della popolazione a causa di questi flussi in “entrata” e in
“uscita” nel bilancio demografico; in tal modo si creano le cosiddette
“popolazioni stazionarie”, caratterizzate da un’età molto giovane.
Durante la transizione demografica vera e propria, inizialmente i
livelli di fecondità rimangono elevati mentre diminuisce la mortalità,
grazie al miglioramento delle condizioni igienico–sanitarie, delle cure
mediche e degli stili di vita sempre più salutari. Successivamente, cala
anche la fecondità e questa situazione da luogo ad un basso livello di
“ricambio intergenerazionale”, per cui la popolazione è mediamente
più anziana e viene definita “popolazione matura stazionaria”.
Nelle società occidentali si è poi verificata, dalla metà degli anni
Sessanta, la cosiddetta seconda transizione demografica, caratterizzata
da un’ulteriore diminuzione dei tassi di fecondità che ha ovviamente
avuto gravi conseguenze sui livelli di riproduzione: la difficoltà di
garantire un’adeguata sostituzione generazionale è diventata sempre
maggiore e senza l’apporto delle immigrazioni molte popolazioni
sarebbero considerevolmente diminuite.
Le due situazioni di equilibrio iniziale e finale si mostrano perciò
molto simili, giacché entrambe presentano un incremento demografico vicino allo zero. In sintesi, si può quindi affermare che

Introduzione
il passaggio da un regime di alta fecondità e mortalità ad un regime caratterizzato da bassi tassi di rinnovo può essere visto come una «convergenza» ed
è coerente con un mondo che si sta dirigendo verso un nuovo equilibrio
demografico. (Angeli, Salvini, , pp. –)
Sono state avanzate diverse critiche nei confronti di questa concezione classica della teoria della convergenza: ad esempio, è stato
evidenziato come il declino dei livelli di fecondità in certi Paesi sia apparso indipendentemente dai progressi della medicina, dall’aumento
della speranza di vita o dai processi di modernizzazione; è stato poi
criticato il non aver tenuto conto dei piccoli gruppi disomogenei di
popolazione presenti nei vari Paesi, che già da soli registravano una
diminuzione delle nascite; infine, c’è chi ha dato importanza anche a
norme sociali e alle relazioni prevalenti all’interno delle famiglie e dei
gruppi, che determinano anch’esse i comportamenti riproduttivi.
Di fatto, la ricerca di un insieme comune di condizioni che prevalgono in
ogni società al momento in cui si verifica l’inizio del calo della fecondità si
rivela un compito arduo, perché l’eterogeneità delle strutture economiche,
culturali, politiche e sanitarie è molto ampia. (Angeli, Salvini, , p. )
Perciò, forse è più opportuno parlare di “transizioni” piuttosto che
di “transizione”, indicando con il termine al plurale i percorsi simili
che Paesi differenti possono affrontare per raggiungere come meta
finale un sistema demografico “moderno”, cioè basato su un’elevata
speranza di vita e una bassa fecondità.
Il modello di transizione va quindi applicato diversamente a seconda del contesto in cui ci si trova, poiché è un fenomeno che è stato
definito “multi sfaccettato”, nel senso che necessita della presenza congiunta di molti elementi per raggiungere un determinato risultato: non
è sufficiente studiare l’evoluzione della fecondità senza considerare
ciò che la può determinare (andamento della sopravvivenza, nuzialità,
mobilità,. . . ), e il sistema demografico nel suo insieme, perché tutte
le società, specialmente quelle più povere, possono sempre trovare
vie alternative da seguire.
L’evoluzione economica tuttavia rimane il motore dei modelli di transizione
demografica, che seguono percorsi differenziati a seconda del contesto
culturale e normativo nel quale si verificano (Angeli, Salvini, , p. ).
Introduzione

Questa analisi introduttiva, di tipo evidentemente teorico, evidenzia come l’indagine demografica sia importante per comprendere la
società in cui viviamo e come essa sia sempre di attualità, basti pensare
alla rilevanza che un tema come quello dell’invecchiamento della popolazione riveste in questi anni e alle conseguenze socio–economiche
che questa tendenza comporta: in effetti, nelle recenti analisi demografiche si riflette anche sugli effetti che l’invecchiamento provoca sulla
distribuzione del lavoro, sulla questione della sostenibilità finanziaria
delle pensioni, su quella della sanità, ecc.
Si è ritenuto opportuno riproporre nell’introduzione di questo
libro tale questione, poiché questi fenomeni — per quanto in versione
ridotta — si sono verificati anche in provincia di Ferrara, come si
verificherà nelle parti successive del libro.
Di contro, sebbene la relazione tra i fenomeni crescita/sviluppo
economico e le tendenze demografiche sia confermata da vari studi
in materia, come accennato poc’anzi, la relazione inversa, ossia come
l’andamento demografico influenzi l’evoluzione economica, non ha
ancora avuto una definitiva ed univoca soluzione.
Il dibattito sul rapporto tra incremento demografico e crescita
economica si basa essenzialmente su due scuole di pensiero, tra loro
contrapposte, sulle quali s’incentra tutta la letteratura scientifica in
merito.
La prima scuola di pensiero si rifà alla posizione dell’economista
classico Thomas R. Malthus, il quale vedeva nella crescita demografica
un ostacolo per lo sviluppo economico, e si basa essenzialmente sul
possibile squilibrio quantitativo fra la popolazione e le risorse disponibili; infatti, lo spazio concesso all’uomo per estendersi è limitato, così
come le risorse a sua disposizione.
La seconda scuola, invece, concepisce l’aumento della popolazione come un fenomeno positivo per l’evoluzione economica, poiché
. È risaputo che il concetto di sviluppo nella letteratura economica può assumere
quantomeno tre diversi significati:
— quello di crescita, concepita come mera crescita del prodotto nel tempo;
— quello di trasformazione strutturale, generalmente intesa come il passaggio da una
situazione di economia tradizionale ad una caratterizzata da un’economia moderna;
— quello di miglioramento del benessere collettivo e/o della qualità di vita.
In proposito, tra i numerosi titoli, si rinvia a S ().

Introduzione
secondo questa teoria i crescenti bisogni della popolazione stimolerebbero la ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche necessarie
per ottenere una sufficiente quantità di risorse.
Quest’ultima teoria trova una conferma nel lungo periodo ed inoltre è provata dall’osservazione dell’evoluzione dei maggiori Paesi,
mentre la prima è riscontrata nel breve periodo per i Paesi di minore
dimensione demografica, ma di più rapido sviluppo economico. Inoltre, se si confronta la struttura demografica e socio–economica dei
Paesi industrializzati con quella dei Paesi poveri o in via di sviluppo,
risulta che
un alto livello di incremento demografico è spesso associato ad un contesto
sociale caratterizzato da elevati livelli di mortalità infantile, bassi livelli di
scolarizzazione ed un basso status femminile. (Angeli, Salvini, , p. )
Esaminando poi i dati riguardanti gli indici demografici e il Prodotto interno lordo emerge invece come il nesso tra l’incremento della
popolazione e uno scarso livello di sviluppo economico sia preponderante nei Paesi poveri e, quindi, come il processo di modernizzazione
giochi un ruolo fondamentale in questa relazione.
L’approccio teorico di Thomas R. Malthus, la cui idea di una popolazione “inesorabilmente” costretta a vivere a livelli di reddito di
sussistenza era definita la “trappola della popolazione Malthusiana”,
si è rivelato quindi errato nel lungo periodo, perché i rendimenti
decrescenti derivanti dall’impiego del fattore terra possono essere
controbilanciati dai progressi tecnologici e il periodo di crisi e sussistenza generalizzate è stato evitato dalla sempre maggiore apertura
dei Paesi agli scambi commerciali (A, S, , p. ). Da
sottolineare, inoltre, l’importanza assegnata da altri studiosi — come
Solow e Simon — al ruolo svolto dal cosiddetto capitale umano all’interno di questo dibattito, e il modo in cui questo può giocare una
parte fondamentale nello sviluppo del progresso tecnologico.
In definitiva non è facile giungere ad una conclusione definitiva ed
universale in merito alla questione teorica qui posta, per il semplice
fatto che nel mondo attuale esistono molteplici realtà e le diversità
tra i Paesi ricchi e quelli poveri sono ancora notevoli. Per chiudere su questo punto, però, si è portati a ritenere che la relazione tra
l’andamento demografico e la crescita di un’area territoriale tenda a
Introduzione

diventare positiva, dal momento che la pressione demografica produce effetti positivi sulla natura e sul cammino del progresso tecnico che
— come ritiene Simon — va considerato come il motore della crescita
economica di un Paese.
Qui di seguito, a conclusione della presente introduzione, ci si
propone di fare — com’è consuetudine — un breve cenno ai vari argomenti trattati nel presente libro, il quale è composto sia idealmente
che sostanzialmente da:
— una prima sezione, formata da un solo capitolo di natura prevalentemente metodologica;
— una successiva sezione in cui invece vengono descritti i principali risultati ottenuti dalle numerose elaborazioni che sono state
effettuate nell’ambito del progetto di ricerca;
— ed infine le conclusioni finali in cui si sottolineano i principali
elementi che sono emersi dall’indagine e che a nostro avviso
appaiono di maggiore interesse.
Nel capitolo metodologico s’introducono e si definiscono le principali variabili socio–economiche considerate, gli indicatori da queste
ottenuti e il loro significato più rilevante. Inoltre, si entra nel merito
degli aspetti operativi concernenti le indagini condotte, ossia s’illustra
cosa sono i censimenti e come questi si siano evoluti nel nostro Paese
dal loro avvio, avvenuto appunto nel , all’ultimo, realizzato invece
proprio nel . Infine, viene svolta un’analisi completa e dettagliata
di come è stato condotto il lavoro, la metodologia adottata, i criteri di
scelta delle variabili e il metodo di calcolo dei vari indicatori, ed è stato
anche introdotto un paragrafo specificamente dedicato ai possibili
criteri di suddivisione territoriale da applicare al territorio provinciale.
La sezione descrittiva è composta da due capitoli nel primo dei
quali si espone, innanzitutto, il quadro generale della situazione demografica e socio–economica presentata dall’Italia durante i centocinquanta anni trascorsi dall’unificazione ad oggi. Dopodiché si entra nel
merito dell’indagine attraverso l’analisi dei risultati delle elaborazioni,
opportunamente rappresentati medianti grafici, riguardanti i seguenti
principali aspetti: l’incidenza percentuale sul totale provinciale e regionale, le variazioni percentuali intercensuarie, facendo riferimento
anche al tasso percentuale di variazione medio annuo, ovviamente

Introduzione
riguardo a ogni variabile considerata. In ogni caso, l’analisi è supportata dal confronto con i valori assoluti che invece sono riportati nelle
tabelle contenute nell’appendice statistica, così da consentire al lettore
di condurre anche un’analisi per proprio conto.
In un successivo capitolo si procede all’analisi dei risultati, sempre
rappresentati medianti grafici, delle elaborazioni riguardanti l’articolazione della provincia nei Sistemi locali del lavoro (SLL) per i seguenti
aspetti: la consistenza demografica di ciascun SLL sul totale provinciale, l’andamento temporale degli abitanti in ciascun SLL rispetto alla
provincia nel suo complesso e, infine, la densità demografica per ogni
SLL.
In definitiva si ritiene di poter considerare questo libro che è il
risultato del lavoro svolto in stretto coordinamento fra i tre autori,
come il primo studio organico in cui si affronta il tema della popolazione ferrarese che finora è stato quasi del tutto trascurato, sebbene
in realtà esso rivesta un’importanza socio–economica assolutamente
non irrilevante, sia dal punto di vista strettamente conoscitivo (per
gli studiosi), sia da quello operativo (per i locali policy–maker). Come
accennato all’inizio, la letteratura statistico–demografica relativa alla
provincia di Ferrara — nonostante le numerose rilevazioni di carattere
congiunturale che vengono periodicamente effettuate dagli Enti competenti — non sembra soddisfare la legittima esigenza che un attento
e responsabile cittadino ferrarese dovrebbe nutrire nei confronti del
territorio in cui esso opera e/o risiede. Si confida dunque che questo
libro possa quantomeno rappresentare un iniziale contributo destinato a tutti coloro che sono interessati ad approfondire la conoscenza
dell’evoluzione socio–demografica intercorsa in provincia di Ferrara
nell’epoca moderna e contemporanea.