Capitolo quarto Approfittiamo della differenza Carla Lonzi non amava le interpreti. Non amava le intellettuali che assumono una posizione mimetica del maschile. Soprattutto se fanno teoria sul pensiero e sulla vita di altre donne. Questo ha rappresentato un grande ostacolo quando mi sono proposta di scrivere su di lei. Pure per Lonzi parola dell’autocoscienza e parola scritta coincidono. La scelta di Rivolta femminile è, da subito, quella di comunicare tra donne in presenza, nei gruppi di autocoscienza e con gli scritti, per i quali viene creata una casa editrice autonoma: Scritti di Rivolta femminile. Lonzi cura personalmente la collana dei libretti verdi nella quale sono pubblicati i testi dell’autocoscienza. Come è ovvio, scrivere e pubblicare vuol dire attivare lo scambio, proprio del circolo ermeneutico, poiché ogni lettrice è un’interprete1. Non solo. Lonzi mette al centro della relazione tra donne il riconoscimento. Affida cioè all’altra, alla sua presa di coscienza, l’acquisizione, innanzitutto per sé, dell’autenticità. E la parola scritta ha ovviamente grande rilevanza per il riconoscimento. Questo distin1 «I rapporti con donne e la parola personale scritta rappresentano la condizione diversa dal passato, forse decisiva, per dare uno sbocco a quelle donne che vedono nell’autonomia dalla cultura la possibilità di impostare relazioni, dialoghi e espressioni di sé» (Taci, anzi parla, p. 149). Quanto a me lettrice di Lonzi, mi riconosco nelle parole di Nadia Fusini: «Io penso che quando si legge si ascolta; si ascolta la voce, o quello che resta nella voce di quello che è scritto [...] La voce viva, la vita: nelle parole scritte o morte [...] si ascolta nella enunciazione umana la lotta per l’espressione» (Nadia Fusini, Hannah e le altre, Einaudi, Torino 2013, pp. 8-9). 59 gue la pratica dell’autocoscienza di Rivolta da quella degli altri gruppi femministi degli anni Settanta. Ed è fondamentale, perché toglie al parlare tra donne ogni tratto di immediatezza, di mero «sfogo». Scrivere l’autocoscienza Abbiamo visto che nell’autocoscienza, grazie alla narrazione del vissuto personale di ognuna, viene al mondo la coscienza femminile. Con la parola scritta mutano le coordinate di tempo e spazio della pratica di autocoscienza, e dunque della relazione tra donne. Se è vero che la coscienza femminile si manifesta nella relazione tra una donna e l’altra, con nome e cognome, è vero anche che Lonzi affida alla parola scritta il futuro dell’autocoscienza. Ovvero la possibilità che quanto è stato significato e modificato nel presente, con la concreta pratica dei gruppi femministi, possa provocare coscienza di sé e mutamento in donne affatto differenti, che verranno dopo. Il femminismo ha inizio quando una donna cerca la risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna. Capisce che il suo unico modo di ritrovare se stessa è nella sua specie (Significato dell’autocoscienza, in Sputiamo su Hegel, p. 120). È un’affermazione semplice e allo stesso tempo complessa, tutta da ragionare. È semplice perché comunica immediatamente quale è il cuore della pratica e del pensiero femminista. Mettere in primo piano l’essere donna, ed i rapporti tra donne per affrontare e cambiare la posizione femminile nella storia della civiltà umana. È complessa per il nesso che stabilisce tra sé, l’altra, l’umanità femminile («la sua specie»). Deve mutare il legame tra queste tre figure. Da legame costruito e subito storicamente nel segno dell’inferiorità deve divenire legame per significare l’autenticità: chi è e cosa vuole una donna. 60 Vediamo meglio cosa ci dice Lonzi in questa breve frase. Una donna trova risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna. Non in un processo interiore, tra sé e sé, di autoconsapevolezza. Certo, per tutta la vita Lonzi lavora su questo. Ma sente di aver acquisito la sua autenticità solo quando ne trova riscontro in quella di un’altra donna. Ed è alla relazione con una delle donne di Rivolta che Lonzi si riferisce. È da Sara – questo il nome che le dà nel suo diario – che Carla ha riconoscimento della sua autenticità. «Un’altra donna, clitoridea, mi ha riconosciuta come donna clitoridea [...] Adesso so chi sono e posso essere coscientemente me stessa». Inizia così il diario della sua autocoscienza Taci, anzi parla (p. 13). «Riconoscimento» e «autenticità» non hanno nulla a che fare con la definizione di un modo d’essere comune a tutte le donne. Né come condizione storico-sociale, il ruolo femminile, né come identità, naturale o costruita che essa sia. Il riconoscimento non è rispecchiamento di una donna nelle altre e l’autenticità non è il nucleo immutabile della femminilità, ma l’unicità, irriducibile, della singola donna. Dunque le relazioni tra donne che danno «inizio» al femminismo, creano la situazione in cui ogni donna invece di affidarsi all’identità del suo sesso, prodotta nella storia e nella cultura patriarcale, può dare credito alla sua esperienza ed al suo modo d’essere. Detto altrimenti nell’autocoscienza si manifesta e trova riconoscimento la singolarità femminile. Questo è l’evento prodotto dal femminismo. Il divenire cosciente della donna introduce «il soggetto imprevisto», rompe la continuità della storia, apre il destino del mondo ad un cammino anch’esso imprevisto (Sputiamo su Hegel, p. 47). Se l’evento è il venire a coscienza della singolarità, l’imprevisto accade ogni volta che una donna rivela, a sé e all’altra, la coscienza femminile. Ogni volta che una donna non si rivolge all’uomo, al suo sapere, alla sua storia, alla sua esperienza, sedimentata e trasmessa come esperienza umana, e non maschile, ma si rivolge a ciò che è femminile, a se stessa, alle altre donne, alla sua specie. Lonzi è consapevole di quale prezzo abbia avuto per una donna non potersi riferire nella sua presa di coscienza a figure autorevoli 61 che l’hanno preceduta. Nelle narrazioni e nella storia. Significativamente chiama se stessa «profeta», il «Battista del femminismo». È importante che una donna possa rivolgersi a chi l’ha preceduta. Carla precede Sara nella presa di coscienza. Annuncia il soggetto imprevisto. Ma è solo quando Sara arriva a coscienza di sé che Carla trova riconoscimento. Solo allora la sua autenticità non è più qualcosa di labile, affidata al percorso soggettivo, e dunque esposta alle smentite, di opposto segno ma convergenti, di donne e uomini. Senza riconoscimento tra donne, sottrarsi al destino prescritto della femminilità è gesto a rischio di follia. Ma anche il riconoscimento tra donne, nella pratica dell’autocoscienza, è un percorso drammatico. Il diario di Lonzi offre una puntuale e preziosa testimonianza dei difficili e alternanti passaggi che segnano i rapporti tra le donne di Rivolta femminile. Dalle fasi in cui prevale la coralità nel gruppo e gli scambi al suo interno, a quella delle relazioni a due, a quella del distacco e della riflessione individuale. Potremmo dire che l’esperienza di Rivolta anticipa quelle che saranno le tappe salienti del movimento femminista negli anni Settanta e Ottanta. Un’esperienza sempre motivata dal bisogno di darsi riconoscimento reciproco, senza mai pervenire a certezze e approdi conclusivi. Per Lonzi e per Rivolta l’autocoscienza non è «per sua natura una pratica politica a termine» (Libreria delle donne di Milano, 1987, p. 39) in quanto non offre sbocchi verso il mondo. Per le donne della Libreria, lo abbiamo visto, la scelta fu di usare gli strumenti teorici che la cultura offriva ed escogitare una pratica che li convertisse al significarsi della differenza originaria di essere donne (p. 41). E gli strumenti furono individuati, soprattutto nella psicoanalisi. Adottare quegli strumenti nelle relazioni tra donne sembra sufficiente per trasformarli in strumenti utili a significare la differenza. Il presupposto di questa scelta è che l’autocoscienza non consente di trascendere il vissuto. Anzi, secondo la Libreria, «escludeva, come sappiamo, ogni forma di mediazione» (ivi). 62 La scommessa di Lonzi è che tra donne possa realizzarsi un altro modo di pensare e di agire nel mondo. Non è solo il problema di significare l’essere donna, ma di pensare differentemente. È questo il nucleo essenziale della pratica, non il racconto delle esperienze vissute. Nei testi di Lonzi, l’autocoscienza è la pratica che consente di trascendere l’esperienza femminile e la femminilità stessa, come identità. Senza pensiero differente, risulterebbe vano ogni proposito di far saltare la gerarchia tra uomo e donna, tra superiore e inferiore. Se si ricorre agli strumenti teorici forniti dalla cultura, si interrompe infatti il circolo virtuoso tra esperienza e pensiero, tra presa di coscienza della singola e creazione tra donne di un pensiero sessuato2. Nell’autocoscienza il gesto radicale, enunciato da Sputiamo su Hegel, resta vivo e fecondo; abbandonarlo vorrebbe dire ricadere in posizione subordinata nei confronti del soggetto maschile. Atto di incredulità Come è noto questa pratica comincia con il separatismo, annunciato dal Manifesto di Rivolta femminile, del 1970. Il gruppo separatista è il luogo concreto della relazione tra donne. Creare luoghi di incontro solo tra donne è stato il primo, fondamentale, passo. Nei primi anni erano le case private, poi sono diventati anche luoghi istituzionali, come i centri donna, le case della donna, le sedi di riviste ed associazioni. Ma il separatismo è anche lo spazio simbolico nel quale stare tra donne in modo non dipendente dall’uomo3. 2 Confronta Annarosa Buttarelli e Federica Giardini (a cura di), Il pensiero dell’esperienza, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008. 3 «Stare tra donne indica qualcosa di più e di diverso dal separatismo [...] sta ad indicare non solo una separazione ma anche un sostare e un esistere nel luogo della separatezza» (Manuela Fraire, Ordine e disordine ovvero delle sorti dell’amore tra donne, «Memoria», n. 19-20, 1987). 63 Scopo del separatismo non è però escludere l’uomo: «l’esclusione è un problema dell’uomo, una frustrazione sua, un’incapacità sua» che l’uomo ritorce contro la donna (Significato dell’autocoscienza, p. 120). Da parte della donna non c’è da fare alcuna ritorsione, né da rivendicare qualcosa. Ci sono piuttosto da affrontare i condizionamenti radicati dentro di sé. Prendendo coscienza di «quelli che non sappiamo, non immaginiamo neppure di avere potremmo scoprire qualcosa di essenziale, qualcosa che cambia tutto, il senso di noi, dei rapporti, della vita» (Premessa, in Taci, anzi parla, p. 2). I condizionamenti più insidiosi sono quelli culturali nei quali le donne cercano risposte ai loro problemi. Di norma per trovare un senso – a noi stessi, alla vita, ai rapporti – ci affidiamo all’autorità. Del sapere, delle istituzioni, dell’esperienza. Potremmo dire che scegliamo tra le risposte date, tra i testi e i testimoni, quello o quelli a cui dare credito. Nella civiltà patriarcale l’autorità è maschile, le donne, ne siano o no consapevoli, la confermano. Nello spazio fisico e simbolico separatista si svolge l’attività simbolica di nominare altrimenti la realtà grazie alla quale invece di rivolgersi all’autorità maschile le donne si danno riconoscimento tra loro. E nel farlo pongono «un diverso tipo di trascendenza» (Sputiamo su Hegel, p. 59). È un mutamento, è bene precisarlo, che è alla portata di tutte, non ha niente a che fare con il lavoro intellettuale. Rinominare la realtà a partire dall’esperienza è stato l’enorme lavoro dell’autocoscienza svolto da Rivolta femminile. Ripartendo dai gesti consunti, dalle abitudini, dai legami inconsci che legano ogni donna alla civiltà patriarcale. Lonzi lo chiama «atto d’incredulità» (ivi, p. 35) verso tutto ciò che è istituito: la cultura, i costumi, le tradizioni, la storia, la famiglia, la sessualità. Comprese le forme del pensiero critico e della liberazione. Qui è messo in questione non solo il testo culturale ma il testo politico, quello scritto nella storia, negli avvenimenti che disegnano il farsi della vicenda umana. Il termine «rivolta» adottato nel Manifesto è tutt’altro che ca64 suale. Il gesto di rivolta autentico è la parola pensata e scritta da donne in relazione tra loro. A cominciare dal Manifesto stesso. È una parola di congedo dal testo maschile. Di taglio netto con le forme del pensiero e dell’agire politico. Da quelle del soggetto collettivo a quelle della lotta per il potere, a quelle del progetto di società futura. È, appunto rivolta, non rivoluzione, perché il soggetto agisce nel presente e mira a cambiare prima di tutto gli esseri umani, le donne e gli uomini. Una per una, uno per uno, cambiando le loro relazioni e le loro vite. Senza rivolta, agita in prima persona, ogni cambiamento delle condizioni oggettive è illusorio, non intacca alla radice la gerarchia tra i sessi. Le modificazioni stesse dei loro rapporti risultano un adattamento della donna ad un mondo fatto su misura per l’altro sesso e dunque operano come conferma della coscienza maschile, del suo essere protagonista della storia e fonte di autorità del sapere e del senso comune. Sulla necessità di fare «tabula rasa» il Manifesto insiste con grande efficacia. Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero [...] Hanno giustificato nella metafisica ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna [...] Non riconoscendosi nella cultura maschile, la donna le toglie l’illusione dell’universalità (ivi, p. 10). Approfittare della differenza La tesi di fondo di Lonzi è che la relazione tra uomo e donna non possa essere in alcun modo ricompresa nello schema, logico e storico, dei rapporti di oppressione. Continuando così a rimuovere la primitiva sconfitta del sesso femminile. La mossa che la donna deve fare non è di rivendicare il diritto a prendere parte a questa storia, a questa civiltà, ma di giudicarla. Nelle prime righe di Sputiamo su Hegel è espresso l’essenziale di quello che è stato il pensiero e la pratica del femminismo della differenza sessuale. Le riporto integralmente: 65 Problema femminile significa rapporto tra ogni donna – priva di potere, di storia, di cultura, di ruolo – e ogni uomo – il suo potere, la sua storia, la sua cultura, il suo ruolo assoluto. Il problema femminile mette in questione tutto l’operato e il pensato dell’uomo assoluto, dell’uomo che non aveva coscienza della donna come di un essere umano alla sua stessa stregua (Sputiamo su Hegel, p. 13). Il termine «ogni» indica questa o quella donna, ma anche qualsiasi donna; questo o quell’uomo, ma anche qualsiasi uomo. A mediare e unire singolarità e generalità non è l’identità collettiva. Non è «la Donna» e «l’Uomo», perché i sessi non sono entità metafisiche o naturali. Non è neppure il «genere», perché la soggettività non può essere ridotta a, e dedotta da, il costrutto storico-culturale4. Le donne non condividono una condizione sociale, neppure sono accomunate dall’oppressione ad altri gruppi e identità collettive, come la classe o la razza. Per Lonzi il cambiamento da produrre è quello della relazione tra uomo e donna, nella quale due coscienze si pongono l’una di fronte all’altra. C’è cambiamento se la differenza sessuale agisce ed è riconosciuta. Se la coscienza femminile non è negata e la donna non è inferiorizzata. Certo, la presa di coscienza dovrà ripercorrere la vicenda umana del sesso femminile. Non però per riconoscersi nella Femminilità. O per rintracciare nel genere il dato strutturale, la comune condizione, da modificare. Porre «il problema femminile» in termini oggettivi è un modo per Lonzi di eluderlo. È quanto è accaduto con i movimenti di emancipazione. La strada dell’emancipazione è quella che la storia e la civiltà indicano alla donna. È quella di acquisire «le virtù del soggetto» ed addentrarsi, passo dopo passo «nella tematica posta dall’uomo», per «risalire la sua condizione di dipendenza attraverso un fedele apprendistato della cultura maschile». 4 Sul genere cfr. il mio Nominare il genere, «Iter», n. 12, 2001. Ma è essenziale, direi imprescindibile, la ricerca di Judith Butler, sulla quale rinvio alla bibliografia. 66 Purché essa risalga a lui per la valutazione di sé, l’uomo è pronto a metterle a disposizione ogni angolo della sua cultura, il suo io tutto intero. L’onore è grande, l’occasione unica (Significato dell’autocoscienza, in Sputiamo su Hegel, p. 116). Ma è una promessa ingannevole, poiché l’emancipazione non offre un’effettiva uscita dalla dipendenza all’autorità maschile. Anzi, avendo per meta l’inserimento nel mondo maschile, le sfide dell’emancipazione sono dimostrazioni rivolte agli uomini, assunti come i veri interlocutori, che vengono confermati nella posizione dominante. Il senso e il risultato dei gesti femminili, anche conflittuali, saranno determinati da questo. Viene troppo spesso dimenticato che il femminismo della differenza nasce in un contesto contrassegnato dall’emancipazione. Carla Lonzi – e come lei molte delle protagoniste del femminismo – conosce bene l’effetto di inautenticità che provoca la ricerca, tutt’altro che indolore, di una realizzazione alla pari con gli uomini. Come se essere donna non fosse essenziale né per sé né per il mondo. O come se per esserci, agire e incidere nella realtà le donne dovessero partecipare alle imprese, ai progetti, alle lotte degli uomini. Nei movimenti rivoluzionari, nelle lotte di liberazione collettiva – ogni volta che le donne hanno subordinato ad altro la propria situazione – sono state prima assimilate, per essere poi, puntualmente, messe da parte ad ogni conquista avvenuta, ad ogni compimento della lotta. Il problema della donna non si risolve nell’uguaglianza da conquistare nella società. E la liberazione non è una conseguenza della rivoluzione. Questa è una falsa alternativa. La scelta, come ho detto, è quella del pensare differente, del riconoscimento tra donne. Compiendo un taglio netto con le promesse di inserimento e condivisione che aggiornano, nei contenuti e nei modi, la tradizionale complementarità dei due sessi. Approfittiamo della differenza – questa è la scommessa – una volta riuscito l’inserimento della donna chi può dire quanto millenni occorrerebbero per scuotere questo nuovo giogo? (Sputiamo su Hegel, p. 15). 67 Su questa scommessa, comune al femminismo contemporaneo, Lonzi e Rivolta esprimono una radicalità che è stata poco compresa e spesso fraintesa. La questione non è restare fedeli alle origini. In quelle idee e pratiche non ci sono certo tutte le risposte ai problemi del presente. Ma se si perde quella radice si smarrisce il filo, si perdono di vista le ragioni per cui è stata intrapresa l’avventura del femminismo della differenza. Un mondo a misura di donna È un luogo comune considerare il femminismo di Lonzi viziato di soggettivismo. Rivolto in modo perfino ossessivo alla dimensione personale, all’affermazione dell’io. Una ricerca introspettiva che resta sulla soglia del mondo, senza misurarsi con la realtà. Analoga obiezione di impotenza è stata spesso rivolta a tutto il femminismo della differenza, e in particolare alle pratiche di significazione della differenza. In effetti le prime a porsi la domanda sull’efficacia delle pratiche sono molte femministe. E Lonzi è tra queste. Proprio perché l’ambizione grande che le guida è quella che si possa avere un mondo a misura di donna. Un mondo da condividere con gli uomini, senza che questo abbia per presupposto che le donne debbano dimensionare le proprie pretese. Per Lonzi, qui la radicalità, non c’è principio di realtà senza principio di piacere. Detto altrimenti, se per avere presa sulla realtà una donna deve rinunciare al proprio piacere, al proprio desiderio, una donna avrà un’esistenza non libera, non compensata da alcuna realizzazione. Quello della libertà è un alto costo, non solo esistenziale, ma politico e simbolico. Lonzi ha preferito pagare il prezzo della dipendenza economica, della rinuncia a qualsiasi ruolo sociale. Il proprio riconoscimento e l’efficacia della sua scelta politica l’ha affidata alle relazioni e alla scrittura. Lì ha incontrato l’ostacolo più grande, quello contro il quale ci scontriamo ancora oggi. Parlo della coscienza maschile che non si apre alla relazione 68 di differenza, riconoscendo il principio di piacere e il differente rapporto con la realtà della donna. In Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra Carla Lonzi traccia un drammatico bilancio del fallimento della relazione tra uomo e donna, quando diventa «relazione tra due coscienze». Ma la soluzione non è interna, tra donne, anche quando ci sia, è parziale, non corrisponde all’estensione dei desideri [...] non esiste vittoria se il prezzo da pagare è la solitudine e la rinuncia a un tentativo di intesa affettiva con l’uomo. Su questo scoglio siamo incappate e rientrate a più riprese per quattro secoli (Altro che riflusso! Il tifone femminile soffia da secoli). La difficoltà è prenderne atto e ripartire da qui. A ben vedere non è in gioco solo il piano personale della solitudine e dell’intesa affettiva. Se per un verso è essenziale spezzare il vincolo della dipendenza, la complementarità nei rapporti privati, sociali e politici, per altro verso il femminismo non ha davvero efficacia e futuro se fallisce il piano delle relazioni con gli uomini, come relazioni di differenza. E per la singola donna non vi è modo di tenere insieme il proprio principio di piacere con il principio di realtà. Nel mito della coppia e nella destinazione reciproca dei due sessi è radicata la sessualità dell’uomo, il suo bisogno di essere identificato. E dunque l’uomo non può non richiamare la donna al legame con lui. Se le donne gli lasciano lo spazio fisico, psicologico, mentale di giudicare del «loro diritto» ad essere ed agire, non può che occuparlo. Potremmo dire che autocoscienza, separatismo, riconoscimento tra donne sono pratiche per spezzare la complicità con il piacere maschile. Nella sessualità come negli altri ambiti di rapporto tra i sessi. Se l’eterosessualità continua a modellare i rapporti con gli uomini non vi è per Lonzi alcuna libertà per la donna. Ma mettere fine alla norma eterosessuale non equivale a fare a meno dei rapporti con gli uomini, neppure di quelli sessuali. Piuttosto significa mutarli in profondità. Per Lonzi e tutte 69 quelle che lo desiderano, a cominciare, ovviamente, dalle pratiche di sesso. Ma è un mutamento che non può non coinvolgere anche le donne che non hanno rapporti sessuali con gli uomini, se è vero che nel principio di piacere maschile è la radice di un rapporto tra i sessi che ha assegnato alla donna la posizione complementare e seconda. Una posizione che si può assumere nei rapporti sociali, politici, culturali, anche in assenza di rapporti sessuali. Senza uno spostamento della coscienza maschile non vi è modo di costruire un altro ordine materiale e simbolico dei rapporti tra i sessi. Se volgiamo lo sguardo al presente sono palesi i segni di crisi dell’identità maschile e della civiltà patriarcale. Anche, o soprattutto, come crisi del nesso tra principio di piacere e principio di realtà. Mi limito a richiamare due aspetti. Quello della violenza verso le donne, con stupri, omicidi, lesioni, intimidazioni, ad opera per lo più dei loro partner. Quello dell’accanimento nel potere, politico e non solo, nel tentativo illusorio di compensare la perdita di autorità. Il potere è ancora largamente nelle mani degli uomini, e questi ultimi lo usano nei confronti delle donne, per dettare legge sui loro corpi e sulle loro vite. Ma in assenza di autorità, il potere può fare male, molto male, ma non fa ordine. Vi sono manifestazioni vistose e virulente della paura che troppi uomini hanno della libertà femminile. Comunque si manifesti. Nella sessualità e nel privato, o nella sfera pubblica, nelle scelte di lavoro, nel pensiero. Vi sono anche, in controtendenza, alcune significative esperienze di autocoscienza da parte di uomini5. Ma il segno prevalente è l’incapacità di prendere coscienza della crisi che ha investito l’ordine sessuale e politico del patriarcato. E, di conseguenza, invece di mettere a tema la «questione maschile»6, divenuto il vero fulcro del mutamento nei rap5 Sui rapporti tra uomini e donne nel presente, in particolare sulla violenza maschile contro le donne e sulle esperienze di autocoscienza degli uomini, rinvio ai testi citati in bibliografia. 7 L’espressione «questione maschile» è il titolo di un fascicolo di «Via Dogana», n. 84, 2009. 70 porti tra i sessi, si continua a declinarli in termini di specificità femminile. Ritornando a Lonzi si può dire che la rivolta femminile ha sottratto «il primo oggetto concepito dall’uomo: “l’oggetto sessuale”». Dal momento che le donne non offrono più all’uomo conferma di sé e del mondo a misura del proprio sesso, si riattivano i «nodi originari», sedimentati nell’inconscio, della «patologia possessiva» su cui è costruita la civiltà patriarcale (Sputiamo su Hegel, p. 16). In questi quarant’anni molte cose sono avvenute, non solo ad opera delle donne, e il presente non può certo essere compreso facendo ricorso a quanto è stato detto e fatto dai gruppi femministi degli anni Settanta. Perché, allora, tornare al testo di Lonzi? Rispondo a partire da me. Non è per interesse filologico o storiografico che continuo ad avere con lei un dialogo serrato. Nonostante le differenze di percorso, e nonostante tutto l’accaduto che divide il presente dal suo tempo, trovo in Lonzi uno stimolo e una promessa. Lo stimolo ad essere esigente con me stessa, nella vita privata e pubblica. La promessa è che se vi corrispondo posso trovare il modo di coniugare principio di piacere e principio di realtà. Non è vero il contrario. È questo che vorrei comunicare quando parlo o scrivo di Carla Lonzi. Vorrei mostrare ad altre donne quanto possa essere fecondo per ognuna di loro il vissuto e il pensiero di una donna, molto diversa e lontana dalla loro condizione, dalle loro esperienze e scelte. Non per indurle a farne un modello di vita o per proporre il femminismo della nostra generazione come un percorso già tracciato da continuare in modo statico. Penso, al contrario, che si debbano inventare altri modi, percorrere altre strade. Ma è importante tenere nelle proprie mani alcuni fili. A cominciare dalla consapevolezza che la libertà è tale se dà voce al piacere e al desiderio femminile. 71
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