ITA TU RA G E it ION Z ffe. U a c B l I tea TR ocra DIS s . w ww Numero novantotto – Settembre 2014 Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca Direttore responsabile Sisto Capra L’EDITORIALE La gran città del genere umano Dieci conversazioni filosofiche di Salvatore Veca o raccolto in un piccolo libro, che esce fra qualche settimana da Mursia, dieci scritti d’occasione, come si diceva un tempo. Saggi, interventi, conferenze, lezioni, tenute qua e là negli ultimi sette anni, che ho scritto e riscritto nella forma di dieci conversazioni filosofiche. Il titolo che ho scelto, La gran città del genere umano, adotta una celebre espressione di Giambattista Vico che mi accompagna da molti anni e, in particolare, mi è come stata a fianco con la sua eco, mentre ero impegnato nella ricerca filosofica sui difficili e ineludibili problemi di una teoria della giustizia globale. Di quell’espressione, in effetti, mi ero avvalso nelle mie lezioni sull’idea di giustizia, La bellezza e gli oppressi, pubblicate nel 2002. Nelle dieci conversazioni filosofiche affronto problemi e sviluppo temi fra loro piuttosto differenti e a prima vista lontani, anche se qua e là affiorano qualche connessione e qualche motivo ricorrente. Sullo sfondo, gli esiti delle mie ricerche sul paradigma dell’incertezza e dell’incompletezza che mi hanno impegnato nell’ultima manciata di anni, e da cui derivano molte delle idee e delle congetture esposte e proposte nelle conversazioni filosofiche. Questo piccolo libro ha uno scopo tanto semplice quanto difficile. Nella varietà dei temi e degli argomenti, su cui si esercita la riflessione filosofica snodandosi in dieci pezzi facili, il libro invita chi legge a viaggiare con le sue idee con le idee dell’autore. In un esame riflessivo delle nostre questioni di vita, dei nostri modi di convivere, della qualità delle nostre vite, dei nostri desideri di futuro in tempi difficili, La gran città del genere umano è un’offerta di dialogo con il lettore e la lettrice. Ho spesso adottato l’espressione “conversazioni filosofiche” in senso letterale. Ho in mente, mentre scrivo e riscrivo, chi mi legge come un interlocutore o un’interlocutrice. Cerco di tener conto delle sue possibili domande, delle sue critiche, delle sue perplessità, dei suoi mugugni, dei suoi suggerimenti. Le conversazioni non sono dimostrazioni o spiegazioni filosofiche rivolte agli addetti ai lavori o, come si usa dire, alla comunità accademica. Esse sono offerte di riflessione rivolte, per quanto è possibile, a chiunque. A chiunque sia interessato e abbia voglia di mettersi alla prova nell’esame socratico delle nostre ordinarie questioni di vita. E ciò, oltre a far felice il vecchio Socrate, rende conto in modo piano e naturale del sottotitolo del libro. Quanto rende conto del suo titolo e dell’adozione della luminosa massima di Vico, è un tratto specifico e distintivo delle dieci conversazioni: la consapevolezza di dover adottare sulle nostre vicende individuali e collettive “gli occhi del resto d’umanità”. La consapevolezza può tradursi in un invito a esercitare il “pensiero largo”, come avrebbe detto Kant, il teorico del diritto cosmopolitico. Un invito ad allargare ed estendere, per quanto è possibile, i confini del “noi”. Un invito a esercizi di immaginazione che esplorino spazi di possibilità, non definiti da confini già dati, irrigiditi e fissati una volte per tutte. Un invito a saggiare e scoprire l’essenziale incompletezza di qualsiasi forma di vita in comune. Mi rendo perfettamente conto che si tratta di un invito esigente e difficile, in tempi come i nostri, in cui la gran città del genere umano è attraversata da guerre, crudeltà, crisi e massacri e i nostri modi di convivere sono esposti al rischio di perdita e dissipazione. Ma, come sostiene una massima di saggezza confuciana, cui sono da tempo affezionato: anche e soprattutto in tempi difficili, è buona cosa essere leali a noi stessi e, perciò, nei limiti del possibile, attenti e aperti agli altri. la Feltrinelli a Pavia, in via XX Settembre 21. Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30 FONDAZIONE SARTIRANA ARTE FONDARTERRITORIO ANNO SECONDO BOZZOLA/KARTELL: PALLA AL CENTRO GIORGIO FORNI a pagina 7 IN QUESTO NUMERO LA SINTASSI DELLE LINGUE SILVIO BERETTA alle pagine 2-3 LUISA ERBA alle pagine 4-5 DEL MONDO A PAVIA SONIA CRISTOFARO SILVIA LURAGHI CATERINA MAURI a pagina 6 *** LA BIBLIOTECA VIRTUALE DI PAVIA MICHELE CHIEPPI a pagina 8 Pagina 2 Numero novantotto - Settembre 2014 Presentato alla Biblioteca Universitaria il volume di Sergio Romano 1 Quella che Sergio Romano ○ sviluppa in questo saggio è la riflessione di uno storico sull’arte come attributo del potere, “l’olio che consacra l’autorità”, come sottolinea l’autore stesso in conclusione. All’opera d’arte capita infatti di seguire le sorti del potere e del potente: perciò di essere esaltata con il potere quando La riflessione di uno storico sull’arte come “olio che consacra l’autorità” dei tempi chiunque indirizzerà lo sguardo alla facciata della Basilica leggerà “IN HONOREM PRINCIPIS APOST(olorum) PAULUS V BURGHESIUS ROMANUS PONT(ifex) MAX(imus) AN(no) MDCXII PONT(ificati) VII”: potrà anche non leggerla per intero, quella scritta, ma il “Burghesius” non potrà certo sfuggirgli. Ma non è soltanto quella del committente la fama che viene tramandata attraverso l’arte: SERGIO ROMANO esposto al Louvre non è di Franz Hals ma della sua scuola, mentre quello principale sta in un museo danese! 2 È tuttavia all’opera d’arte ○ “predata”, conquistata, rubata, inseguita, recuperata (quando lo è stata: è ben nota la vicenda del nostro Rodolfo Siviero, l’ “agente segreto dell’arte” del secondo dopoguerra) oppure perduta storia sul comodino. Stavo a Buenos Aires quando lo lessi. Sapevo, perché l’avevo scelto io stesso come riferimento “pescandolo” nella mia biblioteca, che avrei dovuto parlare proprio del contenuto di quel libro in occasione di una giornata in onore dell’autore che l’Università di Pavia aveva programmato di lì a qualche tempo. Inoltrandomi nei ventinove racconti contenuti nel volume e la morte, soprattutto la morte, si misurano soltanto con i grandi numeri; o un palazzo, l’Hôtel de Galliffet, sede dell’Ambasciata d’Italia a Parigi fra il 1895 e il 1938, che aveva visto Ministri degli Esteri francesi Delacroix ai tempi del Direttorio, ma anche Talleyrand, il quale aveva scelto come studio un piccolo “cabinet” al piano terreno, che aveva “il supremo vantaggio dell’ambiguità e aumentava il piacere della lettura, che coincideva con quello di “sentire” vicino a me, fra i tanti, un personaggio come Ponzio Pilato, “…troppo intelligente per non sapere che alla crocefissione, per i ‘delitti di opinione’, è meglio ricorrere il meno possibile”; o una circostanza risibile come il solenne preambolo al verbale del Consiglio dei Ministri del 9 settembre 1943, un Consiglio che non si tenne mai dal momento che alla stessa ora re e Badoglio erano già a Pescara pronti a imbarcarsi per Brindisi; o un paese come la Russia illustrato dalle fotografie di Robert Moynahan, che ce lo restituiscono ineffabile, inafferrabile, “eccessivo”, dove tutto “è più grande del vero” e dove la vita dell’ambivalenza: due porte, di cui una verso l’interno, l’altra verso il giardino”. (foto in alto) AMBASCIATORE A MOSCA FINO AL 1989, È STORICO, EDITORIALISTA E SCRITTORE di Silvio Beretta questo cresce, ma anche di essere annientata (o anche solo ridotta a preda) quando soccombe, di ricongiungersi con il potere già sconfitto quando questo si prende la rivincita, di essere mercificata, comprata e venduta quando il potere è quello del denaro. Nei casi più “pacifici” l’opera d’arte viene strumentalizzata per trasmettere nel tempo l’immagine del potere, magari tramandando visivamente un nome. Basti ricordare, a questo proposito, che, quando Papa Paolo V Borghese commette al Maderno il rifacimento del timpano della facciata della Basilica di S. Pietro, ha cura che il nome di famiglia, “Burghesius”, finisca esattamente al centro del timpano, per cui fino alla fine tanto per stare fra Pontefici basti ricordare, ad esempio, il capolavoro di Tiziano che ritrae Papa Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese. C’è addirittura una monografia, di Roberto Zapperi, intitolata proprio Tiziano, Paolo III e i suoi nipoti, un’analisi storicopittorica proprio di quel quadro e dei suoi molti significati, non ultimo la propensione al nepotismo. Naturalmente non ha funzionato così soltanto per i Pontefici. Se è vero, ad esempio, che tutti conosciamo significato e importanza del Discorso sul metodo, la nostra memoria di quell’opera è inevitabilmente associata al ritratto che di Cartesio ha fatto Franz Hals. Anche se, per uno strano paradosso, quello che abbiamo tutti in mente e che è Il giornale di Socrate al caffè Direttore Salvatore Veca Direttore responsabile Sisto Capra Editore Associazione “Il giornale di Socrate al caffè” (iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale) Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia 0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected] Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002 che Sergio Romano dedica gran parte del proprio appassionante racconto. E lo fa con uno stile fatto di una inesorabile precisione documentaria, che tuttavia non si fa mai “nozione” fine a se stessa, ma che è sempre capace di “far rivivere” fatti e personaggi della storia. Ha, in poche parole, il potere di evocare. Personalmente sono sensibilissimo a questo modo di raccontare, è anzi un po’ la condizione implicita che pongo a un paesaggio, a una poesia, a una canzone, a un quadro, a un film e quindi anche a un testo. La prosa di Sergio Romano risponde in pieno a questa mia personale esigenza. Per questa ragione ricordo con particolare piacere, ad esempio, il suo volume La I PUNTI SOCRATE 3 La stessa forza evocativa ○ l’hanno le vicende raccontate nel saggio che presentiamo oggi. Storie di battaglie vinte e di conseguenti prelievi forzosi. È dopo la vittoria di Napoleone ad Eylau contro la Quarta coalizione che Vivant-Denon (direttore di quello che diventerà il Musée Napoléon e del quale viene descritta la grandiosa cortigianeria) può passare da Berlino e scegliere cosa portare con sé a Parigi. Era stato dopo la conquista di Gerusalemme e la distruzione del Tempio che Tito aveva portato a Roma la Menorah, il candelabro a sette braccia (Continua a pagina 3) Ecco dove viene distribuito gratuitamente Il giornale di Socrate al caffè Settembre 2014 - Numero novantotto Pagina 3 Opere predate, conquistate, rubate, inseguite, recuperate, spesso perdute (Continua da pagina 2) oggetto liturgico del culto ebraico. Era stato a seguito della quarta crociata che il Doge Enrico Dandolo aveva potuto portarsi a Venezia, nel 1204, la quadriga che si ritiene fosse collocata nell’ippodromo di Costantinopoli, così come la potenza britannica nel Mediterraneo aveva consentito a Lord Elgin di comperare a poco prezzo i marmi del Partenone, né Wellington IN la violenza iconoclasta che si scatenò in Francia nell’estate del 1790, come nella Germania di Hitler ai tempi delle campagne contro l’arte “degenerata” o “giudaicomassonica”, come nella Spagna della guerra civile, come nella Russia di Stalin. 4 C’è naturalmente molto di ○ più nelle pagine di Sergio Romano. C’è per esempio la Dai grandi conquistatori ai grandi collezionisti: esempi storici della “potenza dell’arte” quanto sostenuta da chi depauperava il patrimonio artistico di quegli stessi paesi che diceva di voler liberare) e quella di Quatremère de Quincy, che sosteneva invece l’indissolubile legame dell’opera d’arte con i luoghi in cui questa era nata ed era collocata: tesi questa, invece, pienamente compatibile con l’interesse, ad esempio, dell’Italia e di Roma. E c’è poi la storia delle restituzioni, FOTO La piscina coperta dell’Hearst Castle in California Nella pagina accanto. Particolare del rilievo sul lato sud dell’Arco di Tito: la Menorah a Roma dopo il Sacco di Gerusalemme aveva resistito alla tentazione di arredare Apsley House, la sua dimora londinese, con ottanta quadri spagnoli e di regalarsi il Napoleone “Marte pacificatore” di Canova. La discesa di Napoleone in Italia, d’altra parte, precede una successione di “trasferimenti” di opere d’arte (i cavalli di San Marco, ad esempio, che lasciarono Venezia per l’arco del Carrousel) sanciti addirittura da un trattato (quello di Tolentino). Segno, questo, del fatto che, se i suoi spostamenti sono spesso la conseguenza di guerre, l’arte può anche “comperare” la pace. Come purtroppo l’opera d’arte può invece soccombere alla furia ideologica: questo accadrà con cronaca dell’ossessione di Hitler per l’idea di realizzare, a Linz dove era nato, un museo che - nelle sue intenzioni avrebbe dovuto contenere, dice l’autore, “quanto di meglio il mondo poteva depositare ai suoi piedi”. Hitler doveva tuttavia fare fronte a una temibile concorrenza interna, quella del maresciallo dell’aria Hermann Göring, grandissimo razziatore di tutto quanto i suoi incaricati potevano carpire in giro per l’Europa a suon di dollari (Hitler invece pagava in marchi!). C’è poi il dibattito fra la tesi del già nominato Vivant-Denon, che parteggiava per l’alternativa della “collezione”, funzionale all’obiettivo di raccogliere e conservare al Louvre quante più opere d’arte possibile (tesi politicamente imbarazzante, in come quella gestita dalla Commissione Roberts nominata da Roosevelt e realizzata da qualche centinaio di Monuments Men, la cui vicenda è stata oggetto anche di una recente ricostruzione cinematografica. Ben differente fu la vicenda che vide protagonista, finché durò, l’Unione Sovietica, che si indennizzò per i danni subiti a causa della guerra anche con due milioni e mezzo di opere d’arte, più tardi e solo in parte restituite, ma solo alla Repubblica democratica tedesca. 5 Singolari, per origini e ○ modalità, le vicende del collezionismo dei magnati americani. Sergio Romano ricorda, a questo proposito, PAOLA CASATI MIGLIORINI Perito della Camera di Commercio di Pavia dal 1988 C.T.U. del Tribunale di Pavia alcuni casi di particolare grandiosità come quello che ha trovato una straordinaria traduzione cinematografica nel Citizen Kane interpretato da Orson Welles nel 1941: se un’affermazione del genere non fosse quasi priva di senso, direi il più bel film della storia del cinema o almeno, per rimanere fedele al mio canone di giudizio, il più evocativo. Nel film Charles Foster Kane impersona il magnate della stampa (e di tante altre cose) William Randolph Hearst, morto nel 1951. Nella Xanadu del film, in cima a una montagna vicino a San Simeon nella contea di San Luis Obispo in California che aveva visto ospiti anche Roosevelt e Churchill, Kane/Hearst aveva ammassato una incredibile quantità di reperti e di arredi di ogni epoca: dalla facciata di un tempio romano che delimita una gigantesca “piscina di Nettuno” fatta e rifatta più volte, a una piscina pompeiana coperta, a uno studio gotico, a 56 camere da letto, a 61 bagni e al più grande zoo privato del mondo. Un monumento al collezionista maniacale, il film (ma anche il castello), che sembra che Hearst non abbia affatto apprezzato. Posso assicurare, per averlo provato, che la visita all’Hearst Castle, per lo straordinario paesaggio che vi si gode quando ci si è arrivati dopo qualche chilometro di tornanti e per il vago senso di solitaria follia che provoca, è un’esperienza che resta nella memoria. Del tutto diversa, tranquillamente e lussuosamente ovattata, l’impressione che si ricava dalla visita alla Frick Collection, dal nome del magnate dell’acciaio Henry Clay Frick che fra il 1913 e il 1914 fece costruire un’imponente villa sulla Quinta Strada di fronte a Central Park proprio per ospitarvi la sua collezione di artisti europei, da Rembrandt a Vermeer, da Fragonard a Constable a Goya a Van Dyck a El Greco a Tiziano a Bellini: una casa per una collezione, non una collezione per una casa. E, per finire, John Pierpont Morgan. Proprio l’editore Skira ha pubblicato su di lui, qualche mese fa, un affascinante saggio dal titolo Morte di un magnate americano dove, tramite la finzione narrativa del racconto di un segretario, si ricostruisce fedelmente la vicenda di uno dei più grandi collezionisti d’arte e di libri (la sua casabiblioteca sulla Madison Avenue è la più celebre casamuseo degli Stati Uniti) di tutti i tempi, appunto il banchiere Morgan, scomparso a Roma il 31 marzo 1913. Era lui che aveva organizzato (e finanziato) il salvataggio del suo paese nella crisi del 1907 (solo alla fine del 1913 fu fondato il Federal Reserve System), era lui che aveva acquistato nel 1901 l’impero dell’acciaio di Andrew Carnegie ed era sempre lui a capo della più potente rete di banche di tutti i tempi. E anche lui (con la consulenza di Bernard Berenson) era un collezionista onnivoro. A favore delle sue collezioni una vera e propria corrente di opere d’arte attraversava sistematicamente l’Atlantico in direzione degli Stati Uniti. Racconta il libro che, approfittando di una riduzione delle tasse d’importazione sui beni di lusso decisa dal Presidente Taft e per sfuggire a un aumento delle imposte di successione in Inghilterra, Morgan avesse richiamato in patria, agli inizi del 1912, le proprie collezioni, suscitando l’indignazione del pubblico e della stampa inglesi. A fine marzo del 1912, tuttavia, ordinò di sospendere le spedizioni. Evitò così di BIBLIOGRAFIA AA.VV., Il mondo di Sergio Romano, il melangolo, Genova 2008 Nader S., The Philosopher, the Priest, and the Painter. A Portrait of Descartes, Princeton University Press, Princeton 2013 (trad. it. Il filosofo, il sacerdote e il pittore. Un ritratto di Descartes, Einaudi, Torino 2014) Romano S., La storia sul comodino. Personaggi, viaggi, memorie, Greco & Greco, Milano 1995 Romano S., L’arte in guerra, Skira, Ginevra-Milano 2013 Scarlini L., Siviero contro Hitler. La battaglia per l’arte, Skira, Ginevra-Milano 2014 Tuzzi H., Morte di un magnate americano, Skira, Ginevra-Milano 2013 Zapperi R., Tiziano, Paolo III e i suoi nipoti, Bollati Boringhieri, Torino 1990 SPORTELLO DONNA INCUBATORE D’IMPRESA START UP/INNOVAZIONE/CREATIVITÀ Perizie in arte e antiquariato Valutazioni e stime per assicurazioni Inventari con stima per eredità Consulenza per acquisti e collezioni Perizie a partire da 100 Euro TRAVACÒ SICCOMARIO (PAVIA), VIA ROTTA 24 TEL. 0382 559992 CELL. 337 353881 / 347 9797907 www.agenziadarte.it - email: [email protected] Non cercare lavoro, crealo Un nuovo progetto per il 2015: PAVIA PER EXPO, chiamaci e unisciti a noi Expo è una grande opportunità per il nostro territorio PAVIA, via Mentana 51 [email protected] - 366 2554736 Pagina 4 La vicenda emblematica del Regisole l piccolo libro di SERGIO ROMANO è prezioso. Appassionante come un romanzo poliziesco, catapulta nelle indagini su vicende internazionali, che coinvolgono i governi dell’Europa tra Otto e Novecento. Si legge d’un fiato. Poi si rilegge. A pagina 50 dice: Fig. 1 Fig. 2 «Nel 1939 […] Kümmel aveva preparato una lista delle opere d’interesse germanico che sarebbe stato possibile “rimpatriare” nell’eventualità d’una guerra. In questo elenco […] vi erano la tappezzeria di Bayeux, in cui sono rappresentati lo sbarco dei Normanni sulla costa inglese nel 1066 e la battaglia di Hastings; la Corona di Carlo Magno e l’intero apparato rituale usato per l’incoronazione dei Sacri Romani Imperatori di nazione germanica (corona, scettro, paramenti); la Corona di ferro della regina longobarda Teodolinda custodita nel Duomo di Monza; le croci di foglia d’oro dei musei di Pavia […] ». Arrivati alle nostre crocette longobarde viene spontaneo soffermarsi sui risvolti locali; cito alcuni esempi pavesi che ci confermano come l’arte costituisca l’oggetto del desiderio per i vincitori. Il primo caso, emblematico, riguarda il Regisole, il monumento equestre romano diventato un simbolo della città (studiato da CESARE SALETTI nel 1997). IL REGISOLE Il Regisole arriva a Pavia come bottino da Ravenna; non sappiamo quando né come. In proposito ci sono diverse tradizioni: secondo alcuni sarebbe pervenuto in età longobarda (quando i pavesi sottraggono ai ravennati anche il corpo del vescovo Eleucadio); secondo altri post Caroli Magni tempora. Inizialmente è posto nel porticato del palatium, dopo la cui distruzione (1024), entro il terzo decennio dell’XI secolo, viene collocato nell’Atrio delle cattedrali (cioè in piazza del Duomo). Quando, nel 1315 Matteo Visconti s’impadronisce della città, il Regisole è abbattuto, portato a Milano e fatto a pezzi, che vengono messi in vendita. Lo racconta Benzo d’Alessandria nella sua Cronaca e lo conferma Galvano Fiamma. I pezzi vengono subito cercati dai pavesi «di casa in casa», quindi reintegrati, riassemblati, rivestiti di una nuova fiammante doratura e il monumento viene ricollocato su un alto basamento, probabilmente entro il 1320. Opicino de Canistris, che lo disegna e lo descrive nel 1330, parla della «recente» doratura e della cagnolina posta a reggere la zampa anteriore alzata (forse resasi necessaria per garantire l’equilibrio dopo l’assemblaggio). Due secoli dopo, con l’assedio del 1527, Cosmo Magni, un ravennate al seguito del Lautrec, si riprende la statua con l’intenzione di riportarla a Ravenna. La imbarca sul Ticino, ma la barca viene intercettata sul Po dal capitano Annibale Picenardo che, a Cremona, recupera il carico. Il cavallo rimane a Cremona fino al 1531. Riportato a Pavia, necessita di restauri e la ricollocazione avviene solo nel 1551 (fig. 1). Con la Rivoluzione francese, il 16 maggio 1796, i giacobini, dopo aver piantato l’Albero della Libertà, fanno a pezzi la statua. Alcuni pezzi vanno perduti e quando, nel 1802, si decide di ricomporla, ci si rende conto che non è più possibile risarcire le parti mancanti. Nel 1809 il metallo viene venduto al «legnamaro Guasparo Crespi» e il ricavato viene destinato all’«erezione delle cinquanta lampade destinate all’illuminazione notturna» del «pubblico passeggio di Piazza Castello» (SALETTI, p. 48). Pietro Pavesi, in un articolo su “Regisole. Gazzettino pavese”, uscito il 29 maggio 1898, scrive però: «si vocifera il cagnolino [sia] nascosto in una casa patrizia pavese». Il nuovo Regisole, realizzato da Francesco Messina nel 1937, per fortuna si salva dalle requisizioni del ferro e del bronzo corrispondenti al periodo della seconda guerra mondiale (che avrebbero potuto coinvolgere anche Pio V e il monumento ai Caduti in Università). IL VESSILLO DEL 1512 e le insegne del suo ordine, dello stemma della città e delle imma- Tra gli stendardi andati perduti durante conflitti e saccheggi, vale la pena di ricordare il vessillo di Pavia, con le insegne cittadine (il Regisole) e i Santi vescovi protettori della città (Siro e Agostino, Teodoro e Epifanio), confezionato nel 1512 per celebrare la vittoria di Luigi XII di Francia nella battaglia di Ravenna. Il vessillo, ricamato su entrambe le facce, è nuovo e viene rubato in quello stesso anno dal capitano svizzero Peter Falck, prima ancora che possa essere utilizzato. Il capitano racconta: Alcuni uomini hanno trovato, in una casa fuori la città, una bandiera nuova; così bella che non ne si vide mai in tutta la Confederazione. Essa è adorna degli stemmi del re di Francia, coi gigli gini di due santi. Questa bandiera, che ha la forma di uno stendardo di cavalleria, doveva servire contro di noi, ma è caduta nelle nostre mani prima di essere adoperata. (RODOLFO MAIOCCHI, Un vessillo di Pavia, 1894) Insieme a quello pavese, Peter Falck aveva inviato alla moglie «otto o nove begli stendardi», bottino di guerra. Questi dovevano essere stati accuratamente ripiegati, e infatti il capitano le raccomanda di maneggiarli con delicatezza e precisa che, riaprendoli, si devono «spiegare bel bello» e quindi «attaccare a uno o due pali». L’intenzione è quella di farne dono alla chiesa di San Nicolò di Friburgo. Pagina 5 Fig. 4 Il vessillo, il monumento, la tavoletta in avorio corsivi l’iscrizione I. Galeazzo Visconti col Fig. 5 disegno della Certosa di Pavia e i suoi 3 figli. L’oggetto è giunto all’attuale proprietario alla fine degli anni ottanta del Novecento per acquisto sul mercato antiquario di Sarzana e proviene dall’Inghilterra, come risulta dalla dichiarazione del venditore e dall’etichetta applicata sul retro della tavoletta che traduce in inglese l’iscrizione e porta un breve cenno biografico su Gian Galeazzo Visconti. Difficile al momento ricostruirne la storia; rimangono vari interrogativi sia sulla datazione del manufatto, sia sui tempi e i modi della suo arrivo e permanenza in Inghilterra. Un approfondimento d’indagine potrà ricostruire eventuali nessi con il famoso «gabinetto in avorio del priore», un piccolo locale della foresteria le cui pareti erano state decorate con avori ottenuti dallo smembramento di due preziosi cofani trecenteschi e con l’aggiunta di altri pezzi riferibili, secondo CARLO MAGENTA, a mani e periodi diversi: «le tavolette e gli otto piccoli riparti appartengono agli ultimi anni del secolo XIV, altre sculture al secolo XV, ed altre ancora al XVIII, e certi pezzi sono de’ nostri tempi, in luogo di altri che scomparvero». Magenta offre ulteriori informazioni sulla loro sorte: Fig. 3 «purtroppo così gentile opera fu trafugata nel 1796 da tale abate Tordorò che, con nessunissima coscienza di prete e di italiano, la vendette ad un inglese, il quale invano cercò di spedirla al di là della Manica». di Luisa Erba Oggi purtroppo è perduto, ma è noto grazie alla riproduzione secentesca (fig. 2), un disegno acquerellato conservato in un taccuino (Le livre des drapeaux) dell’Archivio di Stato di Friburgo, la città dove era stato portato dal citato capitano Falck. IL MONUMENTO ORA A TREVISO Tra i materiali pavesi dispersi nella drammatica circostanza della battaglia di Pavia (1525) si inserisce la vicenda di un monumento, sottratto prima ancora che fosse terminato, le cui parti sono state in seguito ricomposte a Treviso nella chiesa di Santa Maria Maggiore per la sepoltura di Mercurio Bua (fig. 3). L’iscrizione secentesca, posta dal nipote sotto il monumento, precisa che il conte Bua l’aveva portato con sé da Pavia come preda di guerra: «Papia praelio devicta, / unde regium hoc monument[um] inclyta spolia, eduxit» (= conquistata in battaglia Pavia, donde portò quale inclita preda questo monumento regale). Nel corso dell’Ottocento Gustavo Frizzoni e poi Diego Santambrogio avanzano l’ipotesi che si tratti di un lavoro di Agostino Busti, detto il Bambaia (1483-1548), attribuzione confermata dalla critica successiva. Non sappiamo a chi fosse destinato il monumento e dove dovesse essere collocato; infatti non era ancora stato messo in opera e risulta privo di iscrizioni. L’iconografia non aiuta: il complesso di Treviso si compone di un’arca con tre riquadri a rilievo con un protagonista (seduto in cattedra o in trono; ammalato disteso nel proprio letto; defunto sul catafalco) attorniato da molte statue (due angeli tedofori e cinque virtù: Fede, Carità e Giustizia, Prudenza, Temperanza). Le virtù mancanti (Speranza e Fortezza), vengono riconosciute da ANTONIO BASSO (Le due virtù, 2002, pp. 191206) nelle due statuette del Bambaia conservate presso il Kimbell Art Museum di Fort Worth in Texas, attribuite dalla critica alla tomba Birago. Si ipotizza che le due virtù americane, le più rifinite e meglio conservate, possano essere finite in altre mani forse nel momento stesso del saccheggio e avere quindi seguìto una strada diversa dal resto del monumento. Ancora non è stata ricostruita per intero la vicenda, ma si conosce un indizio che potrebbe essere utile: nel 1900 le due statuette facevano parte della collezione antiquaria della villa Antona Traversi a Desio. LA TAVOLETTA CON IL MODELLO DELLA CERTOSA IN AVORIO La tavoletta in cui è rappresentato Gian Galeazzo Visconti con il modello della Certosa è un piccolo pannello nero (cm 20 x 24 circa) in legno lacca- to sul quale sono applicati sei elementi scolpiti nell’avorio (fig. 4). La matrice iconografica va ricercata nel catino absidale del transetto destro della Certosa di Pavia, dove Ambrogio da Fossano il Bergognone dipinge, nell’ultimo decennio del Quattrocento, Gian Galeazzo Visconti (accompagnato da Filippo Maria e, di fronte Galeazzo Maria Sforza con il figlio Gian Galeazzo) nell’atto di offrire il modello della chiesa alla Vergine, con il Bambino sulle ginocchia, assisa entro la mandorla di luce. Le posizioni, gli atteggiamenti, l’abbigliamento e le acconciature denunciano una derivazione diretta dal dipinto. Nella tavoletta la figura della Vergine scompare e il piccolo modello della Certosa diventa il nuovo centro della composizione (forse è andata perduta la torre nolare che caratterizza la chiesa nel dipinto del Bergognone). Sull’elemento di base, che vuole rappresentare il suolo, è incisa a caratteri L’operazione non sembra riuscire «per il blocco continentale decretato da Napoleone I», e l’inglese «dovette lasciare quel tesoro d’arte in Milano». Non si può escludere che qualche pezzo sia stato esportato nascostamente e abbia raggiunto così l’Inghilterra (invece le arche eburnee, dopo passaggi attraverso varie collezioni, sono giunte al Metropolitan I CANDELABRI DELLA CERTOSA Museum di New York) Si trovano ancora in Inghilterra due grandi candelabri in bronzo provenienti dalla Certosa, oggi conservati in una cappella del Priorato di Pluscarden. L’immagine (fig. 5), che mi è stata fornita dal professor Orio Ciferri, porta sul retro un appunto manoscritto, in inglese, di questo tenore: «preda di guerra napoleonica dall’Italia. Quindi preda di guerra britannica dalla Francia». Pagina 6 Numero novantotto - Settembre 2014 Tre linguiste del Dipartimento di Studi Umanistici, Sonia Cristofaro, Silvia Luraghi e Caterina Mauri, hanno organizzato un importante congresso internazionale dedicato alla sintassi delle lingue del mondo dall’8 al 10 settembre scorso. Le tre studiose si sono impegnate per dare vita alla sesta edizione di Syntax of the World's Languages (http://swl-6.wikidot.com/), dopo che un comitato di esperti internazionali ha scelto Pavia per questo appuntamento, che si svolge ogni due anni in un paese diverso. Perché si è parlato di sintassi delle lingue del mondo proprio a Pavia? La pratica di ricerca dei linguisti pavesi è da sempre orientata sulle tematiche del convegno e l’interesse per la varietà delle lingue è particolarmente vivace. Inoltre, il sistema dei Collegi pavesi ha fornito un valido supporto, permettendo di accogliere i circa duecento partecipanti provenienti da paesi quali Stati Uniti, Canada, Messico, Iran, Brasile, Cina, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. ei tre giorni del convegno si sono messe a confronto differenze e somiglianze fra le strutture sintattiche delle lingue conosciute. Particolare attenzione è stata dedicata alle lingue meno descritte, come la maggior parte delle lingue extraeuropee: molte lingue africane e asiatiche, o lingue dei nativi dell’America e dell’Australia. E sì che i continenti extraeuropei sono patria di una grandissima varietà: basti pensare che, mentre in Europa sono censite circa 260 lingue, in Asia se ne contano 2200. Fra le lingue meno descritte, alcune sono considerate lingue “minacciate”, perché possono contare su pochissimi parlanti, spesso anziani, e sono destinate a sparire in breve tempo. Ma non si tratta sempre e solo di lingue lontane. Anche molti dei nostri dialetti, che sono in realtà lingue a tutti gli effetti, si trovano in condizioni precarie, perché non sono più parlati dalle giovani generazioni: anche su questi si sono focalizzate alcune comunicazioni del congresso. In casi di questo genere, documentare la grammatica è di cruciale importanza, per non perdere la conoscenza di strutture forse non attestate in nessuna altra lingua. E ugualmente importante è che l’attenzione degli studiosi si rivolga a lingue oggi scomparse, delle quali restano a volte poche fonti scritte di difficile interpretazione. Nei giorni del congresso, Pavia ha dato dunque il benvenuto a studiosi che si occupano della descrizione e dell’analisi di singole lingue, o che confrontano le strutture grammaticali di molte lingue diverse sulla base dei dati forniti dagli specialisti, alla ricerca di regolarità, somiglianze e differenze nella grande diversità linguistica del mondo. Un numero di lingue che può sembrare altissimo: 7000 sono quelle parlate attualmente, ma molto numerose sono anche quelle scomparse, in epoca più o meno recente, di molte delle quali non avremo mai neanche notizia. Dal 1970, in meno di 50 anni, sono scomparse centinaia di lingue, che costituiscono l’11% delle lingue europee e ben il 32% delle lingue australiane. Un quarto delle lingue del mondo sono attualmente parlate da meno di 1000 parlanti. Un censimento annuale delle lingue del mondo con il loro stato di salute è svolto dal progetto Ethnologue,www.ethnologue.com che fornisce dati sempre aggiornati in proposito. Raccogliere dati e analizzare le lingue meno descritte vuol dire non perdere un patrimonio prezioso per la comprensione del linguaggio umano e dei meccanismi universali che ne determinano l’organizzazione. Spesso, infatti, è proprio in queste lingue che incontriamo categorie e strutture molto diverse rispetto a quelle che siamo abituati a trovare nelle lingue europee moderne e standardizzate. Per fare solo un esempio, in molte lingue, contrariamente a quanto avviene in italiano, non è ovvio identificare una differenza tra nomi, verbi e aggettivi: in molti casi le stesse parole possono presentare le proprietà dell’una o dell’altra di queste categorie a seconda del contesto. Un po’ come se in italiano la parola ragazzo potesse funzionare sia come nome sia come verbo: avremmo allora frasi come ragazzava ancora per era ancora un ragazzo. Esempi come questo potrebbero facilmente essere moltiplicati e ci servono a dimostrare che anche le strutture per noi più scontate possono presentare una varietà sorprendente. Il campo di indagine che si propone di studiare la diversità nelle strutture delle lingue del mondo è la tipologia linguistica, nata all’inizio dell’Ottocento dalle osservazioni del grande studioso tedesco Wilhelm von Humboldt: non a caso, il libro considerato la sua più importante opera, pietra miliare e punto di riferimento per i tipologi, si intitolava Sulla diversità della struttura delle lingue umane. Con la triplice divisione delle lingue in isolanti, agglutinanti e fusive, gli studi di Humboldt si erano rivolti essenzialmente al piano morfologico. In anni più recenti, un altro importante studioso, l’americano Joseph Greenberg, ha richiamato l’attenzione dei tipologi sulla sintassi. Soprattutto nel Novecento numerosi studi hanno consentito di raccogliere una considerevole quantità di dati affascinanti sulla diversità strutturale presentata dalla sintassi dalle lingue (per una panoramica rimandiamo all’Archivio degli Universali, http://typo.unikonstanz.de/archive/intro/index. php, o al World Atlas of Language Structures, http://wals.info/, con mappe di immediata comprensione). Davanti a tutta questa diversità, è naturale chiedersi se le lingue possano variare all’infinito e in qualunque modo possibile, o se non ci siano vincoli e restrizioni a questa variazione. In altre parole: esiste una grande variazione linguistica nel mondo, ma esiste considerare universale. Ma di cosa si tratta esattamente? A parte alcuni rari universali assoluti, che affermano la presenza di una proprietà in tutte le lingue del mondo (es. tutte le lingue hanno vocali orali), la maggior parte degli universali linguistici sono formulati secondo un’implicazione logica: se in una lingua è presente una data caratteristica X, allora sarà presente anche la caratteristica Y. Si tratta cioè di principi che permettono di prevedere i tipi linguistici effettivamente attestati e di escludere i tipi impossibili: data la formulazione appena fornita, avremo lingue con la caratteristica X e con la caratteristica Y, lingue senza la caratteristica X e senza la caratteristica Y, e lingue con la caratteristica Y, ma senza la caratteristica X. Il tipo di lingua che viene escluso è quello in cui è presente la caratteristica X ma non la caratteristica Y. Facciamo un esempio. Un noto universale linguistico riguarda le distinzioni di numero, come singolare e plurale: se una lingua distingue tra singolare e plurale per i nomi inanimati come tavolo, allora lo farà anche per i nomi animati come donna. Questo universale prevede lingue che non distinguono fra singolare e plurale né per tavolo né per donna, lingue che li distinguono per entrambi e lingue che distinguono tra singolare e plurale solo per donna e non per tavolo. Non si conoscono lingue che distinguono singolare e plurale per tavolo ma non per donna - il tipo linguistico escluso dall’universale. Come si spiegano gli universali linguistici? Secondo i tipologi, gli universali sono il riflesso di meccanismi cognitivi e comunicativi generali, validi per tutti gli esseri umani, come la maggiore o minore facilità con cui Documentare la diversità, ricercando gli universali del linguaggio di Sonia Cristofaro Silvia Luraghi Caterina Mauri anche qualcosa che resta universale o qualcosa che nelle lingue del mondo non capita mai? Gli studiosi che si sono riuniti a Pavia hanno cercato di rispondere anche a questo interrogativo, basandosi sull’osservazione dei dati effettivamente raccolti. Proprio Greenberg negli anni ’60 del secolo scorso ha dato una svolta fondamentale alla ricerca sugli universali linguistici. La sua intuizione più importante è stata che la grande variazione strutturale che si riscontra nelle lingue del mondo non è arbitraria e casuale, bensì ordinata. Secondo Greenberg, le lingue si conformano a specifici principi organizzativi. Proprio tali principi sono ciò che pone vincoli alla diversità possibile o, in altre parole, ciò che possiamo IMPRESA CALISTI PAVIA 1928-2013 TRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVO DI EDIFICI E MONUMENTI STORICI la mente umana è in grado di costruire o decodificare determinate strutture, l’esigenza di economicità e di ottimizzazione del rapporto fra costi espressivi/interpretativi e benefici, o l’importanza di certi aspetti concettuali rispetto ad altri in contesti diversi. Il punto cruciale è che questi meccanismi sono esterni al linguaggio e hanno una generale rilevanza cognitiva. Torniamo all’esempio del numero grammaticale. Il fatto che le lingue del mondo tendano a fare distinzioni di numero per i nomi animati, e soprattutto umani, piuttosto che per quelli inanimati si spiega pensando che distinguere tra singolare e plurale sia più rilevante per le entità animate che per quelle inanimate, perché le prime, a differenza delle seconde, sono percepite come inerentemente individuate. In altre parole, per gli esseri umani gli altri esseri umani e animati in genere sono entità cognitivamente più perspicue degli oggetti. La spiegazione per la grande varietà con cui le grammatiche delle lingue rispondono alle esigenze comunicative e cognitive dei parlanti si trova sul piano diacronico: in altre parole, i principi cognitivi e comunicativi che regolano l’organizzazione delle lingue del mondo inducono singoli parlanti a creare determinate costruzioni grammaticali in determinati momenti nella storia delle lingue. Tali principi spiegano quindi perché le lingue sono come sono, ma non agiscono mentre i parlanti usano la lingua e le costruzioni già esistenti: ciò che agisce in questo caso è invece la conoscenza delle convenzioni della lingua stessa. Per conoscere, capire e descrivere il funzionamento delle lingue e le sue motivazioni sono necessari dati presi dall’uso reale. Infatti, secondo la definizione del tipologo americano Bill Croft, una lingua è la somma di tutti gli enunciati che i parlanti hanno prodotto in questa lingua. La grammatica, in altre parole, deve essere estratta dall’uso, che si studia raccogliendo i dati con questionari nella ricerca sul campo, oppure attraverso lo studio di corpora il più possibile ampi di testi effettivamente esistenti. Per chi vuol saperne di più: http://www.letras.ufrj.br/posling uistica/revistalinguistica/index.p hp/volume-8-numero-1-junho2012/usage-based-models-inlinguistics-an-interview-with-joanbybee/ Settembre 2014 - Numero novantotto Pagina 7 NELLE FOTO Qui a sinistra Particolare dei moduli nel loggiato del Castello. “Disposizioni spaziali” di Angelo Bozzola, 1970: sei elementi modulari in plexiglas giallo, viola, nero, blu, rosso, verde; in contenitori trasparenti. Sotto Concessa al Comune di Sartirana e collocata in piazza Trinità, è la “Tavola segnica” di Angelo Bozzola, 1985, in acciaio inox. Accanto Opere di Bozzola in dialogo con gli architetti Kartell A fondo pagina Sedute firmate Starck, Urquiola, Arad. FONDAZIONE SARTIRANA ARTE FONDARTERRITORIO ANNO SECONDO BOZZOLA/KARTELL: PALLA AL CENTRO di Giorgio Forni on si stupiscono i nostri 25 lettori di questo incipit singolare. Il fatto è che esporremo a Sartirana da questi primi giorni di settembre una serie di lavori di Bozzola realizzati con materiali plastico/sintetici, utili per un gioco di colori e trasparenze, scelta innovativa del Maestro dell’arte concreta. Sotto il loggiato del castello è già collocata una composizione di grandi scatole in plexiglas che contengono, come in un gioco costruttivo, una sorta di torre, possibilmente “senza fine” (allusione a Brancusi, come nota acutamente Elena Pontiggia nel bel catalogo Allemandi) le monoforme, sempre in plexiglass, ma di colori diversi. Una colonna infinita ... Questo è stato il titolo ben scelto per la grande mostra milanese alla Triennale, appena conclusasi con grande successo. Che vorremmo replicare, mutatis mutandis, con i nuovi allestimenti lomellini, già visitabili a Sartirana e Valle (ancora nella chiesetta di Santa Maria in castello, piccolo gioiello romanico con splendidi affreschi) e dal prossimo mese di ottobre a Mede, al museo Regina, in castello Sangiuliani. Ma cosa ci “azzecca” Kartell? Presto a dirsi. L’aggancio è formalmente corretto e pertinente per l’accostamento/dialogo tra le opere di Bozzola e alcuni pezzi prodotti dalla storica azienda alle porte di Pavia. Sedute e contenitori, firmati dai più famosi architetti contemporanei, chiamati a Noviglio da Claudio Luti, a disegnare, con materiali “figli dell’alambicco” , icone del design amate ormai in tutto il mondo! Il nostro solito piacere di mescolare le arti per costruire ponti e relazioni di creatività ha avuto buon gioco! Abbattute le distinzioni tra arti maggiori e minori, risulta chiaro il valore della curiosità e dell’ingegno che sta alla base della ricerca. Nel coraggio innovativo/industriale di Giulio Castelli e di Anna Ferrieri, sua moglie, già dai primi anni ‘50 con i primi prodotti per la casa, che abbandonavano legno e ferro per utilizzare i ritrovati più moderni della chimica! Policarbonati e metacrilati da stampare a caldo! Per abbattere costi di produzione e per realizzare pezzi seriali altrimenti impossibili. Gli artisti non erano da meno! Regina (Cassolo) passava dai gessi e lamierini (ben documentati nel suo Museo a Mede) a opere in plexiglass trasparenti. E il nuovo materiale fu adottato da molti altri artisti, curiosi, appunto, di nuove possibilità per il loro lavoro e di nuove strade espressive loro consentite. Bozzola tra questi! La seconda tornata di mostre che Fondart organizza in questi prossimi mesi avrà quindi come protagonisti non solo scultori. Anche architetti, e di gran fama! Sempre nel segno del meglio del nostro genio italico! E , (perché no?), pure del made in Italy ad esso collegato. Sia di buon auspicio anche per Milano Expo 2015. Un grazie sempre a Fondazione Cariplo che ci aiuta nella scommessa. Pagina 8 ’idea di base che porta a dar forma al progetto Biblioteca Virtuale della Città di Pavia è stata la curiosità di reperire in rete il maggior quantitativo di informazioni relative alla nostra area di interesse. Da qui la ricerca è proseguita e si è rivolta alle fonti informative più accreditate e scientificamente riconosciute valide (in particolar modo testi storici, opere letterarie e pubblicazioni universitarie) escludendo le forme più comuni di risorse elettroniche (ad esempio i comuni siti web). Con che fine? Le risposte sono più di una: · Creare uno spazio virtuale unicamente dedicato a Pavia e alle pubblicazioni che ne narrano la Storia nelle loro edizioni originali · Metterlo a disposizione della Cittadinanza, sia essa da intendersi come il singolo lettore che voglia conoscere il passato e le tradizioni di Pavia, sia esso lo storico, lo studioso, lo scienziato, eccetera · Rendere il più agevole possibile l’accesso al pubblico senza meccaniche di fondo che impongano pagamenti, iscrizioni, eccetera · Mettere a disposizione dell’utente finale la versione integrale (Full-Text) del documento preferendone le versioni scaricabili in più formati · Salvaguardare il principio di gratuità Il percorso vero e proprio di ricerca ha così trovato ragione nell’individuare quei testi e quegli autori che sono storicamente conosciuti come le colonne storiche della Città di Pavia: Opicino de Canistris, Stefano Breventano, Antonio Maria Spelta, Siro Severino Capsoni, Giuseppe Robolini e tutti gli altri a seguire. Naturalmente, sarebbe stata una grave mancanza non ampliare la documentazione includendo le pubblicazioni nate in seno all’Università degli Studi di Pavia e le Opere di quegli Illustri Studiosi che in essa operarono: da qui il Numero novantotto - Settembre 2014 ECCO LA BIBLIOTECA VIRTUALE DELLA CITTÀ: STORIA E PERSONAGGI IN OLTRE 600 TITOLI CONSULTABILI GRATUITAMENTE ON-LINE Bollettino Scientifico per la Medicina ad esempio o gli Atti dell’Istituto botanico, alcune Opere di Ugo Foscolo, Vincenzo Monti, Gerolamo Cardano, Cesare Beccaria, Gian Domenico Romagnosi, Alessandro Volta, Antonio Scarpa, Lorenzo Spallanzani, eccetera. Come escludere poi una documentazione relativa al Monumento della Certosa? Si è venuti così alla compilazione di una Bibliografia che conta oltre 600 titoli, la quale è composta, oltre che dalle citazioni, da un collegamento ipertestuale con il fornitore della fonte digitale in formato Full-Text. mo presente che è “d’obbligo richiamare la definizione di Kaye Gapen, secondo cui la biblioteca virtuale rappresenta la somma delle diverse raccolte documentarie, distribuite su tutto il pianeta e collegate fra loro da un insieme di reti telematiche in grado di annullare le distanze e di facilitare il reperimento dei documenti”, non v’è più dubbio che al presente lavoro la definizione di Biblioteca Virtuale, e la sua posizione di ampio respiro, calzi in modo più corretto. Città di Pavia Sono raccolti 66 tra i maggiori volumi di Storia di Pavia, tra cui: l’Historia del B r e ventano (1570), il Liber de laudibus civitatis Ticinensis di Opic i no de C an is t ri s nell’edizione curata dal Maiocchi (1903), i tre tomi del Codex Diplomaticus Ord. E. S. Augustini Papiae sempre a cura del Maiocchi (1905-07), le Memorie istoriche della regia città di Pavia del Capsoni (1785), Il comune e la provincia di Pavia del Malaspina (1819), cinque volumi delle Notizie appartenenti alla storia della Perché la definizione di Biblioteca Virtuale Da manuale è possibile parlare di Biblioteca Digitale “quando chi mette a disposizione in Rete delle collezioni di testi elettronici non è l’editore originale ma una biblioteca o un’organizzazione non profit che digitalizza gli originali cartacei … I testi, scelti fra quelli esenti di Michele Chieppi da copyright, vengono scannerizzati oppure ridigitati manualmente da personale pagato o volontario e messi a disposizione o solo degli studiosi e degli enti di ricerca oppure di tutto il pubblico, quasi sempre gratuitamente”; mentre la “biblioteca virtuale è qualcosa di connesso in qualche modo alle risorse informative digitali, ma difficilmente identificabile in modo più preciso”. Inoltre, se tenia- Ricerca dei documenti Spunto fondamentale è stato il prodotto di quello che fu nel 2005 l’accordo tra Google e la Harvard University Library, progetto secondo il quale si sono unite le competenze e le collezioni della Biblioteca dell’Università di Harvard con le innovazioni e la tecnologia di Google. L’obiettivo, perseguito e realizzato, è stato la digitalizzazione di una grande quantità di libri della Biblioteca di Harvars (documenti di pubblico dominio e quindi non soggetti alle regole legate ai diritti d’autore) e messi a disposizione degli utenti di tutto il mondo via internet. Ad Harvard vanno poi ad aggiungersi altre “realtà” di livello mondiale in campo biblioteconomico: le Biblioteche di Oxford, Stanford, Princeton, dell’Università della California, della Complutense di Madrid, solo per citarne alcune. Il legittimo prodotto finale è quel Google Book da cui è partita l’indagine e che ha permesso di “catturare” i primi documenti utili. A seguire, altri passaggi importanti che hanno dato modo di scavare nelle collezioni digitali di tutto il mondo, fra cui spiccano, fra gli altri progetti, l’Internet Archive dove è stato possibile principalmente ricercare nei patrimoni librari di: Stati Uniti (dalla Library of Congress di Washington alla New York Public Library passando fra le decine delle Universitarie) e Canada (dalla The University of British Columbia alla Toronto Public Library, eccetera) e l’Open Library, una cosiddetta “biblioteca aperta” che si avvale a livello mondiale di partecipazioni anche di “utenti finali”. Biblioteca Virtuale della Città di Pavia Suddivisa fra le seguenti voci: Dizionari e Vocabolari; Città di Pavia; Scrittori, Studiosi ed illustri Professori Universitari (Pavesi o che operarono in Pavia); Certosa di Pavia; Università di Pavia e Altre risorse, conta a oggi più di seicento link di accesso ai Full-Text. Dizionari e Vocabolari Fondamentali per la Storia della Lingua e della Tradizione Pavese, sono stati rintracciati 3 diversi documenti: il Dizionario domestico (1829), il “Gambini” (1850) e il Dizionario Pavese-Italiano: coll’aggiunta delle frasi più celebri del Manfredi (1874). sua patria di Giuseppe Robolini (18231838), le tre maggiori Opere di Antonio Maria Spelta Historia d’Antonio Maria Spelta (1603), La Pavia trionfante (1606) e La solenne et trionfante entrata dell’illustrissimo & reuerendissimo vescouo monsignor Gio. Battista Biglio (1609) e la immancabile Flavia Papia Sacra (1699) di Padre Romualdo. Rintracciati anche documenti particolarmente degni di nota come: Il superbo torneo fatto nella regia città di Pavia del Cimilotti (1587), Memorie bibliografiche per la storia della tipografia pavese del secolo XV di Siro Comi (1807) e Dell’insigne reale basilica di San Michele Maggiore di Carlo dell’Acqua (1875). Scrittori, Studiosi ed illustri Professori Universitari (Pavesi o che operarono in Pavia) Con oltre 500 volumi, è la parte numericamente più ricca della Biblioteca Virtuale. Sono raccolte le principali Opere di Vincenzo Monti, Felice Casorati, Lorenzo Mascheroni, Ernesto Pascal, Defendente Sacchi, Alessandro Volta, Ugo Foscolo, eccetera. Di alcuni di essi si è provveduto a curare un link che porta alla loro biografia collocata nel Dizionario Biografico degli Italiani e nell’Enciclopedia Italiana Treccani. Certosa di Pavia 11 testi che descrivono, anche con l’aggiunta di tavole, il Monumento della Certosa; tra questi: La Certosa di Pavia: con 70 incisioni e 9 tavole del Beltrami (1895), Descrizione della Certosa di Luigi Malaspina (1818), La Chartreuse de Pavie del Salmi (192?), eccetera. Università di Pavia Il settore dedicato all’Ateneo Pavese si apre con la serie di Annuari a partire dal 1891 per proseguire suddividendosi per area scientifica: Botanica (tra essi 18 volumi della Serie II degli Atti dell’Istituto botanico dell’Università di Pavia, redatti da Giovanni Briosi), Chimica e Medicina (tra cui 14 annate del Bollettino Scientifico). Altre risorse In questa parte si è voluto dar spazio a quelle realtà che esulano dal tradizionale libro: un film, l’esempio che più spicca (Il Cappotto del 1952 con la regia di Alberto Lattuada, la sceneggiatura di Cesare Zavattini e con interprete Renato Rascel) visionabile in versione integrale, un archivio multimediale documentario e iconografico, eccetera.
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