Qui - Socrate al Caffè per la cultura e la conversazione civile

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Numero novantotto – Settembre 2014
Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
L’EDITORIALE
La gran città
del genere umano
Dieci conversazioni filosofiche
di Salvatore Veca
o raccolto in un
piccolo libro, che
esce fra qualche
settimana da
Mursia, dieci scritti
d’occasione, come si
diceva un tempo.
Saggi, interventi,
conferenze, lezioni,
tenute qua e là negli ultimi sette
anni, che ho scritto e riscritto nella
forma di dieci conversazioni
filosofiche. Il titolo che ho scelto, La
gran città del genere umano, adotta
una celebre espressione di
Giambattista Vico che mi
accompagna da molti anni e, in
particolare, mi è come stata a fianco
con la sua eco, mentre ero impegnato
nella ricerca filosofica sui difficili e
ineludibili problemi di una teoria
della giustizia globale. Di
quell’espressione, in effetti, mi ero
avvalso nelle mie lezioni sull’idea di
giustizia, La bellezza e gli oppressi,
pubblicate nel 2002. Nelle dieci
conversazioni filosofiche affronto
problemi e sviluppo temi fra loro
piuttosto differenti e a prima vista
lontani, anche se qua e là affiorano
qualche connessione e qualche
motivo ricorrente. Sullo sfondo, gli
esiti delle mie ricerche sul paradigma
dell’incertezza e dell’incompletezza
che mi hanno impegnato nell’ultima
manciata di anni, e da cui derivano
molte delle idee e delle congetture
esposte e proposte nelle
conversazioni filosofiche. Questo
piccolo libro ha uno scopo tanto
semplice quanto difficile. Nella
varietà dei temi e degli argomenti, su
cui si esercita la riflessione filosofica
snodandosi in dieci pezzi facili, il
libro invita chi legge a viaggiare con
le sue idee con le idee dell’autore. In
un esame riflessivo delle nostre
questioni di vita, dei nostri modi di
convivere, della qualità delle nostre
vite, dei nostri desideri di futuro in
tempi difficili, La gran città del genere
umano è un’offerta di dialogo con il
lettore e la lettrice. Ho spesso
adottato l’espressione “conversazioni
filosofiche” in senso letterale. Ho in
mente, mentre scrivo e riscrivo, chi
mi legge come un interlocutore o
un’interlocutrice. Cerco di tener
conto delle sue possibili domande,
delle sue critiche, delle sue
perplessità, dei suoi mugugni, dei
suoi suggerimenti. Le conversazioni
non sono dimostrazioni o spiegazioni
filosofiche rivolte agli addetti ai lavori
o, come si usa dire, alla comunità
accademica. Esse sono offerte di
riflessione rivolte, per quanto è
possibile, a chiunque.
A chiunque sia interessato e abbia
voglia di mettersi alla prova
nell’esame socratico delle nostre
ordinarie questioni di vita. E ciò,
oltre a far felice il vecchio Socrate,
rende conto in modo piano e
naturale del sottotitolo del libro.
Quanto rende conto del suo titolo e
dell’adozione della luminosa
massima di Vico, è un tratto
specifico e distintivo delle dieci
conversazioni: la consapevolezza di
dover adottare sulle nostre vicende
individuali e collettive “gli occhi del
resto d’umanità”. La consapevolezza
può tradursi in un invito a esercitare
il “pensiero largo”, come avrebbe
detto Kant, il teorico del diritto
cosmopolitico. Un invito ad allargare
ed estendere, per quanto è possibile,
i confini del “noi”. Un invito a esercizi
di immaginazione che esplorino spazi
di possibilità, non definiti da confini
già dati, irrigiditi e fissati una volte
per tutte. Un invito a saggiare e
scoprire l’essenziale incompletezza di
qualsiasi forma di vita in comune.
Mi rendo perfettamente conto che si
tratta di un invito esigente e difficile,
in tempi come i nostri, in cui la gran
città del genere umano è attraversata
da guerre, crudeltà, crisi e massacri
e i nostri modi di convivere sono
esposti al rischio di perdita e
dissipazione. Ma, come sostiene una
massima di saggezza confuciana, cui
sono da tempo affezionato: anche e
soprattutto in tempi difficili, è buona
cosa essere leali a noi stessi e,
perciò, nei limiti del possibile, attenti
e aperti agli altri.
la Feltrinelli a Pavia,
in via XX Settembre 21.
Orari:
Lunedì - sabato 9:00-19:30
Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
FONDARTERRITORIO
ANNO SECONDO
BOZZOLA/KARTELL:
PALLA AL CENTRO
GIORGIO FORNI
a pagina 7
IN
QUESTO NUMERO
LA
SINTASSI
DELLE LINGUE
SILVIO BERETTA
alle pagine 2-3
LUISA ERBA
alle pagine 4-5
DEL MONDO A
PAVIA
SONIA CRISTOFARO
SILVIA LURAGHI
CATERINA MAURI
a pagina 6
***
LA BIBLIOTECA
VIRTUALE
DI PAVIA
MICHELE CHIEPPI
a pagina 8
Pagina 2
Numero novantotto - Settembre 2014
Presentato
alla Biblioteca
Universitaria il volume
di Sergio Romano
1 Quella che Sergio Romano
○
sviluppa in questo saggio è la
riflessione di uno storico
sull’arte come attributo del
potere, “l’olio che consacra
l’autorità”, come sottolinea
l’autore stesso in conclusione.
All’opera d’arte capita infatti di
seguire le sorti del potere e del
potente: perciò di essere
esaltata con il potere quando
La riflessione di uno
storico sull’arte come
“olio che consacra
l’autorità”
dei tempi chiunque indirizzerà
lo sguardo alla facciata della
Basilica leggerà “IN HONOREM
PRINCIPIS APOST(olorum)
PAULUS V BURGHESIUS
ROMANUS PONT(ifex)
MAX(imus) AN(no) MDCXII
PONT(ificati) VII”: potrà anche
non leggerla per intero, quella
scritta, ma il “Burghesius” non
potrà certo sfuggirgli.
Ma non è soltanto quella del
committente la fama che viene
tramandata attraverso l’arte:
SERGIO ROMANO
esposto al Louvre non è di
Franz Hals ma della sua
scuola, mentre quello
principale sta in un museo
danese!
2 È tuttavia all’opera d’arte
○
“predata”, conquistata, rubata,
inseguita, recuperata (quando
lo è stata: è ben nota la
vicenda del nostro Rodolfo
Siviero, l’ “agente segreto
dell’arte” del secondo
dopoguerra) oppure perduta
storia sul comodino. Stavo a
Buenos Aires quando lo lessi.
Sapevo, perché l’avevo scelto io
stesso come riferimento
“pescandolo” nella mia
biblioteca, che avrei dovuto
parlare proprio del contenuto
di quel libro in occasione di
una giornata in onore
dell’autore che l’Università di
Pavia aveva programmato di lì
a qualche tempo. Inoltrandomi
nei ventinove racconti
contenuti nel volume
e la morte, soprattutto la
morte, si misurano soltanto
con i grandi numeri; o un
palazzo, l’Hôtel de Galliffet,
sede dell’Ambasciata d’Italia a
Parigi fra il 1895 e il 1938, che
aveva visto Ministri degli Esteri
francesi Delacroix ai tempi del
Direttorio, ma anche
Talleyrand, il quale aveva
scelto come studio un piccolo
“cabinet” al piano terreno, che
aveva “il supremo vantaggio
dell’ambiguità e
aumentava il piacere della
lettura, che coincideva con
quello di “sentire” vicino a me,
fra i tanti, un personaggio
come Ponzio Pilato, “…troppo
intelligente per non sapere che
alla crocefissione, per i ‘delitti
di opinione’, è meglio ricorrere
il meno possibile”; o una
circostanza risibile come il
solenne preambolo al verbale
del Consiglio dei Ministri del 9
settembre 1943, un Consiglio
che non si tenne mai dal
momento che alla stessa ora re
e Badoglio erano già a Pescara
pronti a imbarcarsi per
Brindisi; o un paese come la
Russia illustrato dalle
fotografie di Robert Moynahan,
che ce lo restituiscono
ineffabile, inafferrabile,
“eccessivo”, dove tutto “è più
grande del vero” e dove la vita
dell’ambivalenza: due porte, di
cui una verso l’interno, l’altra
verso il giardino”.
(foto in alto)
AMBASCIATORE A MOSCA
FINO AL 1989,
È STORICO, EDITORIALISTA
E SCRITTORE
di Silvio Beretta
questo cresce, ma anche di
essere annientata (o anche solo
ridotta a preda) quando
soccombe, di ricongiungersi
con il potere già sconfitto
quando questo si prende la
rivincita, di essere mercificata,
comprata e venduta quando il
potere è quello del denaro. Nei
casi più “pacifici” l’opera d’arte
viene strumentalizzata per
trasmettere nel tempo
l’immagine del potere, magari
tramandando visivamente un
nome.
Basti ricordare, a questo
proposito, che, quando Papa
Paolo V Borghese commette al
Maderno il rifacimento del
timpano della facciata della
Basilica di S. Pietro, ha cura
che il nome di famiglia,
“Burghesius”, finisca
esattamente al centro del
timpano, per cui fino alla fine
tanto per stare fra Pontefici
basti ricordare, ad esempio, il
capolavoro di Tiziano che ritrae
Papa Paolo III con i nipoti
Alessandro e Ottavio Farnese.
C’è addirittura una monografia,
di Roberto Zapperi, intitolata
proprio Tiziano, Paolo III e i suoi
nipoti, un’analisi storicopittorica proprio di quel quadro
e dei suoi molti significati, non
ultimo la propensione al
nepotismo.
Naturalmente non ha
funzionato così soltanto per i
Pontefici. Se è vero, ad
esempio, che tutti conosciamo
significato e importanza del
Discorso sul metodo, la nostra
memoria di quell’opera è
inevitabilmente associata al
ritratto che di Cartesio ha fatto
Franz Hals. Anche se, per uno
strano paradosso, quello che
abbiamo tutti in mente e che è
Il giornale di Socrate al caffè
Direttore Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
Editore
Associazione “Il giornale di Socrate al caffè”
(iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)
Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia
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Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia
Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia
Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002
che Sergio Romano dedica
gran parte del proprio
appassionante racconto. E lo
fa con uno stile fatto di una
inesorabile precisione
documentaria, che tuttavia
non si fa mai “nozione” fine a
se stessa, ma che è sempre
capace di “far rivivere” fatti e
personaggi della storia. Ha, in
poche parole, il potere di
evocare. Personalmente sono
sensibilissimo a questo modo
di raccontare, è anzi un po’ la
condizione implicita che pongo
a un paesaggio, a una poesia,
a una canzone, a un quadro, a
un film e quindi anche a un
testo. La prosa di Sergio
Romano risponde in pieno a
questa mia personale esigenza.
Per questa ragione ricordo con
particolare piacere, ad
esempio, il suo volume La
I PUNTI SOCRATE
3 La stessa forza evocativa
○
l’hanno le vicende raccontate
nel saggio che presentiamo
oggi. Storie di battaglie vinte e
di conseguenti prelievi forzosi.
È dopo la vittoria di Napoleone
ad Eylau contro la Quarta
coalizione che Vivant-Denon
(direttore di quello che
diventerà il Musée Napoléon e
del quale viene descritta la
grandiosa cortigianeria) può
passare da Berlino e scegliere
cosa portare con sé a Parigi.
Era stato dopo la conquista di
Gerusalemme e la distruzione
del Tempio che Tito aveva
portato a Roma la Menorah, il
candelabro a sette braccia
(Continua a pagina 3)
Ecco dove viene distribuito gratuitamente Il giornale di Socrate al caffè
Settembre 2014 - Numero novantotto
Pagina 3
Opere predate,
conquistate, rubate,
inseguite, recuperate,
spesso perdute
(Continua da pagina 2)
oggetto liturgico del culto
ebraico. Era stato a seguito
della quarta crociata che il
Doge Enrico Dandolo aveva
potuto portarsi a Venezia, nel
1204, la quadriga che si ritiene
fosse collocata nell’ippodromo
di Costantinopoli, così come la
potenza britannica nel
Mediterraneo aveva consentito
a Lord Elgin di comperare a
poco prezzo i marmi del
Partenone, né Wellington
IN
la violenza iconoclasta che si
scatenò in Francia nell’estate
del 1790, come nella Germania
di Hitler ai tempi delle
campagne contro l’arte
“degenerata” o “giudaicomassonica”, come nella
Spagna della guerra civile,
come nella Russia di Stalin.
4 C’è naturalmente molto di
○
più nelle pagine di Sergio
Romano. C’è per esempio la
Dai grandi conquistatori
ai grandi collezionisti:
esempi storici
della “potenza dell’arte”
quanto sostenuta da chi
depauperava il patrimonio
artistico di quegli stessi paesi
che diceva di voler liberare) e
quella di Quatremère de
Quincy, che sosteneva invece
l’indissolubile legame
dell’opera d’arte con i luoghi in
cui questa era nata ed era
collocata: tesi questa, invece,
pienamente compatibile con
l’interesse, ad esempio,
dell’Italia e di Roma. E c’è poi
la storia delle restituzioni,
FOTO
La piscina coperta
dell’Hearst Castle in California
Nella pagina accanto.
Particolare del rilievo sul lato
sud dell’Arco di Tito:
la Menorah a Roma
dopo il Sacco di Gerusalemme
aveva resistito alla tentazione
di arredare Apsley House, la
sua dimora londinese, con
ottanta quadri spagnoli e di
regalarsi il Napoleone “Marte
pacificatore” di Canova.
La discesa di Napoleone in
Italia, d’altra parte, precede
una successione di
“trasferimenti” di opere d’arte
(i cavalli di San Marco, ad
esempio, che lasciarono
Venezia per l’arco del
Carrousel) sanciti addirittura
da un trattato (quello di
Tolentino). Segno, questo, del
fatto che, se i suoi spostamenti
sono spesso la conseguenza di
guerre, l’arte può anche
“comperare” la pace. Come
purtroppo l’opera d’arte può
invece soccombere alla furia
ideologica: questo accadrà con
cronaca dell’ossessione di
Hitler per l’idea di realizzare, a
Linz dove era nato, un museo
che - nelle sue intenzioni avrebbe dovuto contenere, dice
l’autore, “quanto di meglio il
mondo poteva depositare ai
suoi piedi”. Hitler doveva
tuttavia fare fronte a una
temibile concorrenza interna,
quella del maresciallo dell’aria
Hermann Göring, grandissimo
razziatore di tutto quanto i
suoi incaricati potevano
carpire in giro per l’Europa a
suon di dollari (Hitler invece
pagava in marchi!). C’è poi il
dibattito fra la tesi del già
nominato Vivant-Denon, che
parteggiava per l’alternativa
della “collezione”, funzionale
all’obiettivo di raccogliere e
conservare al Louvre quante
più opere d’arte possibile (tesi
politicamente imbarazzante, in
come quella gestita dalla
Commissione Roberts
nominata da Roosevelt e
realizzata da qualche centinaio
di Monuments Men, la cui
vicenda è stata oggetto anche
di una recente ricostruzione
cinematografica. Ben differente
fu la vicenda che vide
protagonista, finché durò,
l’Unione Sovietica, che si
indennizzò per i danni subiti a
causa della guerra anche con
due milioni e mezzo di opere
d’arte, più tardi e solo in parte
restituite, ma solo alla
Repubblica democratica
tedesca.
5 Singolari, per origini e
○
modalità, le vicende del
collezionismo dei magnati
americani. Sergio Romano
ricorda, a questo proposito,
PAOLA CASATI MIGLIORINI
Perito della Camera di Commercio di Pavia dal 1988 C.T.U. del Tribunale di Pavia
alcuni casi di particolare
grandiosità come quello che ha
trovato una straordinaria
traduzione cinematografica nel
Citizen Kane interpretato da
Orson Welles nel 1941: se
un’affermazione del genere
non fosse quasi priva di senso,
direi il più bel film della storia
del cinema o almeno, per
rimanere fedele al mio canone
di giudizio, il più evocativo. Nel
film Charles Foster Kane
impersona il magnate della
stampa (e di tante altre cose)
William Randolph Hearst,
morto nel 1951. Nella Xanadu
del film, in cima a una
montagna vicino a San Simeon
nella contea di San Luis
Obispo in California che aveva
visto ospiti anche Roosevelt e
Churchill, Kane/Hearst aveva
ammassato una incredibile
quantità di reperti e di arredi
di ogni epoca: dalla facciata di
un tempio romano che
delimita una gigantesca
“piscina di Nettuno” fatta e
rifatta più volte, a una piscina
pompeiana coperta, a uno
studio gotico, a 56 camere da
letto, a 61 bagni e al più
grande zoo privato del mondo.
Un monumento al collezionista
maniacale, il film (ma anche il
castello), che sembra che
Hearst non abbia affatto
apprezzato. Posso assicurare,
per averlo provato, che la
visita all’Hearst Castle, per lo
straordinario paesaggio che vi
si gode quando ci si è arrivati
dopo qualche chilometro di
tornanti e per il vago senso di
solitaria follia che provoca, è
un’esperienza che resta
nella memoria. Del tutto
diversa, tranquillamente e
lussuosamente ovattata,
l’impressione che si ricava
dalla visita alla Frick
Collection, dal nome del
magnate dell’acciaio Henry
Clay Frick che fra il 1913 e
il 1914 fece costruire
un’imponente villa sulla
Quinta Strada di fronte a
Central Park proprio per
ospitarvi la sua collezione
di artisti europei, da
Rembrandt a Vermeer, da
Fragonard a Constable a
Goya a Van Dyck a El
Greco a Tiziano a Bellini:
una casa per una
collezione, non una
collezione per una casa.
E, per finire, John Pierpont
Morgan. Proprio l’editore
Skira ha pubblicato su di
lui, qualche mese fa, un
affascinante saggio dal
titolo Morte di un magnate
americano dove, tramite la
finzione narrativa del racconto
di un segretario, si ricostruisce
fedelmente la vicenda di uno
dei più grandi collezionisti
d’arte e di libri (la sua casabiblioteca sulla Madison
Avenue è la più celebre casamuseo degli Stati Uniti) di tutti
i tempi, appunto il banchiere
Morgan, scomparso a Roma il
31 marzo 1913. Era lui che
aveva organizzato (e finanziato)
il salvataggio del suo paese
nella crisi del 1907 (solo alla
fine del 1913 fu fondato il
Federal Reserve System), era
lui che aveva acquistato nel
1901 l’impero dell’acciaio di
Andrew Carnegie ed era
sempre lui a capo della più
potente rete di banche di tutti i
tempi. E anche lui (con la
consulenza di Bernard
Berenson) era un collezionista
onnivoro. A favore delle sue
collezioni una vera e propria
corrente di opere d’arte
attraversava sistematicamente
l’Atlantico in direzione degli
Stati Uniti. Racconta il libro
che, approfittando di una
riduzione delle tasse
d’importazione sui beni di
lusso decisa dal Presidente
Taft e per sfuggire a un
aumento delle imposte di
successione in Inghilterra,
Morgan avesse richiamato in
patria, agli inizi del 1912, le
proprie collezioni, suscitando
l’indignazione del pubblico e
della stampa inglesi. A fine
marzo del 1912, tuttavia,
ordinò di sospendere le
spedizioni. Evitò così di
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Il mondo di Sergio Romano, il melangolo, Genova
2008
Nader S., The Philosopher, the
Priest, and the Painter. A Portrait
of
Descartes,
Princeton
University Press, Princeton 2013
(trad. it. Il filosofo, il sacerdote e
il pittore. Un ritratto di Descartes, Einaudi, Torino 2014)
Romano S., La storia sul comodino. Personaggi, viaggi, memorie,
Greco & Greco, Milano 1995
Romano S., L’arte in guerra, Skira, Ginevra-Milano 2013
Scarlini L., Siviero contro Hitler.
La battaglia per l’arte, Skira, Ginevra-Milano 2014
Tuzzi H., Morte di un magnate
americano, Skira, Ginevra-Milano
2013
Zapperi R., Tiziano, Paolo III e i
suoi nipoti, Bollati Boringhieri,
Torino 1990
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Pagina 4
La vicenda
emblematica
del Regisole
l piccolo libro di
SERGIO ROMANO è
prezioso. Appassionante come un
romanzo poliziesco, catapulta nelle indagini su vicende internazionali, che coinvolgono i governi dell’Europa tra Otto e
Novecento. Si legge d’un fiato. Poi si
rilegge. A pagina 50 dice:
Fig. 1
Fig. 2
«Nel 1939 […] Kümmel aveva
preparato una lista delle opere
d’interesse germanico che sarebbe stato possibile “rimpatriare”
nell’eventualità d’una guerra. In
questo elenco […] vi erano la
tappezzeria di Bayeux, in cui
sono rappresentati lo sbarco dei
Normanni sulla costa inglese nel
1066 e la battaglia di Hastings;
la Corona di Carlo Magno e
l’intero apparato rituale usato
per l’incoronazione dei Sacri
Romani Imperatori di nazione
germanica (corona, scettro, paramenti); la Corona di ferro della
regina longobarda Teodolinda
custodita nel Duomo di Monza;
le croci di foglia d’oro dei musei
di Pavia […] ».
Arrivati alle nostre crocette longobarde viene spontaneo soffermarsi sui
risvolti locali; cito alcuni esempi pavesi che ci confermano come l’arte costituisca l’oggetto del desiderio per i
vincitori.
Il primo caso, emblematico, riguarda il
Regisole, il monumento equestre romano diventato un simbolo della città
(studiato da CESARE SALETTI nel 1997).
IL REGISOLE
Il Regisole arriva a Pavia come bottino
da Ravenna; non sappiamo quando né
come. In proposito ci sono diverse
tradizioni: secondo alcuni sarebbe
pervenuto in età longobarda (quando
i pavesi sottraggono ai ravennati anche il corpo del vescovo Eleucadio);
secondo altri post Caroli Magni tempora. Inizialmente è posto nel porticato del palatium, dopo la cui distruzione (1024), entro il terzo decennio
dell’XI secolo, viene collocato
nell’Atrio delle cattedrali (cioè in piazza del Duomo).
Quando, nel 1315 Matteo Visconti
s’impadronisce della città, il Regisole
è abbattuto, portato a Milano e fatto
a pezzi, che vengono messi in vendita.
Lo racconta Benzo d’Alessandria nella
sua Cronaca e lo conferma Galvano
Fiamma. I pezzi vengono subito cercati dai pavesi «di casa in casa», quindi
reintegrati, riassemblati, rivestiti di
una nuova fiammante doratura e il
monumento viene ricollocato su un
alto basamento, probabilmente entro
il 1320. Opicino de Canistris, che lo
disegna e lo descrive nel 1330, parla
della «recente» doratura e della cagnolina posta a reggere la zampa anteriore alzata (forse resasi necessaria
per garantire l’equilibrio dopo
l’assemblaggio).
Due secoli dopo, con l’assedio del
1527, Cosmo Magni, un ravennate al
seguito del Lautrec, si riprende la statua con l’intenzione di riportarla a
Ravenna. La imbarca sul Ticino, ma la
barca viene intercettata sul Po dal
capitano Annibale Picenardo che, a
Cremona, recupera il carico. Il cavallo
rimane a Cremona fino al 1531.
Riportato a Pavia, necessita di restauri
e la ricollocazione avviene solo nel
1551 (fig. 1).
Con la Rivoluzione francese, il 16
maggio 1796, i giacobini, dopo aver
piantato l’Albero della Libertà, fanno
a pezzi la statua. Alcuni pezzi vanno
perduti e quando, nel 1802, si decide
di ricomporla, ci si rende conto che
non è più possibile risarcire le parti
mancanti.
Nel 1809 il metallo viene venduto al
«legnamaro Guasparo Crespi» e il
ricavato viene destinato all’«erezione
delle cinquanta lampade destinate
all’illuminazione notturna» del
«pubblico passeggio di Piazza Castello» (SALETTI, p. 48). Pietro Pavesi, in
un articolo su “Regisole. Gazzettino
pavese”, uscito il 29 maggio 1898,
scrive però: «si vocifera il cagnolino
[sia] nascosto in una casa patrizia pavese».
Il nuovo Regisole, realizzato da Francesco Messina nel 1937, per fortuna si
salva dalle requisizioni del ferro e del
bronzo corrispondenti al periodo della
seconda guerra mondiale (che avrebbero potuto coinvolgere anche Pio V e
il monumento ai Caduti in Università).
IL VESSILLO DEL 1512
e le insegne del suo ordine, dello
stemma della città e delle imma-
Tra gli stendardi andati perduti durante conflitti e saccheggi, vale la pena di
ricordare il vessillo di Pavia, con le
insegne cittadine (il Regisole) e i Santi
vescovi protettori della città (Siro e
Agostino, Teodoro e Epifanio), confezionato nel 1512 per celebrare la vittoria di Luigi XII di Francia nella battaglia di Ravenna.
Il vessillo, ricamato su entrambe le
facce, è nuovo e viene rubato in quello stesso anno dal capitano svizzero
Peter Falck, prima ancora che possa
essere utilizzato.
Il capitano racconta:
Alcuni uomini hanno trovato, in
una casa fuori la città, una bandiera nuova; così bella che non
ne si vide mai in tutta la Confederazione. Essa è adorna degli
stemmi del re di Francia, coi gigli
gini di due santi. Questa bandiera, che ha la forma di uno stendardo di cavalleria, doveva servire contro di noi, ma è caduta
nelle nostre mani prima di essere
adoperata.
(RODOLFO MAIOCCHI, Un vessillo
di Pavia, 1894)
Insieme a quello pavese, Peter Falck
aveva inviato alla moglie «otto o nove
begli stendardi», bottino di guerra.
Questi dovevano essere stati accuratamente ripiegati, e infatti il capitano
le raccomanda di maneggiarli con
delicatezza e precisa che, riaprendoli,
si devono «spiegare bel bello» e
quindi «attaccare a uno o due pali».
L’intenzione è quella di farne dono
alla chiesa di San Nicolò di Friburgo.
Pagina 5
Fig. 4
Il vessillo,
il monumento,
la tavoletta in avorio
corsivi l’iscrizione I. Galeazzo Visconti
col
Fig. 5
disegno della Certosa di Pavia e i suoi
3 figli.
L’oggetto è giunto all’attuale proprietario alla fine degli anni ottanta del
Novecento per acquisto sul mercato
antiquario di Sarzana e proviene
dall’Inghilterra, come risulta dalla
dichiarazione del venditore e
dall’etichetta applicata sul retro della
tavoletta che traduce in inglese
l’iscrizione e porta un breve cenno
biografico su Gian Galeazzo Visconti.
Difficile al momento ricostruirne la
storia; rimangono vari interrogativi sia
sulla datazione del manufatto, sia sui
tempi e i modi della suo arrivo e permanenza in Inghilterra.
Un approfondimento d’indagine potrà
ricostruire eventuali nessi con il famoso «gabinetto in avorio del priore»,
un piccolo locale della foresteria le cui
pareti erano state decorate con avori
ottenuti dallo smembramento di due
preziosi cofani trecenteschi e con
l’aggiunta di altri pezzi riferibili, secondo CARLO MAGENTA, a mani e periodi diversi: «le tavolette e gli otto piccoli riparti appartengono agli ultimi
anni del secolo XIV, altre sculture al
secolo XV, ed altre ancora al XVIII, e
certi pezzi sono de’ nostri tempi, in
luogo di altri che scomparvero». Magenta offre ulteriori informazioni sulla
loro sorte:
Fig. 3
«purtroppo così gentile opera fu
trafugata nel 1796 da tale abate
Tordorò che, con nessunissima
coscienza di prete e di italiano, la
vendette ad un inglese, il quale
invano cercò di spedirla al di là
della Manica».
di Luisa Erba
Oggi purtroppo è perduto, ma è noto
grazie alla riproduzione secentesca
(fig. 2), un disegno acquerellato conservato in un taccuino (Le livre des
drapeaux) dell’Archivio di Stato di
Friburgo, la città dove era stato portato dal citato capitano Falck.
IL MONUMENTO ORA A TREVISO
Tra i materiali pavesi dispersi nella
drammatica circostanza della battaglia di Pavia (1525) si inserisce la vicenda di un monumento, sottratto
prima ancora che fosse terminato, le
cui parti sono state in seguito ricomposte a Treviso nella chiesa di Santa
Maria Maggiore per la sepoltura di
Mercurio Bua (fig. 3). L’iscrizione secentesca, posta dal nipote sotto il
monumento, precisa che il conte Bua
l’aveva portato con sé da Pavia come
preda di guerra: «Papia praelio devicta, / unde regium hoc monument[um]
inclyta spolia, eduxit» (= conquistata
in battaglia Pavia, donde portò quale
inclita preda questo monumento regale).
Nel corso dell’Ottocento Gustavo Frizzoni e poi Diego Santambrogio avanzano l’ipotesi che si tratti di un lavoro
di Agostino Busti, detto il Bambaia
(1483-1548), attribuzione confermata
dalla critica successiva.
Non sappiamo a chi fosse destinato il
monumento e dove dovesse essere
collocato; infatti non era ancora stato
messo in opera e risulta privo di iscrizioni. L’iconografia non aiuta: il complesso di Treviso si compone di
un’arca con tre riquadri a rilievo con
un protagonista (seduto in cattedra o
in trono; ammalato disteso nel proprio letto; defunto sul catafalco) attorniato da molte statue (due angeli
tedofori e cinque virtù: Fede, Carità e
Giustizia, Prudenza, Temperanza).
Le virtù mancanti (Speranza e Fortezza), vengono riconosciute da ANTONIO
BASSO (Le due virtù, 2002, pp. 191206) nelle due statuette del Bambaia
conservate presso il Kimbell Art Museum di Fort Worth in Texas, attribuite dalla critica alla tomba Birago. Si
ipotizza che le due virtù americane, le
più rifinite e meglio conservate, possano essere finite in altre mani forse
nel momento stesso del saccheggio e
avere quindi seguìto una strada diversa dal resto del monumento. Ancora
non è stata ricostruita per intero la
vicenda, ma si conosce un indizio che
potrebbe essere utile: nel 1900 le due
statuette facevano parte della collezione antiquaria della villa Antona
Traversi a Desio.
LA TAVOLETTA CON IL MODELLO
DELLA CERTOSA IN AVORIO
La tavoletta in cui è rappresentato
Gian Galeazzo Visconti con il modello
della Certosa è un piccolo pannello
nero (cm 20 x 24 circa) in legno lacca-
to sul quale sono applicati sei elementi scolpiti nell’avorio (fig. 4). La matrice iconografica va ricercata nel catino
absidale del transetto destro della
Certosa di Pavia, dove Ambrogio da
Fossano il Bergognone dipinge,
nell’ultimo decennio del Quattrocento, Gian Galeazzo Visconti
(accompagnato da Filippo Maria e, di
fronte Galeazzo Maria Sforza con il
figlio Gian Galeazzo) nell’atto di offrire il modello della chiesa alla Vergine,
con il Bambino sulle ginocchia, assisa
entro la mandorla di luce. Le posizioni, gli atteggiamenti, l’abbigliamento
e le acconciature denunciano una
derivazione diretta dal dipinto.
Nella tavoletta la figura della Vergine
scompare e il piccolo modello della
Certosa diventa il nuovo centro della
composizione (forse è andata perduta
la torre nolare che caratterizza la
chiesa nel dipinto del Bergognone).
Sull’elemento di base, che vuole rappresentare il suolo, è incisa a caratteri
L’operazione non sembra riuscire
«per il blocco continentale decretato
da Napoleone I», e l’inglese «dovette
lasciare quel tesoro d’arte in Milano».
Non si può escludere che qualche
pezzo sia stato esportato nascostamente e abbia raggiunto così
l’Inghilterra (invece le arche eburnee,
dopo passaggi attraverso varie collezioni, sono giunte al Metropolitan
I CANDELABRI DELLA CERTOSA
Museum di New York)
Si trovano ancora in Inghilterra due
grandi candelabri in bronzo provenienti dalla Certosa, oggi conservati in
una cappella del Priorato di Pluscarden. L’immagine (fig. 5), che mi è stata fornita dal professor Orio Ciferri,
porta sul retro un appunto manoscritto, in inglese, di questo tenore:
«preda di guerra napoleonica
dall’Italia. Quindi preda di guerra britannica dalla Francia».
Pagina 6
Numero novantotto - Settembre 2014
Tre linguiste del Dipartimento di Studi Umanistici, Sonia
Cristofaro, Silvia Luraghi e Caterina Mauri, hanno organizzato un importante congresso internazionale dedicato
alla sintassi delle lingue del mondo dall’8 al 10 settembre
scorso. Le tre studiose si sono impegnate per dare vita
alla sesta edizione di Syntax of the World's Languages
(http://swl-6.wikidot.com/), dopo che un comitato di
esperti internazionali ha scelto Pavia per questo appuntamento, che si svolge ogni due anni in un paese diverso.
Perché si è parlato di sintassi delle lingue del mondo proprio a Pavia? La pratica di ricerca dei linguisti pavesi è da
sempre orientata sulle tematiche del convegno e l’interesse per la varietà
delle lingue è particolarmente vivace. Inoltre, il sistema dei Collegi pavesi ha
fornito un valido supporto, permettendo di accogliere i circa duecento partecipanti provenienti da paesi quali Stati Uniti, Canada, Messico, Iran, Brasile, Cina, Giappone, Australia e Nuova Zelanda.
ei tre giorni del
convegno si
sono messe a
confronto
differenze e
somiglianze fra
le strutture
sintattiche delle
lingue
conosciute.
Particolare attenzione è stata
dedicata alle lingue meno
descritte, come la maggior parte
delle lingue extraeuropee: molte
lingue africane e asiatiche, o
lingue dei nativi dell’America e
dell’Australia. E sì che i continenti
extraeuropei sono patria di una
grandissima varietà: basti
pensare che, mentre in Europa
sono censite circa 260 lingue, in
Asia se ne contano 2200. Fra le
lingue meno descritte, alcune
sono considerate lingue
“minacciate”, perché possono
contare su pochissimi parlanti,
spesso anziani, e sono destinate a
sparire in breve tempo. Ma non si
tratta sempre e solo di lingue
lontane. Anche molti dei nostri
dialetti, che sono in realtà lingue
a tutti gli effetti, si trovano in
condizioni precarie, perché non
sono più parlati dalle giovani
generazioni: anche su questi si
sono focalizzate alcune
comunicazioni del congresso. In
casi di questo genere,
documentare la grammatica è di
cruciale importanza, per non
perdere la conoscenza di strutture
forse non attestate in nessuna
altra lingua. E ugualmente
importante è che l’attenzione degli
studiosi si rivolga a lingue oggi
scomparse, delle quali restano a
volte poche fonti scritte di difficile
interpretazione.
Nei giorni del congresso, Pavia ha
dato dunque il benvenuto a
studiosi che si occupano della
descrizione e dell’analisi di singole
lingue, o che confrontano le
strutture grammaticali di molte
lingue diverse sulla base dei dati
forniti dagli specialisti, alla
ricerca di regolarità, somiglianze e
differenze nella grande diversità
linguistica del mondo.
Un numero di lingue che può
sembrare altissimo: 7000 sono
quelle parlate attualmente, ma
molto numerose sono anche
quelle scomparse, in epoca più o
meno recente, di molte delle quali
non avremo mai neanche notizia.
Dal 1970, in meno di 50 anni,
sono scomparse centinaia di
lingue, che costituiscono l’11%
delle lingue europee e ben il 32%
delle lingue australiane. Un
quarto delle lingue del mondo
sono attualmente parlate da meno
di 1000 parlanti.
Un censimento annuale delle
lingue del mondo con il loro stato
di salute è svolto dal progetto
Ethnologue,www.ethnologue.com
che fornisce dati sempre
aggiornati in proposito.
Raccogliere dati e analizzare le
lingue meno descritte vuol dire
non perdere un patrimonio
prezioso per la comprensione del
linguaggio umano e dei
meccanismi universali che ne
determinano l’organizzazione.
Spesso, infatti, è proprio in queste
lingue che incontriamo categorie e
strutture molto diverse rispetto a
quelle che siamo abituati a
trovare nelle lingue europee
moderne e standardizzate. Per
fare solo un esempio, in molte
lingue, contrariamente a quanto
avviene in italiano, non è ovvio
identificare una differenza tra
nomi, verbi e aggettivi: in molti
casi le stesse parole possono
presentare le proprietà dell’una o
dell’altra di queste categorie a
seconda del contesto. Un po’
come se in italiano la parola
ragazzo potesse funzionare sia
come nome sia come verbo:
avremmo allora frasi come
ragazzava ancora per era ancora
un ragazzo. Esempi come questo
potrebbero facilmente essere
moltiplicati e ci servono a
dimostrare che anche le strutture
per noi più scontate possono
presentare una varietà
sorprendente.
Il campo di indagine che si
propone di studiare la diversità
nelle strutture delle lingue del
mondo è la tipologia linguistica,
nata all’inizio dell’Ottocento dalle
osservazioni del grande studioso
tedesco Wilhelm von Humboldt:
non a caso, il libro considerato la
sua più importante opera, pietra
miliare e punto di riferimento per
i tipologi, si intitolava Sulla
diversità della struttura delle
lingue umane. Con la triplice
divisione delle lingue in isolanti,
agglutinanti e fusive, gli studi di
Humboldt si erano rivolti
essenzialmente al piano
morfologico. In anni più recenti,
un altro importante studioso,
l’americano Joseph Greenberg, ha
richiamato l’attenzione dei tipologi
sulla sintassi.
Soprattutto nel Novecento
numerosi studi hanno consentito
di raccogliere una considerevole
quantità di dati affascinanti sulla
diversità strutturale presentata
dalla sintassi dalle lingue (per
una panoramica rimandiamo
all’Archivio degli Universali,
http://typo.unikonstanz.de/archive/intro/index.
php, o al World Atlas of Language
Structures, http://wals.info/, con
mappe di immediata
comprensione).
Davanti a tutta questa diversità, è
naturale chiedersi se le lingue
possano variare all’infinito e in
qualunque modo possibile, o se
non ci siano vincoli e restrizioni a
questa variazione. In altre parole:
esiste una grande variazione
linguistica nel mondo, ma esiste
considerare universale. Ma di
cosa si tratta esattamente? A
parte alcuni rari universali
assoluti, che affermano la
presenza di una proprietà in tutte
le lingue del mondo (es. tutte le
lingue hanno vocali orali), la
maggior parte degli universali
linguistici sono formulati secondo
un’implicazione logica: se in una
lingua è presente una data
caratteristica X, allora sarà
presente anche la
caratteristica Y. Si
tratta cioè di
principi che
permettono di
prevedere i tipi
linguistici
effettivamente
attestati e di
escludere i tipi
impossibili: data la
formulazione
appena fornita,
avremo lingue con
la caratteristica X e
con la caratteristica
Y, lingue senza la
caratteristica X e
senza la
caratteristica Y, e
lingue con la
caratteristica Y, ma
senza la
caratteristica X. Il
tipo di lingua che
viene escluso è
quello in cui è
presente la
caratteristica X ma
non la caratteristica
Y.
Facciamo un
esempio. Un noto
universale
linguistico riguarda
le distinzioni di
numero, come
singolare e plurale:
se una lingua distingue tra
singolare e plurale per i nomi
inanimati come tavolo, allora lo
farà anche per i nomi animati
come donna. Questo universale
prevede lingue che non
distinguono fra singolare e plurale
né per tavolo né per donna, lingue
che li distinguono per entrambi e
lingue che distinguono tra
singolare e plurale solo per donna
e non per tavolo. Non si
conoscono lingue che distinguono
singolare e plurale per tavolo ma
non per donna - il tipo linguistico
escluso dall’universale.
Come si spiegano gli universali
linguistici? Secondo i tipologi, gli
universali sono il riflesso di
meccanismi cognitivi e
comunicativi generali, validi per
tutti gli esseri umani, come la
maggiore o minore facilità con cui
Documentare la diversità,
ricercando gli universali
del linguaggio
di Sonia Cristofaro
Silvia Luraghi
Caterina Mauri
anche qualcosa che resta
universale o qualcosa che nelle
lingue del mondo non capita mai?
Gli studiosi che si sono riuniti a
Pavia hanno cercato di rispondere
anche a questo interrogativo,
basandosi sull’osservazione dei
dati effettivamente raccolti.
Proprio Greenberg negli anni ’60
del secolo scorso ha dato una
svolta fondamentale alla ricerca
sugli universali linguistici. La sua
intuizione più importante è
stata che la grande variazione
strutturale che si riscontra nelle
lingue del mondo non è arbitraria
e casuale, bensì ordinata.
Secondo Greenberg, le lingue si
conformano a specifici principi
organizzativi. Proprio tali principi
sono ciò che pone vincoli alla
diversità possibile o, in altre
parole, ciò che possiamo
IMPRESA CALISTI
PAVIA
1928-2013
TRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVO
DI EDIFICI E MONUMENTI STORICI
la mente umana è in grado di
costruire o decodificare
determinate strutture, l’esigenza
di economicità e di ottimizzazione
del rapporto fra costi
espressivi/interpretativi e
benefici, o l’importanza di certi
aspetti concettuali rispetto ad
altri in contesti diversi. Il punto
cruciale è che questi meccanismi
sono esterni al linguaggio e hanno
una generale rilevanza cognitiva.
Torniamo all’esempio del numero
grammaticale. Il fatto che le
lingue del mondo tendano a fare
distinzioni di numero per i nomi
animati, e soprattutto umani,
piuttosto che per quelli inanimati
si spiega pensando che
distinguere tra singolare e plurale
sia più rilevante per le entità
animate che per quelle inanimate,
perché le prime, a differenza delle
seconde, sono percepite come
inerentemente individuate. In
altre parole, per gli esseri umani
gli altri esseri umani e animati in
genere sono entità cognitivamente
più perspicue degli oggetti.
La spiegazione per la grande
varietà con cui le grammatiche
delle lingue rispondono alle
esigenze comunicative e cognitive
dei parlanti si trova sul piano
diacronico: in altre parole, i
principi cognitivi e comunicativi
che regolano l’organizzazione delle
lingue del mondo inducono singoli
parlanti a creare determinate
costruzioni grammaticali in
determinati momenti nella storia
delle lingue. Tali principi spiegano
quindi perché le lingue sono come
sono, ma non agiscono mentre i
parlanti usano la lingua e le
costruzioni già esistenti: ciò che
agisce in questo caso è invece la
conoscenza delle convenzioni
della lingua stessa.
Per conoscere, capire e descrivere
il funzionamento delle lingue e le
sue motivazioni sono necessari
dati presi dall’uso reale. Infatti,
secondo la definizione del tipologo
americano Bill Croft, una lingua è
la somma di tutti gli enunciati che
i parlanti hanno prodotto in
questa lingua. La grammatica, in
altre parole, deve essere estratta
dall’uso, che si studia
raccogliendo i dati con
questionari nella ricerca sul
campo, oppure attraverso lo
studio di corpora il più possibile
ampi di testi effettivamente
esistenti.
Per chi vuol saperne di più:
http://www.letras.ufrj.br/posling
uistica/revistalinguistica/index.p
hp/volume-8-numero-1-junho2012/usage-based-models-inlinguistics-an-interview-with-joanbybee/
Settembre 2014 - Numero novantotto
Pagina 7
NELLE FOTO
Qui a sinistra Particolare dei moduli nel loggiato del Castello. “Disposizioni spaziali” di Angelo Bozzola,
1970: sei elementi modulari in plexiglas giallo, viola, nero, blu, rosso, verde; in contenitori trasparenti.
Sotto Concessa al Comune di Sartirana e collocata in piazza Trinità,
è la “Tavola segnica” di Angelo Bozzola, 1985, in acciaio inox.
Accanto Opere di Bozzola in dialogo con gli architetti Kartell
A fondo pagina Sedute firmate Starck, Urquiola, Arad.
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
FONDARTERRITORIO ANNO SECONDO
BOZZOLA/KARTELL: PALLA AL CENTRO
di Giorgio Forni
on si stupiscono i
nostri 25 lettori di
questo incipit
singolare.
Il fatto è che
esporremo a Sartirana
da questi primi giorni
di settembre una serie
di lavori di Bozzola realizzati con materiali
plastico/sintetici, utili per un gioco di
colori e trasparenze, scelta innovativa del
Maestro dell’arte concreta.
Sotto il loggiato del castello è già
collocata una composizione di grandi
scatole in plexiglas che contengono,
come in un gioco costruttivo, una sorta di
torre, possibilmente “senza fine”
(allusione a Brancusi, come nota
acutamente Elena Pontiggia nel bel
catalogo Allemandi) le monoforme,
sempre in plexiglass, ma di colori diversi.
Una colonna infinita ...
Questo è stato il titolo ben scelto per la
grande mostra milanese alla Triennale,
appena conclusasi con grande successo.
Che vorremmo replicare, mutatis
mutandis, con i nuovi allestimenti
lomellini, già visitabili a Sartirana e Valle
(ancora nella chiesetta di Santa Maria in
castello, piccolo gioiello romanico con
splendidi affreschi) e dal prossimo mese
di ottobre a Mede, al museo Regina, in
castello Sangiuliani.
Ma cosa ci “azzecca” Kartell?
Presto a dirsi. L’aggancio è formalmente
corretto e pertinente per
l’accostamento/dialogo tra le opere di
Bozzola e alcuni pezzi prodotti dalla
storica azienda alle porte di Pavia. Sedute
e contenitori, firmati dai più famosi
architetti contemporanei, chiamati a
Noviglio da Claudio Luti, a disegnare, con
materiali “figli dell’alambicco” , icone del
design amate ormai in tutto il mondo!
Il nostro solito piacere di mescolare le arti
per costruire ponti e relazioni di creatività
ha avuto buon gioco! Abbattute le
distinzioni tra arti maggiori e minori,
risulta chiaro il valore della curiosità e
dell’ingegno che sta alla base della
ricerca. Nel coraggio
innovativo/industriale di Giulio Castelli e
di Anna Ferrieri, sua moglie, già dai primi
anni ‘50 con i primi prodotti per la casa,
che abbandonavano legno e ferro per
utilizzare i ritrovati più moderni della
chimica! Policarbonati e metacrilati da
stampare a caldo! Per abbattere costi di
produzione e per realizzare pezzi seriali
altrimenti impossibili.
Gli artisti non erano da meno! Regina
(Cassolo) passava dai gessi e lamierini
(ben documentati nel suo Museo a
Mede) a opere in plexiglass trasparenti. E
il nuovo materiale fu adottato da molti
altri artisti, curiosi, appunto, di nuove
possibilità per il loro lavoro e di nuove
strade espressive loro consentite. Bozzola
tra questi!
La seconda tornata di mostre che
Fondart organizza in questi prossimi mesi
avrà quindi come protagonisti non solo
scultori. Anche architetti, e di gran fama!
Sempre nel segno del meglio del nostro
genio italico! E , (perché no?), pure del
made in Italy ad esso collegato. Sia di
buon auspicio anche per Milano Expo
2015.
Un grazie sempre a Fondazione Cariplo
che ci aiuta nella scommessa.
Pagina 8
’idea di base che porta
a dar forma al progetto
Biblioteca Virtuale della
Città di Pavia è stata la
curiosità di reperire in
rete il maggior quantitativo di informazioni
relative alla nostra area
di interesse. Da qui la
ricerca è proseguita e si
è rivolta alle fonti informative più accreditate e scientificamente riconosciute
valide (in particolar modo testi storici,
opere letterarie e pubblicazioni universitarie) escludendo le forme più comuni di
risorse elettroniche (ad esempio i comuni
siti web). Con che fine? Le risposte sono
più di una:
· Creare uno spazio virtuale unicamente
dedicato a Pavia e alle pubblicazioni che
ne narrano la Storia nelle loro edizioni
originali
· Metterlo a disposizione della Cittadinanza, sia essa da intendersi come il singolo lettore che voglia conoscere il passato e le tradizioni di Pavia, sia esso lo storico, lo studioso, lo scienziato, eccetera
· Rendere il più agevole possibile
l’accesso al pubblico senza meccaniche
di fondo che impongano pagamenti, iscrizioni, eccetera
· Mettere a disposizione dell’utente finale
la versione integrale (Full-Text) del documento preferendone le versioni scaricabili in più formati
· Salvaguardare il
principio di gratuità
Il percorso vero e
proprio
di ricerca ha così trovato ragione
nell’individuare quei testi e quegli autori
che sono storicamente conosciuti come le
colonne storiche della Città di Pavia: Opicino de Canistris, Stefano Breventano,
Antonio Maria Spelta, Siro Severino Capsoni, Giuseppe Robolini e tutti gli altri a
seguire. Naturalmente, sarebbe stata
una grave mancanza non ampliare la
documentazione includendo le pubblicazioni nate in seno all’Università degli
Studi di Pavia e le Opere di quegli Illustri
Studiosi che in essa operarono: da qui il
Numero novantotto - Settembre 2014
ECCO LA BIBLIOTECA VIRTUALE DELLA CITTÀ: STORIA E PERSONAGGI
IN OLTRE 600 TITOLI CONSULTABILI GRATUITAMENTE ON-LINE
Bollettino Scientifico per la Medicina ad
esempio o gli Atti dell’Istituto botanico,
alcune Opere di Ugo Foscolo, Vincenzo
Monti, Gerolamo Cardano, Cesare Beccaria, Gian Domenico Romagnosi, Alessandro Volta, Antonio Scarpa, Lorenzo Spallanzani, eccetera. Come escludere poi
una documentazione relativa al Monumento della Certosa?
Si è venuti così alla compilazione di una
Bibliografia che conta oltre 600 titoli, la
quale è composta, oltre che dalle citazioni, da un collegamento ipertestuale con il
fornitore della fonte digitale in formato
Full-Text.
mo presente che è “d’obbligo richiamare
la definizione di Kaye Gapen, secondo cui
la biblioteca virtuale rappresenta la somma delle diverse raccolte documentarie,
distribuite su tutto il pianeta e collegate
fra loro da un insieme di reti telematiche
in grado di annullare le distanze e di facilitare il reperimento dei documenti”,
non v’è più dubbio che al presente
lavoro la definizione di Biblioteca
Virtuale, e la sua posizione di
ampio respiro, calzi in modo più corretto.
Città di Pavia
Sono raccolti 66 tra i maggiori volumi di
Storia di
Pavia, tra cui: l’Historia del
B r e ventano (1570), il Liber de
laudibus civitatis Ticinensis di
Opic i no
de
C an is t ri s
nell’edizione curata dal
Maiocchi (1903), i tre tomi del
Codex Diplomaticus Ord. E. S.
Augustini Papiae sempre a cura del
Maiocchi (1905-07), le Memorie istoriche
della regia città di Pavia del Capsoni
(1785), Il comune e la provincia di Pavia
del Malaspina (1819), cinque volumi delle Notizie appartenenti alla storia della
Perché la definizione
di Biblioteca Virtuale
Da manuale è possibile parlare di
Biblioteca Digitale “quando
chi mette a disposizione in Rete
delle collezioni di
testi elettronici non è l’editore
originale ma una biblioteca o un’organizzazione
non profit che digitalizza gli originali
cartacei … I testi, scelti fra quelli esenti
di Michele Chieppi
da copyright, vengono scannerizzati oppure ridigitati manualmente da personale pagato o volontario e messi a disposizione o solo degli studiosi e degli enti di
ricerca oppure di tutto il pubblico, quasi
sempre gratuitamente”; mentre la
“biblioteca virtuale è qualcosa di connesso in qualche modo alle risorse informative digitali, ma difficilmente identificabile in modo più preciso”. Inoltre, se tenia-
Ricerca dei documenti
Spunto fondamentale è stato il prodotto
di quello che fu nel 2005 l’accordo tra
Google e la Harvard University Library,
progetto secondo il quale si sono unite le
competenze e le collezioni della Biblioteca dell’Università di Harvard con le innovazioni e la tecnologia di Google.
L’obiettivo, perseguito e realizzato, è stato la digitalizzazione di una grande quantità di libri della Biblioteca di Harvars
(documenti di pubblico dominio e quindi
non soggetti alle regole legate ai diritti
d’autore) e messi a disposizione degli
utenti di tutto il mondo via internet. Ad
Harvard vanno poi ad aggiungersi altre
“realtà” di livello mondiale in campo biblioteconomico: le Biblioteche di Oxford,
Stanford, Princeton, dell’Università della
California, della Complutense di Madrid,
solo per citarne alcune. Il legittimo prodotto finale è quel Google Book da cui è
partita l’indagine e che ha permesso di
“catturare” i primi documenti utili.
A seguire, altri passaggi importanti che
hanno dato modo di scavare nelle collezioni digitali di tutto il mondo, fra cui
spiccano, fra gli altri progetti, l’Internet
Archive dove è stato possibile principalmente ricercare nei patrimoni librari di:
Stati Uniti (dalla Library of Congress di
Washington alla New York Public Library
passando fra le decine delle Universitarie) e Canada (dalla The University of
British Columbia alla Toronto Public Library, eccetera) e l’Open Library, una
cosiddetta “biblioteca aperta” che si avvale a livello mondiale di partecipazioni
anche di “utenti finali”.
Biblioteca Virtuale
della Città di Pavia
Suddivisa fra le seguenti voci: Dizionari e
Vocabolari; Città di Pavia; Scrittori, Studiosi ed illustri Professori Universitari
(Pavesi o che operarono in Pavia); Certosa
di Pavia; Università di Pavia e Altre risorse, conta a oggi più di seicento link di
accesso ai Full-Text.
Dizionari e Vocabolari
Fondamentali per la Storia della Lingua e
della Tradizione Pavese, sono stati rintracciati 3 diversi documenti: il Dizionario domestico (1829), il “Gambini” (1850)
e
il
Dizionario
Pavese-Italiano:
coll’aggiunta delle frasi più celebri del
Manfredi (1874).
sua patria di Giuseppe Robolini (18231838), le tre maggiori Opere di Antonio
Maria Spelta Historia d’Antonio Maria
Spelta (1603), La Pavia trionfante (1606)
e La solenne et trionfante entrata
dell’illustrissimo & reuerendissimo vescouo monsignor Gio. Battista Biglio
(1609) e la immancabile Flavia Papia Sacra (1699) di Padre Romualdo. Rintracciati anche documenti particolarmente
degni di nota come: Il superbo torneo fatto nella regia città di Pavia del Cimilotti
(1587), Memorie bibliografiche per la storia della tipografia pavese del secolo XV
di Siro Comi (1807) e Dell’insigne reale
basilica di San Michele Maggiore di Carlo
dell’Acqua (1875).
Scrittori, Studiosi ed illustri Professori
Universitari (Pavesi o che operarono in
Pavia)
Con oltre 500 volumi, è la parte numericamente più ricca della Biblioteca Virtuale.
Sono raccolte le principali Opere di Vincenzo Monti, Felice Casorati, Lorenzo Mascheroni, Ernesto Pascal, Defendente Sacchi, Alessandro Volta, Ugo Foscolo, eccetera. Di alcuni di essi si è provveduto a curare un link che porta alla loro biografia
collocata nel Dizionario Biografico degli
Italiani e nell’Enciclopedia Italiana Treccani.
Certosa di Pavia
11 testi che descrivono, anche con
l’aggiunta di tavole, il Monumento della
Certosa; tra questi: La Certosa di Pavia:
con 70 incisioni e 9 tavole del Beltrami
(1895), Descrizione della Certosa di Luigi
Malaspina (1818), La Chartreuse de Pavie
del Salmi (192?), eccetera.
Università di Pavia
Il settore dedicato all’Ateneo Pavese si apre
con la serie di Annuari a partire dal 1891
per proseguire suddividendosi per area
scientifica: Botanica (tra essi 18 volumi
della Serie II degli Atti dell’Istituto botanico
dell’Università di Pavia, redatti da Giovanni Briosi), Chimica e Medicina (tra cui 14
annate del Bollettino Scientifico).
Altre risorse
In questa parte si è voluto dar spazio a
quelle realtà che esulano dal tradizionale
libro: un film, l’esempio che più spicca (Il
Cappotto del 1952 con la regia di Alberto
Lattuada, la sceneggiatura di Cesare Zavattini e con interprete Renato Rascel) visionabile in versione integrale, un archivio
multimediale documentario e iconografico,
eccetera.