Integrazione europea ai tempi della crisi - Economia

Politica > News > Esteri - martedì 25 novembre 2014, 17:00
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Prospettive
Integrazione europea ai tempi della crisi
Intervista al Prof. Guido Montani
Roberta Barone
C’è chi l’Europa la vede tra le stelle, viaggiando con gli occhi tra quei confini apparentemente invisibili
quanto terribilmente reali. Parliamo dell’astronauta ESA Luca Parmitano, “ambasciatore” del semestre
italiano di presidenza Ue, lo stesso che sogna un’Europa “innovativa, tecnologica, senza confini né
barriere”. C’è poi chi un’Europa del genere l’aveva già sognata negli anni ottanta, figlio di una
generazione cresciuta tra le macerie di un muro che oggi rimane lì, tra documenti e libri di scuola, ad
evocare immagini sbiadite dal tempo ma mai dimenticate.
Creare un’Europa dei popoli che possa consolidare più profondamente i connotati culturali di
questa entità geografico-politica, significa lavorare per un’Europa che sia condivisione, fratellanza,
solidarietà, rispetto delle diversità. L’abbattimento delle frontiere, che oggi funge da nodo centrale di
una campagna europea volta alla sensibilizzazione dei cittadini verso il tema della libertà di circolazione,
dovrà tradursi in primo luogo nell’istaurazione di un più sentito senso di appartenenza tra i cittadini
piuttosto che nell’abolizione di ostacoli burocratici tra i mercati. Nell’era della globalizzazione infatti, il
pensiero kantiano per la realizzazione di una “pace perpetua” attraverso la formazione di un Governo
Globale, sembrerebbe essere stata fraintesa e trasformata in un contesto in cui è lo Stato ad essere un sottosistema di organizzazioni mondiali come il Fondo Monetario Internazionale, perdendo di fatto la sua
originale sovranità.
Parafrasando Susan Strange, la globalizzazione costituisce dunque un arretramento dello Stato a
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reperibile al link http://92.243.24.105/0-politica/2014-11-25/159106-integrazione-europea-ai-tempi-della-crisi
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un sistema sempre più governato dall’egemonia dei mercati: ecco perché Strange analizza il
fenomeno “globalizzazione” da un punto di vista principalmente giuridico che economico. Analisi
che oggi andrebbe fatta nei confronti di una Unione Europea nata da logiche di mercato che però non
hanno camminato al passo di quelle politiche. Una unione che vorrebbe raggiungere l’apice
dell’integrazione ma che, a mala pena, riesce a dettare regole e patti al fine di salvaguardare quella
monetaria. Si arriverà davvero agli Stati Uniti d’Europa?
L’attuale crisi finanziaria, le politiche di austerità, i dibattiti intorno alla necessità di avere “più
Europa”, ma soprattutto le tragiche difficoltà economiche che gravano pesantemente sulle
condizioni di vita dei cittadini, sembrerebbero lasciare poco spazio alla nostra quotidianità per
ricordarci di cosa sia però realmente diventata l’attuale Europa. Nei giorni scorsi la Rai si è fatta
promotrice della cosiddetta “Maratona per l’Europa”, una iniziativa che ha previsto la proiezione e la
discussione di filmati, temi e programmi inerenti la costruzione dell’Europa, attraverso l’intervento di
numerosi intellettuali, storici, giornalisti. Da un lato la chiara necessità di recuperare nell’opinione
pubblica quel senso di appartenenza europea quasi persa, sintomo di una crisi dai caratteri non soltanto
economici, dall’altro l’imperativo pubblicitario secondo cui “Di Europa si deve parlare”. Eppure,
verrebbe da chiedersi, con quali prospettive potremmo oggi parlarne?
Lo abbiamo chiesto al Prof. Guido Montani, Professore Ordinario di Politica Economica Internazionale
dell'Università degli studi di Pavia, autore di diverse pubblicazioni sul tema dell'integrazione europea.
L'integrazione europea è stato il sogno di molte generazioni. Un sogno che ha percorso
gradualmente molte tappe: dal manifesto di Ventotene alla caduta del Muro di Berlino che diede un
forte impulso al disegno europeo. Ma perché prima di consolidare una unione politica più forte,
quindi un'Europa dei popoli, si preferì instaurare innanzitutto quella monetaria?
Questa domanda va al cuore del problema dell’integrazione europea che è stato un processo inizialmente
politico. L'unificazione europea non è stata una visione utopica, ma un progetto politico nato nel corso
della resistenza al nazifascismo come alternativa alle tragedie dalla prima e dalla seconda guerra
mondiale, le due grandi catastrofi causate dalle lotte intestine europee, in particolare tra Francia e
Germania, per l’egemonia sull’Europa e sul mondo. Se si dimentica questo quadro, cioè che l'Europa ha
trascinato il mondo verso la guerra, non si comprende neanche l'enorme potenziale di speranze e ideali
che sono esistiti nell'immediato dopoguerra per porre fine definitivamente alle guerre. Negli anni
quaranta, era forte la convinzione che si dovesse ricostruire un'Europa pacifica, superando le divisioni
nazionali del passato. Questo è stato l'inizio del processo d’integrazione europea. Si è trattata di una
nuova lotta politica, per il superamento della sovranità nazionale. Vorrei ricordare che (e in questa fase
l'Italia ha giocato un ruolo importante) la Comunità Europea di Difesa (CED), proposta dal Governo
francese nel 1950, venne affidata per la sua formulazione giuridica ad una assemblea parlamentare,
dunque una sorta di costituente democratica. La Comunità politica della CED prevedeva un’unione con
una propria difesa, un parlamento europeo e un governo europeo. Erano gli anni della guerra fredda.
Questa iniziativa, di fatto una Costituzione europea federale, è poi fallita perché la stessa Francia che
l’aveva proposta, una volta mutate le maggioranze interne, l’ha respinta. Il fallimento della CED e
l’avvento al potere di de Gaulle hanno consentito la continuazione del processo d’integrazione europea
soltanto sul terreno economico. Questo non vuol dire che il progetto di unificazione politica europeo fosse
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abbandonato del tutto. Secondo l’ideologia europeistica di quegli anni, veniva tuttavia rinviato nel futuro,
perché, così si diceva, i tempi non erano maturi. Tuttavia, l'integrazione economica ha consentito molti
progressi e vantaggi per i cittadini europei. Basti pensare allo sviluppo economico, il cosiddetto miracolo
economico, di paesi come l'Italia e la Germania negli anni cinquanta e sessanta. Senza il mercato comune
e l'integrazione europea sarebbero tornate le rivalità economiche, il protezionismo e le politiche
aggressive degli anni venti.
Posso ora rispondere alla sua precisa domanda. Quando è caduto il Muro di Berlino si è presentata la
seconda grande occasione di unire politicamente l’Europa, perché quell'evento fu visto dai popoli europei
come un'occasione unica di ri-appacificazione tra l'Europa dell'Est e dell'Ovest. Si respirava un’aria di
grande entusiasmo e una sincera volontà di costruire un futuro comune. Ma quello che è stato fatto,
ovvero il Trattato di Maastricht (dicembre 1991), si è rivelato un'"anatra zoppa." Si è fatta un’unione
monetaria senza un’unione fiscale ed un governo europeo. È stato un compromesso al ribasso ed è
legittimo pensare che, quando gli storici ricostruiranno con precisione le trattative tra Francia e Germania,
la responsabilità maggiore della parte politica mancante del Trattato si debba attribuire alla Francia.
Mitterrand non ha consentito un passo decisivo verso l'unione politica. D’altro canto, anche il rifiuto
della Costituzione europea da parte della Francia nel 2005 mostra che l'opinione pubblica francese, in
particolare una parte importante del partito socialista francese insieme al partito di Le Pen, non era
disposta ad accettare un passo importante verso la sovranazionalità. Così, quando è scoppiata la recente
crisi finanziaria, ci siamo trovati con un’Europa zoppicante, che non aveva i mezzi né politici né
finanziari per fronteggiare la situazione. La mancanza di un governo democratico europeo – uno spazio
vuoto occupato dalla leadership tedesca – è stata una delle cause maggiori della vampata euroscettica:
un'Europa che impone soltanto regole e vincoli di bilancio per far sopravvivere l'unione monetaria, ma
non è in grado di fornire alcuni essenziali beni pubblici europei – come gli investimenti per uno sviluppo
sostenibile e la piena occupazione – non può pretendere di ottenere il consenso dei cittadini. Per questo
l’Unione europea rischia di implodere.
Entrando dunque nel discorso della crisi finanziaria, oggi quella che ha colpito i Paesi
dell'Eurozona può essere un ostacolo al processo di integrazione europea?
Le crisi sono senza dubbio un ostacolo, perché generano anticorpi, come l'euroscetticismo, una forma di
nazionalismo travestito con abiti alla moda, ma pur sempre nazionalismo, perché tutti gli euroscettici, in
Francia, in Gran Bretagna, nei Paesi dell'Est europeo e in Italia, vogliono disfare l'Euro e l’Unione per
ripristinare le sovranità nazionali. Si tornerebbe così all'Europa pre-bellica e alle divisioni del passato. Se
si afferma questa prospettiva, nessuno può prevedere cosa potrebbe succedere nel mondo del XXI secolo;
è tuttavia certo che si radicherebbe un processo di divisione crescente tra i popoli europei, che potrebbe
degenerare in una crisi drammatica, com’è avvenuto nella ex Jugoslavia. Le crisi però sono anche uno
stimolo importante per andare avanti. Esistono, in effetti, delle possibilità concrete di sviluppi positivi. Ci
sono segnali di cambiamento nella politica europea. Uno tra questi, anche se non è stato percepito a
sufficienza dai cittadini, è consistito nell'ultima elezione europea: è vero che sono avanzati i partiti
euroscettici, ma è anche vero che, per la prima volta, il presidente della Commissione Europea è stato
designato dai partiti europei prima dell'elezione e, dopo l'elezione, i partiti europeisti hanno imposto il
candidato del Parlamento al Consiglio. Infatti, nell'accordo fatto prima delle elezioni, si era deciso che
sarebbe divenuto presidente il candidato di quel partito che avrebbe ottenuto più voti rispetto agli altri.
Junker è stato imposto dal Parlamento Europeo contro la volontà dei governi, perché non solo Cameron,
ma perfino la Sig.ra Merkel, che ha giocato su due fronti, all'inizio era contraria alla sua candidatura.
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Quest’avvenimento ha dato più forza ai partiti europei che ora potrebbero anche compiere qualche
ulteriore passo in questa direzione. Infatti, stanno pungolando Juncker affinché il piano d’investimenti di
trecento miliardi di euro da lui proposto diventi non solo effettivo, ma venga anche accresciuto. Si tratta
di un’iniziativa importante, perché non solo rilancerebbe la ripresa dell’economia europea, ma aiuterebbe
i paesi troppo indebitati, come l’Italia, a uscire dalla palude. Gli investimenti europei libererebbero
risorse e vincoli dai bilanci nazionali. I cittadini comincerebbero a capire che l’Europa rappresenta una
concreta speranza di rinnovamento.
Lo scorso anno anche l'Italia ratificò la modifica all'art. 136 del Tfu, legittimando di fatto il
Meccanismo Europeo di Stabilità. Intervistai diversi politici in quei mesi, tra cui lo stesso On. Di
Pietro che però mi disse di rivolgermi ad un collega per sapere cosa fosse, evidentemente c'era
scarsa conoscenza dell'argomento anche tra le forze politiche italiane. Innanzitutto le chiedo:
quanto può essere pericoloso il disinteresse della nostra politica come dei cittadini verso le stesse
politiche europee?
In effetti una parte del Pd, guidata da Fassina, vorrebbe opporsi a questo trattato che è ormai entrato nella
Costituzione (se facciamo riferimento alle politiche di bilancio e all'art. 81 Cost.). Affronto la questione
con un precedente storico per chiarire meglio il contesto in cui collocare questa decisione. Negli Stati
Uniti, che sono il primo esempio di federazione nella storia, ci sono ora cinquanta Stati, ognuno con un
proprio governo più un governo federale. L'Europa ha 28 Paesi (mentre quelli dell'Eurozona sono 18) e
una sorta di governo federale, diciamo così, cioè la Commissione europea, responsabile nei confronti del
Parlamento Europeo e del Consiglio. Il governo federale americano è eletto direttamente dai cittadini, ma
il sistema legislativo è bicamerale. Il federalismo è tipicamente un sistema bicamerale, una camera
rappresenta il popolo e l’altra rappresenta gli stati, così avviene negli USA e così nell’UE. Gli Stati
Uniti, nell'ottocento, prima della guerra di secessione, hanno sperimentato una grave crisi del debito
pubblico, simile a quella europea attuale, nel corso della quale nove Stati che si erano troppo indebitati
avevano chiesto aiuto al governo federale per non fallire. Tuttavia, gli altri stati (a quel tempo erano in
tutto 28) si rifiutarono di votare a favore degli aiuti e il governo federale li lasciò fallire. Dopo quella
vicenda, in tutti gli Stati della federazione si decise, per essere più credibili nei mercati finanziari
internazionali, la regola del bilancio in pareggio, che somiglia molto a quella che è stata attuata in Europa
con il Fiscal Compact, di cui lei ha parlato.
Quello che voglio dire è che in una federazione, e l’UE è ormai simile a una federazione, sono necessarie
delle regole per organizzare la vita in comune. E’ necessaria una reciproca fiducia, perché se un Paese
fallisce, provoca disastri per tutti. Il problema è che oggi, nell’UE, ci sono solo le regole, ma non ancora i
vantaggi evidenti di appartenenza alla federazione. Se la gente è costretta a rispettare solo regole severe,
senza capire che cosa può ottenere in cambio dall'Europa, è chiaro che si genera euroscetticismo. Si deve
fare di più affinché l'Europa possa intervenire attivamente e avere rapporti costruttivi coi cittadini
europei. Manca un rapporto di fiducia tra le istituzioni europee e i cittadini europei. Oggi l'Europa
realizza le sue politiche solo attraverso gli Stati. Si genera così un opaco diaframma tra l’Unione e i
cittadini. Per superare quest’ostacolo, è stato proposto dalla Commissione Europea e dal Parlamento
europeo un fondo europeo per la stabilizzazione della disoccupazione. In pratica si creerebbe,
possibilmente dentro il bilancio europeo, un fondo per aiutare i paesi che hanno un tasso di
disoccupazione troppo elevato. Questo fondo non sostituirebbe i sussidi nazionali, come la Cassa
integrazione in Italia, ma verrebbe in aiuto per ridurre la disoccupazione eccessiva di breve periodo. Il
sostegno andrebbe direttamente al cittadino disoccupato.
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È vero anche che dietro la parola "aiuto" si nascondono spesso processi che i cittadini non
conoscono dato che, ad esempio, all'interno del Mes gli Stati membri partecipano ai processi
decisionali in proporzione al loro peso finanziario. C'è chi l'ha definita "finanziarizzazione della
democrazia". In generale, esiste un deficit democratico all'interno delle istituzioni europee?
Sì, sono d'accordo. È necessario, come dicevamo prima, che l'Europa faccia delle politiche per creare
solidarietà tra i cittadini e non solo tra gli Stati. Ciò riguarda anche la sicurezza. Nel Trattato di
Maastricht era scritto che l'Europa doveva darsi una politica estera e di sicurezza, compresa la creazione
di una difesa europea. Cos’è stato fatto finora? Dal 1992 in poi non è stato fatto praticamente niente.
Questo vuol dire che quando c'è una crisi internazionale e la diplomazia non funziona (come nei casi
dell'Ucraina, Palestina-Israele, della minaccia dell'Isis, la crisi libica, ecc.), paesi come l'Italia restano in
silenzio, oppure fanno proposte che poi non si realizzano. La politica estera e di sicurezza dei governi
nazionali sono un anacronismo storico. Creano divisioni e non unità. Rendono l’UE debole e inefficace.
Occorre avere il coraggio di ammettere che esiste un vuoto europeo di potere che crea irresponsabilità e
subordinazione alla politica estera delle grandi potenze mondiali.
Quanto ha potuto incidere nel corso degli anni lo spirito europeista del Presidente dello Stato
Napolitano nel rapporto che l'Italia ha con l'Unione Europea?
Penso che i cittadini italiani dovrebbero mostrare riconoscenza al Presidente Napolitano per il suo sincero
europeismo. Il primo viaggio che il Presidente fece, appena eletto, fu a Ventotene, dove fu scritto il
famoso “Manifesto per un’Europa libera e unita” da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Io allora ero
segretario del Movimento Federalista Europeo e Direttore dell'Istituto Spinelli di Ventotene. Fui così tra
quelli che lo accolsero. In quell'occasione Napolitano fece un discorso impegnativo sulla necessità di
proseguire senza indugi verso l'unificazione politica dell’Europa. Nel corso di questi anni di presidenza
ha dimostrato con la sua azione di mantenere fede a quell’impegno. Non possiamo che ammirare la sua
coerenza.
Recentemente il Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha affermato che per frenare questa
ondata di antieuropeismo è necessario velocizzare la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Eppure
tra la gente si confonde spesso l'Europa con Unione Europea. Esiste uno stretto rapporto con
l'euroscetticismo?
In effetti, per Europa si intende anche la civiltà europea; dunque tutto ciò che riguarda la sua letteratura,
l'arte, la scienza, la tecnica. L'Europa ha un potenziale culturale enorme da trasmettere al mondo e il
mondo lo riconosce. La stessa Cina oggi si presenta come un paese comunista e marxista: non è forse
questa un'eredità europea? Un ruolo importante per l’esportazione della cultura europea è poi avvenuto
grazie al modello di stato nato con la Rivoluzione francese, lo stato nazionale, oggi alla base dell’ordine
internazionale esistente. L’aspetto negativo di questa fase della storia, che riguarda tuttavia un passato
ormai lontano, è il colonialismo e le politiche di potenza che hanno provocato le due guerre mondiali. La
costruzione di un’Unione federale europea mostrerebbe che gli europei stanno percorrendo fino in fondo
la via per il superamento definitivo di quella fase della storia.
Certo, ma attualmente i ricatti delle politiche di bilancio, le dispute e le discussione mediatiche tra
Renzi e Draghi (nel caso italiano) di certo non aiutano i cittadini a sperare in una idea di Europa
che sia dei popoli, se le politiche economiche prevalgono su quelle politiche..
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Proprio per questo dobbiamo distinguere l'Europa come espressione culturale e l'Unione Europea,
compresa quella monetaria, che è un'Unione politica fatta a metà. Bisogna ritornare a riflettere sull’errore
di Maastricht, quando si creò un'unione monetaria senza un bilancio e senza un governo europeo. Il
problema è cruciale il governo democratico europeo che manca. La Commissione, grazie all’ultima
elezione europea, si è messa su questa strada ma, con i trattati attuali, è difficile che la Commissione
diventi un vero governo democratico. E’ vero che, nel corso della campagna elettorale, i partiti hanno
scelto i loro candidati per il posto di Presidente della Commissione mediante un processo d’investitura
democratica, tuttavia è anche vero che questo presidente, quando deve nominare i suoi Ministri, deve
prendere un italiano, un tedesco, un francese, insomma ventotto persone imposte dai governi nazionali.
E’ una procedura confusa, in cui non si capisce chi sia veramente responsabile delle politiche. Abbiamo
una legittimità europea debole, che non viene ancora captata dai cittadini. I cittadini hanno l'impressione
che siano i governi nazionali a decidere quello che va fatto in Europa, anche se non è così. Non sarà
possibile avere gli Stati Uniti d'Europa sino a quando gli stati membri dell’Unione non accetteranno che
alcuni poteri – mi riferisco alla fiscalità e alla difesa – devono diventare europei.
Argomento fondamentale è anche la famosa "cessione di sovranità" degli Stati membri dell'Ue che
hanno limitato la loro sfera d'azione in molti campi, no?
Certo. La difficoltà deriva dal fatto che quando la cessione di sovranità viene fatta in modo parziale, senza
creare un vero potere democratico europeo, si creano dei costi. Le regole di bilancio, che non piacciono a
molti euroscettici, sono necessarie. Il costo deriva dal fatto che non si è accettato di andare fino in fondo,
assegnando a un governo europeo le risorse finanziarie proprie necessarie per fare le politiche di
convergenza, di sviluppo e di politica estera. Se ci sono problemi comuni, bisogna creare gli strumenti
sovranazionali per affrontarli. In Europa al contrario si fanno molte conferenze, incontri, discussioni, ma
poi non si fa nulla o si fa pochissimo. In un mondo che sta diventando globale con un'enorme potenziale
di crescita per molti grandi Paesi, come la Cina, l’India, il Brasile, ecc., i paesi europei cosa vogliono
fare? Fra pochi decenni, se resteremo divisi, saremo del tutto emarginati dalle grandi scelte mondiali.
Subiremo le scelte fatte al di fuori dell’Europa, com’è avvenuto per le polis della Grecia classica dopo la
creazione dell’Impero romano. Bisogna, questa è la mia convinzione, avere un'Unione europea
pienamente sovranazionale. L’internazionalismo è il passato.
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