Melfi fabbrica il nuovo “made in Italy”: prodotti industriali ad alto

Melfi fabbrica il nuovo “made in Italy”:
prodotti industriali ad alto valore aggiunto
di Diodato Pirone
MELFI - Ci sono fabbriche che valgono molto più di una fabbrica. Tutt’ora, con la parola “Mirafiori”
si intende un simbolo dell’industrialismo, una struttura che non ha prodotto semplici utilitarie ma
milioni di trampolini usati dagli italiani per tuffarsi nel miracolo economico e che, infine, è
diventata il riferimento della stagione sociale compresa fra l’autunno caldo del ’69 e la marcia antisindacato dei 40 mila quadri Fiat del 1980.
Oggi, lontano da Mirafiori, c’è un’altra fabbrica che potrebbe diventare un simbolo di una nuova
fase dell’industria italiana: è la Fiat di Melfi, in Basilicata. La sorte ha voluto che i 5.941 dipendenti
di questo plant stiano giocando più partite strategiche che si intrecciano fra loro. Sfide che vanno
ben al di là del riavvio delle linee di montaggio che da qualche giorno sfornano due nuovi suv , la
Jeep Renegade e la Fiat 500X, frutto di un investimento di un miliardo di euro, di cui 500 milioni di
origine Usa. La prima sfida è evidente, fisica e aziendale: qui si tocca con mano il salto di qualità fra
l’italocentrica “mamma Fiat” e la cosmopolita Fiat Chrysler Automobiles (FCA). A Melfi infatti
convivono due linee di montaggio. Da una parte c’è quella della Punto, ultima evoluzione di un
concetto d’auto che ha le sue radici nella “600” di Dante Giacosa.
CRESCITA DEL VALORE
In passato Punto è stata l’auto più venduta d’Europa, ora è un prodotto onesto che costa fino a
13/14 mila euro. Sotto gli stessi capannoni, scorre la produzione dei due nuovi Suv: un altro film.
Non solo perché i nuovi prodotti costano fra i 20 e i 30 mila euro, e dunque garantiscono un valore
aggiunto molto superiore a quello della Punto, ma perché hanno un mercato diverso. Se la Punto
si rivolge ai 500 milioni di europei, Renegade e 500X guardano a tre miliardi di consumatori, dagli
americani agli indonesiani.
E qui siamo alla seconda partita: i sei mila di Melfi sono avviati su un sentiero nuovo e stretto
come quello del riposizionamento del concetto stesso di auto italiana. A ben vedere nell’incrocio
di Melfi l’industria automobilistica italiana passa dall’assemblaggio di auto “semplici” (che assieme
a tanti altri errori hanno portato l’Italia a produrre meno di 400 mila auto l’anno, cioè meno
dell’Iran), alla produzione di “beni” molto più complessi. Melfi insomma fa da palestra per il lancio
delle future Alfa Romeo che dovranno essere vetture di qualità assoluta per giocarsela con le
premium tedesche.
E allora il successo della Renegade e della 500X (e di conseguenza del nuovo profilo dell’auto
italiana) non può essere (solo) questione di marketing. Ci vuole sostanza. Ci vogliono fabbriche che
funzionino come orologi svizzeri. Ci vogliono operai qualificati e motivati. È in grado il sistema
Italia, così scombiccherato, di “produrre” fabbriche come quelle della Volkswagen? E i 5.941
operai della piccola Lucania sono all’altezza dei loro colleghi giapponesi? Queste domande sono il
vero muro del suono che Melfi è chiamata ad infrangere.
Così ognuna delle quasi 300.000 Renegade e 500X “made in Lucania” che, a regime, saranno
prodotte ogni anno, dovrà essere fatta con una qualità tale da testimoniare ai consumatori paradossalmente a partire da quelli italiani - che l’Italia non è capace di progettare e produrre solo
beni belli ma “leggeri” come scarpe, abiti e mobili, ma anche prodotti di pesante complessità come
le auto 2.0. E non in lotti artigianali come le Ferrari ma con la quantità e la qualità di massa che
solo fabbriche con la ”F” maiuscola possono garantire.
In altre parole, Melfi può essere la prova generale di una terza sfida strategica: la
reindustrializzazione dell’Italia. Oggi la fabbrica è tornata di moda in tutto il mondo, a partire
dall’America di Obama dove la manifattura ha creato 700 mila posti di lavoro (buoni e fissi) dopo
vent’anni di continua distruzione di occupazione industriale. E il ritorno alla fabbrica è un potente
assist per un Paese manifatturiero come l’Italia. A patto però di capire che la fabbrica di oggi non è
più quella del Novecento, non è più una caserma.
OPERAI PROTAGONISTI
Melfi, in questo, non parte da zero. Altri plant d’auto ”made in Italy” come Pomigliano (premiato
come miglior stabilimento europeo dalla rivista tedesca Autoproduktion) e Grugliasco (Maserati)
sono stati riprogettati dalle fondamenta. Sono belle fabbriche: non solo robot ma spazi luminosi,
docce come si deve, lavoro ben organizzato. E dentro Melfi cosa sta succedendo? Le novità
meriterebbero un libro ma qui accenniamo alla più importante: le linee produttive della fabbrica
lucana sono le prime in Italia ad essere state progettate assieme da ingegneri e operai e quindi
sono più produttive. Non solo. Il Quotidiano della Basilicata, giorni fa, ha intervistato il direttore
dello stabilimento, l’ingegner Sebastiano Garofalo: «Gli operai lucani si sentono attori-protagonisti
delle sfide che lo stabilimento deve affrontare - ha detto - Tutti siamo consapevoli che dobbiamo
offrire un prodotto di qualità e che, per essere all’altezza, dobbiamo amare il prodotto e sentirci
impegnati a perfezionarlo ogni giorno». Un messaggio pieno di passione. Questo è il vero valore
aggiunto della fabbrica di Melfi, mille chilometri a Sud dalla Mirafiori dei nostri ricordi.
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