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SENTENZE TAR SARDEGNA 2014
GENNAIO-GIUGNO
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GOVERNO DEL TERRITORIO
TAR SARDEGNA SENT N 1 DEL 7/1/2014 .Pianificazione urbanistica. Zonizzazione. Motivazione. Le scelte
di “zonizzazione urbanistica” sono oggetto di un’amplissima discrezionalità del Comune, rispetto alla quale
le posizioni dei privati coinvolti sono necessariamente recessive, per cui dette scelte neppure necessitano di
motivazione specifica, tranne ipotesi del tutto eccezionali, in cui il privato possa vantare situazioni
soggettive di “aspettativa qualificata”, come nel caso in cui la zona sia già stata interessata da piani o
progetti di lottizzazione approvati, con cui l’Amministrazione si era già formalmente “impegnata” ed il cui
mutamento necessita di specifica motivazione (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 06 maggio 2013, n.
2443).
TAR SARDEGNA SENT N 12 DEL 8/1/2014 .Edilizia. Art 1 l n 13/1989. Concetto di “autonomo livello fuori
terra”. 1. Il ricorso in questione concerne l’annullamento di un diniego al permesso a costruire .
Il ricorso si fonda principalmente sull’assunto che il piano seminterrato costituirebbe una struttura edilizia
a sé stante rispetto agli altri due livelli dell’edificio, essendo dotato di un ingresso autonomo dalla via
Messina (mentre agli altri due piani si accede solo dalla via Firenze), per cui quel piano non potrebbe essere
considerato un “autonomo livello fuori terra” ai sensi dell’art. 1 della legge n. 13/1989.
2. La difesa del Comune ribatte che le scale presenti sul lato via Firenze sono collegate ad una rampa da cui
si può ugualmente accedere al seminterrato, per cui lo stesso dovrebbe essere, invece, computato ai fini di
legge.
3. Il Collegio ha condiviso la tesi di parte ricorrente .Si osserva, in primo luogo, che l’art. 1 legge n. 13/1989
deve essere interpretato in base alla sua ratio, che è quella di assicurare (mediante ascensore) il facile
raggiungimento dei piani più alti degli edifici, laddove gli stessi superino i tre livelli fuori terra.
4. Ma se così è, su tale obiettivo non può concretamente incidere la presenza di un piano seminterrato che
si sviluppa in modo sostanzialmente autonomo rispetto agli altri appartamenti, tanto da essere dotato di
ingresso autonomo e da non comportare, in ogni caso, un “aumento del numero dei gradini” per l’accesso
ai livelli più alti. Difatti, quanto meno per ciò che emerge dagli atti di causa (non avendo la difesa comunale
controdedotto sul punto), il raggiungimento dei piani superiori non è in questo caso influenzato dalla
presenza del seminterrato, che si sviluppa in gran parte sotto terra e in una “direzione diversa” rispetto agli
altri piani, per cui lo stesso non può essere ragionevolmente “conteggiato” ai sensi e per gli effetti dell’art.
1, comma 3, lett. d), della legge n. 1/1989.
TAR SARDEGNA SENT N 17 DEL 11/1/2014 Edilizia. Condono edilizio. Silenzio assenso, Data ultimazione
opere. Dichiarazione infedele. Prova. 1. Il silenzio assenso previsto dall'art. 35, l. n. 47 del 1985 non si
forma per il solo fatto dell'inutile decorso del termine indicato da tale norma (24 mesi dalla presentazione
dell'istanza) e del pagamento dell'oblazione, senza alcuna risposta del Comune, ma occorre altresì la prova
della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dagli art. 31 ss., stessa legge, cui è subordinata
l'ammissibilità del condono: tra questi, ex art. 40 comma 1, l. n. 47 del 1985, che la domanda, per la
rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, non sia dolosamente infedele.
Al riguardo la Sezione ha evidenziato che "l'inesatta volontaria rappresentazione della realtà contenuta
nell'istanza di concessione in sanatoria su un presupposto essenziale (nella specie data di realizzazione
dell'abuso) integra gli estremi della domanda dolosamente infedele, che, ai sensi dell'art. 40 L. 28 febbraio
1985, n. 47, impedisce il formarsi del c.d. silenzio assenso previsto dall'art. 35 comma 18 della stessa L. 28
febbraio 1985, n. 47, e comporta altresì il non accoglimento della domanda medesima." (TAR Sardegna,
Sez. II, 28.5.2010 n. 1386).
2. Non essendosi formato il silenzio assenso, attesa l’infedele dichiarazione sulla data di realizzazione
dell’abuso,Il Collegio ha ritenuto che correttamente l’Amministrazione ha respinto la domanda di condono
edilizio..
3.Difatti non è stata considerata meritevole di accoglimento neppure la seconda censura dedotta con il
primo ricorso, laddove si osserva che l’elemento ostativo al condono individuato dal Comune (realizzazione
delle opere abusive dopo il termine ultimo del 31 marzo 2003) non sarebbe fondato su elementi probatori
sufficienti.
3.1 La circostanza richiamata del Comune trova piena conferma nella foto aerea prodotta dalla sua difesa
quale doc. 14 allegato al primo ricorso, realizzata “nel periodo tra il 13 e il 26 aprile 2003” (cfr., al riguardo,
il doc. 12), da cui si evince che le opere abusive non erano all’epoca state realizzate, come conferma il
confronto tra quella foto aerea e l’altra prodotta sub 13, risalente al 2007, ove le opere abusivamente
aggiunte si possono, invece, scorgere con assoluta chiarezza. 3.2 Né assume rilievo in senso opposto la
sentenza penale di estinzione del reato (26 novembre 2008, n. 2415, del Tribunale di Cagliari) già ottenuta
dalla ricorrente in relazione alle stesse opere per cui ora si discute, giacché tale pronunciato non assume in
questa sede forza di giudicato.
TAR SARDEGNA SENT N 42 DEL 15/1/2014.Edilizia. Accertamento di compatibilità paesaggistica.
Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento. L’adempimento di cui all'art. 10 bis, L. 7/8/1990 n.
241, non può ridursi a mero rituale formalistico, con la conseguenza, nella prospettiva del buon andamento
dell'azione amministrativa, che il privato non può limitarsi a denunciare la mancata comunicazione del
preavviso di rigetto, ma è anche tenuto ad allegare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in
fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (cfr. T.A.R.
Sardegna, Sez. II, 12/12/2013 n. 874; Cons. Stato, Sez. IV, 20/2/2013 n. 1056; T.A.R. Liguria, Sez. II,
31/10/2013 n. 1285).
TAR SARDEGNA SENT N 42 DEL 15/1/2014. Edilizia. Diniego Condono edilizio. Data ultimazione delle
opere. Eccesso di potere. Avvio del procedimento. Ordinanza di demolizione. Motivazione. 1.Per pacifica
giurisprudenza, anche di questa Sezione, incombe sul colui che richiede il condono l’onere di fornire la
rigorosa prova che le opere da sanare sono state ultimate entro la data prescritta dalla legge (cfr. T.A.R.
Sardegna, Sez. II, 2/4/2013 n. 261 e 18/9/2007 n. 1753; Cons. Stato, Sez. IV, 23/1/2013 n. 414; 8/1/2013 n.
39 e 13/1/2010 n. 45).
Nella fattispecie, però, il ricorrente non ha fornito, nemmeno in giudizio, la suddetta prova e ciò, a giudizio
del Collegio, implica il rigetto del mezzo di gravame.
2. Tenuto conto che sotto il profilo esaminato l’impugnato diniego di condono non presenta margini di
discrezionalità, atteso che per legge possono ottenere il titolo abilitativo postumo solo le opere ultimate
entro la data del 31/3/2003, con la conseguenza che tutte quelle realizzate successivamente sono
tassativamente escluse dalla sanatoria, devono considerarsi inammissibili tutte le diverse censure di
eccesso di potere prospettate in relazione al rilievo in questione.
3. Gli atti di repressione degli abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata (essendo dovuti
in assenza di titolo per l'avvenuta trasformazione del territorio), con la conseguenza che, ai fini della loro
adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario e quindi non devono essere
necessariamente preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento (T.A.R. Sardegna, Sez. II,
23/7/2012 n. 747; Cons. Stato, Sez. VI, 5/8/2013 n. 4075 e 24/5/2013 n. 2873; T.A.R. Campania – Napoli,
Sez. II, 22/11/2013 n. 5317).
4. L’ordinanza di demolizione, poi, è provvedimento che trova la sua unica e sufficiente giustificazione nel
denegato condono edilizio, con la conseguenza che il riferimento in essa contenuto all’asserita esistenza di
un vincolo paesaggistico sull’area oggetto dell’intervento abusivo è del tutto irrilevante ai fini della sua
legittimità. Avendo natura vincolata, non sono, inoltre, configurabili, riguardo ad essa, vizi di carenza di
istruttoria e difetto di motivazione.
Nemmeno la censura rivolta nei soli confronti della detta ordinanza può essere accolta.
Come più sopra rilevato quest’ultima trova la propria esclusiva ragion d’essere, nell’intervenuto diniego di
condono edilizio, per cui non occorre che essa indichi le norme che precluderebbero il mantenimento delle
opere a cui si riferisce. Del resto è lo stesso interessato che, attraverso la proposizione della domanda di
condono, riconosce che le opere realizzate sono abusive.
TAR SARDEGNA SENT N 76 DEL 21/1/2014.Edilizia. Concessione edilizia, Condizione. 1. Il Collegio osserva
anzitutto, in termini generali, che le concessioni edilizie (anche quelle rilasciate in sanatoria) non sono
revocabili e che esse possono essere annullate solo per motivi di legittimità, previa valutazione
dell’interesse pubblico in comparazione con gli interessi coinvolti.
Inoltre, come pure pacifico, le medesime concessioni possono essere dichiarate decadute per inattività
(mancato inizio dei lavori nel termine di un ano o mancato completamento degli stesse in tre anni, salvo
proroghe), ma si tratta, in tal caso, di un potere diverso che non attiene alla legittimità della concessione
ma al venir meno della sua efficacia per scadenza del termine fissato ex lege (art. 15 D.P.R. 6 giugno 2001 n.
380).
2. Ne consegue che le c.d. condizioni apposte alle concessioni non possono consistere in comportamenti
risolutivi dei titoli concessori perché il loro rilascio non può essere fatto dipendere né a priori né a
posteriori da fatti imputabili al concessionario o da adempimenti successivi al rilascio, comunque qualificati.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che sia illegittima l'apposizione di una condizione, non importa se
sospensiva o risolutiva, alla concessione edilizia, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, stante la
natura d'accertamento costitutivo a carattere non negoziale di detto provvedimento (cfr. C.d.S. sez. 5^, 24
marzo 2001 n. 1702).
3. Ne consegue, quindi, in un’ottica di interpretazione conservativa degli atti amministrativi, che
quantunque nella prassi molte concessioni vengano emesse in forma c.d. condizionata, si deve ritenere che
queste non siano vere condizioni ma, piuttosto, prescrizioni che ne condizionano (non la legittimità) ma
l’esercizio e che, dunque, la loro inosservanza può determinare sanzioni (quali ad esempio la sospensione
dei lavori), ma non l’illegittimità ab origine della concessione oppure il venir meno dei presupposti
essenziali per il suo rilascio e, dunque, la sua caducazione a titolo sanzionatorio.
TAR SARDEGNA SENT N 77 DEL 22/1/2014. Edilizia. Decadenza per inattività. Natura recettizia della
concessione edilizia. Sospensione termine di un anno per inizio lavori. 1 Nella disciplina in vigore a livello
nazionale, viene in esame l’art. 15 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, a norma del quale:
“1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di
ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori.
Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza venga richiesta una proroga”.
2. Tale disposizione pare recare una espressa ed esplicita decorrenza del termine “dal rilascio del titolo”
che, nella lettura della giurisprudenza più recente richiamata dal Comune resistente, non consente di
conferire rilevanza alla comunicazione del titolo agli interessati.
A tale proposito si osserva, infatti, che, secondo alcune pronunce giurisprudenziali, a norma dell’art. 31
della l. 17 agosto 1942, nr. 1150, la decorrenza dei termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del
provvedimento concessorio, mentre nel vigore della disciplina attuale (art. 15, comma 2 del DPR 380/2001),
si fa più frequentemente riferimento alla data di “rilascio” del titolo.
3. Non mancano, comunque, nella giurisprudenza amministrativa, pronunce secondo le quali la
concessione edilizia è un provvedimento “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati
(Consiglio di Stato, V, 27 settembre 1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte, Torino, II, 04 novembre 2008,
nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01 settembre 2006, nr. 3166).
Quest’ultimo ordine di principi è dominante nella dottrina specialistica, che, tra le voci più autorevoli, ha
evidenziato che la natura del problema dipende dall’interesse tutelato: se si considera che il termine di
inizio dei lavori tuteli l’interesse pubblico alla celere esecuzione dei lavori, al fine di non permettere che essi
avvengano, rispetto a quello preso in esame al momento del rilascio del titolo, in un contesto urbanistico
modificatosi per effetto del trascorrere del tempo, la decorrenza dell’anno per l’inizio dei lavori inizia dalla
data del titolo.
Se, invece, si considera il termine come posto a tutela dell’interesse del privato al fine di consentirgli di
predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, decorre dalla data di consegna dell’atto.
4. Attesa la natura sanzionatoria del termine, il Collegio ritiene preferibile quest’ultima tesi.
La norma previgente, confluita nell’art. 15 del DPR in esame, ossia l’art. 4 L. n. 10/1977, prevedeva che
“nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l’inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere
abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, ….omississ”.
Come detto, la disposizione oggi in vigore è chiara nel fissare, quale termine a quo la data di “rilascio” del
titolo, a differenza della disposizione di cui all’art. 4 che, invece, fissava solo una espressa disciplina del
termine finale.
4.1 Tuttavia, il termine “rilascio” non appare univoco, in prima lettura, perché può sostanzialmente
significare (da un punto di vista semantico) sia “emanazione”, sia “consegna”, con ovvie diverse
conseguenze ai fini della decorrenza degli effetti.
Tra le due possibili significazioni, la seconda appare sicuramente più rispondente al lessico del legislatore,
se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione”
dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di
adozione” o, più semplicemente “adozione”.
4.2 Tra l’altro, in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dall’istanza di parte, il termine
“rilascio” non può non equivalere a consegna perché l’interesse della parte è di natura pretensiva, ossia
attiene alla acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può derivargli solo da
una decisione formale dell’amministrazione, e nessuna formalità avrebbe senso se fosse disgiunta da una
successiva comunicazione materiale del documento.
In conclusione deve quindi ritenersi che il termine di un anno per l’inizio dei lavori ha avuto inizio con
l’inserimento del provvedimento n. 42/2012 nell’apposito portale (1° marzo 2012), inserimento del quale la
ricorrente è stata tempestivamente notiziata via PEC (vedi produzione in data odierna della difesa
comunale
5. Se anche l’istituto giuridico della decadenza della concessione edilizia, per mancato inizio o
completamento dei lavori entro il termine di cui all’art. l’art. 15 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e dell’art. 6.6
del Regolamento edilizio comunale, assume carattere oggettivo perché si fonda sul mero decorso del
tempo previsto, vi fanno tuttavia eccezione i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis,
forza maggiore o ad altre cause espressamente contemplate dalla legge, non riferibili alla condotta del
titolare della concessione e assolutamente ostative ai lavori, le quali producono l’effetto di prolungare
automaticamente il tempo massimo stabilito per l’esecuzione delle opere.
Pertanto, ai fini della dichiarazione di decadenza del provvedimento non deve essere computato il periodo
di tempo in cui, ad esempio, un atto inibitorio della stessa Amministrazione comunale o di altra autorità
(nella specie il Consorzio del Comprensorio di Porto Rotondo) ha temporaneamente reso inefficace il titolo
abilitativo
TAR SARDEGNA SENT N 93 DEL 03/02/2014. Edilizia. Lottizzazione abusiva. Prova della destinazione a
scopo edificatorio. Miglioramento fondiario e conduzione dell’attività agricola . 1. L'articolo 30 del T.U.
sull'edilizia - che riproduce le disposizioni contenute nell’articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 -
distingue due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio. La prima, cd. lottizzazione
materiale o reale, ricorre "quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od
edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o
comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione". La seconda, cd.
formale, negoziale ovvero cartolare, si delinea "quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il
frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la
dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il
numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti
agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio".
Il bene giuridico protetto dalla predetta norma è, dunque, non solo l'ordinata pianificazione urbanistica, ma
anche (e soprattutto) l'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione
di pianificazione (cioè il Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche,
con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio non previamente
assentito.
Al riguardo la giurisprudenza ha precisato che se è vero che in tema di lottizzazione abusiva per mezzo di
frazionamento e vendita di terreno l'accertamento della fattispecie implica la ricostruzione di un quadro
indiziario sulla scorta degli elementi suindicati, dalla quale sia possibile desumere in maniera non equivoca
"la destinazione a scopo edificatorio" degli atti posti in essere dalle parti (Consiglio di Stato, Sezione V, 20
ottobre 2004, n. 6810), d'altra parte non è necessario che sia dimostrata l'esistenza di tutti gli indici
rilevatori indicati nella citata norma, ma è sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche da un solo
indizio (Consiglio di Stato, Sezione V, 14 maggio 2004, n. 3136 e 2 dicembre 2008, n.5930).
Non è necessario, dunque, che gli elementi indicati nella disposizione richiamata siano tutti presenti in
concorso tra di loro, essendo sufficiente ad attivare la soglia di tutela anticipata del bene protetto garantita
dalla norma in questione che lo scopo edificatorio emerga in modo non equivoco da uno o più indizi, anche
diversi da quelli che si rinvengono nell'elencazione non tassativa del medesimo articolo.
Costituiscono, quindi, lottizzazione abusiva i casi di alienazione e frazionamento di lotti in cui traspaiano
elementi di per sé rivelatori della utilizzabilità del terreno (per le oggettive modalità di frazionamento e per
la contiguità ad assi viari di collegamento e ad insediamenti abitativi preesistenti) per finalità edificatorie,
non richiedendosi, quindi, alcuna ulteriore attività accertativa da parte del Comune circa la sussistenza
(peraltro assai difficilmente dimostrabile) di un intento soggettivo edificatorio.
Ed infatti la lottizzazione c.d. cartolare prescinde dalla prova di qualsiasi intento di lottizzare abusivamente
e rileva, invece, obiettivamente, per il solo fatto del frazionamento e della vendita in lotti di un'area, purché
questi lotti per le loro dimensioni, per la natura del terreno, per il numero, per la eventuale previsione di
opere di urbanizzazione e in rapporto ad altri elementi riferiti agli acquirenti evidenzino, in modo non
equivoco, la destinazione a scopo edificatorio degli stessi (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 ottobre 2006, n.
6060).
Il mero rispetto dei parametri urbanistici necessari per l’edificazione in zone agricole, come determinati in
base agli strumenti vigenti, non è di per sé sufficiente a legittimare l’intervento proposto ove il pericolo,
paventato dall’amministrazione, della realizzazione di una lottizzazione abusiva, risulti comunque accertato
attraverso una serie inequivoca di indici presuntivi concernenti il più ampio compendio nel quale il lotto si
inserisce.
2. A giudizio del Collegio non si rivela convincente neppure l’argomento della ricorrente secondo il quale la
costruzione della casa si configurerebbe quale inscindibile completamento del progetto di miglioramento
fondiario assentito dal Comune di Olbia e già realizzato a fin dal 2006.
L’art. 13 bis della legge regionale n. 4/2009, stabilisce, per quanto qui rileva:
“La Regione riconosce meritevole di tutela il paesaggio rurale e persegue il primario obiettivo di
salvaguardarlo, di preservarne l'identità e le peculiarità, introduce norme volte al conseguimento di tali
finalità ed individua misure volte a contrastare…il fenomeno del frazionamento delle aree agricole
finalizzato all'edificazione, in particolare nella fascia costiera e nelle aree periurbane.
2. Al fine di consentire un corretto e razionale utilizzo del territorio agricolo che miri a contemperare
l'esigenza di salvaguardia delle aree agricole da un improprio sfruttamento e l'esigenza di avvalersi di
infrastrutture e fabbricati adeguati per l'esercizio dell'attività agricola e delle altre attività connesse alla
conduzione del fondo, nelle aree agricole si applicano le disposizioni del D.P.G.R. 3 agosto 1994, n. 228
(Direttive per le zone agricole).
3. Negli ambiti costieri individuati dal Piano paesaggistico regionale, la superficie minima di intervento è
fissata in un ettaro incrementabile con apposita deliberazione del consiglio comunale fino ad un massimo di
tre ettari, fermo restando che le possibilità edificatorie delle aree agricole sono subordinate alla effettiva
connessione funzionale tra l'edificazione e la conduzione agricola e zootecnica del fondo e che devono, per
quanto possibile, essere privilegiati gli interventi che assicurino il recupero del patrimonio edilizio esistente.
L'indice massimo di fabbricabilità per le nuove residenze è pari a 0,03 mc/mq per il primo ettaro, da ridurre
del 50 per cento per il secondo e del 75 per cento per i successivi...”.
Con delibera della G.R. n. 20/29 del 15 maggio 2012 la Regione Sardegna ha altresì precisato che le direttive
per le zone agricole di cui al D.P.G.R. 3 agosto 1994, n. 228, richiamate, in questo particolare aspetto, con
forza di legge dal comma 2 dell’articolo 13 bis, stabiliscono che gli edifici per la residenza nelle aree agricole
devono essere connessi, non già alla generica attività agricola e zootecnica da svolgere sul fondo, ma alla
diretta conduzione di tale attività agricola e zootecnica da parte di colui che richiede la realizzazione di tali
edifici, indipendentemente da qualificazioni soggettive come imprenditore agricolo o coltivatore diretto.
Come già precisato nell’ordinanza n. 68/2013 di reiezione dell’istanza cautelare, l’edificazione delle aree
agricole è dunque subordinata alla effettiva e concreta connessione funzionale tra l'edificazione stessa la
conduzione agricola e zootecnica del fondo, circostanza del tutto indimostrata nel caso di specie.
Una cosa, infatti, sono le opere di miglioramento fondiario, consistenti in qualsiasi investimento stabile e
duraturo di capitali e lavoro effettuato sul terreno con lo scopo di aumentarne il valore.
Altra cosa è la diretta conduzione di un’attività agricola e zootecnica, fattispecie non riconducibile al mero
impianto di uliveti e alla “destinazione” di 3500 mq di terreno alla coltivazione di ortaggi.
TAR SARDEGNA SENT N 109 DEL 05/02/2014. Edilizia. Art 5 l.r n 4/2009. Inammissibilità istanza per
interventi in zona “A” con piano adottato. 1. L’art. 5 della L.R. n. 4/2009, dopo aver disciplinato, nei primi 5
commi, la possibilità di realizzare interventi di demolizione e ricostruzione di edifici, con incremento di
volumetria, dispone, al sesto comma: “Le previsioni di cui al presente articolo non si applicano agli edifici
compresi nella zona urbanistica omogenea A, come individuata negli strumenti urbanistici comunali, ad
eccezione di quelli aventi meno di cinquant'anni in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del
contesto e fermo restando che gli stessi devono risultare ultimati alla data del 31 dicembre 1989. Tale
contrasto è espressamente dichiarato con deliberazione del consiglio comunale del comune competente. In
assenza di tale deliberazione le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle zone urbanistiche
omogenee A”.
1.1 Nell’escludere l’applicazione delle disposizioni del citato articolo agli edifici compresi nella zona A, come
individuata negli strumenti urbanistici comunali, il comma 6, fa generico riferimento ai detti strumenti,
senza distinguere tra approvati o soltanto adottati, così da includere sia gli uni che gli altri.
1.2 In presenza di strumenti soltanto adottati, pertanto, troverà applicazione l’art. 20, comma 7, della L.R.
22/12/1989 n. 45, in base al quale: “Dalla data di adozione del piano di cui al comma 1 si applicano le
norme di salvaguardia di cui all'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.
380”.
La prospettata soluzione non è smentita dalla norma di cui all’art. 8, comma 5 ter, della medesima L. R. n.
4/2009, che ammette gli interventi ivi contemplati, tra cui quelli di cui al precedente art. 5, anche se in
contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, in quanto, per l’appunto, il suddetto art. 5
non opera in zona A.
2. Il Collegio ritiene ininfluente ai fini di causa, la disposizione contenuta nell’art. 9 della L.R. n. 21/2011.
Quest’ultima nel far “salve le richieste di titoli abilitativi di cui alla legge regionale n. 4 del 2009, prorogata
dalla legge regionale 20 aprile 2011, n. 11 … già presentate alla data di entrata in vigore della presente
legge”, si limita a disporre la conservazione degli effetti delle dette domande, anche laddove,
eventualmente, proposte oltre i termini stabiliti dall’originaria L.R. n. 4/2009, senza alterare il quadro
normativo alla stregua del quale le stesse possono trovare accoglimento
TAR SARDEGNA SENT N 122 DEL 12/02/2014. Edilizia. D.I.A. Termine potere interdittivo. Autotutela.
Motivazione. Art. 2, comma 2, n. 3, della l.r. n. 4/2009. Limite della modifica dei fili più esterni delle
facciate prospicienti spazi pubblici. A giudizio del Collegio in primo luogo merita accoglimento il primo
motivo di ricorso -che fa leva sulla tardività dell’intervento interdittivo del Comune, in quanto:
- la normativa vigente (artt. 2 e 10 della l.r. n. 4/2009 e art. 23 del d.p.r. n. 380/2001) prevede -e su questo
concordano entrambe le difese- che dopo la presentazione della denuncia di inizio attività debbano
decorrere 30 giorni prima che l’interessato possa iniziare i relativi lavori;
- allo stesso modo l’eventuale intervento interdittivo del Comune, finalizzato a impedire il perfezionamento
della denuncia di inizio attività, deve intervenire prima della scadenza di quel medesimo termine, al fine di
prevenire in radice la realizzazione di “opere inutili” (perché non conformi alla normativa vigente) e così da
assicurare la funzione propria della d.i.a., cioè la concreta “accelerazione del procedimento”, che
risulterebbe del tutto frustrata ove si consentisse all’Amministrazione di bloccare gli effetti della stessa
d.i.a. anche dopo molto tempo la sua presentazione (fermo restando che tali effetti neppure si producono
in caso di radicale assenza o falsità di uno degli elementi fondamentali della denuncia, ma non è questo ciò
che si verifica nel caso in esame); tale impostazione, pienamente condivisa dal Collegio, è del tutto
prevalente in giurisprudenza, anche a prescindere dalla complessa e tuttora discussa questione relativa alla
natura “provvedimentale implicita” o meno della d.i.a. (cfr. ex multis, Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, n. 15/2011);
- va poi ulteriormente precisato che l’atto interdittivo del Comune, che per ovvi motivi è di natura
recettizia, deve essere (non solo adottato, ma anche) notificato entro il sopra descritto termine di 30 giorni,
mentre nel caso di specie, a fronte di una denuncia di inizio attività depositata presso gli uffici comunali in
data 8 marzo 2013, i lavori sono stati avviati il 10 aprile 2013 e l’atto interdittivo del Comune è stato
notificato solo in data 15 aprile 2013, quindi oltre 30 giorni dal deposito della d.i.a., per cui il suddetto atto
impugnato è illegittimo perché i suoi effetti sono intervenuti (a seguito della notifica) quando il suddetto
termine era ormai scaduto.
b) Ugualmente per il Collegio merita accoglimento la terza censura -incentrata sul difetto di motivazioneper le ragioni seguenti:
- una volta decorso il sopra descritto termine di 30 giorni, il Comune mantiene un potere di intervento, che
va però correttamente inquadrato (non già tra i poteri interdittivi, bensì) nell’ambito dell’attività di
autotutela amministrativa, disciplinata in via generale dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, secondo
cui è possibile modificare anche una situazione giuridica già consolidatasi solo in presenza di precisi
presupposti;
- in particolare, come in tutte le ipotesi di autotutela, l’impugnata decisione dell’Amministrazione di
bloccare i lavori oltre il termine di 30 giorni -ribaltando una situazione già perfezionatasi e produttiva di
legittimo affidamento in capo al privato interessato- deve essere accompagnata da una precisa motivazione
in ordine all’interesse pubblico che giustifica questo “cambio di linea”, la quale non può risolversi nel
semplice richiamo alla norma urbanistico/edilizia asseritamente violata, dovendo l’Amministrazione,
viceversa, illustrare gli elementi (legati alle specificità del caso) dai quali desume che l’intervento proposto
sia in grado di “ledere concretamente” gli interessi sostanziali protetti dalla normativa urbanistica violata;
- viceversa, nel caso in esame, il Comune si è limitato a indicare un aspetto di possibile contrasto con la
normativa sul piano casa (superamento dei “fili esterni” dell’edificio), ma non ha precisato per quali ragioni
sostanziali ciò possa arrecare in concreto pregiudizio al contesto edilizio di riferimento, per cui l’atto
impugnato non presenta, neppure nella sostanza, i presupposti richiesti in sede di autotutela e anche per
questo deve essere annullato.
c) Infine Il Collegio ritiene che vada accolta anche la quarta censura, con cui la ricorrente sostiene la
conformità a legge dell’intervento proposto, per le ragioni che si passa ad esporre:
- l’art. 2, comma 2, n. 3, della l.r. n. 4/2009 prevede che l’ampliamento volumetrico dei singoli piani di un
edificio possa avvenire a condizione “che non vengano modificati i fili più esterni delle facciate prospicienti
spazi pubblici”;
- il Comune resistente intende questo limite di legge come riferito alla sagoma dell’edificio disegnata dalle
sole superfici coperte dello stesso, senza, cioè, che si possano considerare anche balconi o altri elementi
che aggettino verso l’esterno più delle parti chiuse del fabbricato;
- tale interpretazione non è, però condivisibile, sia perché contrasta con il sopra richiamato tenore testuale
della norma, che fa riferimento genericamente ai “fili più esterni delle facciate”, espressione che per la sua
genericità si presta a tenere conto anche dei balconi e degli altri aggetti, sia perché, nell’eventuale dubbio
interpretativo, non si vede quali concreti obiettivi di “qualità architettonica” (o di altro genere) potrebbero
aver spinto il legislatore regionale a dettare una prescrizione così automaticamente restrittiva;
- si precisa, al riguardo, che -oltre al limite dei cd. “fili esterni”- lo stesso art. 2, comma 2, n. 3, della l.r. n.
4/2004 attribuisce al Comune un più generale potere di valutazione in ordine al fatto “che l’intervento si
armonizzi con il disegno architettonico complessivo dell’edificio, nonché relativa al “coerente inserimento
dell’ampliamento nel contesto architettonico dell’edificio”, per cui l’Amministrazione dispone, comunque,
di un efficace strumento per inibire interventi edilizi “inadeguati” sotto questo profilo, fermo restando che
anche questa valutazione, nel caso di specie assente, avrebbe dovuto essere espressa entro 30 giorni dalla
notifica della d.i.a. e con motivazione precisa in ordine alle concrete ragioni di “estraneità” e disarmonia
dell’intervento rispetto al contesto edilizio di riferimento.
Infine non merita accoglimento la domanda di risarcimento del danno proposta dalla ricorrente, in quanto
formulata in modo del tutto generico e senza fornire alcun elemento concreto di prova e quantificazione
del danno lamentato.
TAR SARDEGNA SENT N 124 DEL 12/02/2014. Edilizia. Autorizzazione paesaggistica. Condizioni. 1. Il
Collegio ha giudicato assorbente, il rilievo relativo alla totale estraneità rispetto al procedimento di rinnovo
dell’autorizzazione paesaggistica delle contestate condizioni, in particolare che “1) Venga garantito il diritto
di libero accesso al mare sia pedonale che veicolare, in ogni momento della giornata”, “2) Venga
predisposta opportuna cartellonistica recante la dicitura “Accesso al mere libero e garantito - parcheggio a
pagamento” e che “5) il box, le sbarre e tutti quegli ostacoli che possano costituire impedimento al libero
accesso e godimento delle spiagge di Brandinchi e Lu Impostu vengano rimossi entro il 15/11/2013”,
giacché anche dette condizioni vengono riferite esclusivamente ad un’esigenza di “viabilità” e “accesso alla
spiaggia”, che nulla ha a che vedere con l’interesse paesaggistico oggetto del provvedimento impugnato.
Fermo restando che la stessa Amministrazione ben potrebbe successivamente adottare nuovi
provvedimenti condizionanti l’autorizzazione paesaggistica -relativamente, ad esempio, al carattere
necessariamente precario (e quindi temporaneo) dei manufatti presenti in sito- purché tali prescrizioni, se
giustificate da esigenze paesaggistiche, vengano specificamente motivate in relazione ai corrispondenti
profili di interesse pubblico, invece che facendo riferimento a “problemi di viabilità ed accesso”, semmai
valutabili in differenti contesti procedimentali.
TAR SARDEGNA SENT N 171 DEL 19/02/2014. Edilizia. Autorizzazione paesaggistica. Partecipazione al
procedimento. Modifiche al progetto. Interventi di mitigazione. Opere realizzate nel sottosuolo.
Valutazione paesaggistica. Obbligo di conclusione del procedimento. Ai sensi dell’art. 5 della legge 7
agosto 1990 n. 241 La responsabilità dell’istruttoria procedimentale incombe sul responsabile del
procedimento che, ai sensi del successivo art. 6, “…b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento
degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In
particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o
incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali…”.
Rientra dunque nella discrezionalità del predetto responsabile l’individuazione e la delimitazione delle
attività istruttorie necessarie al fine del decidere, non potendosi pretendere, da parte dell’istante, né di
dilatare i tempi dell’istruttoria oltre quelli da quest’ultimo ritenuti necessari, introducendo reiteratamente
nuove richieste di incontri e di produzioni documentali, né, tanto meno, di pretendere, nella sostanza, da
parte dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, di addivenire ad un diretto
intervento sulla progettazione dell’opera sottoposta alla sua valutazione al fine di renderla assentibile.
Non è superfluo sul punto precisare che per la giurisprudenza prevalente la disciplina generale sulla
partecipazione nel procedimento amministrativo, contenuta nella legge n. 241 del 1990, non prevede
l'imprescindibile diritto alla discussione orale davanti all'Autorità che adotta la decisione conclusiva del
procedimento (cfr: Cons. Stato, Sez. III, n. 2241 del 22 aprile 2013; idem, n. 3136 del 28 maggio 2012).
Con il 5° motivo la ricorrente lamenta il fatto che malgrado la disponibilità ripetutamente manifestata in
sede istruttoria in ordine alla individuazione di opere di mitigazione da concordare con l’amministrazione,
quest’ultima, negandosi ad ogni ulteriore incontro in sede procedimentale, ha chiuso il procedimento con
l’atto negativo impugnato senza offrire alcun argomento contrario alle proposte della ricorrente.
A giudizio del Collegio neppure tale profilo di censura merita accoglimento.
Si è già detto, con riguardo alla precedente censura, della discrezionalità che connota l’attività istruttoria
del responsabile del procedimento, al quale la legge affida ogni valutazione in ordine all’adeguatezza e alla
sufficienza dei mezzi istruttori da esperire, restando confinati a livello di proposta e apporto collaborativo le
ulteriori istanze avanzate dalle parti private del procedimento che, peraltro, incontrano il loro limite
obiettivo non solo nella ragionevolezza e nella loro funzionalità rispetto al fine perseguito, ma anche nella
impossibilità di procrastinare sine die la durata del procedimento.
Ed è altrettanto pacifico che la motivazione dell’atto finale non implica la confutazione puntuale di tutte le
osservazioni svolte in sede istruttoria dagli interessati, essendo sufficiente che il provvedimento
amministrativo sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza comunque percepibile la ragione
del mancato accoglimento delle deduzioni difensive del privato.
Non può, invero, porsi in dubbio l'incisivo impatto ambientale del progetto elaborato dalla società istante
che prevede, oltre a consistenti opere di superficie, la realizzazione di un vani tecnici a supporto della
piscina, seppure interrati, con sbancamento anche dell’area dunale per 517 mq..
Ed invero, anche a prescindere dal rilievo che, allo stato, non risulta documentato che tutto l’apparato
piscina-locali tecnici - plancito in laterizio con gazebo-bar sia stato autorizzato paesaggisticamente nel 2005
(di tali interventi, infatti, non vi è traccia nella relazione tecnica allegata alle tavole progettuali, nelle quali,
peraltro, al di là non univoche rappresentazioni grafiche, manca una puntuale indicazione di tali opere), la
particolare delicatezza del sito da un lato, e l’ampiezza dello scavo e del conseguente sbancamento
dall’altro lato, hanno determinato una profonda modificazione del suolo e del sottosuolo.
In proposito lo stesso servizio tutela paesaggistica per le Province di Cagliari e Carbonia-Iglesias presso
l’Assessorato regionale EE.LL., Finanze e Urbanistica, con parere n. 32472 del 21 settembre 2010, precisava
che le opere realizzate in difformità hanno “…arrecato pregiudizio ai valori paesaggistici tutelati dal vincolo
per effetto degli scavi effettuati per la realizzazione degli spazi tecnici che hanno sottratto massa sabbiosa –
terrosa allo sviluppo dell’apparato radicale della vegetazione dunaria, caratterizzata da un ambiente
sensibile alle dinamiche morfoevolutive che rende non facile l’insediamento della vegetazione e la sua
stabilizzazione…”.
Va detto, come evidenziato dalla ricorrente, che tale parere, richiamato anche dal provvedimento
impugnato, malgrado il suo contenuto fortemente critico in ordine agli interventi realizzati, concludeva nel
senso di ritenerli “…sostenibili paesaggisticamente dal contesto interessato in quanto interrate e tali d non
richiedere l’applicazione della rimessa in pristino…”.
L’amministrazione statale preposta alla tutela del vincolo ha tuttavia disatteso tali conclusioni, ritenendole
non condivisibili “…in quanto è noto che l’interesse tutelato dalla norma non si riferisce solo all’aspetto
esteriore del paesaggio ma considera fondamentale l’intero complesso ambientale dell’area sottoposta a
tutela paesaggistica e devono quindi essere valutati anche gli effetti di opere non immediatamente
percepibili…”.
Il Collegio ha ritenuto corrette le argomentazioni della Direzione regionale del Ministero.
Come affermato dalla giurisprudenza, “non appare dubbio, invero, (che) alla luce dell’individuazione dei
beni paesaggistici contenuta ….(negli artt. 136 e segg. del d.lgs. n. 42 del 2004) con il termine paesaggio il
legislatore abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche
naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può
ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni
modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio
della prescritta autorizzazione” (Cass. Pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128).
Tale nozione ampia di paesaggio coincide, peraltro, con la definizione contenuta nella Convenzione europea
sul paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, secondo la
quale il termine paesaggio “designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (Cass.
Pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128).
Osserva il Collegio che dalla predetta definizione di paesaggio deriva che il vincolo ambientalepaesaggistico si palesa operante anche con riferimento alle opere realizzate nel sottosuolo, in quanto anche
queste ultime implicano una utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto, specie quando, come
nel caso in esame, si tratti di opere di rilevante entità (cfr: Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2007, n. 7292).
Quanto esposto risulta confermato, in primo luogo, dal contenuto dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, che
vieta l'esecuzione di lavori “di qualsiasi genere” su beni paesaggistici senza la necessaria autorizzazione o in
difformità da essa ed, in secondo luogo, dalla giurisprudenza che – da un lato - ha ritenuto che il divieto di
incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova
edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed
altro tipo di volume, siano essi interrati o meno (Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 1997, n. 102), e – dall’altro
– che il vigente art. 167, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004)
preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura
(anche ‘interrati’), pur quando ai fini urbanistici-edilizi non andrebbero ravvisati volumi in senso tecnico
(Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578).
Il quadro normativo sopra delineato ben sostiene, dunque, l’impugnata determinazione
dell’amministrazione intimata, anche avuto riguardo alla particolare ampiezza ed estensione dei lavori
interrati realizzati dalla ricorrente, che, si ricorda, pretende di qualificare volumi tecnici gli spazio realizzati
estesi, come detto, per 517 mq.
Di qui, pertanto, la reiezione della censura.
Non può, invero, porsi in dubbio l'incisivo impatto ambientale del progetto elaborato dalla società istante
che prevede, oltre a consistenti opere di superficie, la realizzazione di un vani tecnici a supporto della
piscina, seppure interrati, con sbancamento anche dell’area dunale per 517 mq..
Ed invero, anche a prescindere dal rilievo che, allo stato, non risulta documentato che tutto l’apparato
piscina-locali tecnici - plancito in laterizio con gazebo-bar sia stato autorizzato paesaggisticamente nel 2005
(di tali interventi, infatti, non vi è traccia nella relazione tecnica allegata alle tavole progettuali, nelle quali,
peraltro, al di là non univoche rappresentazioni grafiche, manca una puntuale indicazione di tali opere), la
particolare delicatezza del sito da un lato, e l’ampiezza dello scavo e del conseguente sbancamento
dall’altro lato, hanno determinato una profonda modificazione del suolo e del sottosuolo.
In proposito lo stesso servizio tutela paesaggistica per le Province di Cagliari e Carbonia-Iglesias presso
l’Assessorato regionale EE.LL., Finanze e Urbanistica, con parere n. 32472 del 21 settembre 2010, precisava
che le opere realizzate in difformità hanno “…arrecato pregiudizio ai valori paesaggistici tutelati dal vincolo
per effetto degli scavi effettuati per la realizzazione degli spazi tecnici che hanno sottratto massa sabbiosa –
terrosa allo sviluppo dell’apparato radicale della vegetazione dunaria, caratterizzata da un ambiente
sensibile alle dinamiche morfoevolutive che rende non facile l’insediamento della vegetazione e la sua
stabilizzazione…”.
Va detto, come evidenziato dalla ricorrente, che tale parere, richiamato anche dal provvedimento
impugnato, malgrado il suo contenuto fortemente critico in ordine agli interventi realizzati, concludeva nel
senso di ritenerli “…sostenibili paesaggisticamente dal contesto interessato in quanto interrate e tali d non
richiedere l’applicazione della rimessa in pristino…”.
L’amministrazione statale preposta alla tutela del vincolo ha tuttavia disatteso tali conclusioni, ritenendole
non condivisibili “…in quanto è noto che l’interesse tutelato dalla norma non si riferisce solo all’aspetto
esteriore del paesaggio ma considera fondamentale l’intero complesso ambientale dell’area sottoposta a
tutela paesaggistica e devono quindi essere valutati anche gli effetti di opere non immediatamente
percepibili…”.
Il Collegio ritiene quindi corrette le argomentazioni della Direzione regionale del Ministero.
L’ultima censura sub C (4° motivo), è proposta dalla ricorrente avverso il mancato pronunciamento
sull’istanza di arretramento della piscina a sfioro, giustificato dall’amministrazione intimata col rilievo che
tale determinazione inciderebbe su un contesto attualmente all’esame dell’Autorità giudiziaria.
Sotto questo profilo il Collegio ha ritenuto il ricorso fondato.
L’esistenza di dubbi sulla legittimità dei titoli in base ai quali la società ricorrente ha avviato e in gran parte
realizzato i lavori per cui è causa, e l’indagine su di essi in corso da parte dell’Autorità giudiziaria, non può
comunque esimere l’Amministrazione comunale dall’osservanza della disposizione, di cui all’art. 2 della
legge 7 agosto 1990 n. 241, che impone di concludere il procedimento amministrativo con un
provvedimento espresso.
L’eventuale sussistenza di vizi di precedenti provvedimenti amministrativi, cioè, può soltanto giustificare un
intervento in autotutela su di essi al fine di eliminare le eventuali illegittimità riscontrate, ma non può
giustificare decisioni soprassessorie o dilatorie dell’azione amministrativa.
Il motivo va pertanto accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato, nella parte in
cui sospende ogni determinazione in ordine all’istanza della società Le Palme srl di compatibilità
paesaggistica dell’arretramento della piscina a sfioro, fatti salvi naturalmente gli ulteriori provvedimenti di
competenza dell’Amministrazione comunale.
TAR SARDEGNA SENT N 185 DEL 28/02/2014.Edilizia. Valutazione di impatto ambientale. Discrezionalità
amministrativa. Limiti sindacabilità. Principio di precauzione.Risarcimento danni interessi legittimi
pretensivi. Giudizio prognostico. Valutazioni aleatorie .La giurisprudenza, anche di questa Sezione, è
consolidata nel senso di ritenere che la valutazione d'impatto ambientale non costituisce un mero giudizio
tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta
profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sul piano dell'apprezzamento degli interessi
pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'intervento proposto;
tale apprezzamento è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o
travisamento dei fatti, nel caso in cui l'istruttoria sia mancata, o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia
perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all'amministrazione (T.A.R.
Sardegna, sez. I, 10/04/2013, n. 291).
Se questa è la posizione della giurisprudenza, e scontata l’amplissima discrezionalità di cui gode
l’Amministrazione nella procedura di valutazione di impatto ambientale che, tra l’altro, consiste nel
valutare la compatibilità di localizzazione del progetto non in relazione alla mera tutela del paesaggio o del
patrimonio storico culturale, bensì in rapporto con tutti gli aspetti contrapposti legati alla tutela ambientale
in senso lato, dunque anche in relazione alla tutela della salute dell'uomo e della sua vita nell'ambiente in
cui vive ed opera, è altrettanto scontato che la motivazione del diniego non possa essere succinta o
consistere in mere formule di stile.
Nel caso qui all’esame del Collegio è evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto
all’Amministrazione, sia per la assoluta carenza di motivazione, sia per il generico riferimento al principio di
precauzione.
Da un lato, a fronte di una articolata istruttoria, terminata con pareri positivi all’avvio dell’intervento, la
Giunta regionale avrebbe dovuto dare conto in modo compiuto delle ragioni in base alla quali discostarsi
dalle risultanze della stessa.
Dall’altro, è evidente la genericità del riferimento al principio di precauzione per motivare il diniego alla
realizzazione del progetto.
Occorre ricordare che il principio di precauzione è un principio generale del diritto comunitario che fa
obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi
potenziali per la salute pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente.
Il richiamo al principio di precauzione come effettuato nel provvedimento impugnato è del tutto
inconferente.
Conclusivamente il Collegio ha ritenuto che sono pertanto fondate le censure dedotte dalla ricorrente
avverso l’atto impugnato che deve essere annullato.
2. In merito alla richiesta di risarcimento del danno Il Collegio rileva che il Consiglio di Stato, anche
recentemente ha ribadito che ai sensi dell'art. 2043 c.c., il danno è risarcibile soltanto in presenza di un
evento ingiusto, consistente nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento,
che fonda la sussistenza di una posizione soggettiva; deve inoltre trattarsi di un danno che presuppone la
titolarità di un interesse apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela, che
inerisce al contenuto stesso della posizione sostanziale e deve essere inoltre ricollegabile, con nesso di
causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato, e, nel caso in cui la posizione di interesse
legittimo appartenga alla species del cd. interesse pretensivo, deve concernere l'ingiusto diniego o la
ritardata emanazione di un provvedimento amministrativo richiesto (Consiglio di Stato, sez. IV, 01/07/2013,
n. 3533).
Nel caso che qui occupa il Collegio, in definitiva, è evidente che l'accertamento giudiziale dell'illegittimità
del giudizio negativo di compatibilità ambientale all’intervento proposto, non è sufficiente a fondare la
responsabilità dell'Amministrazione e, quindi, una domanda risarcitoria. Ciò perché, come già precisato,
qualificata in termini extracontrattuali la responsabilità della p.a., deve ritenersi che l'esercizio della
funzione amministrativa, per essere sanzionabile in sede risarcitoria, postuli non soltanto il previo
accertamento giurisdizionale della sua illegittimità, ma anche la prova che, se correttamente esercitata,
essa avrebbe avuto esito favorevole all'interessato. Pertanto, deve escludersi che l'annullamento di un atto
illegittimo comporti, ex se , il diritto al risarcimento del danno presuntivamente subito, in quanto la prova
della lesione di un interesse pretensivo, quale quello azionato nel caso di specie, nonché del nesso di
causalità tra detta lesione e la mancata adozione del provvedimento richiesto presuppone un giudizio
prognostico in ordine alla fondatezza della pretesa azionata, giudizio che, per la ragioni ampiamente
esposte, non può essere positivo. Il giudizio prognostico non può essere consentito, invero, allorché
l'azione amministrativa sia connotata da consistenti margini di aleatorietà (Consiglio di Stato, sez. V,
27/03/2013, n. 1781).
Nel caso che qui occupa il Collegio quindi conclude che , anche ragionando in termini di probabilità di
ottenere l’utilità sperata, non cambierebbe il risultato poiché l'accoglimento della domanda di risarcimento
del danno esigerebbe la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali
desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un
pregiudizio economicamente valutabile
TAR SARDEGNA SENT N 210 DEL 14/03/2014. Edilizia. Art 49 N.T.A P.P.R. Insussistenza di vincolo di
inedificabilità assoluto. Vincolo paesaggistico relativo. 1. Nel ricorso in questione col primo motivo di
ricorso e motivi aggiunti (di identico tenore) il ricorrente deduce che tanto l’amministrazione statale,
quanto quella comunale, avrebbero errato nel ritenere che dall’art. 49, comma 1, lett. d), delle N.T.A. del
P.P.R. discenda un vincolo di inedificabilità assoluta all’interno della fascia dei cento metri da beni
identitari.
2. Il Collegio ha ritenuto tale doglianza fondata.
2.1 La citata disposizione, intitolata “Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale.
Prescrizioni”, stabilisce:
“1. Per la categoria di beni paesaggistici di cui all'art. 48, comma 1, lett. a), sino all'adeguamento dei piani
urbanistici comunali al P.P.R., si applicano le seguenti prescrizioni:
a) sino all'analitica delimitazione cartografica delle aree, queste non possono essere inferiori ad una fascia
di larghezza pari a m. 100 a partire dagli elementi di carattere storico culturale più esterni dell'area
medesima;
b) nelle aree è vietata qualunque edificazione o altra azione che possa comprometterne la tutela;
c) la delimitazione dell'area costituisce limite alle trasformazioni di qualunque natura, anche sugli edifici e
sui manufatti, e le assoggetta all'autorizzazione paesaggistica;
d) sui manufatti e sugli edifici esistenti all'interno dell'aree, sono ammessi, gli interventi di manutenzione
straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e le attività di studio, ricerca, scavo, restauro, inerenti
i beni archeologici, nonché le trasformazioni connesse a tali attività, previa autorizzazione del competente
organo del MIBAC;
e) la manutenzione ordinaria è sempre ammessa”.
2.2 Orbene, al fine di addivenire ad una corretta interpretazione della disciplina introdotta dal trascritto
comma, occorre procedere ad una lettura congiunta e sistematica di tutte le proposizioni in cui esso si
articola.
Con la lettera a) si prevede, nelle more dell’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al P.P.R. e
della conseguente delimitazione cartografica delle aree “caratterizzate da edifici e manufatti di valenza
storico culturale”, l’istituzione di una fascia di rispetto predefinita intorno ai detti beni (“100 metri di
larghezza a partire dagli elementi di carattere storico - culturale più esterni dell'area medesima”).
La lettera b), vieta di compiere, all’interno delle dette aree, “qualunque edificazione o altra azione che
possa comprometterne la tutela”. Il divieto non si estende, dunque, tout court, a ogni tipo di intervento
edificatorio o modificativo, ma inibisce soltanto quelle attività che possano essere di pregiudizio al bene
tutelato incluso nell’area di rispetto, come ben evidenziato dall’inciso “che possa comprometterne la
tutela”.
La portata precettiva della lettera b), è chiarita dalla successiva lettera c) del medesimo comma, secondo
cui la delimitazione dell’area, lungi dal porre divieti assoluti, costituisce, unicamente, “limite” ad ogni tipo di
trasformazione, anche su edifici e manufatti (non vincolati ex sè), di modo che ogni intervento modificativo,
necessita di autorizzazione paesaggistica.
In base alla lett. d), sono escluse da questo rigoroso sistema di tutela, nel senso che sono ammesse, le
opere “di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo”, su manufatti ed edifici
esistenti “e le attività di studio, ricerca, scavo, restauro, inerenti i beni archeologici, nonché le
trasformazioni connesse a tali attività”, anch’esse consentite, ma previa autorizzazione, com’è ovvio, del
competente organo ministeriale.
Sono, infine, sempre consentiti, ai sensi della lett. e), i lavori di manutenzione ordinaria.
2.3 Non assume contrario rilievo il richiamo, operato nelle proprie memorie difensive dalle amministrazioni
resistenti, alla sentenza di questa Sezione 15/1/2013 n. 33, avente ad oggetto un’area di interesse (in quel
caso) archeologico, individuata come bene paesaggistico ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 48, comma
1, lett. a) e 49, commi 1 e 2 delle NTA del PPR. In quel caso - che riguardava opere (di urbanizzazione)
previste all’interno di un’area (il colle di Tuvixeddu in Cagliari) come noto caratterizzata da un insediamento
fenicio di inestimabile valore archeologico- il Collegio aveva confermato la legittimità dell’impugnato
diniego di autorizzazione paesaggistica, che si fondava sul notevole “impatto paesaggistico” di quelle stesse
opere, le quali si inserivano in un corposo intervento edilizio convenzionato e apparivano, pertanto, a
giudizio insindacabile nel merito della Soprintendenza, capaci di “compromettere la tutela” paesaggistica
del colle nel suo complesso, esattamente nei termini richiesti dall’art. 49, comma 1, lett. b), delle NTA del
PPR.
Ben diversa è la situazione oggi sottoposta all’attenzione del Collegio, ove l‘autorizzazione paesaggistica
richiesta da parte ricorrente viene respinta non perché l’ampliamento in progetto è idoneo a
compromettere il bene tutelato paesaggisticamente, ma unicamente perché l’intervento ricade nella fascia
dei 100 metri dal bene identitario.
In base alle riportate disposizioni contenute nell’articolo 49, le intimate amministrazioni non potevano
ritenere ex se vietato l’intervento proposto dal ricorrente, ma avrebbero dovuto valutarne la compatibilità
con le esigenze di salvaguardia dell’interesse paesaggistico da tutelare.
TAR SARDEGNA SENT N 226 DEL 18/03/2014, Edilizia. Realizzazione di una piscina a pertinenza di un
edifico residenziale in agro. Motivazione . Illegittimità. Il Collegio rileva che l’Autorità paesaggistica non
può in questi casi fondatamente motivare il proprio parere negativo con il semplice richiamo all’esistenza di
un vincolo “panoramico” sul quale non si vede come possa concretamente incidere la realizzazione di una
piscina “a livello terra”, prevista come pertinenza di un ben più rilevante (anche visivamente) edificio
residenziale già esistente e autorizzato, anche tenuto conto della situazione complessiva della zona, già
caratterizzata da altri insediamenti edilizi.
Si legge poi in motivazione che l’intervento proposto si porrebbe in contrasto con l’art. 26 delle NTA del
PPR (relativo alle aree cd. seminaturali), che vieta “gli interventi edilizi o di modificazione del suolo ed ogni
altro intervento, uso od attività suscettibile di pregiudicare la struttura, la stabilità o la funzionalità
ecosistemica o la fruibilità paesaggistica, fatti salvi gli interventi di modificazione atti al miglioramento della
struttura e del funzionamento degli ecosistemi interessati, dello status di conservazione delle risorse
naturali biotiche e abiotiche, e delle condizioni in atto e alla mitigazione dei fattori di rischio e di degrado”.
Anche su questo punto il Collegio condivide le doglianze del ricorrente, il quale contesta l’apoditticità del
rilievo, giacché il dianzi citato art. 26 delle NTA del PPR introduce un criterio di contenuto assai generico,
connotato essenzialmente dall’ “effetto che individua come vietato” (cioè la “modificazione del suolo ed
ogni altro intervento, uso od attività suscettibile di pregiudicare la struttura, la stabilità o la funzionalità
ecosistemica o la fruibilità paesaggistica”), per cui nell’applicarlo l’Amministrazione è tenuta a indicare
specificamente -e con riferimento al concreto stato dei luoghi- gli elementi del progetto che possano
produrre un simile negativo, mentre qui la Regione si è limitata ad un rinvio sostanzialmente apodittico alla
norma citata, che peraltro non appare riferibile ad un intervento come quello ora in esame, che insiste
all’interno di una proprietà privata ove è già presente un edificio di notevoli dimensioni. Né può ritenersi
applicabile la seconda parte dell’art. 26, che riguarda le “aree boschive”, posto che dalla documentazione
fotografica prodotta dalla ricorrente si evince, con tutta evidenza, che la zona non è interessata da boschi.
Ancora la Regione fa riferimento all’art. 83 delle NTA del PPR, che osterebbe alla realizzazione della piscina
e delle altre opere in progetto perché non “indispensabili alla conduzione del fondo”, capaci di recare
“pregiudizio agli aspetti paesistico percettivi” e caratterizzate da “materiali e caratteri costruttivi” non
“adeguati alle preesistenze tradizionali”, tutti presupposti richiesti dallo stesso art. 83 in relazione agli
edifici in agro; tale quadro normativo sarebbe mutato, sempre secondo la Regione, a seguito dell’art. 12
della l.r. n. 21/2011, che ha introdotto nella l.r. n. 4/2009 l’art. 13 bis, ove si afferma che “La Regione
riconosce meritevole di tutela il paesaggio rurale e persegue il primario obiettivo di salvaguardarlo, di
preservarne l'identità e le peculiarità…al fine di consentire un corretto e razionale utilizzo del territorio
agricolo che miri a contemperare l'esigenza di salvaguardia delle aree agricole da un improprio
sfruttamento e l'esigenza di avvalersi di infrastrutture e fabbricati adeguati per l'esercizio dell'attività
agricola e delle altre attività connesse alla conduzione del fondo”, in quanto anche questa nuova
disposizione presupporrebbe un preciso “legame funzionale” tra le nuove opere in agro e l’esigenza di
sfruttamento, per l’appunto, agricolo dell’area interessata.
Su questo aspetto motivazionale parte ricorrente deduce diversi profili di doglianza, alcuni dei quali
meritano di essere condivisi.
In merito il Collegio rileva che deve, in primo luogo osservarsi, in funzione di chiarimento generale, che se è
vero, da un lato, che il PPR “organizza” diversamente l’utilizzo e la tutela del territorio (anche) in relazione
alla differente destinazione urbanistica delle varie zone (nel caso di specie, ad esempio, viene in rilievo
quella agricola), ciò non esclude che la conseguente disciplina sia, comunque, connotata da una chiara
funzione paesaggistica, peraltro conforme allo strumento pianificatorio che la prevede; in alte parole la
destinazione urbanistica delle varie zone è utilizzata dal PPR quale criterio discretivo tra diverse discipline di
tutela, che però conservano, come ovvio, natura e funzione paesaggistiche, per cui è del tutto fisiologico
che le stesse debbano essere applicate dalle autorità (in questo caso la Regione, in altri la Soprintendenza)
cui per legge è rimessa la tutela del paesaggio, per cui sotto questo aspetto le doglianze del ricorrente non
possono essere condivise.
Nel caso di specie, tuttavia, la Regione ha interpretato in modo erroneo la disciplina prevista dal PPR prima
e dalla l.r. n. 4/2009 e s.m.i. poi, in materia di zone agricole, con particolare riferimento all’assunto (della
stessa Regione) secondo cui le opere ora in esame non sarebbero autorizzabili in quanto estranee alle
esigenze di sfruttamento agricolo del fondo interessato.
Difatti è pacifico in causa che la piscina (e le connesse opere di sistemazione del giardino) siano state
progettate e previste come “pertinenze” del più ampio edificio residenziale già esistente e regolarmente
autorizzato, per cui non si può ora fondatamente rilevarne il contrasto con la funzione agricola del fondo in
quanto la stessa è stata a suo tempo già ritenuta compatibile con lo stesso edificio residenziale; peraltro le
nuove opere “pertinenziali” hanno, come già si è rilevato, caratteristiche che ne denotano un “impatto
paesaggistico” ictu oculi neppure lontanamente paragonabile a quello dell’edificio già autorizzato, per cui la
valutazione appare sotto questo profilo irragionevole.
Per quanto premesso il ricorso è stato ritenuto fondato, con il conseguente annullamento degli atti
impugnati.
TAR SARDEGNA SENT N 228 DEL 18/03/2014. Edilizia. P.A.I. Studi di compatibilità idraulica.
Discrezionalità tecnica. Limiti sindacato. Il provvedimento impugnato nel ricorso si fonda su di un corredo
motivazionale duplice (ritenuto esubero rispetto alla volumetria consentita dal cd. piano casa e area
ritenuta inedificabile perché ad elevata pericolosità idraulica”), per cui l’accoglimento del ricorso
presupporrebbe l’erroneità in fatto e/o in diritto di entrambi tali rilievi ostativi.
Ciò ha consentito al Collegio di prescindere dall’esame del primo motivo di censura (che riguarda la sola
volumetria consentita), privilegiando l’analisi della seconda censura (relativa, invece, alla pericolosità
idraulica), a sua volta articolata in molteplici considerazioni e, comunque, infondata.
In primo luogo parte ricorrente sostiene che l’immobile di sua proprietà si troverebbe in realtà al di fuori
dell’area classificata dal PAI (e conseguentemente dal PUC di Sassari) a “elevata pericolosità idraulica”, il
che emergerebbe dalla cartografia allegata al PUC approvato dal Consiglio comunale con deliberazione 26
luglio 2012, n. 43 e dalla cartografia regionale allegata al PAI in itinere (docc. 10 e 11 di parte ricorrente).
Tale rilievo non coglie nel segno.
Se è vero, infatti, che il terreno della ricorrente è in quelle cartografie indicato appena al di fuori della fascia
di pericolosità sopra citata, la sua immediata vicinanza alla stessa non è priva di una (peraltro evidente)
giuridica rilevanza. Difatti, come correttamente osserva la difesa comunale, la competente Autorità di
Bacino ha approvato appositi studi di compatibilità idraulica (cfr. doc. 8 di parte resistente), al fine di
monitorare e prevenire tempestivamente il (notoriamente grave) rischio idrogeologico, nelle more delle
apposite varianti alla struttura formale del PAI che si rendano di volta in volta necessarie; in tal modo
l’Autorità ha introdotto idonee “misure di salvaguardia”, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dagli
artt. 65, comma 7, del d.lgs. n. 152/2006, e 8 e segg. del PAI.
Orbene i citati “studi di compatibilità” contemplano una “fascia di tutela ulteriore”, rispetto a quanto
cartograficamente previsto dal PAI, che si estende per 50 metri dalle rive di corsi d’acqua non
adeguatamente arginati, tra i quali rientra il Rio Buddi Buddi, in base all’apposito elenco redatto ai sensi
dell’art. 26 delle NTA del PAI e per la stessa ragione anche il PUC di Sassari individua, all’art. 87 delle NTA
(doc. 5 di parte ricorrente) la medesima fascia di tutela di 50 metri, in perfetta armonia con le superiori
previsioni sopra descritte.
Pertanto le descritte misure di salvaguardia, che sovrintendono ad un interesse pubblico di carattere
evidentemente superiore, si palesano come direttamente e insuperabilmente ostative all’intervento
proposto dalla ricorrente.
In secondo luogo quest’ultima evidenzia che, quand’anche applicabili nel caso in esame, tali previsioni
ostative sarebbero inficiate da irragionevolezza e difetto di istruttoria, nella parte in cui vietando
totalmente l’edificazione per intere aree assai estese, senza tenere conto delle caratteristiche specifiche dei
singoli luoghi e degli stessi fiumi ritenuti in astratto pericolosi, in assenza di accertamenti oggettivi e
attendibili valutazioni tecniche circa la loro portata media e tendenza all’esondazione.
Anche questa censura è infondata, ove si consideri che le scelte cristallizzate nel PAI e nei sopra descritti
“studi di compatibilità” sono espressione di una discrezionalità tecnica particolarmente elevata, esercitata
sulla base di un’articolata attività valutativa e di studio operata da organi pubblici a ciò specificamente
titolati (primo fra tutti l’Autorità di Bacino), che la ricorrente non può fondatamente contestare, peraltro in
modo alquanto apodittico, cercando di sostituire la propria valutazione a quella dell’Amministrazione.
Infine si osserva che il contestato metodo di classificazione “per zone”, che la ricorrente contesta, appare
unno strumento irrinunciabile per prevenire un rischio così grave e difficilmente scongiurabile ragione
“caso per caso”, come vorrebbe la ricorrente, per cui, anche sotto questo profilo, i provvedimenti
impugnati appaiono esenti dai vizi denunciati.
Per quanto premesso il ricorso è stato ritenuto infondato ed è stato quindi respinto.
TAR SARDEGNA SENT N 235 DEL 27/03/2014.Edilizia. Autorizzazione paesaggistica. Limite tutela interessi
pubblici afferenti alla materia del paesaggio. La Soprintendenza (così come, peraltro, il Servizio Tutela
Paesaggistica regionale) non hanno alcun potere di giudicare se l’intervento fosse o meno esorbitante
rispetto alle esigenze di “conduzione dell’attività agricola presente e prevista”, atteso che, evidentemente,
tale valutazione è del tutto estranea alla tutela degli interessi pubblici afferenti alla materia del paesaggio;
TAR SARDEGNA SENT N 244 DEL 01/04/2014. Edilizia. Valutazione di impatto ambientale. Istanza di
risarcimento del danno. 1. Trattasi di causa puramente risarcitoria a seguito di diniego di V.I.A. per la
realizzazione di un impianto eolico a 12 pale (inizialmente progettato a 18) nei Comuni di Suni e Tinnura .La
deliberazione GR 33/40 del 10.8.2011 di diniego dell’impatto ambientale NON è stata impugnata.
Parte ricorrente lamenta la concreta mancata possibilità di realizzazione di un Parco eolico situato in zona
astrattamente prevista come idonea e compatibile nello “Studio” generale regionale, approvato con
delibera della GR 28/56 del 26.7.2007, s.m. 3/17 16.5.2009 e 27/16 del 1.6.2011 “Linee Guida”.
In sostanza la società ricorrente non impugna la delibera negativa di VIA, ma formula esclusivamente
istanza di risarcimento, in relazione all’ “affidamento” che sarebbe maturato con il precedente Studio
programmatorio e in relazione alla “contraddittorietà” che si sarebbe venuta a determinare fra i due
provvedimenti regionali: Studio (positivo), da un lato, e V.I.A. (negativa), dall’altro
In sostanza il diniego della Regione è principalmente dovuto al fatto che la realizzazione dell’intervento
avrebbe un impatto sull’ “avifauna” non suscettibile di essere compensato e/o mitigato. Infine è stata
evidenziata, anche, la produttività estremamente contenuta del Parco, in quanto la velocità vento risulta
essere, nella zona, appena superiore al minimo (dei 5 m/s).
Presupposto condiviso dalla stessa parte ricorrente è che, nel sito in esame, sussistono ragioni
oggettivamente impeditive alla realizzazione del Parco e che legittimamente il procedimento di VIA ha
ritenuto di rigettare la compatibilità ambientale.Per una serie diversificata di profili, ma soprattutto in
relazione al fatto che il sito dista a pochi Km. dalla zona protetta ( tra le cinque più importanti a livello
europeo) di “nidificazione” del Grifone.
2. La domanda (ad esclusivi fini risarcitori e non impugnatori) è circoscritta e si sviluppa in rapporto al
presupposto “Studio” regionale che qualificava , invece, come “compatibile” l’area per la realizzazione di
impianti eolici, rilevata la sua caratterizzazione industriale e l’assenza di vincoli “propri” paesaggistici ambientali.
A giudizio del Collegio permaneva dunque, in sede di VIA, in capo all’Amministrazione lo spazio valutativo di
ammissibilità/inammissibilità dell’intervento; e la decisione conseguente assunta (di inammissibilità) non
può ritenersi contraddittoria con l’antecedente “Studio” di astratta compatibilità.
Né dalle previsioni dello “Studio” può sostenersi nascere “diritti” alla realizzazione di opere, con
conseguenti effetti risarcitori in caso di mancato riconoscimento di VIA positiva.
La valutazione del progetto, anche in relazione a vincoli “indiretti”, rientrava nei poteri
dell’Amministrazione e nella sfera di discrezionalità ad essa riconosciuta, che nel caso di specie è stata
correttamente esercitata, nei diversi livelli (programmatorio e puntuale).
Dallo “Studio” non nascevano posizioni pretensive dirette (come tali di rilievo economico) per i richiedenti,
implicando, la possibilità di realizzare o meno l’impianto, la previa esplicazione dell’obbligatoria preventiva
valutazione di VIA.
E rientra nel rischio di impresa l’eventualità di un giudizio negativo di VIA.
Nel caso di specie non è rinvenibile un “ingiusto” diniego.
“Ai sensi dell'art. 2043 c.c., il danno è risarcibile soltanto in presenza di un evento ingiusto, consistente
nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, che fonda la sussistenza di una
posizione soggettiva; deve trattarsi di un danno che presuppone la titolarità di un interesse apprezzabile,
differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela; e, nel caso in cui la posizione di interesse
legittimo appartenga alla species del cd. interesse pretensivo, deve concernere l' <ingiusto> diniego o la
ritardata emanazione di un provvedimento amministrativo richiesto (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
1/07/2013, n. 3533).
3. In conclusione quindi il Collegio ha respinto la domanda risarcitoria.
TAR SARDEGNA SENT N 264 DEL 02/04/2014. Edilizia. Procedimento. Art 10 bis l n 241/1990.Motivazione.
Se è vero che l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, introdotto dall'art. 6, l. n. 15 del 2005, che stabilisce l'obbligo
per l'amministrazione nei procedimenti ad istanza di parte del c.d. « preavviso di rigetto », non impone la
puntuale e analitica confutazione delle argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente ai fini
della giustificazione del provvedimento adottato la motivazione complessivamente e logicamente resa a
sostegno dell'atto stesso (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 23 dicembre 2009 , n. 13300), è altrettanto vero che
l'assolvimento dell'obbligo, imposto dall'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, di dar conto nella motivazione del
provvedimento finale delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni presentate a seguito della
comunicazione dei motivi ostativi, non può consistere nell'uso di formule di stile che affermino
genericamente la loro non accoglibilità, dovendosi dare espressamente conto delle ragioni che hanno
portato a disattendere le controdeduzioni formulate (T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 08 aprile 2011 , n.
933
TAR SARDEGNA SENT N 280 DEL 15/04/2014. Edilizia. V.I.A. Diversi progetti sulla medesima area.
Obbligo di valutazione cumulativa. A livello nazionale, si deve richiamare la disposizione contenuta nell’art.
4, comma 3, del D. Lgs. 28/2011, secondo la quale “Al fine di evitare l’elusione della normativa di tutela
dell’ambiente, del patrimonio culturale, della salute e della pubblica incolumità, (…)le Regioni e le Province
autonome stabiliscono i casi in cui la presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti alimentati
da fonti rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree contigue sono da valutare in termini
cumulativi nell’ambito della valutazione di impatto ambientale”.
Dalle citate disposizioni si ricava chiaramente che la valutazione di impatto ambientale di un progetto deve
essere effettuata tenendo conto dell’effetto di cumulo con altri progetti relativi alla medesima area
territoriale.
14.4. - Anche la giurisprudenza è concorde nel riconoscere il carattere generale di tale criterio in materia di
V.I.A..
Questo stesso T.A.R., in una recente pronuncia resa in materia analoga, ha riconosciuto che
«l'Amministrazione non poteva effettuare una valutazione "parcellizzata" di interventi connessi sotto il
profilo soggettivo, territoriale ed ambientale, dovendo, invece, tener conto della loro reciproca interazione,
il che trova conferma in numerosi pronunciati del Giudice comunitario, il quale ha inteso valorizzare
l'efficacia della Direttiva sulla V.I.A. adottando un approccio sostanzialistico, che impone di individuare gli
effetti complessivi dei programmati interventi sull'equilibrio ambientale del sito interessato. Si richiamano,
al riguardo, Corte di Giustizia CE, Sez. III, 25 luglio 2008, n. 142, secondo cui (in materia di riassetto stradale)
la Direttiva 85/337/CEE "deve essere interpretata nel senso che essa prevede la valutazione dell'impatto
ambientale dei progetti ...che possano, in considerazione della loro natura, delle loro dimensioni o della loro
ubicazione e, all'occorrenza, tenuto conto della loro interazione con altri progetti, avere un notevole
impatto ambientale"; Corte di Giustizia CE, Sez. II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07, in materia di
ampliamento di un aeroporto, ove si afferma che si deve "tener conto dell'effetto cumulativo di più progetti
il cui impatto ambientale deve essere valutato complessivamente"» (cfr. T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio
2012, n. 91).
TAR SARDEGNA SENT N 327 DEL 07/05/2014. Edilizia. Abusivismo edilizio. Accertamento di compatibilità
paesaggistica. Sanzione amministrativa pecuniaria. Calcolo dell’importo dovuta. Incremento del 100%
dell’importo del costo di demolizione entro la fascia dei 300 metri dal mare. Incremento non applicabile
nel caso si tratti di opere che non costituiscono un “quid novi” . Fatto Le ricorrenti sono proprietarie
(ciascuna in proprio) di due appartamenti siti nello stabile in via Veneto n. 2, località Lu Bagnu, Comune di
Castelsardo, inseriti in un più ampio complesso condominiale composto da 10 appartamenti che si articola
in due edifici (il secondo affacciato in via Piemonte n. 1/a), collocati a quote altimetriche differenti.
In particolare l’edificio del complesso residenziale di via Piemonte si trova a monte rispetto a quello di via
Veneto.
Tali edifici sono separati da un muro di contenimento (preesistente alla realizzazione del complesso
residenziale di via Piemonte), composto da lastre in cemento armato ognuna delle quali della misura
approssimativa di metri 8 di lunghezza e di metri 4 di altezza.
In data 15 gennaio 2010 una delle lastre che compongono il predetto muro di contenimento è crollata, con
conseguente rovina di parte del terreno soprastante.
I vigili del fuoco, intervenuti sul posto, hanno accertato l’esigenza di procedere, sotto la guida di un
professionista qualificato, all’esecuzione di lavori urgenti di consolidamento della struttura interessata dal
dissesto, disponendo nelle more l’interdizione al transito nella zona.
Sulla base del verbale dei vigili del fuoco il Comune di Castelsardo (con ordinanza n. 2 del 9 febbraio 2009)
intimava al condominio di via Veneto di provvedere, con ogni possibile urgenza, all’esecuzione dei lavori
necessari all’eliminazione della situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità.
I condomini davano quindi incarico a due tecnici (geom. Mario Corso e ing. Antonio Ponzeveroni) di
provvedere alla messa in sicurezza dell’area dando corso alle opere necessarie al ripristino dello status quo
ante.
I lavori di messa in sicurezza venivano eseguiti tra il febbraio 2 e il marzo 2009, mentre successivamente, ad
opera dell’impresa Murroni all’uopo incaricata, venivano eseguite le opere di ripristino.
Sennonché il Comune di Castelsardo rilevava che gli anzidetti lavori erano stati eseguiti in assenza del
necessario titolo edilizio.
Il condominio di via Veneto, quindi, per il tramite delle ricorrenti, presentava all’ufficio comunale domanda
di autorizzazione in sanatoria, corredandola della documentazione necessaria.
Con nota n. 1260 del 4 novembre 2009 l’ufficio tecnico comunale comunicava alle ricorrenti che la
commissione edilizia aveva espresso parere favorevole alla sanatoria.
Il medesimo ufficio tecnico, peraltro, con nota n. 1282 del 4 novembre 2009, comunicava altresì alle
ricorrenti che le opere in questione ricadevano in ambito tutelato per effetto del DM 15 maggio 1966 e che,
pur in assenza di danni a carico dei beni tutelati, la realizzazione dell’abuso comportava l’applicazione della
sanzione ex art. 167 del D.Lgvo n. 42/2004, per la cui quantificazione trasmetteva gli atti al competente
ufficio per la tutela del paesaggio.
A seguito dell’istruttoria esperita si addiveniva quindi all’adozione nei confronti delle ricorrenti del
provvedimento sanzionatorio impugnato, con cui è stata loro comminata la sanzione di euro 12.721,98
IN DIRITTO
1.Ai sensi dell’art. 167, comma 5°, del d.lgs. n. 42 del 2004, “Il proprietario, possessore o detentore a
qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita
domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità
paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine
perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine
perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è
tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto
conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di
stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1….”.
1.1 Tale disposizione, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa dalla quale il Collegio non si è
discostato, va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli
paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del
danno), che come tale prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale (cfr: T.A.R. Napoli Sez.
VIII, n. 4271 del 1° settembre 2011; Cons. Stato, Sez. IV, Sentenza n. 2160 del 16.04.2010).
Più precisamente essa tende a sanzionare, ove eseguiti senza la prescritta autorizzazione, le tipologie di
interventi delineate nel 4° comma:
“…a) i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi
dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380…”.
2. La particolarità del caso all’esame del Tribunale risiede nel fatto che, avuto riguardo alla natura delle
opere realizzate in assenza del necessario titolo autorizzatorio, i parametri normativamente indicati ai fini
della quantificazione della sanzione “…maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito
mediante la trasgressione…” risultano entrambi inapplicabili stante l’assenza di una qualsiasi forma di
danno a carico dei beni tutelati e l’assenza di un qualsiasi profitto conseguito dagli autori della
trasgressione.
Orbene, al fine di procedere comunque alla determinazione del quantum debeatur , con nota n. 1029 del 3
maggio 2010 il Servizio tutela paesaggistica per la Provincia di Sassari chiedeva alle ricorrenti la
presentazione di una perizia giurata, a firma di un tecnico abilitato, concernente la valutazione del danno
arrecato consistente nella “…quantificazione delle spese necessarie al ripristino dello stato dei luoghi
mediante l’eliminazione delle opere abusive, nonché del profitto conseguito per la realizzazione delle
stesse secondo i criteri indicati nella Direttiva n. 2 di cui al Decreto dell’Assessore alla Pubblica Istruzione n.
785 del08.05.2000…”.
In Sardegna, infatti, le indennità pecuniarie per cui è causa all’epoca erano calcolate in base al decreto
dell’Assessore della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport, n. 785/2000:
“Adozione della Direttiva n. 2 di cui all’articolo 4 della L.R. 12.8.1998 n. 28. Atto di indirizzo di cui all’articolo
8 della L.R. 13.11.1998 n. 31. Articolo 164 del Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali”,
contenente disposizioni per la comminazione dell’indennità pecuniaria a carico di chi, senza la prescritta
autorizzazione paesistica, o in difformità da essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni ambientali.” Tale
direttiva è stata modificata con la Delib.G.R. n. 33/64 del 30.9.2010, che, tra l’altro, ha introdotto i criteri di
calcolo del danno paesaggistico e del profitto conseguito per le cave e miniere che hanno svolto l’attività in
assenza o in difformità dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata ai sensi dell’articolo 146 del D.Lgs. n.
42/2004.
Con perizia giurata il tecnico incaricato, in relazione alle opere per cui è causa, indicava in euro 6.360,99 il
costo dei lavori per la demolizione delle opere realizzate in assenza di titolo autorizzativo e, applicando il
punto 1.3.2.) della predetta direttiva, incrementava la cifra individuata del 100% in quanto l’area in
questione si trova nella fascia costiera tra 0 e 300 ml dal mare.
Ne scaturiva il totale di euro 12.721,98 addebitato alle ricorrenti col provvedimento impugnato.
Il Collegio ha ritenuto che la complessiva lettura del dettato normativo sopra richiamato giustifichi
l’accoglimento parziale del ricorso, non ravvisandosi in concreto sussistenti le condizioni per l’incremento
del 100 % del costo per la demolizione dei lavori realizzati in assenza di titolo autorizzativo.
Tale inasprimento, infatti, trova la sua logica applicazione nell’ipotesi ordinariamente considerata dal
legislatore in cui le opere abusivamente realizzate costituiscono un quid novi rispetto al preesistente, che
pur non risultando incompatibili con la tutela dei valori paesaggistici tutelati rappresentano, tuttavia, un
“carico” ulteriore per il contesto ambientale, la cui conservazione giustifica l’attribuzione a carico del
trasgressore di un incremento della sanzione in misura variabile a seconda della localizzazione delle opere,
secondo quanto indicato nella predetta direttiva.
Ma nel caso di specie, , le ricorrenti – seppur in violazione della normativa che prescriveva la preventiva
acquisizione dell’apposita autorizzazione - hanno semplicemente ripristinato un muro di contenimento che
era crollato, con la conseguenza che lo stato di fatto esistente al termine dei lavori era praticamente
identico a quello precedente la rovina del muro.
La loro illiceità, dunque, si connota di particolare tenuità, tenuto altresì conto che l’intervento
ripristinatorio era stato ordinato dallo stesso comune di Castelsardo che aveva altresì intimato, previo
intervento dei vigili del fuoco, l’immediata eliminazione delle condizioni di pericolo determinate dal
precitato crollo.
3. In conclusione, quindi, il ricorso è stato accolto parzialmente , con riduzione della sanzione impugnata a
euro 6.360,99 (con esclusione cioè dell’incremento del 100 % del costo dei lavori per la demolizione delle
opere realizzate in assenza di titolo autorizzativo), mentre è stato respinto per il residuo.
TAR SARDEGNA SENT N 335 DEL 14/05/2014. Edilizia. DIA. Distanze Legali . Costruzione in aderenza .Con
il ricorso in esame la ricorrente ha impugnato la D.I.A. n. 169/2011 presentata al competente ufficio
comunale dai controinteressati per l’ampliamento, mediante sopraelevazione, di una casa unifamiliare per
civile abitazione (realizzata nel 1980 in aderenza al muro di recinzione fra le due proprietà e della
medesima altezza di esso), sita nel terreno confinante con la sua proprietà.
In particolare la ricorrente lamenta, attraverso articolate censure, che la progettata sopraelevazione dei
contro interessati è situata lungo il confine della sua proprietà, e che la stessa non rispetterebbe le vigenti
prescrizioni in punto di distanze tra gli edifici, con grave pregiudizio anche del suo jus aedificandi che ne
risulterebbe gravemente compromesso
Il Collegio ha ritenuto che non si ravvisano motivi per discostarsi dalla consolidata giurisprudenza
amministrativa per la quale in tema di limitazioni legali della proprietà, l'art. 873 cod.civ., per evitare
intercapedini dannose, prevede che le norme sulle distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale,
come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. Questo modo di misurazione
comporta anche che, in ragione della ratio che governa la specifica disciplina in esame, le norme sulle
distanze legali si applicano soltanto agli edifici che si fronteggiano, mentre non hanno rilievo le distanze
calcolate fra gli spigoli delle costruzioni prese in esame (cfr.: TAR Lazio, n. 7896 dell’11.10.2011; Cass. civile,
sez. II, 7 aprile 2005, n. 7285; idem, 4 marzo 2011 n. 5258; Cons. Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005 n. 5348).
Non ricorrendo dunque, nella specie, questione di distanze tra edifici, deve ricordarsi che, essendo
ammessa dal regolamento edilizio la costruzione in aderenza (vedi allegato n. 4 del ricorrente, che ha
prodotto le NTA del PUC), a chi edifica per primo su un fondo contiguo spettano due diverse facoltà, e cioè,
in primo luogo, quella di costruire sul confine e, in secondo luogo, quella di costruire con distacco dal
confine, osservando la distanza minima imposta dal codice civile ovvero quella maggiore distanza stabilita
dal regolamento edilizio locale.
Una volta operata la scelta, tra l’altro, non può più essere sindacato il comportamento del vicino prevenuto
che edifichi successivamente esercitando la facoltà di avanzare il proprio manufatto fino a quella
preesistente.
Ed in questi termini potrà, dunque, eventualmente, esercitarsi lo ius aedificandi della ricorrente che
pertanto, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, non subisce, sotto questo profilo, alcun pregiudizio
meritevole di tutela dall’iniziativa dei vicini.
TAR SARDEGNA SENT N 367 DEL 20/05/2014. Edilizia. Art 15 bis L.R n 4/2009, Conversione in residenze di
seminterrati. Non applicabilità ai locali interrati. 1.La ricorrente impugna gli atti in epigrafe descritti, con
cui il Comune di Castelsardo ha respinto la sua istanza di concessione edilizia per cambio di destinazione
d’uso -da “magazzino” a “residenziale”- del locale che occupa la parte inferiore di un più ampio fabbricato a
uso residenziale, ricadente in Zona urbanistica C;
- la ricorrente aveva fondato la propria richiesta sull’art. 15 bis della l.r. n. 4/2009 e s.m.i., ove si consente la
conversione in “residenze” dei locali “seminterrati” che presentino alcune caratteristiche minime di altezza
e di illuminazione e areazione degli ambienti, peraltro inferiori a quelle in via generale previste dalla vigente
disciplina in materia di abitabilità degli edifici;
- il Dirigente dell’Ufficio tecnico del comunale -conformandosi al parere della Commissione edilizia e
disattendendo le osservazioni proposte dalla ricorrente a seguito del preavviso di rigetto- ha respinto la
richiesta, in quanto “il locale oggetto dell’intervento, ai fini dell’art. 15 bis della l.r. n. 4/2009, non è da
considerarsi seminterrato ma interrato. Inoltre le variazioni prospettiche determinano un incremento delle
altezze e della volumetria oltre i limiti consentiti”;
Il Collegio ha ritenuto infondata l’unica censura dedotta -violazione e falsa applicazione dell’art. 15 bis della
l.r. n. 4/2009 e s.m.i., falsità dei presupposti e violazione degli artt. 10 e 10 bis delle legge n. 241/1990- per
le ragioni di seguito esposte:
- l’impugnato provvedimento poggia su due distinte e autonome ragioni, per cui l’accoglimento del ricorso
presupporrebbe l’illegittimità di entrambi i suddetti rilievi ostativi;
- lasciando in disparte il secondo rilievo, al Collegio è stato sufficiente evidenziare la piena fondatezza del
primo, nei termini che si passa a illustrare;
a) - in punto di fatto neppure la ricorrente mette in discussione il fatto che il locale in questione sia
praticamente del tutto “interrato”; ciò trova del resto conferma nella documentazione progettuale in atti
(cfr. all. 7 di parte resistente), che evidenzia come tre lati del fabbricato si sviluppino interamente al di sotto
del livello del terreno, mentre il quarto lato (frontale) emerge solo per pochi centimetri; tanto è vero che
nella stessa relazione tecnica allegata al progetto (doc. 8 di parte resistente) il locale è espressamente
indicato come “interrato” (cfr. pag. 2);
b) - si evidenzia poi che l’art. 15 bis, comma 3, della l.r. n. 4/2009 e s.m.i. limita la possibilità di adibire a
residenza i “seminterrati esistenti”, locuzione, questa, che chiaramente non si presta a essere riferita a
locali, come quello in esame, che si sviluppano interamente (o quasi) al di sotto del livello del terreno;
c) - né il Collegio ha ritenuto di potere condividere la diversa interpretazione proposta dalla difesa della
ricorrente, secondo cui non vi sarebbe differenza, sotto il profilo delle esigenze di igiene e salute pubblica
connesse all’uso residenziale, tra un locale “seminterrato” e un locale “interrato”, avendo il legislatore
regionale comunque consentito la deroga alle prescrizioni in via generale vigenti in materia di altezze dei
soffitti, areazione e illuminazione degli ambienti;
d) - difatti la richiamata disposizione normativa, proprio per il suo carattere assolutamente eccezionale e
derogatorio di previsioni poste a presidio di interessi pubblici di chiara rilevanza (il che, peraltro, la rende
persino di dubbia legittimità costituzionale), non può essere estesa a ipotesi diverse da quella cui fa
espresso riferimento e non vi è dubbio che l’uso del termine “seminterrati” alluda a una tipologia di locali
dalle caratteristiche oggettivamente diverse rispetto agli “interrati” (come quello ora in esame), per
evidenti ragioni.
TAR SARDEGNA SENT N 368 DEL 20/05/2014. Edilizia. Abusivismo edilizio. Accertamento di conformità.
Adozione PUC. Applicazione misure di salvaguardia. Sequestro penale .Sospensione procedimento
rilascio sanatoria 1. Con il secondo motivo di ricorso -errore di fatto e sui presupposti, violazione e falsa
applicazione del PUC di Assemini- si osserva che il sopra descritto requisito soggettivo ( imprenditore
agricolo) era, comunque, posseduto dall’autore materiale degli abusi (, imprenditore agricolo regolarmente
iscritto), per cui la tesi del Comune sarebbe inficiata da un errore sui presupposti di fatto.
Il collegio ha condiviso tale doglianza..
Difatti nelle ipotesi di modificazione soggettiva intervenuta tra la fase di realizzazione degli abusi e quella di
presentazione dell’istanza di sanatoria il possesso di eventuali requisiti soggettivi non può che effettuarsi in
relazione alla persona di colui che risultava titolare del fondo in ciascuno dei due momenti sopra indicati. In
altre parole se l’odierna ricorrente non è l’autrice materiale degli abusi e questi furono realizzati dall’allora
proprietario del terreno (circostanza pacifica in causa), allora non è dato comprendere quale rilievo possa
avere, ai fini della sanatoria, l’inesistenza della società istante al momento in cui quegli stessi abusi furono
realizzati; conta, invece, il fatto che l’autore materiale (cioè il precedente proprietario) fosse all’epoca
imprenditore agricolo iscritto nell’apposito registro (circostanza, anche questa, dedotta in ricorso e non
contestata dalla difesa comunale), essendo ciò sufficiente a garantire la “conformità a legge” della vicenda
nella relativa fase di riferimento, che va necessariamente esaminata alla luce della situazione di fatto
esistente al momento in cui si è sviluppata.
2. Il quinto motivo -difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001
e dell’art. 16 della l.r. n. 23/1985- riguarda nello specifico la decisione di sospendere la domanda di
concessione in variante relativa al lotto A, che secondo i ricorrenti sarebbe del tutto sprovvista di
motivazione.
La censura è stata accolta dal Collegio.
Come già riferito in narrativa, la domanda di concessione per lavori in variante sull’edificio A è stata sospesa
(rectius, nella sostanza, respinta) sull’esclusivo presupposto dell’esistenza di un provvedimento di
sequestro penale.
Tale circostanza, però, non esime il Comune da un esame concreto e sostanziale dell’istanza di concessione,
fermo restando, come ovvio, che in caso di accoglimento della stessa i lavori non potranno essere
materialmente eseguiti sino all’eventuale dissequestro, essendo allo stato attuale inibita qualunque
modificazione dello stato dei luoghi.
TAR SARDEGNA SENT N 369 DEL 20/05/2014.Edilizia. Autorizzazione paesaggistica. .Realizzazione opere
di miglioramento fondiario e casa colonica. Parere negativo della Soprintendenza. Limiti sindacabilità. Il
ricorrente impugna gli atti in epigrafe indicati, con i quali è stata respinta la sua istanza di autorizzazione
paesaggistica per la realizzazione di opere di miglioramento fondiario e di una casa colonica di circa 200
mq. all’interno di un fondo sito in territorio di Arzachena, Zona agricola, prevalentemente occupato da
pascoli e vegetazione a cespugli, sottoposto a vincolo paesaggistico di zona;
- nel parere negativo espresso dalla Soprintendenza si sostiene che -pur a fronte delle modifiche progettuali
proposte a seguito del preavviso di rigetto (realizzazione soltanto di un vigneto e non anche dell’uliveto
inizialmente previsto, nonché riduzione volumetrica della casa colonica rispetto alla proposta iniziale)l’intervento proposto “pregiudichi la stabilità e la funzionalità ecosistemica e la fruibilità paesaggistica
dell’intorno tutelato” e ancora che la casa colonica “presenti comunque una massa eccessiva rispetto
all’attuale consistenza paesaggistica di riferimento, oltre che, per la realizzazione del suo piano interrato,
sarebbero necessari notevoli sbancamenti, che con sacrificio di territorio comprometterebbero l’attuale
equilibrio sistemico dei luoghi”.
Il Collegio ha ritenuto infondato l’unico motivo di ricorso –eccesso di potere per carenza di motivazione e
istruttoria, irragionevolezza e contraddittorietà manifeste, falsità dei presupposti, violazione e falsa
applicazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 e dell’art. 26 del PPR, sviamento di potere e invalidità
derivata- sulla base delle seguenti considerazioni:
- i profili di censura relativi alla possibile violazione dell’art. 26 del PPR (disciplina di tutela delle aree
seminaturali) sono da considerarsi inammissibili per carenza di interesse, posto che la motivazione degli
impugnati atti di diniego non fa specifico riferimento a questo aspetto;
- il rilievo della Soprintendenza in ordine al forte impatto sul paesaggio circostante della prevista casa
colonica, peraltro non sindacabile in questa sede se non per motivi di carattere estrinseco, trova conferma
nella documentazione grafica (foto simulazioni) prodotta in giudizio dalla difesa della stessa ricorrente,
dalla quale si evince, per l’appunto, la mole e l’estensione non trascurabili dell’edificio in progetto;
- parimenti rilevante e non privo di logicità e rilevanza è il riferimento alle opere di sbancamento del
terreno che sarebbero necessarie per la realizzazione del locale seminterrato previsto in progetto, a
maggior ragione nell’ambito di un fondo inedificato e allo stato sostanzialmente naturale, come quello ora
in esame.
TAR SARDEGNA SENT N 386 DEL 29/05/2014. Edilizia. Annullamento concessione edilizia. Concetto di
opere precarie. Zona H del P.U.C di Cagliari. Realizzazione di opere precarie nel Poetto in comune di
Cagliari. Come questa Sezione ha già avuto modo di puntualizzare, per opere di carattere precario devono
intendersi quelle, agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare un’esigenza fisiologicamente e
oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione ecc.)
destinata a cessare dopo il tempo, normalmente breve, entro cui si realizza l'interesse finale che la
medesima era destinata a soddisfare (cfr T.A.R. Sardegna, Sez. II, 12/2/2010 n. 158; 12/4/2012 n. 375;
12/12/2013 n. 878).
E’ stato, inoltre, chiarito che il suddetto carattere deve essere escluso allorquando vi sia un'oggettiva
idoneità del fabbricato ad incidere stabilmente sullo stato dei luoghi, essendo l'opera destinata a dare
un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine, in relazione all'obiettiva ed intrinseca natura della
costruzione (cfr TAR Palermo, Sez. II, 28/1/2010 n. 986).
Da ciò discende, pure, che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare
un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass. Pen., Sez. III, 8/2/2007 n. n. 5350).
Coerentemente è stato affermato che nemmeno l’eventuale (ma nella specie insussistente) intendimento
di utilizzare l’opera stagionalmente, può consentire di attribuire alla stessa carattere precario (cfr T.A.R.
Sardegna, Sez. II, 9/4/2013 n. 282).
Del resto, è appena il caso di aggiungere, che, anche nei fatti, l’intervento assentito con la concessione
edilizia n. 896/2006C si è dimostrato privo di dei caratteri della precarietà e temporaneità, atteso che al
momento dell’adozione dell’impugnato provvedimento di ritiro e quindi a distanza di circa sette anni dal
rilascio del titolo edilizio, le opere realizzate risultavano ancora presenti.
Nel descritto contesto fattuale, nel quale l’intervento assentito possedeva indubbi caratteri di stabilità,il
Collegio ga ritenuto che non potesse che trovare applicazione l’art. 30 delle N.T.A. del P.U.C. di Cagliari,
atteso che i manufatti, come quello di specie, non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti,
vanno considerati idonei ad alterare significativamente lo stato dei luoghi e a determinare un sicuro
incremento del carico urbanistico (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12/12/2012 n. 6382; Sez. V, 1° dicembre 2003, n.
7822).
Orbene, in base alla menzionata disposizione - norma di carattere urbanistico pacificamente previgente al
rilascio della ritirata concessione edilizia – nelle zone H, fra le quali è incluso il Poetto, sono consentite solo
opere, per loro natura, precarie e oggettivamente temporanee (T.A.R. Sardegna, Sez. II, 2/9/2011 n. 914),
mentre nuove costruzioni, ampliamenti e ricostruzioni sono ammessi solo nel rispetto dell’indice di
edificabilità territoriale generalizzato di 0,001 mc/mq.
Poiché nella fattispecie è incontroverso che tutta la cubatura realizzabile nella zona in questione fosse già
stata integralmente sfruttata all’epoca del rilascio della concessione edilizia n. 896/2006C, l’intervento
proposto dal ricorrente non poteva essere autorizzato, perché in contrasto col ricordato art. 30.
Né, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, il detto intervento poteva essere assentito sulla base
del regolamento per l’installazione di manufatti amovibili nel litorale del Poetto di Cagliari approvato con
delibere consiliari 19/7/1999 n. 96 e 18/5/2000 n. 27.
Come emerge dal secondo comma dell’art. 1 del citato regolamento, quest’ultimo “ha per oggetto la
localizzazione delle aree attrezzate, l’ubicazione e le tecniche esecutive di manufatti provvisori, destinati ad
attività turistico-commerciali-ricreative e di supporto alla balneazione, da installarsi all’interno dell’ambito
suddetto, sia su aree del demanio statale e regionale sia su quelle facenti parte del patrimonio indisponibile
del comune”.
Il successivo art. 6 specifica, inoltre, che i manufatti da ubicare sull’arenile debbano essere realizzati in
legno ed “avere la caratteristica di essere facilmente amovibili e smontabili”.
Orbene, dalle due trascritte disposizioni, discende con sufficiente chiarezza, che le strutture consentite dal
citato regolamento dovevano avere l’essenziale caratteristica di essere precarie e temporanee.
Caratteristiche queste che non possedeva, giusta quanto più sopra rilevato, l’intervento assentito con la
concessione edilizia n. 896/2006C.
Ciò rende in questa sede superfluo appurare se il detto atto di normazione secondaria avesse o meno
acquistato efficacia, con conseguente irrilevanza della correlativa censura.
TAR SARDEGNA SENT N 407 DEL 05/06/2014. Pianificazione Urbanistica. Vincolo preordinato
all’esproprio, Validità. Reiterazione vincolo espropriativo. 1. L’art. 9 del D.P.R. n. 327/2001, che ha
recepito il previgente articolo 2 della Legge n. 1167/1968, così dispone:
“1. Un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione
del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o
di pubblica utilità.
2. Il vincolo preordinato all'esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il
provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio
decade e trova applicazione la disciplina dettata dall'articolo 9 del testo unico in materia edilizia approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
4. Il vincolo preordinato all'esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la
rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli
standard”.
Nel caso di specie il collegio rileva che il vincolo espropriativo originariamente imposto nel 1990, e poi
decaduto per decorrenza dei cinque anni di validità massima dello stesso vincolo, è stato reiterato con
delibera n. 7 del 26 marzo 2004, con la quale il Consiglio comunale ha riadottato il Piano Particolareggiato
delle zone “B” del Comune di Bari Sardo.
Anche ove potesse sostenersi che il vincolo espropriativo fosse riconducibile al piano particolareggiato
approvato con delibera consiliare 156 del 20.9.1990, come si afferma nella delibera impugnata, tuttavia alla
data di adozione di questa (26.3.2004) sarebbero comunque decorsi anche i dieci anni di vigenza del piano
particolareggiato ( art. 17 legge 17 agosto 1942 n. 1150).
2. Il vincolo espropriativo imposto con la delibera impugnata si rivela altresì illegittimo perché esso viene
fatto discendere dallo strumento attuativo anziché dallo strumento urbanistico generale, come previsto
dalla riportata disposizione di legge (cfr. TAR Sardegna Sez. II, 14.3.2014, n. 213).
In ogni caso la sua reiterazione è comunque illegittima in quanto, al di là di generiche affermazioni di
sussistenza dell’interesse pubblico, non appare sorretta da adeguata motivazione che giustifichi la
compressione ulteriore del diritto di proprietà.
Va pertanto annullata la delibera impugnata nella parte in cui reitera il vincolo espropriativo.
3. L’area del ricorrente risulta di conseguenza priva di disciplina urbanistica (art. 9 del d.p.r. n. 380/2001),
con obbligo del Comune di sottoporla ad una nuova disciplina pianificatoria.
TAR SARDEGNA SENT N 408 DEL 05/06/2014. Pianificazione urbanistica . Piano di lottizzazione .
decadenza. Lotto intercluso La lottizzazione “Monte NAI”, risalente al 1970, anche considerando le
proroghe intervenute, nel 2003, anno di presentazione della domanda di nuova lottizzazione dal parte dei
ricorrenti, era ampiamente scaduto, non restando possibile né il completamento delle aree rimaste
inedificate, né l’approvazione di nuovi piani di lottizzazione presentati sulla base dei suoi indici edificatori.
Dagli atti del giudizio e dallo stesso ricorso introduttivo si ricava, in proposito, che con deliberazioni
consiliari n. 27 e n. 40 del 1998 lo stesso Comune di Muravera aveva anche formalmente dato atto della
scadenza del piano con cessazione dei suoi effetti.
Deve altresì precisarsi che i ricorrenti non possono neppure beneficiare delle più recenti aperture
giurisprudenziali per le quali le previsioni di un piano di lottizzazione attuato (e più in generale di tutti gli
strumenti attuativi) rilevano a tempo indeterminato, anche dopo la sua scadenza, al fine di regolare in via
definitiva e con efficacia "erga omnes" l'assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio comunale
interessata dall'intervento, sicché anche il vincolo di destinazione pubblica gravante sulle opere di
urbanizzazione non può che rimanere a tempo indeterminato, essendo le opere di urbanizzazione
funzionali alla utilizzazione delle costruzioni realizzate o da realizzare nel piano di lottizzazione.
Come detto, infatti, non risulta dagli atti che i signori Cau Riccardo, Cabras Silvio e Verschelden Yvan
abbiano mai aderito alla convenzione “Monte Nai”.
Né può ritenersi che l’art. 18 della convenzione aggiuntiva del 1984 consentisse la possibilità di aderire ad
libitum alla lottizzazione “Monte Nai”, senza limiti temporali, a proprietari di aree intercluse interessate.
Tale disposizione, infatti, si limitava a stabilire che, dopo l’approvazione da parte del Consiglio comunale,
alla formale stipulazione della convenzione avrebbero potuto aderire, per assumerne gli impegni, altri
proprietari di aree intercluse, adesione che con riguardo all’area in esame non risulta affatto intervenuta.
Del pari privo di pregio si rivela l’argomento secondo il quale la proprietà della ricorrente avrebbe tutti i
requisiti per potersi considerare un lotto intercluso, con applicazione della consolidata giurisprudenza che
in tali casi esclude, ai fini dell’edificazione, la necessità dell’adozione di un piano attuativo.
L’effettiva sussistenza di una completa edificazione nelle aree circostanti e di una completa realizzazione
della rete di infrastrutture è recisamente contestata dalla difesa dell’amministrazione, e rispetto ad essa
l’affermazione dei ricorrenti si rivela del tutto priva di supporto probatorio, costituendo una mera
enunciazione verbale priva di rilievo decisivo ai fini del giudizio
TAR SARDEGNA SENT N 413 DEL 05/06/2014.Espropiazione. Occupazione acquisita. Illiceità Acquisizione
sanante. 1 Il Collegio ribadisce quanto gia espresso con sentenza n. 874 del 24 ottobre 2012, intervenuta
nelle more del presente giudizio, più volte condivisa e dalle cui conclusioni non si ravvisano oggi motivi per
discostarsi, il Tribunale, su analogo presupposto della vicenda che qui occupa (occupazione e
trasformazione di terreni sine titulo per mancato completamento della relativa procedura ablatoria) ha
precisato:
1) che l’occupazione e la trasformazione dei fondi si sostanziano in un’attività illecita, insuscettibile di
produrre effetti acquisitivi della proprietà e, viceversa, fonte dell’obbligo per la pubblica amministrazione di
restituire il bene e risarcire il proprietario interessato per il danno sofferto. Sul punto si è fatto riferimento
alla condivisibile evoluzione giurisprudenziale - partita da numerose pronunce della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo prima e dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 348 e n. 349 del 2007 poi - secondo
cui non assume concreto rilievo, in punto di mezzi di tutela assicurati al proprietario danneggiato, la
tradizionale distinzione tra occupazione espropriativa ed occupazione usurpativa, posto che in entrambi i
casi il comportamento dell’Amministrazione assume i caratteri dell’illecito civile, con tutto ciò che ne
consegue (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844); tale concetto è stato recentemente
sviluppato dalla Corte di Cassazione (Sez. I, 23 agosto 2012, n. 14609), secondo cui “l’occupazione “sine
titulo” del fondo….non può comportare, soprattutto in assenza di una scelta abdicativa del proprietario…la
perdita della proprietà del fondo da parte del soggetto che subisce l’occupazione, con la conseguenza che
l’assenza dell’indefettibile presupposto del riconoscimento, da parte degli organi competenti, della
pubblica utilità dell’opera comporta che il privato, durante l’illegittima occupazione, possa fruire dei rimedi
reipersecutori a tutela della non perduta proprietà”; nella medesima pronuncia la Suprema Corte ha poi
espressamente escluso che la domanda restitutoria possa trovare ostacolo negli artt. 2933, comma 2, e
2058, comma 2, del codice civile, in quanto: - l’art. 2933, comma 2, oltre che riferibile alle sole violazioni di
“obblighi di non fare” (cioè alle cd. “manipolazioni del bene”) e non anche alle illecite occupazioni, é norma
comunque eccezionale e come tale da interpretare in modo rigorosamente restrittivo, con esclusivo
riferimento a beni realmente insostituibili e di eccezionale importanza per l’economia nazionale, con
relativa prova a carico dell’Amministrazione resistente; - l’art. 2058, comma 2, quale disposizione che si
ascrive alla disciplina del risarcimento del danno, non risulta applicabile alla tutela restitutoria dei diritti
reali, che trova la propria speciale (ed autonoma) regolamentazione negli artt. 948 - 951 del codice civile;
2) che l’unico potenziale ostacolo al pieno esplicarsi della tutela restitutoria è costituito dall’esercizio, da
parte dell’Amministrazione interessata, dello speciale “potere sanante” previsto dall’art. 42 bis del d.p.r. 8
giugno 2011, n. 2001 (introdotto dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n.
11), applicabile anche “a fatti anteriori” alla sua entrata in vigore in virtù dell’espressa previsione contenuta
al comma 8 (cfr., al riguardo, Consiglio di Stato n. 5844/2011);
3) che l’occupazione dei terreni per cui è causa da parte dell’Amministrazione comunale non trova dunque
in tali casi alcun fondamento giuridico, e ciò comporta la restituzione dell’area illegittimamente occupata,
previa rimessione in ripristino dello stato dei luoghi, a cura e spese della stessa Amministrazione resistente;
4) che, come detto, resta, comunque, impregiudicato il potere di quest’ultima di avviare il procedimento di
cui all’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, finalizzato all’adozione di un provvedimento motivato di
acquisizione dei terreni occupati e trasformati alla mano pubblica; in questa ipotesi l’Amministrazione
dovrà riconoscere ai ricorrenti, oltre al danno da mancato possesso del bene, anche il danno da perdita
definitiva della proprietà;
2. Alla luce del richiamato contesto normativo e giurisprudenziale, pertanto, il completamento dell’opera
pubblica e l’irreversibile trasformazione del bene sine titulo non ha determinato alcun effetto acquisitivo
della proprietà in capo alla pubblica amministrazione.
Ne consegue che il ricorrente è da ritenersi tutt’ora proprietario del terreno occupato e detenuto sine titulo
dal Comune, il quale dovrà restituirlo.
Sotto questo profilo la circostanza della realizzazione di una piazza nell’immobile per cui è causa, previo
consistente esborso economico dell’amministrazione, lungi dal costituire elemento preclusivo in termini
assoluti alla restituzione, rientra senz’altro tra gli elementi intorno ai quali si dovrà concretizzare la
valutazione da parte dell’amministrazione degli interessi in conflitto e che dovrà sfociare nella decisione se
acquisire o meno l’immobile al patrimonio comunale, previo ristoro al proprietario del diritto dominicale
perduto, ovvero restituirglielo previa rimozione di tutte le opere realizzate.
3. Il collegio inoltre rileva che non è peraltro superfluo ricordare che, come esposto in narrativa, il Comune
ha già avviato il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento ex art. 42 bis del D.P.R. 8-6-2001
n. 327, che recita testualmente, per quanto qui rileva:
“Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico,
modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al
proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo
forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene…
(3° comma) l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura
corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda
un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di
occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la
prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi
del presente comma.”.
TAR SARDEGNA SENT N 420 DEL 10/06/2014. Abusivismo edilizio. Accertamento di conformità
urbanistica. Onere della prova FATTO- L’istanza di sanatoria presentata dalla ricorrente tendeva ad
ottenere la concessione edilizia per l’ampliamento e le modifiche interne e di prospetto del fabbricato di
sua proprietà.
In realtà il competente ufficio comunale accertava che “…l’intervento realizzato ha comportato la
demolizione totale del fabbricato esistente e la realizzazione di un nuovo fabbricato diverso per sedime e
forma da quello esistente, non è possibile fare alcun tipo di verifica sulle volumetrie ante operam. Tale
tipologia di intervento si configura come nuova costruzione non già come ristrutturazione edilizia, pertanto
trattandosi di fabbricato in zone E – Verde agrario, non essendo verificata la superficie minima del lotto,
l’intervento …non poteva essere assentito nel 2008 né può esserlo alla data odierna…” (vedi accertamento
istruttorio n. 26006 del 10.10.2011, allegato n. 3 delle produzioni comunali).
Tale motivazione è stata poi trasfusa con identico contenuto sia nel cd preavviso di rigetto che nell’atto
finale di diniego.
DIRITTO. Il collegio rileva che costituisce principio giurisprudenziale di consolidata acquisizione che nel caso
di proposizione di una istanza di sanatoria di un immobile abusivo l'onere di dimostrare la sussistenza dei
presupposti previsti dalla legge per l’ottenimento del titolo edilizio fa capo al richiedente.
Ed invero solo la deduzione da parte dell'interessato di concreti elementi a sostegno delle proprie
affermazioni trasferisce il suddetto onere in capo all'Amministrazione.
Nel caso di specie, invece, in punto di fatto, è decisivo considerare che non è stato provato, né in corso di
procedimento, né in questa sede giurisdizionale, che i rilievi dell’ufficio comunale posti a fondamento del
diniego fossero errati, limitandosi piuttosto la ricorrente a contestare genericamente il mancato
svolgimento di ulteriori approfondimenti istruttori da parte dell’amministrazione.
Le produzioni che a suo avviso avrebbero dovuto smentire l’assunto dell’amministrazione, infatti, si
mostrano tutte prive di rilievo decisivo.
Anzitutto il rilievo fotografico del settembre 2004 (allegato n. 2 della ricorrente) è del tutto inidoneo a
documentare la localizzazione e le caratteristiche costruttive del fabbricato in questione.
In secondo luogo il provvedimento comunale attestante l’erogazione in favore della sig.ra Natalia Meloni di
un contributo per la riparazione del fabbricato a seguito dell’alluvione del 1999 è del tutto privo di rilievo
decisivo al fine della confutazione dei rilievi sollevati dall’ufficio comunale in sede di istruttoria
procedimentale, non ricavandosi da esso alcun elemento idoneo a dimostrare che non vi è stata, in
concreto, tra il 2008 e il 2010, la totale demolizione del fabbricato con traslazione del sedime e
ricostruzione ex novo dello stesso.
Infine è del tutto privo di rilievo probatorio il certificato dell’ufficio anagrafe (allegato 7) attestante che la
dante causa della ricorrente fino al 3 settembre 2001 risiedeva nel predetto fabbricato in località “Bia
Manna”, restando tale circostanza del tutto neutra rispetto alle precitate argomentazioni poste a
fondamento dell’impugnato diniego di accertamento di conformità
TAR SARDEGNA SENT N 423 DEL 10/06/2014. Abusivismo edilizio. Accertamento di conformità
urbanistica. Doppia conformità. Sanatoria giurisprudenziale. Applicazione. VEDI ANCHE “NOTE A
SENTENZA”. 1. Il ricorso concerne la legittimità del diniego all’accertamento di conformità urbanistica
presentato dal ricorrente basato sull’unico rilievo che la costruzione non sarebbe conforme alla normativa
esistente al momento della costruzione del fabbricato abusivo.
2. 1Il Collegio rileva che la Sezione con la sentenza 17 marzo 2010 n. 314, e ancora più recentemente con la
sentenza n. 35 del 16 gennaio 2013, ha avuto modo di ribadire che alla domanda di sanatoria in
accertamento di conformità, avente ad oggetto la sanatoria di una costruzione non conforme alle norme
urbanistico-edilizie vigenti al momento della costruzione, ma conforme a quelle vigenti al momento della
definizione dell'istanza, può ritenersi applicabile la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale.
Tale istituto, pur non comportando l'estinzione del reato eventualmente consumato, né il venir meno
dell'obbligo di pagare la relativa sanzione, risponde ad una chiara esigenza di economicità e di buon
andamento dell'azione amministrativa, giudicandosi illogico demolire manufatti non più in contrasto con la
disciplina edilizia, per poi doverne eventualmente assentire la ricostruzione nella stessa forma e
consistenza;
2.2 La possibilità del rilascio della c.d. concessione edilizia postuma o sanatoria giurisprudenziale è stata
riconosciuta anche dal Consiglio di Stato, da ultimo con la sentenza, condivisa dal Collegio, n. 2835 del
7.5.2009, con la quale è stato chiarito che l'art. 13 l. n. 47 del 1985, ovvero il vigente art. 36 D.P.R. n. 380
del 2001 - nella parte in cui richiedono, per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione, che
l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera,
quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria - non precludono il diritto ad ottenere la
concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano
conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda
in sanatoria;
2.3 Sotto questo profilo è irrilevante a giudizio del Consiglio la vicenda ricordata dalla difesa
dell’amministrazione relativa al tentativo del Consiglio comunale di modificare, con la delibera n. 22 del 4
giugno 2013, l’art. 29 del regolamento edilizio introducendo proprio la fattispecie della c.d. sanatoria
giurisprudenziale, tentativo frustrato dalla Regione che, con determinazione n. 2942 del 4 settembre 2013,
l’ha giudicata non coerente con il quadro normativo e pianificatore sovraordinato, giacché il principio
affermato da questa Sezione nelle menzionate sentenze trova il suo fondamento normativo direttamente
nella disposizione della legge regionale regolatrice dell’istituto in esame, applicata secondo
un’interpretazione costituzionalmente orientata;
3. Pertanto il Collegio ha accolto il ricorso con annullamento dell’impugnato diniego e del conseguente
provvedimento di demolizione.
TAR SARDEGNA SENT N 424 DEL 10/06/2014. Edilizia. V.I.A. Diniego per molteplici motivazioni
indipendenti. Natura della V.I.A. Limiti sindacato legittimità. 1.1 Il Collegio richiama il principio affermato
costantemente in giurisprudenza nei casi – come quello di specie - in cui il provvedimento impugnato risulti
sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e logicamente indipendenti. In tale eventualità, il
giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto
controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il
ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del
provvedimento, indipendentemente dall’ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la
conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze (cfr., ex
multis, Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2007 n. 3020).
1.2 Applicando tale regola alla fattispecie in esame, Il Collegio rileva l’infondatezza dei motivi volti a far
valere l’illegittimità della deliberazione impugnata, nella parte in cui stabilisce che, con riferimento al
quadro progettuale – ambientale, la documentazione trasmessa al fine di risolvere le criticità riscontrate
nel corso dell’istruttoria non avrebbe fornito tutti gli elementi necessari per la valutazione dell’incidenza del
progetto sui fattori naturalistici e antropici, considerati complessivamente e anche nelle loro possibili
interazioni. In particolare, l’Amministrazione ha evidenziato una carenza nell’analisi degli impatti sulla
fauna ornitica; la mancanza della relazione specialistica sul campo elettrico e sul campo di induzione
magnetica; l’assenza, nell’analisi costi – benefici, di un quadro organico delle esternalità positive e negative,
sotto il profilo ambientale ed economico – sociale, dell’iniziativa.
2.1 Secondo noti principi acquisiti dall’elaborazione giurisprudenziale, la valutazione di impatto ambientale
non costituisce un mero giudizio tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi
criteri di misurazione, ma presenta profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano
dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo, apprezzamento che è sindacabile dal giudice
amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti in cui è evidente lo
sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all'amministrazione (principi di recente
autorevolmente affermati anche dalla Corte Costituzionale, nella sentenza 24 aprile 2013, n. 81,
pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 4, della legge della Regione
autonoma Sardegna 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell’organizzazione degli
uffici della Regione), sollevata da questo TAR, con ordinanza 12 ottobre 2011, n. 968: «La scelta realizzata
dal legislatore regionale determina una divisione di competenze tra la Giunta e i dirigenti regionali che non
appare irragionevole, anche in considerazione della particolare complessità della VIA. In quest’ultimo atto,
infatti, a verifiche di natura tecnica circa la compatibilità ambientale del progetto, che rientrano nell’attività
di gestione in senso stretto e che vengono realizzate nell’ambito della fase istruttoria, possono affiancarsi e
intrecciarsi complesse valutazioni che – nel bilanciare fra loro una pluralità di interessi pubblici quali la
tutela dell’ambiente, il governo del territorio e lo sviluppo economico – assumono indubbiamente un
particolare rilievo politico. In ragione di ciò, il riparto di competenze previsto dalla disposizione censurata, in
un ambito caratterizzato da un intreccio di attività a carattere gestionale e di valutazioni di tipo politico,
non viola l’art. 97 Cost. »).
2.2 Peraltro, analizzando le ragioni che, ad avviso dell’amministrazione regionale, giustificano il giudizio
negativo esternato con la deliberazione n. 51/11 del 20 dicembre 2007, Il Collegio osservare come le stesse
riguardino insufficienze e carenze della documentazione richiesta alla proponente, su diversi profili
pregiudiziali al fine di esprimere un compiuto giudizio sugli impatti ambientali dell’intervento proposto
dalla ricorrente.
2.2.1 Così, per quanto concerne la «analisi degli impatti della fauna ornitica» [cfr. sub lettera c) di pag. 4
della deliberazione in esame], in ordine alla quale l’amministrazione contesta non solo l’inidoneità
dell’elaborazione presentata sul punto dal proponente ma la stessa totale mancanza di uno studio delle
interferenze dell’impianto sulla fauna ornitica. Dalla lettura della “Monografia istruttoria” elaborata dal
servizio S.A.V.I. (sopra citata) emerge, inoltre, che la società proponente ha reputato «non opportuno uno
studio di investimento considerevole e caratterizzato da forte incertezza nei risultati».
Con i motivi aggiunti in esame, la ricorrente cerca di superare il rilievo sostenendo che “una pretesa di
rilevamento diretto sarebbe illegittima per difetto di presupposti, per illogicità e difetto di motivazione”;
non considerando, tuttavia, che uno studio del tipo di quello richiesto dall’amministrazione procedente
appare logicamente necessario anche per eventualmente escludere che nelle zone interessate dalla
realizzazione dell’impianto “non esistono zone di ripopolamento di avifauna o interessate da flussi migratori
o comunque tutelate sotto il profilo ornitico” (pag. 31 dei motivi aggiunti).
2.2.2 Nello stesso senso si deve concludere con riferimento alla mancata presentazione di una “relazione
specialistica sul campo elettrico e sul campo di induzione magnetica” [lettera b), pag. 4 della deliberazione
impugnata], che la ricorrente giustifica con il fatto che «il range di frequenza prodotta dai cavidotti interrati
per il trasporto dell’energia elettrica è molto più basso di quello prescritto dalla norma (L. 36/2001)» (pag.
32 dei motivi aggiunti), in quanto avrebbe una frequenza compresa tra 49,5 e 50,5 HZ.
Sul punto non si può non condividere quanto osservato nella relazione istruttoria del S.A.V.I. (più volte
richiamata), ossia che la legge 22 febbraio 2001, n. 36, si applica a tutti «gli impianti, i sistemi e le
apparecchiature per usi civili, militari e delle forze di polizia, che possano comportare l'esposizione dei
lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con
frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz.», compresi gli «elettrodotti (gli) impianti radioelettrici (…)gli
impianti per telefonia mobile, i radar e gli impianti per radiodiffusione».
17. - Il Collegio deve rilevare, quindi, che l'amministrazione regionale non solo ha puntualmente
considerato la documentazione prodotta nel procedimento ma, altrettanto puntualmente, ha rilevato le
carenze degli studi presentati; che implicano (in ragione delle loro insufficienze e lacune) una valutazione
negativa ancor prima di giungere a formulare un giudizio finale negativo. I motivi sopra indicati debbono,
pertanto, anche intendersi come indicazione degli elementi la cui mancanza impedisce nel frattempo il
giudizio positivo di compatibilità ambientale.
3. Coerentemente con il metodo di esame preannunciato, occorre, allora, rilevare che l’infondatezza, per
come sopra argomentata, dei motivi aggiunti intesi a contestare la correttezza e legittimità delle ragioni del
giudizio negativo di compatibilità ambientale sul progetto di parco eolico presentato dalla
ricorrente(ragioni da sole idonee a sorreggere il provvedimento negativo impugnato), esime il Collegio dalla
disamina delle ulteriori censure indirizzate avverso la deliberazione della Giunta Regionale, per la
riscontrata inutilità della loro definizione.
4. In conclusione, il ricorso è stato quindi dichiarato improcedibile per il sopravvenuto difetto di interesse; i
motivi aggiunti invece sono stati in parte rigettati e in parte dichiarati inammissibili, secondo quanto
appena esposto
TAR SARDEGNA SENT N 436 DEL 13/06/2014. Pianificazione urbanistica. Art 33 L.r n 23/1985. Riserva
volumetrica. Applicazione . 1.Nel ricorso in questione i ricorrenti eccepiscono l’applicazione dell’art. 33
della legge regionale n. 23/1985 prevista dallo strumento urbanistico generale alle loro proprietà in quanto
la riserva di volumetria di cui all’anzidetta disposizione è prevista in sede di approvazione degli strumenti
attuativi e non in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale. Inoltre i ricorrenti censurano
eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di
motivazione, illogicità e perplessità manifeste – Violazione degli artt. 9 e 39 del DPR 8.6.2001 n. 327, avuto
riguardo alla insussistenza delle condizioni richieste per l’applicazione della riserva di volumetria di cui
sopra, con particolare riguardo al mancato esperimento dei necessari accertamenti in ordine all’effettiva
esigenza di incremento della dotazione di alloggi popolari e alla circostanza che le spese necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazioni sarebbero state sopportate non dell’amministrazione comunale
ma dalle cooperative edilizie che hanno dato parziale attuazione al piano di zona
2. L’art 33 della legge regionale n. 23/1985 recita testualmente al 5° comma:
“I Comuni della Sardegna, nell'approvare i piani attuativi interessanti zone residenziali, possono riservare da
un minimo del 40 per cento ad un massimo del 70 per cento della volumetria realizzabile ai piani per
l'edilizia economica e popolare ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167 e successive modifiche”.
Proseguono i commi successivi della medesima disposizione:
“6. Qualora il piano attuativo sia d'iniziativa privata, i proponenti dovranno prevedere, per la finalità di cui
al precedente comma, in aggiunta alle aree per standard urbanistici, quelle necessarie a realizzare la
suddetta percentuale di volumetria da destinarsi a piano di zona.
6-bis. Le disposizioni di cui ai precedenti quinto e sesto comma non si applicano ai piani particolareggiati
adottati, ed ai piani di lottizzazione formalmente presentati al comune entro la data del 15 ottobre 1985”.
3. La lettera della legge è inequivoca nel riservare allo strumento attuativo la concreta previsione della
percentuale di volumetria da destinarsi a piano di zona.
3.1 A giudizio del Collegio la ratio della disposizione, come rilevano correttamente i ricorrenti, è quella di
consentire all’amministrazione comunale, in sede di approvazione degli strumenti attuativi, di valutare la
sussistenza di un eventuale fabbisogno di alloggi popolari e di quantificarne la dimensione, con
conseguente imposizione ai lottizzanti di una riserva finalizzata a contribuire alle esigenze della collettività.
E’ in sede di pianificazione attuativa, cioè, che l’amministrazione deve stabilire, previo espletamento di
un’adeguata indagine conoscitiva, se e in che misura sussiste nel territorio comunale un fabbisogno di
alloggi popolari, imponendo ai lottizzanti, nei limiti di legge, la percentuale di riserva più appropriata.
3.2 Né può ritenersi, come preteso dalla difesa comunale (pag. 3 della memoria depositata il 30 aprile
2014) che la sussistenza di tale fabbisogno emergerebbe ex se dalla circostanza che, a seguito
dell’ordinanza istruttoria di questo TAR del 14 ottobre 2013, “…sono in fase di avvio i lavori per la
realizzazione di alloggi a canone moderato da realizzarsi nelle aree ricadenti nel comparto B del decaduto
Piano di Zona n. 2…”, in quanto il decorso di circa 30 anni dall’approvazione di un piano rimasto per gran
parte inattuato impone comunque all’amministrazione comunale una puntuale verifica – da rapportarsi
all’attualità - in ordine alle esigenze di pubblico interesse che richiedono un sensibile sacrificio delle
posizioni giuridiche dei privati coinvolti dall’azione amministrativa.
3.3 Quanto infine al rilievo che i lotti di cui ai comparti C e D del Piano beneficerebbero delle opere di
urbanizzazione già realizzate dall’amministrazione con riguardo ai lotti A e C, a parte il rilievo che, come
detto, si tratta di opere solo parzialmente fruibili dai proprietari dei lotti situati nei comparti C e D, resta
evidente che si tratta di una mera partita economica, suscettibile di essere quantificata in sede di
determinazione degli oneri imputabili ai futuri concessionari piuttosto che di un valore compensabile con la
contestata riserva di volumetria.
4. In conclusione il ricorso è stato accolto per quanto di ragione, con annullamento della clausola di riserva
di cui sopra
TAR SARDEGNA SENT N 474 DEL 19/06/2014.Edilizia. L.R. n 4/2009. Obbligo di realizzare la nuova
volumetria nella parte del lotto più lontana dal mare. Applicazione alle sole strutture ricettive.
Motivazione generica del parere della Soprintendenza. 1. Con due correlate censure parte ricorrente
sostiene che la Soprintendenza -nel rigettare la sua richiesta di autorizzazione per il fatto che “il piano casa
prevede di poter realizzare nuove edificazioni nella parte del lotto più lontana dal mare e non prospiciente al
fronte mare così come previsto nel progetto” - avrebbe erroneamente applicato la disciplina vigente e non
avrebbe adeguatamente motivato la propria decisione.
Il Collegio, all’esito della più approfondita analisi propria della fase di merito, ha ritenuto che tali
argomentazioni debbano essere condivise.
La disciplina normativa richiamata dalla Soprintendenza (obbligo di realizzare la nuova volumetria nella
parte del lotto più lontana dal mare) è prevista dalla l.r. n. 4/2009 e s.m.i. solo in relazione agli “interventi di
ampliamento degli immobili a finalità turistico-ricettiva” e non anche per gli ampliamenti di immobili
residenziali, per i quali l’art. 2, comma 5, della stessa legge regionale si limita a prevedere (laddove
l’immobile si trovi a meno di 300 metri dalla linea di battigia) che gli interventi debbano essere “finalizzati
al miglioramento della qualità architettonica dell'intero organismo edilizio e dei valori paesaggistici del
contesto in cui è inserito” e che “la proposta di intervento deve ottenere la positiva valutazione della
Commissione regionale per la qualità architettonica e paesaggistica di cui all'articolo 7”.
Premesso che quest’ultima condizione si è nel caso di specie verificata, essendosi la Commissione regionale
espressa in senso favorevole all’intervento proposto, si osserva che -una volta evidenziata l’erroneità del
riferimento normativo operato dalla Soprintendenza (vedi supra)- l’impugnata decisione è stata
considerataper il resto priva di idonea motivazione, essendosi l’Amministrazione limitata a osservare che
“l’intervento non risulta coerente con gli obiettivi di qualità paesaggistica”, senza aggiungere altro.
Tale motivazione è stata considerata chiaramente generica e quindi insufficiente, il che conduce
all’annullamento degli atti impugnati, con la conseguenza che la Soprintendenza (e poi il Comune) dovrà
esprimere nuovamente la propria valutazione sulla base di una motivazione compiuta, che evidenzi il
rapporto tra l’intervento richiesto e le condizioni prescritte dall’art. 2 della l.r. n. 4/2009, anche in relazione
alle finalità di tutela concretamente sussistenti nella zona interessata.
TAR SARDEGNA SENT N 474 DEL 19/06/2014.Edilizia.Intervento di miglioramento fondiaro. Parere
negativo delle Soprintendenza. Difetto di motivazione. Illegittimità.1 Il Collegio ha accolto il ricorso con
riguardo al contestato difetto di motivazione del parere della Soprintendenza impugnato, che costituisce il
presupposto della successiva determinazione regionale e di quella comunale di diniego, che dunque sono
state dichiarate illegittime in via derivata.
2. A giudizio del Collegio la Soprintendenza intimata, invero, ha articolato il suo parere negativo in una
pluralità di argomentazioni che, tuttavia, ad avviso del Collegio, non consentono di comprendere in quale
modo l’intervento proposto dal ricorrente si ponga in contrasto con i valori paesistici oggetto di tutela.
A prescindere da talune inesattezze descrittive ( si parla di “…ampliamento tramite sopraelevazione di un
edificio residenziale …” e di intervento che prevede “…la realizzazione di una recinzione perimetrale in rete
metallica…”, laddove, da un lato, il ricorrente aveva in realtà presentato un’istanza per l’ottenimento del
permesso di costruire un nuovo fabbricato ad uso agricolo e abitativo su un lotto inedificato di sua
proprietà e, dall’altro lato, aveva già ottenuto dal Comune l’autorizzazione per la realizzazione della
recinzione), trattandosi verosimilmente di refusi che non incidono sulla sostanza del diniego, non sono
parse convincenti le argomentazioni poste a salvaguardia del contesto rurale protetto.
3. E ciò emerge con maggior rilevanza con riguardo ai profili del diniego impugnato in cui è mancata ogni
confutazione delle integrazioni documentali proposte dal ricorrente in sede di istruttoria procedimentale, e
in particolare in occasione della presentazione delle osservazioni conseguenti al preavviso di rigetto
dell’istanza.
Si legge infatti nel parere della Soprintendenza che “…il progetto prevede l’espianto di parte di un uliveto…”.
Orbene, la citata relazione integrativa chiarisce che “…l’area individuata per la realizzazione del corpo di
fabbrica ricade in un punto ove la presenza di olivi è più rada a causa del perimento o dell’espianto degli
stessi avvenuto in epoche non recenti. Allo scopo di agevolare le operazioni di edificazione, tuttavia,
potrebbe essere necessario eseguire l’espianto di alcuni esemplari di olivo (nel numero massimo di 5 unità),
da ricollocare nel medesimo oliveto in sostituzione delle fallanze…”.
4. Tale rilievo difensivo acquisito in sede procedimentale non è stato considerato dall’amministrazione, che
ha genericamente ritenuto che “…le osservazioni…non hanno prodotto nuovi elementi di valutazione che
consentano una revisione del parere negativo e delle criticità espresse…”, non risultando dunque
comprensibili le ragioni per le quali è stato ritenuto insostenibile un intervento dall’impatto estremamente
ridotto per le colture esistenti.
Del pari inadeguata a chiarire le ragioni del diniego è l’affermazione secondo la quale l’edificio in questione,
in ragione delle sue caratteristiche progettuali (materiali, tecniche costruttive, tipologia edilizia) “…non
appare armonizzarsi con il contesto esistente…”.
5. Si tratta evidentemente, di valutazioni estremamente generiche che non consentono di comprendere
sotto quale profilo l’intervento edilizio proposto dal ricorrente si renda incompatibile con gli ambiti di tutela
sottesi al regime autorizzatorio affidato alla Soprintendenza, il cui esercizio, seppur compreso nell’ambito di
un’ampia discrezionalità tecnica sottratta, come noto, al sindacato giurisdizionale, richiede un’adeguata
motivazione esplicativa delle ragioni sulle quali si fonda l’esercizio del potere, ragioni che, oltretutto,
devono essere coerenti con le finalità di tutela paesaggistica affidate alla vigilanza dell’autorità statale.
E ciò, in un’ottica di leale collaborazione con i privati, anche al fine di consentite eventuali modifiche
progettuali in adeguamento che possano rendere l’intervento proposto compatibile con le valenze
paesistiche oggetto di tutela.
6. Come detto, invece, le anzidette affermazioni della Soprintendenza, non risultando supportate da
adeguati riferimenti alla concreta incompatibilità dell’intervento proposto con le esigenze di tutela
paesistica del sito, risultano del tutto apodittiche e generiche, rivelandosi come tali inidonee a giustificare il
parere negativo impugnato.
7. Devono invece ritenersi estranee alle esigenze di tutela paesistica affidate alla cura della Soprintendenza
le ulteriori argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato relative all’adeguatezza e alla
funzionalità delle caratteristiche edilizie dell’edificio proposto con le finalità agricole perseguite, giacché tali
argomentazioni sottendono valutazioni presuntive e ipotetiche in ordine a utilizzi impropri da parte del
ricorrente dell’edificio rispetto ai quali permane - ovviamente – ove accertati, il potere di vigilanza e
repressione dell’amministrazione comunale.
8, Pertanto, e salve naturalmente le valutazioni che l’amministrazione vorrà nuovamente esprimere in sede
di valutazione dell’intervento in questione, il ricorso è stato accolto, ai fini del riesame, sotto l’assorbente
profilo del difetto di motivazione del parere negativo impugnato.
TAR SARDEGNA SENT N 478 DEL 19/06/2014. Edilizia. Posizionamento di una stazione radio base
all’interno della centrale telefonica. Autorizzazione paesaggistica. Conformità agli artt 12,20 e 15 NTA
PPR. 1.Il posizionamento di una stazione radio base all’interno della centrale telefonica (di proprietà della
stessa Telecom) già presente nella locale via Fiume, necessaria per l’attivazione del servizio di telefonia cd.
a “banda larga non è in contrasto con gli artt 12, 20 e 15 N.T.A del PPR.
2. In merito il collegio rileva che
a) l’art. 12, comma 1, lett. b), delle NTA del PPR espressamente consente, tra gli altri, gli interventi di cui
alla lett. f) dell’art. 13 l.r. 11 ottobre 1985, n. 23 e s.m.i., vale a dire “l’installazione di impianti tecnologici al
servizio…di infrastrutture esistenti”, il che è esattamente quanto si riscontra nel caso in esame, che riguarda
la realizzazione di una stazione radio base all’interno di una centrale Telecom già da tempo esistente e
operativa;
b) l’art. 20 delle NTA del PPR consente espressamente proprio gli interventi consentiti dall’art. 12 delle
NTA;
c) l’art. 15, comma 1, delle NTA del PPR permette, anche negli ambiti di paesaggio costiero, la realizzazione
delle opere di urbanizzazione, categoria cui può ascriversi anche una stazione radio base, in quanto rete
pubblica di comunicazione, in virtù del combinato disposto degli artt. 86, comma 3, e 87, comma 1, del
d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259;
d) l’intervento in esame è anche definito dal legislatore “opera di pubblica utilità” e soggiace alla disciplina
di cui all’art. 4 dello stesso d.lgs. n. 259/2003, che ne consente la realizzazione al fine di “garantire la
fornitura del servizio universale” di telecomunicazione.
3.Per quanto premesso il Collegio ha accolto il ricorso avverso il diniego motivato dal contrasto con gli atti
sopracitati , con il conseguente annullamento degli atti impugnati
TAR SARDEGNA SENT N 483 DEL 19/06/2014. Edilizia, Diniego autorizzazione paesaggistica. Motivazione.
Indicazione della incompatibilità dell’intervento con i valori tutelati dal vincolo .1.Il ricorso concerne il
diniego del proposto ampliamento volumetrico (circa 40 mq.) in sopraelevazione di un preesistente
fabbricato sito in loc. Porto Cervo (Arzachena), zona C, inserito in più ampia lottizzazione;
- la zona è interessata da un vincolo panoramico di carattere generale, risalente agli anni ’60, e
l’Amministrazione , ad avviso del Collegio, nel rigettare la richiesta di autorizzazione paesaggistica- non ha
indicato alcun elemento capace di evidenziare in concreto l’incompatibilità dell’intervento con i valori
tutelati dal vincolo, peraltro ampiamente e da tempo alterati da una rilevantissima attività edilizia, rispetto
alla quale non è dato comprendere l’autonomo impatto della nuova (limitata) edificazione, anche alla luce
delle simulazioni fotografiche prodotte da parte ricorrente.
2. Il Collegio ha quindi accolto il ricorso con la conseguente condanna dell’Amministrazione resistente
TAR SARDEGNA SENT N 494 DEL 24/06/2014.Edilizia. Autorizzazione paesaggistica. Vincolo panoramico.
Motivazione. Il ricorso in questione concerno il parere negativo della Soprintendenza in merito
all’ampliamento proposto in proiezione di m. 2,5 verso l’esterno per la creazione di una veranda coperta, in
relazione ad un’ampia struttura alberghiera preesistente in loc. Poltu Quatu, nell’ambito di un vasto
complesso residenziale oggetto di lottizzazione;
Il Collegio rileva la zona è interessata da un vincolo panoramico di zona, risalente agli anni ’60, e
l’Amministrazione -nel rigettare la richiesta di autorizzazione paesaggistica- non ha indicato alcun elemento
capace di evidenziare in concreto l’incompatibilità dell’intervento in relazione ai valori tutelati dal vincolo e
alla situazione dei luoghi, da tempo interessati da una rilevantissima attività edilizia e rispetto ai quali non è
dato comprendere il possibile autonomo impatto della nuova (limitata) edificazione, anche alla luce delle
simulazioni fotografiche prodotte da parte ricorrente. Da qui l’accogliemnto del ricorso e il conseguente
annullamento del parere ministeriale
TAR SARDEGNA SENT N 524 DEL 30/06/2014. Espropriazione. Art 6 d.p.r n 327/2001. Termine di
conclusione dei lavori.1 L’art. 6 del d.P.R. n. 327/2001 prevede che l’autorità competente alla realizzazione
di una opera pubblica è anche competente alla emanazione degli atti del procedimento espropriativo che si
rendano eventualmente necessari, e tra questi rientra senz’altro l’adozione degli atti di proroga dei termini
di conclusione del procedimento espropriativo ove ragioni di forza maggiore abbiano determinato, come
nella specie, l’impossibilità di addivenire all’adozione dell’atto finale di acquisizione dell’area nel termine
indicato con l’atto dichiarativo della pubblica utilità dell’opera.
2. La scadenza del termine per la conclusione dei lavori non inficia la legittimità del provvedimento
acquisitivo adottato, trattandosi di un termine di natura ordinatoria con funzione meramente acceleratoria
della procedura ablativa, onde la sua scadenza non comporta d per sé l'invalidità della procedura seguita.