1 LE BARCHE VENEZIANE E LA LORO VOGA. Qualsiasi manufatto deve essere almeno sufficientemente funzionale all’uso che l’uomo ne fa, senza peraltro dover essere necessariamente piacevole nella sua costruzione in toto. Ma nelle barche veneziane la funzionalità, che si concretizza nella varietà di modelli per impieghi diversi, si coniuga con la bellezza singolare delle loro forme. Funzionalità e bellezza raggiungono la loro massima espressione nella gondola, divenuta uno degli emblemi di Venezia, paragonata da Le Corbusier1, il grande architetto svizzero, per l’originalità dell’architettura e per il complesso studio della sua costruzione, all’opera principe di un liutaio: ad un violino. E’ una splendida metafora questa, che io penso nasca da una mente acuta e sensibile al bello non solo dall’osservazione della configurazione statica del natante, ma anche dal suo particolare assetto in acqua e dall’andamento del suo navigare sotto l’impulso della vogata del gondoliere. Perché, se uno degli attributi della bellezza è l’armonia, intesa qui come movimenti equilibrati, allora anche il gesto del vogatore nelle barche veneziane, che è fatta si di forza, ma anche di abili bilanciamenti e di manovre controllate nei vari momenti del remare, oltre ad essere ben efficiente per la navigazione nell’ambiente lagunare, è elegante e bello da vedersi. E’ fin troppo ovvio evidenziare,a questo punto, come Venezia sorga nelle menti, innanzi tutto, e dalle mani poi di quegli uomini che per un luogo particolare, fatto di acque, di bassifondi, di piccole isole, inventano barche originali e voghe a queste adatte che si perfezionano nel tempo, sino a costituire, barca e voga, un tutt’uno equilibrato. I futuri veneziani sono gli inconsapevoli precursori di quello che, nell’architettura moderna, verrà chiamato funzionalismo, perché, dalla soluzione di problemi tecnici e pratici, come quello di spostarsi e vivere in un ambiente insolito, fanno scaturire valori estetici. Esiste senz’altro in loro, almeno come memoria storica,la cultura del bello del classicismo romano e greco-bizantino. Venezia 1 Charles Edouard Janneret Le Corbusier architetto svizzero 1887-1965 2 meravigliosa nasce da bei vogatori di belle barche. Si perché “ … la barca, scrive Carlo della Corte, è la conchiglia dalla quale si è sprigionata la città” E ancora “… senza le barche” di quella forma e senza quel tipo di voga, aggiungo io, “ non sarebbero avvenuti quei collegamenti tra isola e isola indispensabili a tramare il congiungimento con ponti e poi la grande invenzione architettonica” di Venezia. Quasi in ogni paragrafo precedente abbiamo accennato all’ambiente lagunare. E’ giunto il momento ora di descriverlo un po’ più nel dettaglio, di immaginarlo questo ambiente, così come dovette apparire ai suoi primi abitanti, per capire la scelta quasi obbligata che essi furono costretti ad operare per la forma delle loro imbarcazioni e per tipo di voga, per muoversi ed alla fine stabilirsi e vivere in questo luogo. Il sito della laguna si costituisce in un vasto bacino, ultima porzione di un ancestrale ghiacciaio che dai monti scendeva al mare, ad opera di due fenomeni dinamici ed interagenti: da una parte le alluvioni dei fiumi che qui sfociano, (nel territorio che più ci interessa questi saranno a nord il Piave ed a sud il Brenta), dall’altra il flusso ed il riflusso del mare che entra ed esce da varchi di una barriera litoranea, le future bocche di porto. Sono proprio le maree2 che, con cicli periodici di sei ore, spostano il materiale clastico trasportato dai corsi d’acqua e lo depositano, accumulandolo, su un fondo di vecchissimi limi. Da questi eventi,si forma l’ambiente delle lagune che è costituito, e ci ripetiamo, da bassifondi, solcati da “ghebi”3 , stretti canali più profondi, da cui emergono barene4 e basse isole attraversate da rii di ampiezza diversa e di diversa direzione che le frantumano ulteriormente. E le isole non sono limitate verso la laguna come lo saranno più tardi e come lo sono a tutto oggi da “fondamenta” lastricate da grigi 2 Marea: in veneziano detto anche “dosana” dal francese Jusant, riflusso. Variazione del livello marino dovuta all’attrazione gravitazionale del sole e della luna, che si verifica circa ogni sei ore e che comprende un periodo di equilibrio della bassa o della alta marea detto a Venezia “aqua stanca” o semplicemente “stanca” 3 Ghebi: da latino cavea, cavità, fossa, canale. Canali tra le “seche” e le “barene”. 4 Barena: dal gallico “barros”, ciuffo di erbe palustri, cespuglio in veneto “baro”, terre in parte sommerse con le alte mareee totalmente emergenti con quelle basse. Dossi o dune, terreno incolto. 3 “masegni” di trachite5, bordate da bianca pietra d’Istria, ma le rive fangose del loro perimetro e dei loro canali, sono dolcemente declivi verso l’acqua, contornate da canne di vario tipo. Questo genere di vegetazione doveva essere ben florido e ben diffuso, se un popolare sestriere veneziano viene chiamato Cannaregio, regione, zona cioè delle canne. A titolo d’esempio, citiamo come un tipo di queste, la cannuccia palustre6,ormai ridotta a crescere in aree perilagunari per l’aumento della salinità7 delle acque che non le permette un buon trofismo, poteva raggiungere,in condizioni ottimali, un’altezza di 280, 300 cm di cui i due terzi emergenti dall’acqua. In una situazione ambientale come quella descritta, il barcaiolo deve remare in piedi, con lo sguardo rivolto verso la direzione di marcia del natante. Egli, infatti, deve vedere al di sopra dei canneti per individuare i rii, spesse volte tortuosi, in cui navigare ed in laguna aperta deve saper riconoscere le “piste” dei “ghebi” che gli permettono di avanzare senza arenarsi. E ancora, la sua barca deve avere il minimo pescaggio per superare i fondali ridotti, soprattutto durante le basse maree. Egli opta quindi per un’imbarcazione a fondo piatto,senza carena, facilitato in questa decisione anche dal fatto che in laguna assai raramente si verifica un moto ondoso di una violenza tale da rovesciare questo tipo di natante. La scelta costruttiva gli permette inoltre di trarre rapidamente all’asciutto il battello e di rimetterlo senza difficoltà in acqua facendolo scivolare lungo i lenti 5 Trachite: dal greco trachys, aspro è una roccia vulcanica dell’oligocene inferiore formatesi quindi dalle effusioni vulcaniche di 35 milioni di anni fa. In veneto la si estrae in alcune zone dei Colli Euganei, da Montegrotto,da Zavon di Vo da Montemerlo. Una delle utilizzazioni del materiale è quello della pavimentazione in salizzoni o in macigni. E questa la tipica pavimentazione delle calli e dei campi di Venezia in abbinamento con la bianca pietra d’Istria che limita i bordi dei canali e ne costituisce i gradini di accesso. I macigni, i “ma segni” in veneziano hanno una superficie piana di calpestio di circa 35 per 70 cm. Il resto della pietra è a forma di una irregolare piramide tronca a spacco di cava, per una migliore adesione su uno scavo di terra costipata, e sabbia. Le connessioni attuali dei ma segni con fughe in cemento, senza un’ opera di inserimento implica una precoce sconnessione delle pietre. 6 Cannuccia palustre: Phragmites Australis è la canna con i cui graticci si costituivano le “grisiole” le arelle in italiano che intonacate hanno costituito per secoli la controsoffittatura delle nostre case. Questa pianta cresce bene in acque salmastre con un basso tasso di salinità. 7 La salinità delle acque lagunari aumenta dopo che i magistrati alle acque della Serenissima nei secoli XVI XVII, per evitare l’interramento della laguna per apporto di materiale terroso ordinano i “tagli” di alcuni fiumi importanti.si provvede cioè allo spostamento delle foci dei corsi d’ acqua dalla laguna direttamente almare. Di queste opere ne citiamo alcune: il taglio di Brenta vesrso Chioggia 1520 1610,quello del Piave ad est verso S. Margherita fiume che trova la sua definitiva foce a Cortelazzo dopo un’ alluvione nel 1683, il taglio nuovo di Caposile 1684. Il cambiamento di salinità nelle acque lagunari per diminuzione di apporto di acque dolci, modifica in parte, lo sviluppo della flora autoctona 4 declivi delle rive delle sue isole. Si perché la vita del veneziano si svolge senza interruzione dalla terra alla barca e viceversa, o meglio dalla terra all’acqua nella barca. Ed in questa egli voga in piedi, abbiamo detto, con un piede avanti all’altro, quasi immobilizzato in un passo che gravita per lo più sulla gamba posizionata anteriormente. Poi lo spostamento parziale del peso del corpo, con una lieve flessione posteriore ed il movimento del busto che incomincia a protendersi in avanti, rende armonicamente dinamico il gesto. Esiste per il barcaiolo veneziano un’altra esigenza, quella di poter muovere con estrema libertà il remo e di recuperarlo nel caso questo urti i bassifondi, le “seche”, o i bordi dei canali interrompendo la vogata e la navigazione. Egli inventa allora la scalmiera aperta, che si evolve fino all’odierna forcola. Questa viene scolpita da monoblocchi di essenze dure come il noce ed il ciliegio, per ridurre al minimo il logorio per l’attrito del remo di faggio. E le forcole sono di forma diversa per diversi tipi di barca, forme talmente belle ed originali da essere elementi stabili da esposizione nel museo d’arte moderna di New York. Ma ritorniamo ancora alla vogata. Sembra facile o meglio appare comprensibile, negli ampi spazi delle “valli” lagunari, vogare alla “valesana”, il procedere cioè con i remi incrociati in una spinta simmetrica ai due bordi. Risulta invece quasi impossibile rendersi conto come si possa vogare con un solo remo, esercitando quindi una forza solo ad un lato della barca e, nonostante tutto, farla procedere in linea retta, senza farle fare un giro su se stessa. La voga ad un remo è ancora una volta una scelta obbligata per l’abitante di Venezia, perché negli stretti rii interni delle isole non esiste quasi mai lo spazio per vogare a due remi. Per questo questa remata è diventata la voga veneziana per antonomasia ed un vogatore non può dirsi tale se non è in grado di praticarla. Essa consiste nel “premer”, in una passata del remo appoggiato alla forcola, nella direzione prua poppa, atta a far procedere l’imbarcazione che tenderebbe, perché esercitata sul lato destro, a far ruotare , come si diceva il natante a sinistra, e nello “stalir”, nel compensazione cioè al primo movimento mettendo il remo in taglio, 5 spostandolo brevemente verso prua, con un tocco leggero per raddrizzare l’imbarcazione. Sarebbe a questo punto un inutile appesantimento di queste pagine proseguire in ulteriori descrizioni tecniche della vogata. Ci limiteremo a segnalare ancora una volta l’eleganza del gesto che è fatta di studio di sensibilità, di armonia. Ma per capire l’evoluzione storica nella costruzione di alcune barche veneziane bisogna segnalare ancora alcuni fatti. Nei battelli a più vogatori, il poppiere, che è colui che governa la barca, capisce che per poter vedere bene la direzione da prendere ha bisogno di essere posizionato più in alto dei suoi compagni di voga. Ed un suo anonimo fidato “marangon da squero”,8 un falegname di cantiere, trova la soluzione innalzando la posizione di voga a poppa. Ciò avviene nelle gondole, nei popparini, nelle “batele” nei “topi venessiani”, ecc…. Con l’esperienza si capisce poi, che le imbarcazioni asimmetriche rispetto alla linea longitudinale prua poppa , mantengono meglio la rotta se “le casca a stagando”, se cadono cioè verso destra dove opera il remo del poppiere. Questo andamento lo si ottiene spostando parzialmente verso destra il peso del o dei vogatori in maniera che il “lai de pope”, lato di destra della barca, immerga maggiormente lo spigolo che il fondo forma con il fasciame laterale, spigolo che fungerà in questa maniera da falsa chiglia e sarà importante per mantenere la direzione. Ancora una volta sarà un anonimo marangon ad inventare una barca asimmetrica in modo che già all’atto del galleggiamento a vuoto assuma questa tendenza. Nascono così le gondole nella definitiva architettura attuale. Termino qui questa mia lunga esposizione,breve però per quello che ci sarebbe da dire sull’argomento, segnalando un episodio di cronaca. Durante le varie “Voghe longhe”, remate di oltre 30 km., attraverso la laguna veneziana, le rive ed i ponti del canale di Cannaregio che porta in canal Grande, sono gremiti fino all’invero simile di popolo che applaude, che incita, che incoraggia con slancio spontaneo, affettuoso, partecipe. A quel punto si è quasi alla fine della competizione ed i regatanti sono molto provati, ma ci sono applausi per tutti. Ma quando sotto i ponti dei Tre Archi o 8 Marangon: Falegname dal latino mergus il cormorano da mergere immergersi perchè il maestro d’ascia si immergeva nei bacini dell’arsenale per riparare le carene delle navi. Qualche volta la parola marangon viene usata per indicare un palombaro. 6 sotto il ponte delle Guglie sfila un natante ben vogato, s’ alza un urlo dalla folla “Bela barca!” bella barca! “Bela barca!” perché per il veneziano, il vogatore e l’imbarcazione sono un tutt’uno. Ma è col navigare di quest’ultima che egli valuta come conseguenza, alla fine, della validità della tecnica e dell’estetica dello stile nel vogare dell’uomo, risultato questo di secoli di esperienze e di adattamenti all’ambiente. Ennio Scantamburlo BIBLIOGRAFIA 7 G.F.Turato D.Durante Vocabolario etimologico veneto italiano Ed.La Galinverna Battaglia Terme (PD) 1978 G. Boerio Dizionario del dialetto veneziano G. Cecchini Venezia 1856 Copia anastatica Martello Ed. Milano 1971 A.A.V.V. Le barche di Venezia Cooperativa Ed. L’altra riva Venezia 1981 A.A.V.V. La voga veneta Comune di Venezia ULSS 16 Venezia 1983 G. Carnasacchi Neve La gondola Storia, tecnica, linguaggio Arsenale Coperatva Ed. Venezia 1979 G. Crovato M. 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