abacoper - Città di Sotto il Monte Giovanni XXIII

PROGETTO DEFINITIVO PIANO ATTUATIVO Atr2
Abaco progettuale delle opere del paesaggio
ABACO PROGETTUALE delle OPERE DEL PAESAGGIO
1 PRODOTTI PER PAVIMENTAZIONE
Si definiscono prodotti per pavimentazione quelli utilizzati per realizzare lo strato di
rivestimento dell'intero sistema di pavimentazione.
Si forniscono di seguito dei cenni sulle modalità di fornitura e posa in opera delle
pavimentazioni del sentiero.
Sono parte integrante delle seguenti descrizioni gli elaborati grafici allegati.
Le pavimentazioni del sentiero naturalistico saranno eseguite nel modo descritto di
seguito:
• eventuale pulizia superficiale e scavo di 20 cm con asportazione del terreno
agricolo e posa di geotessuto;
• Formazione di sottofondo costipato in spessore minimo da cm 20 e con pendenze
e spessori di posa già definitivi.
1.1 BIOSTRASSE
• Materiale rullato in due strati (pezzature inerti!) con finitura superficiale “bianca”.
La pavimentazione Biostrasse è caratterizzata dall’elevato pregio tecnico ed
architettonico. Tecnologie innovative permettono la realizzazione di un massetto
monolitico in tutto il suo spessore e l’ottenimento di elevati valori di resistenza a
compressione e di resistenza all’attrito.
Il massetto Biostrasse viene realizzato con aggregati lapidei certificati secondo la
UNI 12620 attestazione 2+, con legante cementizio CEM II nei vari possibili
sottogruppi, con additivi BIOSTRASSE. La tessitura superficiale ruvida e permeabile
garantisce la sicurezza di transito in ogni condizione atmosferica, acqua e gelo inclusi.
Il mix del tutto particolare viene studiato prevedendo una percentuale di vuoti nella
miscela tale da garantire il corretto equilibrio tra permeabilità, isolamento acustico e
isolamento termico. Il citato mix può allo stesso tempo essere studiato, se richiesto,
per la realizzazione di massetti impermeabili, nel qual caso verrà mantenuto il solo
isolamento termico.
Il massetto BIOSTRASSE è caratterizzato dall’elevata resistenza a compressione
che si attesta sul valore di 13 Mpa, detto valore permette di ridurre gli spessori della
pavimentazione. La pavimentazione BIOSTRASSE si presenta come un vero e
proprio lastrone monolitico in grado di ripartire i carichi trasmessi dal piano viabile,
siano essi concentrati o ripartiti, ne consegue che la sovrastruttura risulta poco
sollecitata a vantaggio di una maggiore stabilità e durata a fatica nel tempo.
Principali caratteristiche del massetto Biostrasse:
- Permeabile: il massetto Biostrasse è ricco di vuoti interni che permettono il
passaggio dell'acqua, dell'aria e del suono. In forza di detta caratteristica
nascono nuovi criteri di progettazione del pacchetto stradale, con sensibili
risparmi per il recupero delle acque meteoriche. Il massetto così progettato
evita il formarsi di pozzanghere e dell'effetto acquaplanning a vantaggio della
sicurezza dell'utente. La permeabilità inoltre è il miglior antidoto contro la
crescente impermeabilizzazione del suolo, come prevenzione del dissesto
idrogeologico. Gli stessi vuoti poi garantiscono la fonoassorbenza per
contenere il rumore da rotolamento del pneumatico. La permeabilità inoltre
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permette il nutrimento delle radici delle piante che non hanno necessità di
spaccare il massetto per trovare il principale elemento della loro vita: l'acqua.
Il massetto non altera le carattistiche chimiche e fisiche dell'acqua ed è
particolarmente resistente ai cicli di gelo e disgelo in quanto i vuoti interni
permettono una crescita del volume dell'acqua che non crea danni. Lo
testimoniano i molti lavori realizzati in alta montagna nel Veneto in Provincia
di Belluno, a Cortina d’Ampezzo ed all'interno dei parchi nazionali: Parco
Nazionale d'Abruzzo, Parco Adamello Brenta, Parco delle Dolomiti Bellunesi,
Parco Orsiera,ecc.
Atermico: non accumula e non propaga calore. Le temperature al suolo nella
stagione calda delle pavimentazioni in bitume possono oscillare tra i 60° ed i
100° influenzando negativamente il microclima, favorendo l'effetto serra e
togliendo al comune cittadino il “benessere”. Il massetto Biostrasse mantiene
al suolo una temperatura superiore di qualche grado rispetto a quella
esterna. L'atermicità si accompagna poi dal contenuto indice di riflessione
solare certificato del massetto Biostrasse, particolarmente apprezzato dalle
Società di certificazione del comparto edilizio (GBC-LEED).
Riciclabile: in caso di rimozione non va in discarica. Non è un rifiuto speciale.
Tutti gli altri materiali a base bituminosa, resinosa, acrilica non sono
annoverati tra quelli riciclabili.
Ininfiammabile: non contiene idrocarburi, sostanze plastiche, resinose,
acriliche o sostanze di origine petrolifera
Procedure di confezionamento e posa: il massetto Biostrasse si confeziona
in un impianto di betonaggio e si posa a freddo con la tradizionale vibro
finitrice.
Spessori del massetto:"
- cm 5 per i percorsi ciclabili e pedonali senza transito veicolare"
- cm 6 per percorsi carrabili a traffico leggero"
cm 7 per percorsi carrabili a traffico medio"cm
8 per percorsi stradali a traffico pesante.
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1.2 CORDOLI IN LEGNO
Gli elementi delle cordonate con sezione e caratteristiche determinate dagli
elaborati di progetto saranno posati per tratti rettilinei o curvilinei a correre, a raso o in
elevazione rispetto alle quote adiacenti. Essi saranno in legno di larice o pino
impregnato in autoclave a pressione secondo le normative vigenti. La Direzione lavori,
a suo insindacabile giudizio, potrà eseguire dei prelievi, mediante confezionamento di
provini degli elementi di cordonatura, da sottoporre al controllo della resistenza a
compressione semplice.
Gli elementi in legno, con caratteristiche fisiche e morfologiche conformi a quelle di
progetto, andranno posati “di coltello” ed avranno una sezione di cm 3 x cm 14,
lunghezza 4 mt od inferiore nei tratti curvi, fissati con tirafondi in ferro ogni 1-1.5 mt e
opportunamente rinfiancati in modo continuo da ambo i lati.
Particolare cura l’Impresa dovrà avere durante la posa per rispettare gli allineamenti
di progetto, mentre gli attestamenti tra i consecutivi elementi di cordonata dovranno
essere perfetti e privi di sbavature o riseghe.
2. ARREDI
Il legno utilizzato per gli arredi è il pino silvestre impregnato in autoclave (sottovuoto
e pressione) con sali antimuffa e antimarciume senza cromo, classe A. Il tipo di
impregnante adottato è il Tanalith E conforme alle normative EN 351-1
2.1 PANCHINE E TAVOLI IN LEGNO
Le panchine lungo il percorso saranno
realizzate in legno di pino nordico impregnato a
pressione in autoclave, con n. 5 listoni stondati da
cm 12 x 3.5 (n. 3 di seduta e n. 2 di schienale) Lunghezza variabile da cm 180 a cm 195; oppure
da panchine con schienale con basamento
costituito da tronchi masselli in legno (come da
elaborati grafici).
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La composizione PIC-NIC sarà di tipo pesante,
realizzata in legno di pino nordico impregnato a
pressione in autoclave, composta da n. 2 panche
senza schienale e tavolo collegate a monoblocco
dello spessore di cm 4.5 cm; le dimensioni totali
del manufatto, fornito già assemblato, sono le
seguenti: cm 195 x 152.
In alternativa la composizione tavolo + 2 panche,
sempre realizzata in legno di pino nordico
impregnato a pressione in autoclave, può essere
composta da n. 2 panche con
schienale realizzate ognuna con n. 5 listoni
stondati da cm 12 x 4,2, tavolo con piano
realizzato con n. 6 listoni stondati da cm 12 x 4,2
collegato alle due panche mediante due
traverse di base predisposte per l'ancoraggio al
terreno mediante plinti in calcestruzzo.
Dimensioni cm 220 x 195 x 75H, H seduta cm 45.
2.2 GIOCO IN LEGNO
Posizionata vicino all’area di sosta prima del ponte in
legno, la Palestra rettangolare sarà realizzata in legno di
pino nordico impregnato a pressione in autoclave, con
struttura in legno lamellare trattato con lavorazione a
quadrifoglio, pali ancorati mediante staffe in acciaio che
evitano il contatto del legno con il terreno, calotte di
protezione in plastica od acciaio all'estremità dei pali.
La palestra sarà composta da diverse parti che
permettono altrettante diverse possibilità di gioco, di
utilizzo e di esercizio fisico: ad esempio composta da n.2
spalliere, rete di arrampicata, coppia di anelli, fune, scala orizzontale, scala mobile a
corde con pioli e barra da ginnastica inox. Dimensioni totali del manufatto: cm. 246 x
167 x 200H.
2.3 CESTINI PORTARIFIUTI
Cestini portarifiuti saranno realizzati con contenitore
circolare in lamiera in acciaio zincato a caldo, con
rivestimento esagonale diametro cm 38, realizzato con
listelli in legno verticali sezione cm 4,5 x 2,3 e doppio
palo montante sezione cm 7 x 7 in legno di pino
nordico impregnato a pressione in autoclave. In
alternativa la struttura metallica zincata a caldo potrà
essere contenuta in elemento circolare in legno,
formato da più listelli/assi verticali e con portello
anteriore apribile, come da elaborati grafici di progetto.
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2.4 BACHECHE E LEGGII IN LEGNO
Le bacheche saranno bifacciali e protette da tetto a due falde, realizzate in legno di
pino nordico impregnato a pressione in autoclave, con pali montanti in legno
bilamellare sezione cm 9x9 ancorati mediante staffe in acciaio che evitano il contatto
del legno con il terreno.
La tabella espositiva, utilizzabile su entrambi i lati, sarà da cm 100 x 70 realizzata
con tavole maschiate spessore mm 20, legni distanziatori da cm 9 x 4 e tetto a due
falde realizzato con perline spessore mm 20.
Le dimensioni totali del manufatto saranno cm 140 x 90 x 2.15 – h 215/280 cm (pali
prolungati da interrare e murare con plinti in CLS)
Esempio di bacheca e leggio in legno
Il Leggio verrà realizzato in legno di pino nordico impregnato a pressione in
autoclave; formato da n. 2 pali montanti sezione cm 9 x 9 da interrare e fissare a terra
mediante plinti CLS, tagliati ad opportuni gradi sulla testa superiore per il fissaggio del
pannello inclinato in multistrato da cm 90 x 60 (pannello serigrafato con scritte in
braille, fissato al legno). L’altezza massima del manufatto da terra sarà di cm 90.
2.7 PORTABICICLETTE IN LEGNO
Il manufatto verrà realizzato in legno di pino
nordico impregnato a pressione in
autoclave, con telaio di base sagomato da cm 9
x 9, n. 10 cavallotti reggiruota in legno da
cm 12 x 3.5, con doppio smusso. Misure totali
cm 200 x 65 x 20H, n. 5 posti.
2.8 STACCIONATE IN LEGNO
Recinzione di altezza fuori terra cm 100, realizzata in legno di pino nordico
impregnato a pressione in autoclave con pali montanti diametro cm 12 altezza cm 130
di cui cm 30 da interrare, con doppio foro passante diametro cm 8, posizionati ad
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interasse cm 200, n.2 traverse orizzontali in tondo diametro cm 8, viteria in acciaio
zincato.
3 VEGETAZIONE
Le specie arboree ed arbustive che si impiegheranno nelle opere di
riqualificazione paesaggistica interessate dalle urbanizzazioni, saranno in perfetta
sintonia con gli obiettivi di salvaguardia naturalistici/ecologici oltre che di
valorizzazione e rafforzamento del sistema ambientale complessivo dell’intero
comparto.
L’elenco a seguire è una sintesi delle specie autoctone e naturalizzate che si
intendono impiegare nel progetto esecutivo, nel quale verrà posta particolare
attenzione alle funzioni ed al luogo in cui dette specie saranno impiegate.
Sommario
Acer campestre L. ......................................................................................... 7
Alnus glutinosa .............................................................................................. 9
Carpinus betulus L. ..................................................................................... 10
Corylus avellana L. ...................................................................................... 12
Crataegus oxyacantha L. ............................................................................ 13
Fraxinus excelsior L. ................................................................................... 15
Quercus petraea.......................................................................................... 17
Quercus robur L. subsp. robur s.s. .............................................................. 18
Sambucus nigra L. ...................................................................................... 22
Tilia cordata Miller ....................................................................................... 26
Salix caprea L.............................................................................................. 28
Morus alba L................................................................................................ 29
Sorbus aucuparia L. subsp. aucuparia ........................................................ 31
Prunus avium L. Subsp. Avium ................................................................... 34
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Acer campestre L.
Sinonimi
Acer campestre subsp. campestre,
Nomi italiano
Acero campestre, Acero oppio,
Oppio, Loppio, Testucchio
Etimologia
Acer è un termine latino di origine
greca: Gr. Akra = Lat. Acer = acre,
aspro nel senso di arduo, duro.
campestre: campestre, dei campi.
Descrizione
Pianta perenne caducifolia, ad
accrescimento lento, formante
cespugli generalmente alti 5-:-6 metri,
oppure a portamento arboreo, e in questo caso può raggiungere i 20-:-25 m; fusto
spesso tortuoso, a volte anche contorto; corteccia grigio-bruno-verdastra, tendente
a toni gialli allo stato giovanile, screpolata, con leggere fessure longitudinali a
maturità, e la cui porzione più esterna si stacca a placche, scoprendo così quella
più giovane, che appare rossastra; i nuovi getti sono pubescenti, e invecchiando
possono presentare ali suberose; la chioma è arrotondata, le ramificazioni
secondarie sono generalmente opposte.
Foglie
Le foglie sono opposte e hanno un picciolo lungo mediamente 6-:-7 cm che, se
spezzato, emette una sostanza lattiginosa; lamina palmato-lobata, lunga da 5 a 12
cm, composta da 3 o 5 lobi che possono essere, a loro volta, divisi in ulteriori sublobi; la pagina superiore è di colore verde scuro, mentre quella inferiore è più
chiara e tomentosa; margine generalmente intero; in autunno, prima di cadere,
assumono delle splendide colorazioni giallo-rossicce.
Fiori
Ermafroditi o unisessuali (maschili), riuniti in corimbi eretti, pubescenti, lunghi circa
5-:-7 cm, con sepali e petali verdastri.
Frutti
Disamare, cioè infruttescenze formate ciascuna da due samare con ali
contrapposte; sono generalmente lunghe da 2 a 4 cm; in fase di maturazione
hanno un colore verde chiaro, diventando rossastre a maturità, in autunno.
Periodo di fioritura
Fiorisce in Aprile-Maggio.
Territorio di crescita
Presente in tutta la penisola italiana con maggiore frequenza nelle regioni più
fresche.
Habitat
Preferisce terreni freschi ma non umidi, calcarei, anche sassosi, ma non sabbiosi,
in posizioni ben esposte ed anche nei misti boschivi planiziali, collinari e
submontani; spesso in compagnia di querce, olmi, ornielli, ecc., cresce fino a m.
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800-:- 1000 slm; nelle regioni più meridionali si può trovare anche fino a m. 1500.
Somiglianze e varietà
Attualmente si tende a considerare tutte le varietà di Acer campestre come
sinonimi; Acer campestre L. subsp. campestre var. leiocarpum (Opiz) Wallr.,
ultima subspecie ad essere posta tra i sinonimi, si differenziava per avere foglie,
peduncoli ecc. meno tomentosi e più lisci.
Specie protetta
Non risultano norme a carattere generale, regionale, locale, che proteggano
questa pianta.
Costituenti chimici
La corteccia è la parte più significativa e viene raccolta dai giovani rami in Aprile e
poi essiccata; essa contiene allantoina, colina, tannini, fitosteroli.
Uso Alimentare
Le parti di questa pianta generalmente non vengono utilizzate direttamente
nell'alimentazione umana, ma i suoi fiori permettono alle api di produrre un
eccellente miele; i semi, tostati, erano utilizzati al posto del caffè.
La linfa di alcune specie di Acero, ricca di zuccheri, minerali e vitamine, viene
utilizzata per ricavarne zucchero ed uno sciroppo dolce e particolarmente
energetico: anche A. campestre ne contiene ma in quantità inferiore.
Le sue foglie sono un cibo molto appetito dagli animali: infatti, quando per le genti
di campagna era troppo oneroso comperare mangimi, si usava "andare a
sfogliare" aceri ed olmi; questa operazione consisteva nel prendere i giovani
rametti tra pollice ed indice e, facendo pressione, si facevano scorrere le dita fino
alla fine del ramo, in modo che la mano risultava piena di foglie; asini, cavalli,
pecore, capre, conigli ecc. gradivano molto questo cibo sostanzioso.
Medicina alternativa e Curiosità
Possiede proprietà lievemente anticoagulanti, abbassa i lipidi, aiuta nella
prevenzione delle calcolosi e nelle cure successive alle manifestazioni di Herpes
zooster; il decotto di corteccia usato anche come rinfrescante intestinale. Il
gemmoterapico di Acer campestre esercita un’azione antiflogistica sulla colecisti e
riduce la precipitazione di sali biliari, modificando la composizione della bile.
Antiche credenze popolari conferivano all'acero proprietà magiche contro le
streghe, i pipistrelli, la sfortuna.
Note
Questa pianta, per la sua crescita molto lenta, è usata per comporre siepi; in
passato veniva utilizzata, unitamente all'orniello ed all'olmo, per sostenere filari di
viti, nei vigneti; il suo legno molto chiaro, duro e compatto, ma facile da lavorare
anche al cesello ed al tornio, viene usato in ebanisteria, per impellicciare mobili,
ecc; molto apprezzato nella fabbricazione di manici e superfici di chitarre e
strumenti ad arco e negli ambienti rurali, per costruire attrezzi agricoli, ecc.
Il legno dell'acero è usato anche come legname da ardere, e nella produzione di
carbone, ma non viene incentivata la produzione per la scarsa resa quantitativa, a
causa lella sua lenta crescita. Secondo un’altra credenza popolare pare che,
facendo passare un bambino attraverso i rami dell’Acer campestre, gli si
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garantisce lunga vita. Nel folklore francese le noci dell’acero simboleggiano i 58
anni di matrimonio. Infine esiste una storia più recente secondo la quale uno degli
inventori dell’elicottero, Sikorskij, ha tratto ispirazione vedendo cadere un seme
dell’acero.
Alnus glutinosa
Ontano nero (it)
Fitocenosi
Pianta particolare dei boschi freschi
collinari o montani. In Italia è
presente nelle regioni continentali e
nelle isole, dal livello del Mare, fino
a 1200-1800 metri. Si trova lungo i
corsi d’acqua con salici e pioppi,
nelle zone di palude, nei terreni
inondati e argillosi. In boschi puri è
diffuso in Piemonte e da Pisa a La
Spezia.
Caratteristiche ornamentali
Portamento: Albero alto fino a 20
metri, talvolta arbusto. Quando si
presenta in forma arborea, ha un tronco slanciato, ricoperto da una corteccia
bruno-verdognola che nell’albero adulto è screpolata. Chioma larga, conica o
piramidale. Rami prima ascendenti diventano poi orizzontali. Apparato radicale
superficiale ampio. Specie a rapido accrescimento.
Gemme: dal verde al violaceo, lunghe 7 mm, su corti peduncoli.
Foglie: Albero a foglie decidue. Foglie ovali, quasi arrotondate, prive di un apice
appuntito e con margine irregolarmente seghettato, cosparse di una sostanza
vischiosa che le rende appiccicose. Colore verde scuro su entrambe le pagine.
Fiori: Le infiorescenze maschili, cilindriche e lunghe 6-12 cm, sono formate da
tante squamette disposte come le tegole di un tetto, alla cui ascella sono posti i
fiori, costituiti da un ciuffetto di stami e da una piccola brattea. Le infiorescenze
femminili sono più piccole, riunite in gruppi di 3-5.
Frutti: sono acheni alati, provvisti di una stretta espansione alare che ne favorisce
la dispersione da parte del vento.
Utilizzo
Pianta adattabile a molti impieghi pur rispettandone le caratteristiche fitoclimatiche
e vegetative. E’ impiegata soprattutto come pianta da rimboschimento oppure a
scopo ornamentale per la colorazione giallo-aranciata che assume il suo fogliame
in autunno. Il suo legno di facile fenditura e lavorazione, si altera facilmente
all’aria, mutando colore. Vie ne usato per la produzione di carbone vegetale, carta,
lavori artigianali, cassette di legno per la frutta.
Ecologia
Lo si trova in ambienti strettamente ripariali, e quindi legato a suoli con elevata
presenza di acqua, oppure su vecchi franamenti o su accumuli di detriti terrosi e
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Periodo di fioritura
Fiorisce in Aprile-Maggio
Territorio di crescita
Specie spontanea dell'Europa centrale, dai Pirenei all'Ucraina, e del Medio
Oriente; in Italia è spontanea in tutte le Regioni ad eccezione di Valle D'Aosta,
Sicilia e Sardegna.
Habitat
Specie resistente alle variazioni climatiche, gradisce terreni sciolti, leggeri e
freschi; cresce molto bene vicino a piante più alte che lo mantengono fresco ed in
penombra; spesso è associato a castagno, varie querce, faggi, olmi, frassini, aceri
ecc. Cresce dalla bassa collina sino a raggiungere talvolta i 1400 metri slm.
Somiglianze e varietà
Può essere confuso con:
-Fagus sylvatica L. che possiede un tronco più lineare e robusto, foglie ondulate e
a margine intero.
-Ostrya carpinifolia Scop. , cioè il carpino nero, di taglia inferiore e più esile, che
possiede una corteccia bruna con placche in rilievo e foglie ovali-allungate con
apice arrotondato e non acuto.
Costituenti chimici
Acido gallico (foglie antiemorragico), biostimoline (gemme), flavonoidi (foglie),
betulina, tannini, saponine
Uso Alimentare
Non si conoscono usi alimentari per questa specie.
Le foglie sono un buon foraggio per gli animali.
Medicina alternativa e Curiosità
In fitoterapia e gemmoterapia la pianta è usata nelle affezioni delle vie respiratorie
e per la sua azione di stimolo nella produzione delle piastrine.
A livello delle prime vie aeree esercita azione antinfiammatoria, antispastica e
cicatrizzante. A livello polmonare ha proprietà antispasmodiche ed antitussigene.
Il macerato di gemme è inoltre un rimedio contro le emorragie ed aiuta a
correggere l’insufficienza epatica, caratterizzata da piastrinopenia. Viene anche
utilizzato per abbassare il livello di colesterolo.
Nella terapia coi fiori di Bach Hornbeam (Carpinus Betulus) è indicato per coloro
che non si sentono abbastanza forti per affrontare i problemi e le attività
quotidiane, benché di solito riescano a portare a termine i propri compiti.
Nell’astrologia celtica, che lega uno speciale albero alla data di nascita, Hornbeam
è la pianta di coloro che sono nati fra il 4 ed il 13 di giugno. Dona bellezza algida,
buon gusto, rende attenti a condurre una vita confortevole, coscienziosi, gentili ma
alquanto insicuri delle proprie decisioni
Note
Il legno, di particolare durezza, è spesso usato per realizzare manici e strumenti
agricoli; pianta molto pollonifera, si presta egregiamente per la realizzazione di
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siepi ed è apprezzata anche come legna da ardere.
Corylus avellana L.
Sinonimi:
C. silvestris Salisb.
Nomi volgari:
Nocciolo, Avellano, Nocchio,
Acciardello
Morfologia
Arbusto alto 3-4 metri, ma
talvolta anche alberetto alto
fino a 10 metri, con
ramificazione alta.
Foglie alterne tondeggianti,
acuminate all’apice, con
margine a doppia dentatura e
nervature pennate ben evidenti, provviste di peluria nella pagina inferiore. Il colore
è verde intenso nella pagina superiore, un po’ ruvida, mentre è più chiaro ed
opaco nella inferiore. Il picciolo è breve e tomentoso.
Fiori maschili in amenti penduli, di color giallastro, ricchi di polline a diffusione
anemofila. Fiori femminili presenti sulla stessa pianta poco appariscenti, a forma di
gemma, provvisti di un breve ciuffetto di stimmi color rosso vivo.
Frutti: sono notissimi (nocciole); si tratta di grossi acheni racchiusi in un pericarpo
legnoso di colore marroncino, eduli. Sono circondati quasi interamente da un
involucro fogliaceo, dentato o irregolarmente frastagliato.
Distribuzione – Habitat – Fioritura:
E’ comune nell’Europa centro-meridionale e in Asia minore. E’ una specie
altamente plastica, adatta a vegetare in climi molto diversi e senza particolari
esigenze di suolo. Può essere considerata sia specie colonizzatrice di terreni
incolti e di pascoli abbandonati, sia arbusto di sottobosco associato,
particolarmente in radure ed aree marginali, ad altre specie arboree, latifoglie o
aghifoglie, dalla pianura alla montagna.
La fioritura è precoce (inverno) e precede la fogliazione.
Note:
Il Corylus avellana presenta numerose varietà coltivate sia a scopo frutticolo che
ornamentale. Tra le prime, in coltura agraria per produzione di frutti di grosse
dimensioni, si possono ricordare C. maxima e C. colurna; tra le seconde le varietà
a fogliame rosso o dorato (var. fusco-rubra Dipp., var. aurea Kirchn.) e quelle a
portamento piangente (var. pendula Dipp.) o a rami contorti (var. contorta Bean.)
Note tipologiche e fitosociologiche:
*Il nocciolo è da considerarsi una specie ubiquitaria ad elevata capacità
ricolonizzatrice di zone abbandonate dall’attività agro-pastorale. Questa dote
dipende dalla sua ampia diffusione, favorita sia dall’azione umana sia dall’opera
disseminatrice di uccelli e piccolissimi mammiferi che si nutrono dei suoi frutti. I
suoi semi, dotati di buona facoltà germinativa, sono in grado di attecchire
praticamente in tutte le condizioni, occupando in pochi anni superfici naturali non
boscate e aprendo così la strada a boschi di neoformazione costituiti da specie
diverse.
Solitamente il nocciolo partecipa ai processi di ricolonizzazione forestale nelle fasi
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iniziali, per cedere poi il passo, dopo periodi più o meno lunghi, secondo la fertilità
stazionale e la capacità concorrenziale, alle altre specie edificatrici del bosco che
entrano caso per caso nel processo evolutivo.
Crataegus oxyacantha L.
Sinonimi
Crataegus oxyacanthoides
Thuill., Crataegus laevigata
(Poiret) DC.
Nomi volgari: biancospino dei
boschi, biancospino selvatico.
Etimologia: del nome latino
deriva da "kràtaigos", il nome
con cui i greci indicavano il
biancospino, che significa "forza
e robustezza"è infatti un arbusto
con legno molto duro,”
oxyacantha” deriva dal greco “oxys” = punta e “akantha” = spina a indicare i rami
spinosi.
Morfologia:
arbusto, raramente albero, alto sino a 5 m, la corteccia nel periodo giovanile è di
colore grigio chiaro per diventare in seguito bruno-rossastra, con rami glabri e
spinosi.
Le foglie sono picciolate e profondamente incise, alterne, semplici, glabre ellitticoobovate con una o due incisioni per lato poco profonde, hanno margine dentato e
la pagina superiore di colore verde scuro, quella inferiore verde-glauco.
I fiori, lievemente profumati,sono bianchi , raramente rosati, riuniti in corimbi
terminali. I singoli fiori sono ermafroditi, hanno 5 petali di forma appiattita e calice
formato da 5 lacinie triangolari, numerosi stami, gli stili sono 2.
I frutti sono drupe ovali o globose che contengono 2 noccioli.
Distribuzione – habitat – fioritura:
presente in quasi tutte le regioni temperate dell'emisfero boreale, ama le
temperature miti ma tollera bene anche il freddo invernale,vegeta ai margini dei
boschi, sui pendii soleggiati, nelle siepi, dalla pianura sino a 1.200 m, fiorisce da
aprile a giungo
Proprietà ed usi:
l’uso terapeutico della pianta è attestato sin dal XIII secolo, ma nei vecchi manuali
si trova trattato il biancospino ancora accanto ai digitaloidi e questa originaria
interpretazione ha portato a confusione: glicosidi simildigitalici o ulteriori principi
attivi, con cui viene compensato un cuore insufficiente, nel biancospino non sono
presenti. Oggi è assodato invece, che il biancospino è realmente una vera e
propria pianta medicinale per il distretto cardiaco e per le patologie circolatorie.
Tre effetti devono essere distinti nel caso del biancospino:
1° miglioramento della circolazione coronarica
2° il biancospino non ha un'azione antiipertensiva tuttavia i valori pressori possono
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regolarsi grazie al miglioramento dell'energia del cuore, forse persino
normalizzarsi, quindi una pressione elevata può abbassarsi e d'altra parte una
pressione ridotta può salire; l’indicazione come ipotensivo in senso stretto è quindi
scorretta.
3° disturbi ritmici del cuore, sono emersi come il più recente campo di applicazione
della pianta.
In fitoterapia si utilizzano inoltre, la corteccia che ha azione febbrifuga, le foglie e i
frutti che esercitano azione astringente, i fiori in infuso,sono sedativi e indicati nei
casi di insonnia e stress.
Dai frutti si ricava una confettura dal gusto molto delicato.
Curiosità:
tra le numerose specie spontanee di biancospini. in Italia troviamo cinque specie:
Crataegus laciniata, Crataegus azarolus, Crataegus monogyna, Crataegus
oxyacantha e Crataegus macrocarpa. Il C. oxiacantha e C. monogyna sono i più
conosciuti e diffusi mentre le altre specie sono simili alle precedenti e per alcuni
autori potrebbero essere degli ibridi di queste 2 specie.
Il C. oxiacantha e C. monogyna (biancospino comune) si differenziano appena;
Crataegus oxyacantha ha foglie a tre-cinque lobi, irregolarmente seghettate, in
particolare verso l'apice, e i lobi stessi presentano una forma più arrotondata, le
foglie e i rami sono glabri. Il Crataegeus monogyna, come dice lo stesso nome, ha
uno stilo solo, mentre il Crataegus oxyacantha ha per lo più due stili, più
raramente anche uno solo o persino tre, le foglie sono più profondamente incise e
i lobi appuntiti; i rami sono glabri, ma i peduncoli dei fiori sono pelosi.
Morfologicamente le due specie di biancospino sono assai simili e solo con una
attenta osservazione si possono distinguere, sono entrambi efficaci ed usati in
fitoterapia. Per la bellezza dall’arbusto in periodo di fioritura ed essendo piante
robuste ed adattabili a qualsiasi tipo di terreno, alcune specie vengono coltivate ed
usate per formare siepi. Fin dall’antichità il biancospino era considerato l’albero di
maggio, i romani lo dedicarono a Maia, dea del mese di maggio e della castità.
Sulla tradizione pagana si innestò quella cristiana, dedicando il biancospino alla
Vergine: i fiori bianchi a simboleggiare la purezza,gli stami rossi, il sangue di Gesù
, sul cui capo venne posta una corona di rametti di biancospino. In passato si
diceva che chi aveva un biancospino in giardino era baciato dalla fortuna.Ma guai
a portarlo in casa! Nel linguaggio dei fiori il biancospino significa speranza.
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Fraxinus excelsior L.
Sinonimi
Non risultano sinonimi.
Nome italiano
Frassino, Frassino comune, Frassino
maggiore
Nomi locali: Frassina, Frasin, Frassin,
Vovul, Uar, Vuar, Frasœn, Fràsscia.
Etimologia
Il termine latino Fraxinus trae origine
dal greco Phràssein che significa
assiepare;
Il nome della specie excelsior è
comparativo di maggioranza di
excelsus, che significa alto, quindi
excelsior significa "più alto", con
evidente riferimento alle varie specie
di Frassini.
Descrizione
Albero eliofilo a foglia caduca dal portamento slanciato, ma maestoso negli
esemplari isolati, in grado di raggiungere l’altezza di 40 metri; il tronco, che può
superare il metro di diametro, è dritto e cilindrico; corteccia inizialmente liscia, di
colore grigio verdastra e con macchie chiare, con l’età assume toni grigio-brunastri
e fessurazioni longitudinali; i rami sono opposti, lisci e di colore verdastro chiaro; le
gemme, evidenti e tomentose, sono opposte, di colore nerastro, con quella posta
all’apice dei rami di dimensioni maggiori.
Foglie
Possono superare anche 25 cm di lunghezza; opposte, imparipennate, composte
di (7) 9 ÷ 13 (15) foglioline di dimensioni fino a cm 12 x 2 ÷ 4, lanceolate, con
apice acuto, sub sessili ma con la terminale picciolata; margine finemente
seghettato, con nervature evidenti che si diramano verso il bordo; colore verde
lucido nella pagina superiore, più chiaro e glabro in quella inferiore.
Fiori
Compaiono prima delle foglie sui rami dell’anno precedente e si presentano come
piccole pannocchie laterali, ascellari; fiori privi di corolla e calice, ermafroditi ma
anche unisessuali: in questo caso quelli maschiili sono composti di due soli stami,
con antere porpora mentre quelli femminili sono muniti ovario bicarpellare ed
assumono una colorazione più verdastra.
Frutti
Sono samare lanceolato-lineari, ottuse, lunghe fino a 60 mm, peduncolate e riunite
in grappoli; inizialmente di colore verde chiaro, poi giallastre, e rossicce alla
maturazione, rimangono attaccate ai rami per tutto l’inverno e, per un complesso
sistema di esigenze, soprattutto climatiche, possono germinare al secondo anno
dalla maturazione (in genere 18 mesi).
Periodo di fioritura
Legato alle condizioni ambientali, da Marzo a Maggio.
Territorio di crescita
Specie diffusa in tutta Europa fino al Caucaso, nel nostro Paese è presente
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soprattutto nelle Regioni settentrionali, la sua frequenza diminuisce scendendo
verso sud; assente in Basilicata e Calabria, naturalizzata in Sardegna.
Quota di diffusione dal livello del mare fino a 1500 (1600) metri.
Habitat
esigente in fatto di acqua lo si trova lungo le pendici umide e luminose della bassa
montagna, nelle vallette golenali e, scendendo, nei freschi boschi planiziali, lungo i
corsi d’acqua e, soprattutto negli alvei degli stessi.
Somiglianze e varietà
Può essere confuso con
-Fraxinus angustifolia Vahl s.l. che ha dimensioni più ridotte, ambiente di crescita
ancora più umido, foglioline più strette, margine con dentature pari alle nervature e
provviste di rachide pubescente, fioritura anticipata; negli areali nei quali queste
due specie si sovrappongono, si possono facilmente trovare degli esemplari ibridi,
essendo queste due entità completamente interfeconde.
-Fraxinus ornus L. (orniello) caratterizzato dalle dimensioni molto ridotte, foglie
picciolate a margine ondulato, corteccia liscia, fioritura anticipata.
Costituenti chimici
Acido ursolico, benzochinone, mannitolo, tannini, fenoli, cumarine, flavonoidi,
acido ascorbico, iridoidi, siringoside e tannini
Uso Alimentare
Anticamente i frutti venivano messi in conserva di sale ed aceto per essere usati
come condimento; questa preparazione è ancora in uso in Siberia.
Dalle foglie si può ricavare un succedaneo del tea.
Medicina alternativa e Curiosità
In fitoterapia i preparati di Frassino vengono utilizzati per le loro proprietà
antinfiammatorie, analgesiche ed antiflogistiche: l’azione antinfiammatoria sembra
possedere una specifica efficacia sulla parete colecistica, per cui viene suggerito
in particolare l’uso nelle colecistiti croniche.
Oltre a queste indicazioni, al Frassino sono riconosciute attività diuretica e
uricosurica: quindi viene indicato in casi di artrosi, iperuricemia, gotta,
ipercolesterolemia, ritenzione idrica, cellulite;le parti utilizzate sono le foglie e la
corteccia di rami giovani.
Per uso esterno si può utilizzare un infuso di foglie per fare impacchi in caso di
dolori articolari e disturbi reumatici.
Faxinus excelsior è un albero importante nella mitologia e nel folklore europei e,
soprattutto nei nordici, è stato sempre considerato un albero magico e sacro; molti
sono i riferimenti alle leggende legate al dio Odino: si narra che lo stesso Odino
(Igg) abbia acquisito i sui poteri magici, dopo essersi impiccato ed aver trascorso
un lungo tempo all’interno di un frassino; in Scandinavia questo albero viene
chiamato Igg-drasil cioè cavallo di Odino.
Il nome inglese moderno, Ash, deriva dalla parola Anglo-Sassone “aesc”, che
significa: lancia. Nell’alfabeto celtico Ash o “Nion” rappresenta la nostra, moderna,
lettera NIn Gran Bretagna l’antica saggezza popolare indica che, quando le gemme della
Quercia si schiudono prima di quelle del Frassino, l’estate sarà secca e sarà
invece umida se quelle del Frassino saranno le prime ad aprirsi.
Note
Il legno, di colore molto chiaro, quasi bianco, è compatto, resistente ed elastico e
duttile: queste doti ne fanno un materiale particolarmente adatto per la costruzione
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di mobili, attrezzi sportivi, quali racchette da tennis, sci, mazze da golf, ma anche
slitte, utensili da cucina, carri, comprese ruote e raggi ed in tutti quei casi in cui
robustezza ed elasticità siano richieste; all’aperto, tuttavia, questo legno si altera
facilmente, quindi, non è consigliabile utilizzarlo, ad esempio, per gli infissi.
Quercus petraea
Rovere (it)
Fitocenosi
In Italia, come nel resto
d’Europa, è meno comune
della farnia. Cresce su terreni
abbastanza asciutti per cui
preferisce le pendici collinari e
montane al fondo delle valli ed
alle sponde dei fiumi. Si trova
allo stato sporadico, nelle
vallate alpine e prealpine e
sugli Appennini. Partecipa a
boschi misti, specialmente in
consorzio con il faggio, la
betulla e con il carpino.
Caratteristiche ornamentali
Portamento: Albero a foglie caduche alto fino a 30-35 m, con diametro di 1-2 m.
Chioma espansa (10-20 metri di diametro) densa, molto longevo. Tronco robusto
e dritto con rami molto nodosi. Corteccia grigia, liscia fino a circa 20 anni, poi
fessurata e rugosa. Sistema radicale sviluppato e fittonante.
Gemme: Grosse, coniche, per lo più a sezione pentagonale, coperte da perule
brune, glabre o appena pubescenti.
Foglie: Alterne, semplici, caduche, sottili e leggermente pubescenti da giovani,
rigide e più coriacee da adulte, a contorno generale oblungo, cuneato alla base,
con 5-8 lobi arrotondati, meno profondi che nella farnia, di colore verde lucido
sup., più chiare inf. Hanno un lungo picciolo.
Fiori: Monoici; i maschili in amenti lunghi 3-6 cm.; i femminili in spighe corte,
spesso raggruppate all’ascella delle foglie superiori con asse quasi nullo o breve
(Q. sessiflora).
Frutti: Achenio (ghianda) ovato-oblunga, più tozzo di quello della farnia, protetto
da una cupola con scaglie ben saldate, ma formanti una superficie bitorzoluta sulla
quale non si distinguono le punte delle scaglie. Maturanti nell’anno.
Utilizzo
E’ senz’altro uno degli alberi più maestosi della nostra flora. Di grande effetto se
piantato isolato nei parchi. Le ghiande sono appetite dai suini. La corteccia,
staccata in primavera da piante che non hanno più di due anni di vita e messa poi
ad essiccare, viene usata per l’estrazione di una droga amara (Quercite), che ha
azione astringente e che risulta benefica per curare le malattie dell’apparato
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respiratorio.
Ecologia
Predilige le stazioni a clima temperato a elevata umidità atmosferica, insediandosi
nei terreni asciutti e spesso anche sassosi. Rispetto alla farnia è molto esigente in
luce, ma non sopporta le gelate tardive. Non sopporta i suoli umidi; occupa in
genere suoli ben drenati, sciolti anche sassosi. Sopporta bene l’acidità del terreno.
Governo
La pratica più comune è il governo a fustaia. Comunemente viene lasciato un
piano inferiore di vegetazione, allo scopo di favorire l’accrescimento della specie,
di Carpino nero, Acero campestre, Olmo. Meno comunemente si ritrovano dei
cedui composti misti che tendono ad essere convertiti i boschi misti.
Trattamento e Cure colturali
Le cerrete vengono trattate a tagli successivi uniformi. Dopo la semina sono
necessari degli sfolli per ridurre le piante a circa 6000-8000 / ha. I diradamenti
devono essere moderati e selettivi per favorire i candidati migliori e tendono a
portare il numero delle piante prima della sementazione a circa 150-200; inoltre
occorre mantenere controllata la vegetazione consociata. Nelle fustaie miste si
attua il taglio di curazione.
Maturità
I turni medi sono stimati a 150-200 anni.
Produzione
Una fustaia di Farnia e Rovere di normale fertilità può arrivare a circa 450 - 500
metri cubi ad ettaro.
Quercus robur L.
subsp. robur s.s.
Sinonimi: Quercus
pedunculata Ehrh.
Nom. com. Farnia
Descrizione, morfologia:
Grande albero, di prima
grandezza, di primaria
importanza ecologica e nelle
migliori condizioni anche
economica; alto in bosco
mediamente fino a 30-35 m,
ma può raggiungere i 50m e diametri del tronco oltre due metri; specie molto
longeva superando anche i 500 anni di vita.
La farnia ha tronco robusto e negli esemplari isolati si ramifica in grosse branche
perdendo presto la sua identità, formando una chioma molto ampia che nella
parte basale è formata da rami grossi e portati orizzontalmente.
La chioma non è mai molto densa.
In bosco il tronco è dritto e ramificato solo nella parte apicale con i rami più bassi
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portati orizzontalmente e nella parte distale con rami che formano man mano
angoli più acuti sempre con chioma non molto densa; la dominanza apicale si
divide su numerosi rami e forma una chioma ovale che in età avanzata diviene
ampia.
La corteccia giovane è liscia e grigiastra per molti anni (10-20) forma, poi, man
mano un ritidoma fessurato longitudinalmente con solchi regolari e profondi divisi
da fessure orizzontali meno profonde formando principalmente placche
rettangolari allungate.
I rametti dell'anno, sono grigi o brunastri lisci e lucidi con lenticelle biancastre a
volte anche angolosi, portano gemme poligonali o ovoidali, glabrescenti
pluriperulate embriciate e nella parte apicale del rametto si addensano formando
un caratteristico pseudoverticillo.
La crescita è monopodiale con delle caratteristiche particolari, spesso c'è
inibizione dei meristemi apicali e l'allungamento è affidato ad una gemma laterale
e la parte apicale dissecca.
Foglie, fiori, semi:
le foglie sono caduche a contorno obovato-oblunghe, più larghe nel terzo distale,
ristrette alla base e leggermente e irregolarmente asimmetriche con 5-7 lobi ampi
e seni arrotondati e presso il corto picciolo (2-5mm) si formano due caratteristici
piccoli lobi ineguali (orecchiette).
Le foglie hanno consistenza erbacea e solo a fine stagione diventano un po' più
coriacee; sono lucide e di colore verde medio nella pagina superiore, più chiare in
quella inferiore per cere epicuticolari a struttura in scaglie verticali caratteristiche
del sottogenere Quercus; hanno dimensioni che vanno da (5) 10-12 a (15) cm di
lunghezza e 3-6 cm di larghezza.
La fioritura è contemporanea alla fogliazione dalla fine di aprile a maggio ed è
formata da fiori maschili in amenti pauciflori (10-12 fiori) penduli alla base del ramo
dell'anno, hanno perianzio giallastro, hanno 4-12 stami con antere glabre.
I fiori femminili sono localizzati nella parte apicale del rametto all'ascella delle
foglie, formati da brevi spighe di 2-5 elementi portati da un peduncolo glabro di 3-5
cm; il fiore è formato da 3 stigmi di colore rossastro avvolti da brattee ovali
lungamente acuminate, l'impollinazione è anemofila.
La Farnia ha una fase giovanile piuttosto lunga; negli esemplari isolati, inizia a
fruttificare regolarmente verso i 30 anni, mentre in bosco per avere fruttificazioni
abbastanza regolari bisogna aspettare i 60-70 anni di età.
La fecondazione avviene dopo circa due mesi dall'impollinazione, il peduncolo dei
fiori femminili si allunga fino a 5-12 cm (come l'epiteto specifico pedunculata fa
capire).
I frutti, chiamate ghiande, maturano nell'anno, in settembre-ottobre, hanno una
cupola che li copre per 1/4 - 1/3, è formata da squame embriciate di forma
triangolare, più grandi vicino al picciolo.
La ghianda è allungata e liscia con dimensioni variabili da 2 a 3,5 cm a maturità di
colore marrone con striature longitudinali più scure.
Il frutto è recalcitrante (germina subito) di conseguenza va seminato subito alla
maturazione, la diffusione è principalmente zoocora.
La plantula ha l'epicotile glabro e la prima foglia è omomorfa ma sessile o
subsessile poco lobata, le successive simili alle definitive, spesso, se l'inverno non
è tanto rigido, rimangono verdi fino a primavera.
Legno, apparato radicale:
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nella Farnia l'apparato radicale è inizialmente un grosso fittone che penetra
profondamente nel terreno, ma in pochi anni si formano anche robuste radici
laterali che ancorano saldamente la pianta; verso i 60-70 anni però il fittone perde
la sua dominanza e rimangono le numerose e robuste radici laterali che creano
una rizosfera molto espansa, ma abbastanza superficiale rispetto alle altre querce,
questo è probabilmente anche un adattamento della specie a terreni con falda
freatica superficiale, altrimenti soggette ad asfissia, il suo habitat usuale.
Il legno della Farnia è molto pregiato in particolare quello derivato da piante
cresciute in modo costante e non molto vigorose, gli anelli annuali di
accrescimento dovrebbero essere inferiori al cm. di spessore, ciò si ottiene in zone
con clima da subcontinentale a continentale, in popolamenti di buona densità,
(Slavonia).
E' un legno di ottima durata anche se a contatto con acqua, anche perchè è
impregnato di tannini che lo rendono imputrescibile, è di facile lavorazione, serve
per costruzioni navali, edili, per travature, per mobili, pavimenti e per doghe per
botti, è un ottimo combustibile e produce un ottimo carbone.
" il rovere di Slavonia" è normalmente legno di Farnia.
In genere il legno di Farnia non si differenzia dal legno della Rovere e le due
provenienze hanno i medesimi usi.
Il legno ha alburno giallastro o più o meno biancastro e il duramen (massello), più
scuro marrone chiaro che però tende a scurirsi nel tempo, ha anelli di
accrescimento annuale ben distinti ed evidenti, anche ad occhio nudo, vasi
primaverili che formano un cerchio, (legno a porosità anulare), ha numerosi raggi
parenchimatici, uniseriati e pluriseriati larghi e molto visibili (specchiature).
Areale, ecologia:
la specie ha un areale che è il più vasto di tutte le querce europee.
In Europa a nord raggiunge la Scandinavia meridionale e nella Norvegia
raggiunge il 63° parallelo, in Russia segue il 60° parallelo fino agli Urali, ad est
raggiunge il Caucaso, a sud oltre l'Italia si trova in tutta la regione balcanica e
nell'Anatolia, manca in Corsica e nelle isole Baleari, a ovest raggiunge il fiume
Douro, tutta la Francia e la regione inglese.
In Italia, è presente in tutte le regioni tranne la Sardegna ma per il terreno fertile e
pianeggiante (pianure alluvionali) occupato naturalmente dalla specie i querceti
sono stati quasi totalmente sostituiti dalle colture agrarie e la Farnia si trova
distribuita a gruppi o in filari o individui isolati lungo la penisola.
L'ecologia della specie, (autoecologia) la caratterizza come componente delle
grandi foreste planiziali tendenzialmente continentali dell'Europa centrale e
orientale, con inverni rigidi e estati calde ma mai secche, è piuttosto esigente in
luce e anche da semenzale tollera per pochi anni l'ombreggiamento.
Predilige i terreni profondi, freschi, fertili con humus di tipo mull o idromull, ma
rifugge quelli troppo compatti, a reazione da subacida a subalcalina; con buona
disponibilità idrica per tutto l'anno, anche con falda freatica superficiale.
Nei mesi invernali l'apparato radicale sopporta anche per 2-3 mesi la
sommersione.
La Farnia, in Italia, in condizioni naturali, forma fitocenosi con diverse latifoglie,
costituendo e caratterizzando i boschi di pianura riferibili ai "Querco-carpineti
planiziali" che in epoca storica erano diffusi in tutta la pianura Padano-venetofriulana; i romani chiamavano queste grandi selve la "Silva lupanica".
Oggi, questi terreni molto fertili, sono totalmente resi coltivabili e di queste selve
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rimangono piccoli lembi di boschi qua e là, di poche centinaia di ettari e nei terreni
peggiori, anche questi frammenti, di grande valenza ecologica, sono minacciati da
bonifiche che abbassano molto la falda freatica, indeboliscono queste formazioni e
contribuiscono al "deperimento delle querce".
Sono formazioni composte principalmente da Farnia, Carpino bianco, Olmo
campestre, Acero campestre, Frassino ossifillo, e a seconda di condizioni edafiche
e climatiche più o meno fresche, si arricchiscono di ulteriori specie più termofile o
più microterme anche nello strato arbustivo ed erbaceo.
Nel nord-Italia la zona di elezione di questa specie, è la pianura Padano-venetafriulana in condizioni di falda freatica superficiale, dove forma o formerebbe le
associazioni ascrivibili ai "Querco –Carpinetum boreoitalicum" Pignatti 1953 ex
Lausi 1966; queste fitocenosi in seguito, vengono divise in varie sub-associazioni
e varianti e si possono ancora trovare relitte in Toscana e Lazio.
Nelle alte pianure e zone collinari in condizioni di buona fertilità e freschezza
(piane alluvionali recenti, impluvi) la specie forma fitocenosi ascrivibili a QuercoCarpineti collinari, che si differenziano per la partecipazione di specie più esigenti
in freschezza avvicinandosi più ai Querco-Carpineti centro-est-europei; al posto
del Frassino ossifillo c'è il Frassino maggiore e vi partecipano Castagno, Acero di
monte e Acero riccio, Olmo montano, Ciliegio selvatico e il Pado (Ciliegio a
grappoli), nelle zone più drenate vi partecipa la Rovere; nello strato erbaceo sono
presenti diffusamente geofite (Galanthus nivalis, Crocus napolitanus, Anemone
nemorosa, Anemone ranuncoloides e Anemone trifolia)
Nell'Italia centrale e meridionale, oltre alle già ricordate zone planiziali di Toscana
e Lazio, la Farnia si trova in modo sporadico sempre in condizioni di massima
freschezza (Impluvi e/o alluvioni recenti) entrando in contatto dal basso con le
leccete e dall'alto con le faggete, castagneti e gli ontaneti di Ontano napoletano.
Purtroppo questa specie occupava principalmente le zone più fertili del territorio e
la maggior parte di questi ambienti è stata modificata dall'uomo per le coltivazioni
e la contrazione della sua presenza continua tuttora con forte rischio di scomparsa
in molte zone dell'Italia peninsulare anche dovuta alle pessime zone di rifugio in
cui si trova, accentuando i già forti attacchi di deperimento di cui è afflitta.
La farnia è una forte consumatrice di acqua e queste sue esigenze la rendono
particolarmente suscettibile, nelle annate siccitose, agli stress idrici e si
manifestano disseccamenti e alterazioni delle ramificazioni con la formazione di
numerosi rami epicormici, sia sul tronco che sulle branche principali
Note, possibile confusione:
in questa scheda è presentata la specie in s.s. (sensu stricto) senso stretto, ma in
natura spesso si incontrano piante con caratteristiche intermedie là dove le sue
formazioni o piante isolate incontrano, principalmente la Rovere (Q. petraea
Liebl.), ma anche altre querce, (Q. pubescens Willd., Q. virgiliana Ten.); tutto
l'aggregato o gruppo di Q. robur ha 2n = 24.
In ogni caso la variabilità della forma delle foglie è massima, sia su individui diversi
sia in popolazioni, sia sullo stesso individuo; in questo Genere la speciazione è
tuttaltro che terminata ma la differenziazione ecologica è abbastanza ben
segregata.
Le specie del Genere sono relativamente giovani in quanto pare che nel periodo
freddo del Quaternario, durante l'ultima glaciazione del Wurm., tutte le Querce si
siano rifugiate attorno al Mediterraneo, nella Penisola Iberica, P. Balcanica,
Anatolia, Magreb alcune zone della nostra penisola ed isole.
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Solo alla fine della glaciazione, tre specie sono state in grado di diffondersi verso
settentrione, la Farnia, la Rovere e la Roverella. Circa 5000-7000 anni fa queste
tre specie avevano occupato tre spazi ecologici ben differenziati e con l'assenza di
interventi antropici, le fitocenosi omogenee avrebbero fissato i caratteri attuali
delle specie; foreste su suoli acidi, drenati e atmosfera umida: cenosi a Rovere;
suoli calcarei asciutti: cenosi a Roverella; zone alluvionali su terreni profondi e con
falda freatica superficiale: cenosi a Farnia.
In queste condizioni le cenosi omogenee avevano poco o per nulla modo di
scambiarsi i pollini e le introgressioni genetiche erano certamente poco diffuse; in
seguito l'uomo per le sue esigenze, specialmente durante l'impero romano con la
formazione delle Centurie nelle grandi pianure, ma anche con lo sfruttamento dei
boschi a Rovere per la costruzioni della flotta dell'impero; infine ai nostri giorni in
cui abbiamo relegato queste formazioni in zone inidonee divise solo da ampi spazi
coltivati dove il vento può agevolmente scambiare i pollini e di conseguenza i geni
delle tre specie, producendo la notevole variabilità attuale.
In questa situazione, forse, lo scambio continuo di geni può rendere il Genere
molto più plastico e capace di adattarsi ai cambiamenti climatici.
Purtroppo da diversi anni si è osservato che il Genere viene colpito da patologie,
monitorate da diverse università, ma l'eziologia non è compresa completamente,
viene chiamato "Deperimento delle Querce".
Ingiallimento della chioma, microfillia, emissione di rametti epicormici e sulle
branche principali, emissione di essudati da fessurazioni della corteccia alcune
volte si riscontrano attacchi di funghi lignivori opportunisti che possono portare a
morte la pianta. La Farnia in particolare, viene colpita più o meno gravemente
dall'Oidio (Microsphaera alphitoides) specialmente nelle stagioni asciutte e afose
che negli ultimi anni si succedono di frequente.
Questa patologia fungina della chioma, indebolisce anno dopo anno le piante
colpite in modo grave, non permettendo di fotosintetizzare in modo sufficiente a
creare una buona quantità di sostanze di riserva per la stagione successiva.
Pare che il "Deperimento delle Querce" sia diffuso in tutto il mondo, in America del
nord è stato accertato e rende ancora più enigmatica questa patologia.
Sambucus nigra L.
Sinonimi
Sambucus laciniata Miller
Sambucus nigra var. laciniata L.
Sambucus virescens Desf.
Nome italiano
Sambuco, Sambuco nero, Sambuco
nostrale, Sambucus arboreo.
Nomi locali: Lombardia Sambüch, Schitac;
Emilia Zambuch; Abruzzo: Zammuco ;
Lazio Sambuco puzzoloso; Liguria
Sambugu; Campania Savuco; Sicilia
Savuco di gai; Calabria Savuco ; Marche
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Savuchi; Sardegna Sambucu mascu, Saùcu, Savùcu; Veneto Sango, Sambugar ;
Piemonte Sureau.
Etimologia
Il termine latino di genere Sambucus sembra tragga origine da Sambuca (che a
sua volta deriva dal greco sambychè): questo era un antico strumento musicale a
corde, simile alla odierna arpa, che veniva fabbricato utilizzando il legno di questa
pianta;
il termine latino di specie nigra = nera (Sambucus è di genere femminile) per il
colore nero dei frutti.
Descrizione
Pianta caducifolia dal portamento spesso arbustivo e a chioma espansa, che
supera raramente i 7÷9 metri di altezza; fusto generalmente poco allungato e ±
eretto; rami e corteccia verdastri e con superficie verrucosa (lenticelle) in età
giovanile, successivamente grigio-brunastri con supeficie solcata e di consistenza
che ricorda quella del sughero; il midollo è molto ampio, ha consistenza spugnosa
ed è biancastro.
Tutta la pianta emana un odore intenso penetrante, spesso sgradevole.
Foglie
Imparipennate (in genere con 5-:-7 folgioline) ed opposte, picciolate, con presenza
di stipole di dimensioni molto ridotte, picciolo e rachide foliare costoluti, assieme
alla nervatura principale sono di colore verde, all'incirca della stessa tonalità delle
foglioline; ciascuna fogliolina ha lamina ellittico-ovale di colore verde-carico nella
pagina superiore, più chiare in quella inferiore, apice acuminato, margine
regolarmente seghettato, almeno nella porzione apicale.
Fiori
Riuniti in grandi e vistose ombrelle di corimbi (cioè ciascuna infiorescenza è
composta da un numero variabile di corimbi i cui rachidi si dipartono da una
comune base) e poste in posizione apicale sui rami, i fiori sono minuti, hanno
calice verde, gamosepalo all'incirca tronco-conico, con 5 denti triangolari e erettopatenti (ipocrateriforme); corolla gamopetala di colore da bianco-panna a
giallastro, all'incirca della stessa forma del calice, ma con tubo meno allungato e
con 5 lobi patenti e ottusi; androceo composto da 5 stami liberi, filamenti biancastri
e antere giallastre; gineceo con ovario tricarpellare (raramente 4-carpellare), lo
stilo è assente, e quindi lo stimma, che è diviso in 3 lobi, poggia direttamente
sull'ovario (è sessile). Il nettare ha un forte odore, quasi nauseante, che attira una
moltitudine di insetti, in particolare maggiolini.
Frutti
I corimbi che portano i fiori e, successivamente, i frutti, che sono delle drupe,
diventano penduli per il loro peso; queste sono subsferiche, succose, agrodolci, di
colore prima verdastro, quindi rossastro, e, a maturazione, nero-lucido con toni
violacei; all'interno presentano 3 (raramente 4) logge, ciascuna contenente un
unico seme.
Periodo di fioritura
La fioritura (antesi) avviene da (Marzo) Aprile a Giugno, compatibilmente con le
condizioni geoclimatiche.
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Territorio di crescita
Specie spontanea dell'Europa centro-meridionale, fino al Caucaso, ai confini
occidentali della Siria e settentrionali dell'Iraq; in Nordafrica e Macaronesia vi è
stata verosimilmente introdotta. Presente allo stato spontaneo in tutte le Regioni
italiane.
Habitat
Amante dei luoghi incolti ed umidi, è comunissima lungo i fossi, ai lati delle strade,
nelle siepi; specie pollonifera, è pronta ad occupare terreni dismessi, ruderi anche
a ridosso di muri e tra le macerie, dove si espande rapidamente. Vegeta dal livello
del mare fino a 1500 metri di quota.
Somiglianze e varietà
Altre specie di questo genere sono:
Sambucus ebulus (Ebbio): pianta erbacea che raggiunge circa 1,5 metri di altezza,
possiede un apparato radicale costituito da rizomi ben sviluppati e striscianti;
infiorescenze e frutti in corimbi apicali difficilmente penduli,foglie con 5-:-9
segmenti, lamine affusolate ed appuntite con la pagina inferiore pubescente; fiori
in corimbi a corolla bianco rosata ed antere viola.
Sambucus racemosa (Sambuco rosso): arbusto che difficilmente raggiunge 3
metri di altezza; foglie composte da 3-:-7 foglioline strette, densamente dentate ed
acuminate; fiori in vistose pannocchie bianco-verdastre o con toni giallastri; frutti di
colore rosso lucente, crescita più montana.
Costituenti chimici
I principali sono: olio volatile, flavonoidi, rutina, vitamina C, il glicoside cianogeno
sambunigrina, amigdalina, acido malico, vitamina B, colina, acido acetico, cloruro
di potassio, solfato di potassio, fosfato di magnesio fosfato di calcio, nitrato di
potassio.
Uso Alimentare.
I frutti vengono consumati crudi, cotti e disseccati. L’aroma dei frutti freschi non è
gradito a tutti ma, cuocendoli, si ottengono deliziose marmellate e dolci di vario
genere. I frutti sono anche utilizzati per dare un tocco di colore a conserve, salse,
gelatine e per fare un vino frizzante. I fiori hanno un profumo ed un aroma che può
ricordare il moscatello: immergendoli per qualche ora nell’acqua, con aggiunta di
limone e zucchero, si ottiene una bibita rinfrescante per le giornate calde. Sempre
coi fiori freschi si possono fare frittelle dolci e salate o, dopo averli seccati,
ricavarne un tea dal sapore gradevole. Le foglie sono utilizzate per dare una
colorazione verde ad oli e grassi per uso alimentare.
I frutti, quando sono ancora acerbi contengono, come tutte le parti verdi della
pianta, il glicoside cianogeno sambunigrina, che per idrolisi produce acido
cianidrico ed ha quindi un certo grado di tossicità. Tuttavia questa tossicità è più
che altro teorica, poiché il contenuto di questa sostanza nella pianta è basso e
solo un dosaggio eccessivo della scorza può effettivamente provocare vomito e
spasmi intestinali.
Uso cosmetologico
Un infuso di fiori costituisce una valida lozione addolcente e sbiancante per la
pelle del viso e, messo nell’acqua del bagno, del corpo. Inoltre, come compressa o
impacco, ha anche un effetto antirughe. Un tea di fiori di sambuco è un piacevole
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tonico da usarsi dopo la doccia.
In campo fitocosmetico, con i principi estratti dai fiori, si ottengono lozioni e
maschere astringenti, decongestionanti, emollienti e utili a normalizzare la
secrezione sebacea.
Le bacche, ai vecchi tempi, venivano utilizzate per dare un colore nero alla
capigliatura.
Medicina alternativa e Curiosità
Il Sambuco, ha una lunga storia come pianta medicinale, sia nell’uso casalingo
che in erboristeria. E’ a questo che si deve il suo soprannome in lingua inglese 'the
medicine chest of country people' ( la cassetta dei medicinali della gente di
campagna).
L’erboristeria moderna impiega principalmente i fiori ma, nel corso del tempo, si è
fatto uso medicinale di tutte le parti della pianta.
Dalla verde corteccia interna delle giovani piante si ricava una pomata emolliente.
Se raccolta in autunno ed essiccata al sole, è invece diuretica, fortemente
purgativa e, in dosi consistenti, emetica: viene utilizzata nel trattamento della stipsi
e delle artriti. Le foglie possono essere usate sia fresche che secche: possiedono
proprietà purgative, diuretiche, espettoranti ed emostatiche. Anche dalle foglie si
può ricavare un unguento emolliente, che viene utilizzato nel trattamento di
contusioni, slogature, geloni, ferite ecc. I fiori secchi sono diuretici, diaforetici (
favoriscono la sudorazione ), espettoranti e stimolano la montata lattea; l’infuso da
essi ricavato è assai efficace nei dolori toracici causati dalla bronchite e costituisce
anche un ottimo tonico primaverile, purificante del sangue.
I frutti sono depurativi, diaforetici e blandamente lassativi. Il tea ricavato dalle
bacche secche sembra essere un buon rimedio per coliche e diarrea.
Dalla corteccia interna fresca dei rami giovani si ricava un rimedio omeopatico per
dare sollievo ai sintomi dell’asma e dello pseudocroup infantile.
Nel folklore i alcuni paesi europei il legno di Sambuco veniva utilizzato per
respingere i demoni. In Inghilterra se ne piantava un esemplare vicino alle
abitazioni, come protezione contro le streghe, oppure si ponevano dei ramoscelli,
raccolti l’ultimo giorno di aprile, sopra le finestre, sempre per tener lontane le
streghe.
Nei tarocchi la pianta è associata ad uno degli Arcani Maggiori: la Luna.
Note
Pianta estremamente rustica, viene spesso utilizzata per rinaturalizzare terreni
poveri e degradati.
Il legno viene utilizzato per la costruzioni di piccoli oggetti ed attrezzi.
La pianta è una buona aggiunta al compost e le radici ne accrescono il processo
di fermentazione quando l’albero sia piantato vicino ad esso.
La polpa bluastra delle bacche può essere usata come una sorta di cartina
tornasole per stabilire se una soluzione sia acida o alcalina: immersa in una
soluzione alcalina diventa verde, rossa in una acida.
Varie parti della pianta possono essere usate come coloranti, per ottenere
sfumature dal verde al porpora; fino a qualche decennio fa si utilizzava il liquido
dei frutti per ricavarne inchiostro
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Tilia cordata
Miller
Sinonimi:
T. parvifolia Ehrh. T.
sylvestris Desf.
Nom. com. Tiglio
selvatico, Tiglio
maremmano
Descrizione,
morfologia:
latifoglia nobile dei
nostri boschi; albero di
media o grande
dimensione può
raggiungere in condizioni ottimali i 25-30 m di altezza, di solito inferiore al T.
platyphyllos, si trovano però esemplari di oltre 1,5 m di diametro del tronco, pianta
molto longeva come tutti i Tigli, pollonante alla base anche se non stimolato da
tagli o riduzioni di chioma; tronco molto robusto a volte policormico negli individui
isolati.
Chioma ampia, subglobosa ma meno ovale che in T. platyphyllos.
Ha crescita di tipo simpodiale e monocasio, non molto rapida ma rimane sostenuta
per moltissimi anni.
La corteccia liscia macchiettata, grigio-bruna da giovane, diviene con l'età solcata
longitudinalmente in solchi poco profondi di colore grigio. I giovani rami sono
glabri e lucidi di colore dapprima verdi olivastri e poi bruni o rossicci, meno robusti
che in T. platyphyllos, portano gemme ovoidi-globose con 2 perule evidenti,
glabre, rossastre.
Foglie, fiori, semi:
le foglie sono relativamente più piccole che in T.nostrale tra 3 a 9 cm, ovate suborbicolari a base nettamente cordata, anche assimetriche, da cui l'epiteto specifico
"cordata", brevemente e bruscamente appuntite all'apice; la pagina superiore è
verde scuro, liscia con nervature terziarie non evidenti; quella inferiore da verde
chiaro all'inizio stagione vegetativa, a glauca con ciuffi di peli bruno- rugginosi
all'ascella delle nervature, hanno il margine serrato e il picciolo glabro e lungo 2-4
cm. Le foglie dei polloni sono molto più grandi di quelle dei rami adulti.
Le infiorescenze sorrette da una lunga brattea, portano più fiori che in T.
nostrale, da 4 a 15 fiori poco odorosi, sepali lunghi 3 mm mentre i petali variano da
3 a 8 mm; i fiori sono bianco giallognoli, hanno ovario tomentoso e al massimo 30
stami e senza staminoidi.
L'antesi è più tardiva che in T. nostrale, circa due settimane di differenza, dalla
metà di giugno alla metà di luglio; l'impollinazione è entomofila e molto mellifera.
I frutti sono subglobosi di circa 5-6 mm a pericarpo membranoso, fragile,
tomentoso e grigiastro a maturità (ottobre) con 5 costolature appena accennate.
La disseminazione è come in tutti i Tigli, anemocora e si protrae per tutto l'inverno,
il trattamento dei semi per la semina è identico che in T.nostrale. La plantula è
subglabra con cotiledoni a 7 lobi.
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Legno, apparato radicale:
il legno del Tiglio selvatico è simile a quello di tutti gli altri Tigli è meno leggero
che in T. nostrale, con alburno e duramen indistinti (omoxilo), da bianco-giallastro
a leggermente rosato, sericeo, a porosità diffusa, con raggi midollari appena
visibili ad occhio nudo, è tenero e all'aperto è di poca durata però è di facile
lavorazione e di bel aspetto, viene usato in falegnameria fine, ebanisteria e in
modellistica per la sua leggerezza e resistenza.
Non è un buon combustibile ma viene usato per la produzione di carboncini da
disegno.
L'apparato radicale in gioventù è fittonante, poi ampio e robusto con grosse
radici che si approfondiscono nel terreno ma alcune si dilungano in superficie.
Areale, ecologia:
in Europa il T. selvatico ha un areale più vasto che negli altri Tigli per le sue
caratteristiche di maggior esigenza in freschezza e continentalità e perciò si
spinge maggiormente ad est superando gli Urali e a nord raggiungendo il sud della
Fennoscandia; a sud raggiunge il Caucaso, il Mar Caspio, il Mar nero e il nord
della Grecia a ovest i Pirenei e la Francia tranne la Normandia, la Gran Bretagna
meridionale.
In Italia ha una minore espansione nelle regioni meridionali per le sue esigenze di
maggior continentalità ed il suo areale in Italia meridionale è alquanto incerto,
perché dall'Italia centrale a quella meridionale si stempera nella sua forma ibrida
(T.x vulgaris Hayne = T. intermedia D.C.).
Cresce nelle zone fitoclimatiche del Castanetum e del Fagetum, dove risale a
quote maggiori del T.nostrale fino a 1700 m negli Appennini centrali.
Preferisce terreni profondi, freschi e ricchi di humus dolce proveniente da rocce
carbonatiche ma anche flycsh sub-acido, purché non argilloso-compatti, né
francamente sabbiosi.
E' specie più sciafila e resiste meglio ad eventuale aridità estiva rispetto all'altro
Tiglio. Di temperamento mesofilo, esige buona umidità dell'aria e del suolo,
tollera forti escursioni termiche quindi vegeta in climi tendenzialmente più
continentali, negli orizzonti delle latifoglie eliofile e nella porzione inferiore delle
latifoglie sciafile.
I Tigli sono piante poco socievoli, non formano mai boschi puri, si trovano in modo
sporadico a piccoli gruppi in mescolanza con Rovere, Aceri, Frassini, Carpini e
Cerro, ma anche con Faggio e Abete bianco.
Spesso però li troviamo in parchi, grandi giardini e come alberatura stradale
assieme ad altri Tigli non autoctoni, per la loro chioma, bellezza, profumo,
maestosità e longevità, anche in località fuori dalla fascia di vegetazione che gli è
propria.
Note, possibile confusione:
fra i numerosi ibridi naturali o antropogenici, tra i due nostri Tigli, il più importante è
senza dubbio Tilia x vulgaris Hayne, ma è mportante anche T.x euchlora K. Koch,
l'ibrido tra T. cordata e T.dasystyla, un Tiglio diffuso dalla Crimea al Caucaso e
Iran, conosciuto dal 1860 dotato di un bel portamento ma soprattutto poco appetito
dagli Afidi, per cui non crea problemi di imbrattamento di marciapiedi e auto nelle
città e nei viali.
Si può confondere:
con T. platyphyllos Scopoli che ha foglie più grandi verde medio con nervature
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terziarie ben evidenti, generalmente pelose da giovani su tutte due le pagine,
anche il picciolo e il giovane rametto, a fine stagione vegetativa rimane una peluria
biancastra nella pagina inferiore delle foglie tra le nervature ; frutti pochi, più grossi
e molto duri, più allungati con 5 costolature prominenti.
Con T. x vulgaris Hayne che ha caratteristiche intermedie e nell'insieme non
riferibili all'una o l'altra specie.
Con T.americana L. del nord America è il più usato nelle alberature stradali, ha
foglie molto grandi e glabre, fino a 20 cm, anche i rametti sono glabri e i fiori molto
profumati hanno evidenti staminoidi petaloidi, infiorescenze dense e
ordinatamente pendenti, fioritura tardiva (luglio), corteccia grigio-nerastra,
vivacemente pollonifero alla base e infestato dagli afidi.
Con T. heterophylla Vent. del nord America usato anch'esso nelle alberature
stradali e come il precedente ha foglie molto grandi con peli nella pagina inferiore
lungo le nervature secondarie e terziarie ma con rametti completamente glabri,
fiori con staminoidi-petaloidi.
ConT. tomentosa Moench detto tiglio argentato, (SE-Europeo ovest-asiatico)
proprio per l'aspetto argenteo della chioma mossa dal vento; foglie argentee di
sotto per fitta tomentosità, fiori con staminoidi, profumatissimi, più che in qualsiasi
altro Tiglio, quasi nauseante, tanto da essere tossico per le api che quando
bottinano questo Tiglio cadono a terra stordite e perciò non è indicato nei giardini
pubblici o luoghi frequentati da persone che durante la fioritura possono essere
punti da api che cadono dalla chioma.
Salix caprea L.
Sinonimi:
S. hybrida Vill. S. ulmifolia Thuill S.
praecox Salisb.
Nomi volgari
Salicone, Salice di montagna,
Salice delle capre
Morfologia
Arbusto policormico (2-6 m) o
piccolo albero (anche oltre 12 m),
con corteccia abbastanza liscia da
giovane, di colore grigio verdastro,
in età avanzata grigia,
grossolanamente fessurata
longitudinalmente in placche romboidali.
Gemme con una sola perula, ad apice ricurvo verso l'esterno, di forma ogivale od
ellittica e di color bruno rossastro.
Foglie alterne, con picciolo di 1-2 cm, ovali od ellittiche, acute, talora brevemente
acuminate, a margine intero o, più frequentemente, irregolarmente dentellato,
lunghe mediamente 5-8 cm, con pagina superiore verde opaca, glabra e un po'
rugosa e pagina inferiore persistentemente pubescente e vellutata, di color verde
salvia o biancastra, con nervature ben evidenti ed in rilievo; stipole per lo più
presenti, non grandi e dentate. Le foglie spuntano di regola successivamente alla
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fioritura.
Fiori maschili numerosi in amenti di circa 2-4 cm densi, eretti, ovoidali, provvisti
ciascuno di due stami, con antere giallo-oro ricche di polline. Fiori femminili in
lunghi amenti (3-8 cm) di forma cilindrica, dapprima eretti, poi reflessi, con pistillo
a ovario verde, a forma di ampollina. Come tutti i salici, il salicone è specie dioica,
cioè porta fiori maschili e femminili su piante separate.
Frutti in piccole capsule allungate, di colore grigio-verde; seme piccolo e provvisto
di pappo piumoso bianco.
Distribuzione - habitat – fioritura
Specie a larga distribuzione euroasiatica; manca nelle zone costiere mediterranee.
In Italia è frequente in tutta l'area alpina ed appenninica, più raro in pianura
padana, in Puglia e in Sicilia, assente in Sardegna. E' una specie pioniera molto
rustica, che vegeta dalla pianura fino all'alta montagna (1600 m), costituente sia di
formazioni riparie che di aree forestali (bordi e chiarie). Quando la si riscontra
all'interno di boschi, è sicuro indice di una pregressa attività antropica (stalle,
fienili, baite). Preferisce suoli freschi, solitamente argillosi, pur adattandosi anche a
condizioni di moderata aridità. L'antesi è precoce: da fine febbraio ad aprile.
Note
Come per le altre specie del genere Salix , la corteccia del salicone fornisce, oltre
a tannino, anche la salicina, da cui si ricava acido salicilico, ad azione tonica,
antireumatica, febbrifuga, antifermentativa ed astringente. Dai giovani rami si
usava, e ancora si usa, ricavare i vimini, da utilizzare come legacci in agricoltura o
per confezionare ceste e stuoie. Occorre anche ricordare che i salici sono specie
mellifere.
Morus alba L.
Sinonimi:
Gelso comune, Gelso bianco, Moro
bianco
Descrizione, morfologia: Albero che
può raggiungere l'altezza massima di 20
m (mediamente 8-10 m), con fusto a
grossi rami irregolari che formano una
chioma globosa allargata; spesso il fusto
viene capitozzato e dà origine ad un
mazzo di rami pressoché di eguale
dimensione aperti a ventaglio; corteccia in
gioventù grigio-giallognola e quasi liscia,
quindi brunastra e solcata
longitudinalmente; gemme ovoidi, piccole,
appuntite. Specie piuttosto rustica e longeva, pur se sovente cariata all'interno del
tronco.
Foglie alterne su rametti glabri, quasi distiche, con picciolo scanalato di 20-30 mm,
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lamina intera, morbida, ovato-acuta, grande (in media lar. 5-8 x 7-10 cm),
debolmente cordata, glabra e lucida sulle due facce, salvo brevi ciuffi di peli
bianchicci nella pagina inferiore all'inserimento dei nervi secondari e terziari, bordo
irregolarmente dentato; foglie dei polloni profondamente tripartite con 3(5) lobi.
Fiori monoici (in minor misura ermafroditi) in amenti: i maschili cilindrici lunghi 2-4
cm, con breve peduncolo, a perianzio 4-partito con 4 stami, i femminili globosi,
lunghi 1-2 cm, ugualmente peduncolati, a perianzio 4-5 partito, 1 ovario e 2
stimmi.
Frutti in infruttescenza ovale-arrotondata peduncolata di 1-2 cm (sorosio o mora di
gelso) formata da minute (diam. 1,5-2 mm) pseudo-drupe carnose, ciascuna con 1
seme, di colore biancastro, più raramente roseo o rossastro, dolci.
Areale, ecologia:
E-Asiat. - Asia orientale. Antesi: Aprile-maggio
Distribuzione in Italia: In tutto il territorio, eccetto VDA, LIG e SIC.
Habitat: Largamente coltivato nel passato, specialmente in pianura padana, in
filari; a volte subspontaneo su terreni abbandonati ed incolti. Preferisce suoli
freschi, profondi e permeabili, non argillosi e privi di ristagni d'umidità. Da 0 a 700
m.
Note, possibile confusione:
Morus nigra L., introdotto dall'oriente in epoca più antica (greco-romana),
raggiunge mediamente maggiore statura e si differenzia per le foglie di solito più
tondeggianti e rigide, con picciolo di 5-15 mm, profondamente cordate alla base,
ruvide superiormente, più densamente pubescenti di sotto; rametti pure
pubescenti; i sorosi sono subsessili, più grandi (2-2,5 cm), di colore a maturità
quasi nero ed hanno sapore un po' meno dolce. Veniva coltivato per il frutto e non
per la sericoltura.
Etimologia:
Il termine generico (dal greco "moron", divenuto in latino "morus") fa riferimento al
colore scuro dei frutti; l'aggettivo specifico, in apparente contrasto col precedente,
allude alla più comune colorazione di essi (biancastra), soprattutto in
contrapposizione al colore regolarmente viola scuro-nero dei frutti di M. nigra.
Proprietà ed utilizzi: Specie commestibile officinale
Il gelso, originario della Cina, è stato introdotto in Europa da epoca antica
(Ruggero II lo importò in Sicilia nel 1130). Ben presto acquisì importanza
fondamentale per la produzione della seta, legata all'allevamento dei bachi che si
cibano delle sue foglie. Anche nel nostro paese era ampiamente coltivato fino agli
anni '60 del '900, prima che la produzione di seta entrasse in profonda crisi. Filari
di gelsi bianchi, capitozzati per ottenere abbondanti foglie di maggiori dimensioni
ad accessibile altezza da terra, sono ancora visibili nelle campagne italiane,
connotando, soprattutto nella pianura padana, notevoli siti del paesaggio agrario.
A scopo officinale del gelso si impiegano soprattutto radici e foglie. Le radici
possiedono proprietà diuretiche e purgative. Le foglie, che si raccolgono in
maggio, hanno azione astringente e riducono la glicemia; preparati misti con uso
di foglie e corteccia radicale esercitano anche azione immunostimolante,
antiasmatica, espettorante, diuretica, lenitiva dei disturbi gastro-enterici.
I frutti, contenenti abbondanti zuccheri e vitamine, sono rinfrescanti e si
consumano allo stato fresco, pur non risultando commerciabili per l'estrema
delicatezza e deteriorabilità; vengono usati anche nella preparazione di sciroppi,
gelatine e marmellate.
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Il legno di gelso, ad alburno bianco-giallastro e durame giallo-bruno, è
caratterizzato da una buona durezza e resistenza; in passato si utilizzava per
confezionare attrezzi ed oggetti che stavano a contatto con l'acqua (secchi,
mastelli, barili, doghe) e per piccoli lavori da tornio ed intarsio. E' abbastanza
valido come combustibile.
Curiosità:
Secondo le narrazioni tradizionali, la casuale scoperta della seta pare risalire al
2700 a.C. in Cina, quando un'imperatrice notò dei bruchi che mangiavano le foglie
di gelso per poi tessere un involucro, costituito da filamenti sottilissimi e lucenti,
entro cui si richiudevano per uscirne poi come farfalle. Ne nacque l'idea di allevare
quei bachi per utilizzare le fibre dei bozzoli e farne un tessuto particolarissimo,
finissimo e delicato: la seta.
Nei secoli successivi la seta si diffuse progressivamente verso occidente ed era
così apprezzata da Romani e Bizantini che molti affrontavano interminabili viaggi
lungo la cosiddetta "via della seta" per procurarsi questo prodotto, che veniva poi
pagato a peso d'oro. I Cinesi per lunghissimo tempo non rivelarono la vera origine
del tessuto ai mercanti occidentali, lasciando credere che la fibra fosse di origine
vegetale e prodotta dalla pianta del gelso; finché, si narra, nel VI secolo, due
monaci inviati in Cina da Giustiniano riuscirono a carpire il segreto, riportando a
Costantinopoli alcuni bozzoli nascosti entro i loro bastoni. Si scoprì anche,
naturalmente, che per allevare i bachi era necessario disporre degli specifici gelsi
orientali e delle loro foglie ed allora anche il gelso bianco venne introdotto e
trapiantato in vaste zone dell'occidente ed in Europa, fino ai giorni nostri.
L'Italia nel XIX secolo si trovava, insieme a Cina e Giappone, ai vertici della
produzione mondiale di seta. Attualmente la produzione nazionale è azzerata, per
vari fattori: concorrenza da parte delle fibre sintetiche; cambiamento dagli anni '50'60 del secolo scorso dell'organizzazione delle aziende agricole, con crescita
insostenibile, rispetto all'oriente asiatico, dei costi di produzione; infine recente
moria quasi completa dei bachi per il diffondersi di antiparassitari tossici usati in
frutticoltura.
Sorbus aucuparia L. subsp. aucuparia
Nome italiano
Sorbo degli uccellatori, Sorbo
selvatico, Sorrestella, Tremolina,
Selvostriello di montagna, Mountain
ash, Sorbier des oiseleurs,
Vogelkirsche, Serbal de cazadores
Descrizione:
Albero deciduo di medie dimensioni,
altezza 15÷20 m, ma anche arbusto, specialmente alle massime quote raggiunte
dalla specie; tronco sottile, che in esemplari particolarmente vigorosi, può
raggiungere anche 50 cm Ø, eretto e fittamente ramificato.
Chioma prima ovale, poi tondeggiante, ombrelliforme, con rami orizzontali o più o
meno ascendenti, i macroblasti sono grigi e pubescenti poi lucidi e con lenticelle
evidenti, portano gemme grandi, fusiformi pluriperulate con perule grige e pelose,
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le basali sono nere, ma mai vischiose.
L'apparato radicale è di tipo fittonante e si approfondisce notevolmente anche con
robuste radici laterali.
Le foglie sono decidue, alterne, imparipennate, lunghe fino a 20 cm, formate da
6÷7 paia di foglioline sessili, oblungo-lanceolate con apice acuto e margine
seghettato; di color verde scuro e lisce sulla pagina superiore, verde-glauche con
pubescenza sparsa sulla pagina inferiore soprattutto sui nervi, volgono al rossosanguigno in autunno.
Le infiorescenze sono ricchi corimbi eretti dal Ø sino a 15 cm e hanno asse
pubescente.
I fiori numerosi, ermafroditi, compaiono fra maggio e luglio; emanano un odore di
trimetilammina simile all'odore del fiore del Castagno; sono portati da peduncoli
con peli appressati o subglabri; hanno calice tomentoso a lacinie triangolari;
corolla con petali obovati, bianchi di 5 mm; stami 20; stili 3 liberi.
I frutti sono pomi globosi, raccolti in pesanti grappoli, sono di color rosso scarlatto
o rosso corallo, con endocarpo membranaceo e 3 semi acuti rossi; persistono per
tutto l'inverno sull'albero. Giungono a maturazione fra settembre e ottobre. Sono
appetiti dai corvi e dai merli e sono un elemento importante per il nutrimento della
fauna attiva nella stagione invernale; il loro sapore è acidulo e aspro.
Areale, ecologia
Europ. - Areale europeo.
Distribuzione in Italia: Albero di origine europea, presente in quasi in tutta l'
Europa, manca solo nella Penisola Iberica centrale e meridionale e nell'Europa
meridionale-orientale, si trova poi fino al Caucaso. In Italia è presente in tutte le
regioni settentrionali con esclusione della Val d'Aosta e in quelle centrali, è invece
assente nelle regioni meridionali, in Sicilia non è stato segnalato in tempi recenti.
Habitat: Sulle Alpi si spinge fino a colonizzare i rodoreti e gli ontaneti subalpini
comportandosi da specie pioniera microterma.
Specie di larga adattabilità, moderatamente eliofila, sopporta bene anche l'ombra
è indifferente al substrato purchè ben dotato di humus e sufficentemente umido.
Occupa principalmente nicchie rocciose, strapiombi, margini boschivi, radure nei
boschi montani di latifoglie nobili e di conifere fra 400÷2.400 m s.l.m.
Note di Sistematica: Oltre alla subspecie nominale sopra descritta sono
presenti in Italia:
S. aucuapria L. subsp. glabrata (Wimm. & Grab.) Cajander, che si distingue per
asse dell'infiorescenza glabro, come glabre o quasi glabre sono le gemme e la
pagina inferiore delle foglie; Picciolo > di 25 mm; frutto + lungo che largo; presente
in VEN e FVG, la presenza è invece incerta in PIE, TAA e LIG.
S. aucuapria L. subsp. praemorsa (Guss.) Nyman., che si distingue per essere
pianta pubescente sulle gemme e lungo i nervi delle foglie; picciolo < di 20 mm;
presente in BAS, CAL, SIC, la presenza è invece incerta in EMR.
Note, possibili confusioni:
Specie simile è Sorbus domestica L. - Sorbo domestico, molto simile nelle
foglie e nei fiori, con gemme glabre e vischiose, frutti piriformi, brunastri, eduli e
lunghi sino a 3 cm; presente nei boschi submediterranei.
Etimologia: Il nome del genere,che incontriamo nel latino classico "sorbu/(m)",
deriverebbe da 2 parole celtiche con il significato di aspro e pomo; l'epiteto
specifico deriva dal latino “aucupium” = uccellagione, indica che i suoi frutti sono
appetiti dalla piccola avifauna migratoria e proprio per questo viene
tradizionalmente piantato vicino agli appostamenti fissi per la caccia.
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Proprietà ed utilizzi: Specie commestibile officinale
Costituenti principali: acido parasorbico, acido sorbico, tannini, sorbite, pectine,
zuccheri, carotenoidi, vitamina C, amigdalina (semi).
Nella maedicina popolare è impiegato come lassativo e diuretico, nel passato era
impiegato contro le malattie da raffreddamento per l'alto contenuto di vitamina C.
Grandi quantità di frutti freschi possono provocare infiammazioni alle mucose
dell'apparato digerente a causa del contenuto di acidi parasorbici, solo dopo la
distruzione di questa sostanza, tramite la cottura, si evidenzia l'azione astringente
delle pectine e dei tannini.
Dai frutti si ricava il sorbitolo, un tempo impiegato come sostitutivo dello zucchero
nei prodotti dietetici.
Il decotto dei frutti è consigliato per sciacqui e gargarismi contro le infiammazioni
della pelle e della gola.
Per pelli stanche, fare una maschera con la polpa delle sorbe ben mature, è un
ottimo tonificante .
I frutti possono essere impiegati nella preparazione di gelatine, marmellate e
salse, ma attenzione, possono essere velenosi se consumati crudi, i semi infatti
contengono amigdalina (derivato cianidrico).
Un colorante nero è ottenuto dai rami giovani
Gli antichi romani, fermentavano le bacche con il grano per ottenere una bevanda
dolciastra, mentre oggi sono distillate per fare acquavite o liquori.
Le sorbe essiccate, nel passato, venivano amalgamate con la farina, per arricchire
il pane nei momenti di carestia.
Specie molto spesso usata per alberature stradali, il legno pregiato, duro,
compatto ed elastico trova impiego per lavori di ebanisteria, costruzione di slitte,
tornitura, intaglio, impiegato per strumenti musicali (flauti) e nell'industria del
mobile.
Come combustibile dà buona legna da ardere, nel passato, il carbone, si usava
nella fabbricazione della polvere pirica.
La sua importanza forestale è modesta, ma per la bellezza dei suoi frutti, viene
spesso coltivata come pianta ornamentale e in cultivar migliorate a frutti dolci
eduli.
È un albero molto comune nei paesi nordici. Il legno è molto apprezzato in
Scandinavia e se ne fanno diversi oggetti; con le bacche si fanno gelatine e liquori.
Curiosità:
I beccofrusoni (Bombycilla garrulus) sono molto ghiotti dei frutti di Sorbus
aucuparia anche se ormai fermentati e il loro fegato non ne risente il danno.
Nel calendario Celtico, quest'albero dava il nome al mese lunare: “Cerdinen” in
gallese, o “Luis”in irlandese, che andava dal 21 gennaio al 17 febbraio.
Albero magico per i Druidi che, con i falò di legno di sorbo, invocavano l' aiuto
degli spiriti e dei demoni.
Antiche leggende raccontano che dal legno di Sorbo si ricavasse una verga
magica, detta “mano di strega”, usata dai rabdomanti per trovare tesori nascosti o
metalli preziosi.
Contemplato dai Celti come albero dell'Aurora dell'anno, il sorbo era anche
considerato sacro, perché i suoi frutti erano nutrimento degli dei, veniva piantato
accanto alle case e alle stalle perchè tenesse lontani i fulmini, gli spiriti malefici e
le streghe.
Plinio lo classificava tra gli alberi felici per il bel colore dei suoi frutti.
Nel poema epico finnico, Kalevala, era l'albero sacro.
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Prunus avium L. Subsp. Avium
Sinonimi:
Ciliegio selvatico, Ciliegio, selvatico;
dolce
Descrizione, morfologia é una delle
latifoglie nobili dei nostri boschi; albero
medio, (o di seconda grandezza),
deciduo a rapido accrescimento, con
tronco slanciato a chioma piramidale da
giovane piuttosto rada poi, con l'età più
tondeggiante; normalmente in bosco
raggiunge i 20-25 m d'altezza ma in
condizioni stazionali ottime anche i 30
m.
Pianta non molto longeva 100-150 anni;
molto pollonifera e se ceduata ricaccia
con vigoria formando piccole macchie di
piantine derivate da polloni radicali, ha
crescita di tipo monopodiale per tutta la
vita.
La corteccia, da giovane è liscia rossastra e grigia, ha fasce orizzontali con
numerose lenticelle allungate anch'esse orizzontali; con l'età diviene rosso-bruna
scura con grosse lenticelle allungate e appiattite orizzontalmente, forma un
ritidoma poco spesso che si stacca in strisce e placche ad anello.
I rametti sono glabri, grigi poi rossicci, la pianta giovane forma solo rami di
allungamento (macroblasti) poi, dopo pochi anni inizia la formazione di brachiblasti
(rametti corti e tozzi che portano gemme ravvicinate, di cui la centrale è una
gemma a fiore e formano dei pseudoverticilli), le gemme a legno (quelle di
accrescimento) sono ovali, acute, mentre quelle a fiore sono globose,
pluriperulate, glabre.
Foglie, Fiori, Semi: la disposizione delle foglie sui rametti di accrescimento
sono spiralate, alterne, semplici, penninervie, lunghe 5-15 cm con margine serrato
e con le nervature secondarie che si riuniscono prima di arrivare al margine, sono
di colore verde scuro e glabre sulla pagina superiore, più chiare e inizialmente
leggermente pubescenti in quella inferiore.
Il picciolo è glabro di 2-4 cm che porta 2 (3) caratteristiche ghiandole rossicce a
ridosso del lembo fogliare con funzione di nettari; in autunno le foglie a secondo
dell'andamento stagionale, assumono colorazioni molto ornamentali dal giallo oro
al rosso cupo.
Ha fiori perfetti tipici delle rosacee,(5 meri) ermafroditi, lungamente peduncolati,
con calice verde e glabro, composto da 5 sepali che si piegano all'indietro e
corolla formata da 5 petali bianchi smarginati all'apice, 15-25 stami lunghi come i
petali e antere gialle; l'ovario e lo stilo sono glabri.
I fiori sono riuniti in ombrelle pauciflore sui brachiblasti, la fioritura avviene
normalmente da aprile a maggio e l'impollinazione è entomofila (insetti).
Il ciliegio selvatico è una specie autoincompatibile e di conseguenza ha bisogno,
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per fruttificare, di polline proveniente da altre piante della stessa specie.(molte
cultivar invece sono autofertili).
I frutti sono drupe che maturano un paio di mesi dopo l'impollinazione, tonde di
circa 1 cm, con epicarpo a maturazione, dolce succoso, edule e di colore rosso
cupo, molto ricercato dagli uccelli ("avium" significa, degli uccelli) , ma anche dai
mammiferi.
L'endocarpo (nocciolo) è legnoso, duro e discretamente impermeabile, anche il
tegumento del seme è abbastanza impermeabile, ma soprattutto ha l'embrione
profondamente dormiente (ortodosso) e varia da seme a seme; la rimozione della
dormienza richiede 4-5 mesi di chilling, con due settimane a 25° C e periodi più
lunghi a 4-5 °C. ma la risposta non è sempre uguale per tutti i semi.
Buona la facoltà germinativa 70-80%.
Specie pregiata anche per il suo legno che è semiporoso, discolore con alburno
biancastro e duramen rosato- giallastro- brunastro, lucente a tessitura fine,
facilmente lucidabile e rifinibile; è molto ricercato per mobili ed ebanisteria ma
anche strumenti musicali e intarsio.
L'apparato radicale è esteso obliquo e scende notevolmente in profondità e il suo
approfondimento viene inibito solo da suoli asfittici duri e pesanti.
Areale, ecologia:Eurasiat. - Eurasiatiche in senso stretto, dall'Europa al
Giappone.
Pontica - Areale con centro attorno al Mar Nero (clima continentale steppico con
inverni freddi, estati calde e precipitazioni sempre molto scarse).
Distribuzione in Italia: è quanto mai arduo definire l'areale del ciliegio selvatico in
quanto è stato diffuso dall'uomo in tempi antichissimi, si pensa che sia originario
dell'Asia occidentale ma forse anche dell'Europa centrale e nord occidentale come
dimostrano molti resti fossili e archeologici, pare sia stato raro allo stato
spontaneo, nella regione mediterranea.
Ora si trova in tutta Europa, a ovest raggiunge il nord della penisola Iberica, a nord
raggiunge l'Inghilterra, Danimarca, Svezia e Norvegia, a est le pianure del Don e
con areali frammentati, il Caucaso e l'Anatolia settentrionale, a sud raggiunge la
Grecia ed è presente sulle montagne di Tunisia e Algeria.
In Italia è presente su tutto il territorio ma, probabilmente spontaneo su suoli
tendenzialmente sub-acidi al nord, dal piano nell'orizzonte delle latifoglie eliofile,
fino all'orizzonte montano delle latifoglie sciafile, cioè dal Castanetum sottozona
fredda al Fagetum, ma pare che il suo optimum sia nel Fagetum sottozona calda.
Specie eliofila, rustica, plastica si adatta anche a suoli carbonatici, molto resistente
alle basse temperature; si trova sporadico o a piccoli gruppi nei querceti a
Roverella e Cerro e negli Orno-Ostrieti al centro e al sud, nelle radure che
colonizza molto facilmente, nel bosco misto caducifoglio ai margini delle faggete
anche con Abete bianco, ma soprattutto con Acero montano, Olmo montano,
Rovere.
Su suoli superficiali e carbonatici risente di eventuali carenze idriche, vuole
stazioni fertili specialmente di azoto e adeguatamente rifornite d'acqua; se
rispettate queste esigenze unite ad una adeguata luminosità diventa una specie
utile per rimboschimenti e colonizza facilmente, come specie pioniera, ex coltivi e
pascoli abbandonati assieme a Betulla.
Note di Sistematica: Da molti la varietà selvatica viene indicata come var.
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silvestris,Dierb..
Le varietà a polpa molle var. juliana L. e quelle a polpa dura var. duracina L.
Spesso nelle vicinanze di abitazioni, si possono incontrare individui inselvatichiti di
cultivar, di non facile determinazione (di solito hanno foglie e frutti più grandi).
Note, possibile confusione:
Il ciliegio selvatico, se da utilizzare per la produzione di legname di pregio, non va
lasciato invecchiare oltre i 60 anni di età, in quanto è soggetto a formare, partendo
dal midollo, un vuoto all'interno del tronco.
Si può confondere con:
Prunus. cerasus L. chiamata marena o marasca, il frutto amarena, è un alberetto
molto pollonifero radicale con stoloni e spesso cespuglioso che non tende ad
invadere boschi naturali, ha picciolo senza ghiandole nettarifere e foglie più
piccole ovali o al massimo lanceolate finemente dentellate, produce frutti piccoli
rotondi un po' schiacciati all'attacco del picciolo lucidi rosso molto scuro a
maturazione e di sapore amarognolo..
Etimologia: Il nome ciliegia o ceresia ha origine iraniana (Kirahs, keras) poi latino
ceresia, spagnolo ceresa, francese cerise, inglese cherry, tedesco kirsche.
Il nome della amarena o marasca deriva dal latino "amarus".
Pianta commestibile.
Dalle ferite o cretti da gelo fuoriesce spesso una resina gommosa di colore ambra
usata in farmacia.
I piccioli dei frutti vengono usati come diuretici.
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