RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 22 settembre 2014 Indice

RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 22 settembre 2014
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati
dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
Trasporti, no dell’Ugl al protocollo (M. Veneto)
I sindaci a caccia del leader. Cosolini e Honsell in pista (Piccolo)
Lavoro e reddito minimo, il Friuli sia un laboratorio (M. Veneto domenica 21 settembre)
Spav in piena crisi. A rischio 76 posti (M. Veneto domenica 21 settembre)
Luvata trasferisce la produzione veneta nella sede di Pocenia (M. Veneto domenica 21 settembre)
Imprese, il Friuli arranca (Gazzettino domenica 21 settembre)
I sindacati: nell’udinese ancora 200 esodati (M. Veneto sabato 20 settembre)
CRONACHE LOCALI (pag. 8)
Due mesi per salvare la Tonutti (Gazzettino Udine domenica 20 settembre)
Porto, per il dopo-Monassi le grandi manovre a Roma (Piccolo Trieste)
Afghani, vertice in Comune con sindaco e parlamentari (Piccolo Gorizia Monfalcone)
Esami, con la Bassa per non chiudere (Piccolo Gorizia Monfalcone)
Mangiarotti convoca gli operai in assemblea (Piccolo Gorizia Monfalcone)
REGIONE
Trasporti, no dell’Ugl al protocollo (M. Veneto)
UDINE Protocollo per il trasporto pubblico locale: c’è la defezione dell’Ugl, che non lo ha firmato, a
differenza delle altre sigle sindacali. La segreteria regionale Ugl autoferrotranvieri del Friuli Venezia
Giulia, infatti chiarisce la propria posizione in merito al protocollo di intesa fra la Regione e le sigle
sindacali, secondo cui dovrebbe vigere l’obbligo di mantenere sia i livelli occupazionali allo stato
odierno sia i diritti acquisiti di tutto il personale, per il concessionario che dovesse subentrare nella gara
europea per la gestione del servizio di Tpl affidato dalla Regione. «Durante gli incontri - si legge in una
nota della segreteria Ugl - abbiamo posto alcune osservazioni e sollevato alcune perplessità di carattere
sostanziale inerenti la validità di quanto sottoscritto nel documento, in quanto l’unico interlocutore con
cui ci sarà confronto sui temi sopra trattati, sarà solo e unicamente il soggetto affidatario della gara.
Nello specifico, non è stato tenuto conto di quanto compreso nell’articolo 26 del Regio decreto numero
148/31, legge dello Stato italiano ancora vigente, che regola lo stato giuridico e il rapporto di lavoro
degli autoferrotranvieri, ma, soprattutto è stata posta rilevanza di contraddizione come da un lato si
sottoscriva un protocollo fra le parti sociali per la salvaguardia dei livelli occupazionali, recependo
nello stesso documento, la facoltà del nuovo affidatario di affidare una quota pari al 20 per cento dei
servizi ad altri operatori, al fine di risparmiare una cifra molto sostanziale, sia per quanto concerne il
costo del lavoro del personale sia per quanto riguarda la qualità dei servizi che saranno erogati». «Tutto
quanto sopra - aggiunge l’Ugl - ha determinato questa segreteria regionale a non sottoscrivere un
protocollo che pare abbia più il sapore di un raggiro bello e buono sia per la qualità e la quantità dei
servizi che i cittadini di questa Regione si troveranno a dover subire per affidamenti a soggetti non
altamente qualificati, sia per il personale delle attuali quattro aziende che riscontreranno sulla loro pelle
l’inefficacia e la presa in giro perpetrata da sigle sindacali politiche che nulla hanno a che fare con il
lavoro e che nulla hanno a che fare con la materia trattata, visto che sono tutte persone appartenenti a
comparti lavorativi che nulla hanno a che fare con il Trasporto pubblico locale».
I sindaci a caccia del leader. Cosolini e Honsell in pista (Piccolo)
di Marco Ballico TRIESTE Spuntano tre soluzioni per il dopo Pezzetta alla presidenza dell’Anci.
Nell’ambiente dei sindaci si parla di Roberto Cosolini, Furio Honsell e Paolo Menis. Vale a dire
Trieste, Udine e San Daniele (il Comune, a quanto pare, con più chance). Non è però nemmeno esclusa
la sorpresa: Mario Pezzetta, l’uscente, non è più sindaco di Tavagnacco, ma da consigliere comunale
può in ogni caso iscriversi alla corsa. A un paio di settimane dal congresso elettivo del prossimo 8
ottobre (convocato perché, appunto, Pezzetta non è più sindaco), fermo restando che la scelta ricadrà
sul centrosinistra (per quanto di solito elezione e gestione dell’Anci siano bipartisan), la partita sembra
essere a quattro. Con l’uscente che potrebbe risolvere la questione dichiarandosi disponibile a
completare il mandato (i cinque anni scadono nel 2016) e posticipando così l’individuazione del
successore. C’è invece chi propone per un cambio della guardia e, non a caso, qualche candidato ci
sarebbe già. Nei piccoli come nei grandi Comuni. C’è per esempio Cosolini che dice di essere «a
disposizione». Ben sapendo che i capoluoghi, tanto meno quelli di regione, non esprimono solitamente
il presidente dell’Anci. In Friuli Venezia Giulia, per esempio, non è mai accaduto. «È una cosa
difficile, soprattutto perché il mio comune è molto atipico come dimensione rispetto al resto della
regione», ammette il sindaco di Trieste non dimenticando inoltre che la sua è una scadenza ravvicinata
(2016), «anche se conto di ripresentarmi». Ma, nello stesso tempo, Cosolini non esclude un colpo di
scena: «Mai dire mai, nel caso in cui io debba essere l’unica scelta possibile. E, comunque, sono pronto
a dare una mano all’associazione». E poi, tra i papabili, ci sarebbe anche Furio Honsell, stando alle
indiscrezioni. Un’ipotesi che ha anche in questo caso pro e contro. Con l’ex rettore di Udine alla guida,
l’Anci avrebbe una presidenza di spessore e garantita fino al 2018. Ma si tratterebbe, come nel caso di
Cosolini, di un grande Comune, forse troppo per rappresentare la molteplicità delle piccole
amministrazioni della regione. La storia dell’Anci, del resto, insegna che a prevalere sono sempre stati
Comuni medi. Negli ultimi anni, prima di Pezzetta, ce l’hanno fatta, oltre all’assessore goriziano
Giannino Ciuffarin, Titta Metus, consigliere di Rive d’Arcano, Roberto Campaner e Luciano Del Frè
(San Vito al Tagliamento), Flavio Pertoldi (Basiliano) e Gianfranco Pizzolitto (Monfalcone). Anche per
questo, sempre a livello di indiscrezioni, qualcuno spende il nome dell’ex consigliere regionale, e
attuale sindaco di San Daniele, Menis. «L’Anci è un organo importantissimo – commenta il diretto
interessato –, utile sostegno alle amministrazioni comunali, le più vicine al cittadino. Per quanto mi
riguarda sono impegnatissimo nel mio territorio e, al momento, non so nulla di una mia eventuale
investitura». Anche nel caso di San Daniele, però, c’è chi sostiene che ci sia una controindicazione.
Stando sempre al passato, i sindaci evitano di eleggere un Comune sede di ospedale (San Daniele,
come del resto Trieste e Udine, lo è) per evitare che ci possa essere uno squilibrio nella difesa di presidi
così importanti. Tanto più in un periodo in cui la riforma sanitaria interviene proprio di questo
argomento. Non resta dunque che tornare alla soluzione forse più facile, quella transitoria che porta a
Pezzetta. Un nome che probabilmente non dispiacerebbe al governo regionale e che consentirebbe di
dare continuità al lavoro dell’associazione. «Pezzetta non porterebbe grandi cambiamenti
nell’operatività dell’Anci – dice un collega –, ma ha senz’altro lavorato bene e potrebbe continuare a
farlo ancora per un po’». Quanto alle regole, così si legge nello statuto, la candidatura a presidente
dovrà essere sottoscritta da almeno 40 soci (non sono pochi) e presentata almeno 48 prima del
congresso all’ufficio protocollo Anci. In prima votazione l’obiettivo è quello della maggioranza
assoluta degli aventi diritto. In seconda votazione sarà invece sufficiente la maggioranza dei votanti.
Lavoro e reddito minimo, il Friuli sia un laboratorio (M. Veneto domenica 21 settembre)
di FRANCO BELCI * Sull’articolo 18 mi affido alle parole di altri. Moltissimi commentatori,
certamente non ostili a Renzi, sostengono che il 18 costituisce un principio di civiltà giuridica che va al
di là del suo effettivo campo di applicazione, oltretutto sempre più ridotto. Un illustre opinionista del
quotidiano economico Il Sole 24 ore, la cui opinione è per definizione non sospetta, afferma che è
paradossale porlo come problema prioritario mentre la crisi moltiplica i licenziamenti. Ed è quanto
sostengono anche molti industriali in Regione da Tonon a Campello, ad Agrusti, in un’intervista che
per altri aspetti ho criticato, e moltissimi altri. Il governo, e il Partito democratico, hanno cambiato idea
non in un anno, ma in un mese. Anche qui mi limito a citare titoli da luglio ad oggi: “E’ scontro
sull’articolo 18. Il Pd stoppa Alfano”; “Madia blinda l’articolo 18: abolirlo non crea lavoro”; “Poletti:
resta l’articolo 18”. Renzi da parte sua preannunciava il 13 agosto scorso un allargamento dello Statuto
dei lavoratori e sull’articolo 18 negava ogni intervento: “Serve solo ad alimentare il dibattito agostano”.
Giravolte degne del miglior Berlusconi. La nostra presidente da parte sua, in un'intervista al
Messaggero di Roma ha affermato che si tratta di inserire l’articolo 18 in un piano di riforme più ampio
che riguardi anche la giustizia, perché se i tempi rimangono così lunghi quell’articolo non tutela più
nessuno. Giusto: se il tema è questo, ragioniamone. Ma non vorrei che anche Serracchiani avesse
cambiato idea. Sarebbe un pessimo segnale: il Pd non esiste più, esiste solo Renzi. Ma è
oggettivamente difficile iscriversi...a Renzi. Io Debora Serracchiani l’ho votata come presidente perché
il suo programma coincideva per larga parte con il nostro piano per il lavoro. Non l’ho votata come
vicesegretaria del Pd. Era chiaro dal giorno della nomina, ed è ancora più chiaro oggi, che questo suo
ruolo, se non vi è un minimo di autonomia dal premier, avrà inevitabilmente riflessi anche in Regione,
al di là di quello che possiamo volere lei ed io. In ogni caso, nessun riflesso automatico per quanto
riguarda la Giunta regionale. Noi abbiamo la nostra autonomia di giudizio. Non ci sono ordini di
scuderia che vengono dall’alto come nel Pd. La Cgil del Friuli Venezia Giulia valuterà, come ha
sempre fatto, sul merito: politiche buone, giudizio buono; politiche cattive, giudizio cattivo. La riforma
sanitaria rimane buona anche se la Cgil rompe con Renzi. Penso, però, che la presidente Serracchiani
possa e, direi sommessamente, debba assumere un ruolo di mediazione tra Cgil e governo Renzi: per il
suo ruolo nel partito, per il suo ruolo in Regione, perché viene dal mondo del lavoro e perché i tanti
iscritti alla Cgil che l’hanno votata qui non l’hanno fatto perché il Pd rompesse con la Cgil e assumesse
oggettive somiglianze con il centro-destra: personalmente non vorrei che quella somiglianza diventasse
parentela. Io per il centro-destra non ho mai votato. Credo quindi che la politica si faccia anche dal
basso e che anche da una piccola Regione come il Friuli Venezia Giulia possano venire esperienze e
sperimentazioni utili a Roma. Cominciamo a trovare modalità di confronto più incisive e veloci qui da
noi, proviamo a trovare accordi-pilota sul reddito di inserimento, sulla riforma della pubblica
amministrazione. Serviranno a tutti. segretario regionale Cgil
Spav in piena crisi. A rischio 76 posti (M. Veneto domenica 21 settembre)
MARTIGNACCO Concordato per la Spav prefabbricati di Martignacco. Ad accordare la procedura è
stato il tribunale di Udine che ha fissato per il 7 novembre la data di presentazione del piano. Il
documento dovrà chiarire come l’azienda intende pagare i propri debiti e, possibilmente, cercare di
salvare il posto a 76 dipendenti, per lo più uomini con un’età media di 50 anni. Pochissimi quelli che
potrebbero accedere alla pensione attraverso gli ammortizzatori sociali in caso di fallimento. Le
difficoltà per l’azienda non sono una novità. La richiesta di prefabbricati e capannoni è ai minimi
storici e più in più in generale l’edilizia è in grave difficoltà. Ma il colpo più duro è stato la revoca del
subappalto per la costruzione del parcheggio di piazza Primo Maggio a Udine. L’azienda, in passato,
aveva avuto accesso agli ammortizzatori sociali, sebbene con qualche difficoltà. Ma la revoca di
quell’opera ha costretto l’amministratore unico, Roberto Turello, a fare i conti con i creditori. Da qui la
richiesta di concordato in continuità. Un provvedimento che congela la situazione. E pure gli stipendi.
L’obiettivo pare essere il ridimensionamento dell’azienda. Ma a giudicare il piano di concordato e le
prospettive future sarà il tribunale che ha nominato Giuliano Bianco commissario giudiziale. Dopo 54
anni di attività, Spav prefabbricati è ora a un bivio. Nata nel 1960 alla periferia di Udine, nei decenni
successivi ha realizzato moltissimi edifici prefabbricati, sia in Italia sia all’estero. Lo stabilimento di
Martignacco sorge su un’area di 125 mila metri quadrati e ha tre reparti di produzione con una capacità
produttiva di 90 mila metri cubi di calcestruzzo l’anno. Negli ultimi tempi l’azienda ha realizzato
diversi centri commerciali, parcheggi multipiano per automezzi sia in Italia sia nella vicina Austria,
case di riposo per anziani, fabbricati industriali e palazzetti. Ma la crisi economica ha agito su due
fronti: sul pubblico, bloccando i cantieri con il Patto di stabilità, su quello privato con la stasi del
mercato e nemmeno la recente commessa da 1,3 milioni di euro per realizzare la copertura di un nuovo
grattacielo a Tirana, in Albania, è servita a evitare il concordato preventivo. Michela Zanutto
Luvata trasferisce la produzione veneta nella sede di Pocenia (M. Veneto domenica 21 settembre)
POCENIA Luvata abbandona Padova (a Torreglia sono 50 i dipendenti) e trasferisce la produzione a
Pocenia (nella foto a fianco lavoratori davanti allo stabilimento). Un cambio che precede l’apertura
dello stabilimento serbo (programmato in autunno) e diventa «un’opportunità per il Friuli», sottolinea
Giorgio Spelat referente per l’Alto Friuli della Fim Cisl. Anche se l’addio della multinazionale
metallurgica al Veneto lascia l’amaro in bocca perché le 50 tute blu, se non intendono perdere il posto
di lavoro, dovranno trasferirsi. A Pocenia lavorano circa 500 dipendenti, che salgono a 700 se si
considera l’intero indotto. I sindacati hanno «ricevuto diverse rassicurazioni circa il futuro delle sedi in
Fvg – ricorda Spelat – e l’apertura dello stabilimento in Serbia non dovrebbe creare contraccolpi
sull’occupazione regionale. La chiusura di Torreglia però arriva inattesa». Il colosso internazionale,
con sede centrale a Soderkoping, in Svezia, e filiali in tutto il mondo, tra cui Cina, Brasile, Messico,
Malesia e Austria, è presente in Friuli a Pocenia, Amaro e San Vito al Tagliamento. In base a quanto
comunicato alle Rsu, gli amministratori della Luvata hanno deciso d’inglobare la produzione che viene
effettuata nella zona termale, all’interno dello stabilimento di Pocenia. «L’unica apertura già dimostrata
dalla multinazionale svedese è che i 50 lavoratori di Torreglia hanno la possibilità di trasferirsi a
Pocenia, anche con l’erogazione di un sostanziale incentivo economico», spiegano i sindacalisti del
Veneto. Immediata la reazione di Rsu e dei dirigenti della Fim-Cisl veneta: «È una vicenda incredibile
sotto tutti i punti di vista – spiega Gianni Castellan, segretario Fim di Padova e Rovigo –. Come si fa a
chiudere e trasferire altrove una fabbrica che ha un ricco portafoglio ordini a lungo periodo e che
produce utili continui, ormai, da tanti anni? Ci fa ridere, poi, la volontà della multinazionale svedese
d’invitare i dipendenti ad andare a lavorare in provincia di Udine, in un paese che dista da Torreglia
150 chilometri». Insomma, la Cisl non ci sta. «I posti di lavoro, specialmente di questi tempi, non si
toccano – aggiunge Castellan –. Faremo di tutto per bloccare il progetto degli amministratori della
Luvata». La Fim veneta ha già proclamato un primo pacchetto di otto ore di sciopero. Il Gruppo Luvata
nasce nel 2005 con l’acquisizione di Outokumpu Copper products. Si è sviluppata con partnership,
acquisizioni e ristrutturazioni fino a triplicare la redditività. E’ leader in molti mercati: dalla saldatura
automotive, a super-conduttori e cavi. (m.z.)
Imprese, il Friuli arranca (Gazzettino domenica 21 settembre)
Riccardo De Toma UDINE - Più di cinquemila imprese volatilizzate. Spazzate via dalla crisi, nella
maggior parte dei casi, o evaporate per lasciare spazio ad aziende più grandi e strutturate, più adatte a
competere e a navigare nell’oceano dell’economia globale. I fattori possono essere diversi e non
necessariamente tutti negativi, se è vero come è vero che le aggregazioni e i processi di crescita
dimensionale sono un imperativo categorico, ma un dato emerge su tutti: gli effetti della crisi sul
tessuto imprenditoriale, in Friuli Venezia Giulia, sono più pesanti che altrove.
Crisi di vocazione. Rispetto al Nordest e all’Italia abbiamo perso più imprese, se rapportate alle
dimensioni della nostra regione, naturalmente, non soltanto a livello generale, ma anche scorporando il
dato tra le diverse tipologie e dimensioni di azienda. Quasi che la crisi stesse progressivamente
spegnendo anche quella vocazione imprenditoriale che secondo molti appartiene, o appartiene, al
nostro Dna nordestino.
I numeri. Le cifre suonano impietose. Tra il 2008 e il 2013, in Fvg, la flessione è stata dell’8,2% tra le
imprese individuali attive , contro una media nazionale del 5,7% e del 6,9% a Nordest, e del 6,6% tra le
società di persone, anche in questa caso più marcata rispetto al dato nazionale (-6,2%) e del Nordest (5,6%).
Al calo strutturale di microimprese e imprese individuali in particolare, in sostanza, sembra
corrispondere un processo di crescita dimensionale delle imprese più lento che altrove: in sostanza si fa
meno impresa, e non perché si parta da tassi di imprenditorialità più alti che altrove, visto che solo
quelli di Udine e Pordenone appaiono in linea (arrotondandoli per eccesso) con quelli nazionali.
Corto circuito. A incidere sono anche i fattori demografici. Quello che sta accadendo sul mercato del
lavoro, caratterizzato da un drammatico calo dei lavoratori nelle fasce più giovani, trova riscontro
anche sul terreno del lavoro autonomo: la combinazione tra il crollo delle nascite e l’allungamento dei
percorsi di studi, con l’università che sempre più viene vista un passaggio obbligato verso il mondo del
lavoro, sta rendendo sempre più difficile il ricambio generazionale nelle imprese e nella classe
imprenditoriale in genere.
Un problema, questo, accentuato dalle caratteristiche intrinseche del nostro tessuto produttivo, dove la
prevalenza della piccola e la micro-impresa rende ancora più complesso il passaggio del testimone,
quando il figlio, come spesso accade, sceglie una strada diversa da quella del padre.
I sindacati: nell’udinese ancora 200 esodati (M. Veneto sabato 20 settembre)
«Cambiare la legge Fornero per rilanciare l’occupazione». Ecco l’appello unitario dei delegati friulani
di Cgil, Cisl e Uil riuniti ieri alla Camera del lavoro di Udine. Perché in Friuli la crisi ha bruciato 13
mila posti, penalizzando soprattutto i giovani. Alessandro Forabosco (Cgil), Roberto Muradore, Franco
Colautti (Cisl Udine e Alto Friuli) e Ferdinando Ceschia (Uil) hanno tracciato il bilancio delle 176
assemblee organizzate per discutere della piattaforma unitaria su fisco e previdenza, che hanno
interessato 152 aziende e coinvolto 6 mila persone, tra lavoratori attivi e pensionati. «La stessa unità
d’intenti mostrata dal sindacato nel rivendicare una modifica della legge Fornero – dicono i segretari –
deve essere messa in campo per incidere sull’iter parlamentare del Jobs act». Per affrontare
l’emergenza occupazione, secondo i sindacati, una delle priorità è la modifica della riforma Fornero,
che con la sua rigidità, ha accentuato l’impatto della crisi anche in provincia, dove la quasi totalità dei
13 mila posti persi dall’inizio della crisi si concentra nelle fasce giovanili. Non è l’unico effetto
perverso di una riforma che lascia tuttora nel limbo decine di migliaia di esodati a livello nazionale, di
cui circa 200 a livello provinciale. Ecco perché i sindacati chiedono di reintrodurre misure che
garantiscano una maggiore flessibilità al sistema, a partire dall’eliminazione di qualsiasi penalizzazione
per chi accede alla pensione prima dei 62 anni in presenza di un’anzianità contributiva di almeno 41
anni. (m.z.)
CRONACHE LOCALI
Due mesi per salvare la Tonutti (Gazzettino Udine domenica 20 settembre)
Elena Viotto La Tonutti spa di Remanzacco è a rischio fallimento. L'istanza è stata avanzata dalla
Procura di Udine. La procedura è già aperta sul tavolo del giudice Lorenzo Massarelli, ma l'azienda ha
tempo fino al 19 novembre per presentare un piano di risanamento. La Tonutti Wolagri, storica azienda
friulana produttrice di macchinari agricoli, nata nel 1864, con sede legale e stabilimento principale a
Remanzacco, e filiali a Suzzara (Mantova), Memphis (Usa), Perm e Krasnokamsk (Russia), è entrata in
difficoltà negli ultimi mesi. L'ingresso in società, a febbraio, di Luigi Blasi, proprietario della Bgroup
ed ex presidente del Taranto, non ha risollevato le sorti dell'azienda. La situazione è precipitata in
estate, dopo l'esplosione, la sera del 29 maggio, di una bomba carta davanti all'ingresso dell'azienda,
che aveva mandato in frantumi un'intera vetrata. L'azienda da allora è entrata in una sorta di fase di
stallo che aveva indotto il titolare Carlo Tonutti a mettere in liquidazione la società, con procedura
volontaria, con tanto di nomina di un liquidatore.
Nel frattempo, però, la situazione aziendale era finita anche sotto la lente d'ingrandimento della Procura
di Udine che, nell'ambito delle indagini sullo scoppio della bomba carta, ha cominciato a scandagliare
il rapporto tra i soci e passare al setaccio la situazione finanziaria dell'azienda. Il procuratore facente
funzioni Raffaele Tito ha delegato così alla Guardia di Finanza di Udine una serie di accertamenti sui
conti della società, all'esito dei quali si è convinto a chiederne il fallimento. L'istanza, come detto, è
finita sul tavolo del giudice civile del tribunale di Udine Lorenzo Massarelli che ha già tenuto la prima
udienza il 15 settembre. In quell'occasione è stato subito fissato un rinvio del procedimento al 19
novembre per consentire ai soci di presentare un eventuale piano di risanamento dell'azienda o un piano
concordatario con i creditori. A questo punto, dunque, solo un accordo tra i soci potrebbe scongiurare il
rischio fallimento.
La preoccupazione investe il destino lavorativo dei circa 500 dipendenti del gruppo dislocati nei vari
stabilimenti, 80 dei quali impiegati a Remanzacco. Per ora, comunque, l'azienda prosegue la sua attività
anche se, a quanto trapela, sarebbe a ritmi ridotti.
Porto, per il dopo-Monassi le grandi manovre a Roma (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana «Se mai al porto di Trieste dovesse arrivare un commissario, ma questo non
accadrà, posso assicurare Marina Monassi che quel commissario non sarà lei. Questa dichiarazione non
solo vi invito a riportarla, ma anche a specificare che la faccio io». Difficilmente si è visto Ettore
Rosato, deputato triestino del Partito democratico che pure anni fa non aveva esitato a indire una
conferenza stampa anche per criticare l’ex presidente ma collega di partito Claudio Boniciolli, scaldarsi
in questo modo. La battaglia per i nuovi vertici dell’Autorità portuale di Trieste è incominciata da
tempo, ma sta giungendo al culmine. «È difficile, ma potrebbe starci», aveva risposto Monassi qualche
mese fa a chi le chiedeva delle sue possibilità di riconferma. Non è un mistero per nessuno, dentro e
fuori la Torre del Lloyd, che stia “manovrando”, con un comportamento del resto abbastanza comune,
per resistere almeno un anno ancora da commissario. E l’ipotesi di un commissariamento, in attesa
della nuova legge sui porti che cambierà anche le regole della governance, ma che è stata stralciata dal
decreto “Sblocca Italia”, sarebbe stata accarezzata dallo stesso ministro delle Infrastrutture e Trasporti
Maurizio Lupi esponente del Nuovo Centrodestra, il partito al quale l’attuale presidente è stata più
vicina negli ultimi tempi. Contro questa soluzione logicamente l’intero Partito democratico. «È
un’ipotesi che non passerà - afferma sicuro un altro parlamentare triestino del Pd, il senatore Francesco
Russo - anche Debora (Serracchiani, ndr.) è ben sensibile a questa questione. Da parte mia rilancio
l’idea di affidare la preselezione a un soggetto terzo: un cacciatore di teste che individui una short list
all’interno delle quale le amministrazioni territoriali scelgano la terna da cui dovrà pescare il ministro,
ma sempre in accordo con il presidente della Regione». In realtà il porto di Trieste, attraversato da due
corridoi europei e con buone prospettive di crescita, sarebbe appetito anche da personaggi di spessore e
da presidenti di altre Autorità portuali. Non casuale il fatto che sia circolata la voce in base alla quale ci
sarebbe un feeling reciproco con l’attuale presidente dell’Autorità portuale di Bari, Francesco Mariani,
che guardacaso scade a fine anno dopo due mandati consecutivi in Puglia. Mariani è l’ex responsabile
nazionale del settore trasporti del Pci e del Pds. Dopo un quadriennio della camberiana Monassi, il
centrosinistra porterebbe a compimento il più spietato dei capovolgimenti di fronte. Per evitare tutto
questo, ma qui si entra in piena fantapolitica, Monassi sarebbe disposta anche ad accettare un
commissario diverso da lei stessa: è circolata, comunque priva di qualsiasi conferma, la voce di Ercole
Incalza oggi a capo della struttura tecnica del ministero di Lupi e a livello locale anche una che non
poteva mancare, quella del presidente della Camera di commercio Antonio Paoletti che espressamente
ha dichiarato qualche mese fa di potersi candidare al vertice sia del porto che della città.
Afghani, vertice in Comune con sindaco e parlamentari (Piccolo Gorizia Monfalcone)
Vertice sull'immigrazione e sul caso dei richiedenti asilo afghani questo pomeriggio in Municipio. A
convocarlo è stato il sindaco di Gorizia Ettore Romoli, che ha contattato e invitato a discutere i tre
parlamentari dell'Isontino Giorgio Brandolin, Laura Fasiolo e Alessandro Maran, i quali hanno dato la
loro disponibilità. Il vertice, che avrà inizio intorno alle 14.30, servirà per fare il punto della situazione
su quanto avvenuto a Gorizia nell'ultima settimana, e soprattutto a guardare al futuro dell'emergenza
immigrati. Romoli chiederà presumibilmente ai parlamentari una serie di impegni da prendere a Roma.
In città, nel frattempo, non si spengono ancora i botta e risposta a livello politico e istituzionale, con il
sindaco Romoli che sbotta dopo le accuse arrivate dal presidente della Provincia Gherghetta, dicendo
che «è assurdo continuare a dare la colpa al sottoscritto e al Comune per il richiedente asilo colpito da
Tbc». Il primo cittadino non ha incassato in silenzio l'ennesima stoccata nei suoi confronti, con
Gherghetta che ha spiegato come, a suo dire, il Comune (e dunque il sindaco) abbia fatto finta di non
sapere del caso di tubercolosi tra i migranti dell'Isonzo per timore di essere accusato di omissione di
soccorso. Gherghetta ha sottolineato come fosse dovere del primo cittadino occuparsi della salute
pubblica e di quella di chi vive sul territorio comunale, ma Romoli rispedisce le accuse al mittente. «Mi
rendo conto di come il presidente Gherghetta si trovi a malpartito, ora, dopo tutto quel che ha
combinato e scatenato realizzando la tendopoli, e dunque cerca di spostare l'attenzione criticando gli
altri – dice Romoli -. Ma dire che io dovevo accorgermi e sapere della malattia del richiedente asilo, e
occuparmene, mi pare francamente assurdo. A questo punto dovrei interessarmi e occuparmi della
salute di 35mila cittadini, il che, specie nel periodo invernale, sarebbe un po' difficile». L'assessore
Ilaria Cecot, però, puntualizza alcuni concetti espressi, a suo dire fuori luogo, dal centrodestra
goriziano. «Sento dire che a Gradisca il sindaco Tomasinsig non avrebbe fatto nulla per i migranti, in
paragoni senza senso con la situazione di Gorizia – dice -. Se a Gradisca ci sono dei richiedenti asilo
che bivaccano per tutto il giorno in riva all'Isonzo è solo perché la cooperativa Connecting People che
gestisce il Cara è inadempiente, e non svolge i corsi e le iniziative che dovrebbe. Di conseguenza i
migranti non hanno nulla da fare, e sono costretti a ciondolare per ore in giro». Intanto al “Campo
Francesco” la giornata di ieri è filata via all'insegna dell'allegria, con un torneo di calcio tra afghani e
italiani, e tante persone che sono arrivate a far visita alla tendopoli per portare materiale e cibo, dando il
loro contributo. Ieri anche i volontari dell’associazione Auxilia di Trieste hanno portato 40 pasti agli
immigrati che sono ospitati al campo Francesco di via Italico Brass. Marco Bisiach
Esami, con la Bassa per non chiudere (Piccolo Gorizia Monfalcone)
di Laura Borsani La prospettiva di perdere il Servizio di Anatomia patologica e il Laboratorio di analisi
del San Polo, nell’ambito del percorso di riforma della sanità regionale, suscita preoccupazione anche
da parte dell’amministrazione comunale. Tanto che il vicesindaco Omar Greco, sostenendo
l’opportunità di non disperdere un patrimonio di eccellenza qual è proprio il Laboratorio di analisi, che
attualmente processa 2 milioni e 300 mila analisi l’anno, propone l’«aggregazione» con Palmanova e
Latisana, sfruttando la ridefinizione dei confini amministrativi delle Aziende sanitarie prevista dalla
stessa riforma regionale. Una vera e propria Hub, dunque, assieme ai Servizi della Bassa friulana, con il
Laboratorio di analisi monfalconese a svolgere il ruolo di capofila, superando così i 4 milioni di analisi
l’anno. Il vicesindaco Greco, che recentemente ha effettuato una visita al Servizio guidato dal primario
Nicola Palatiello, scende in campo con una precisa posizione politica, rivolta all’amministrazione
regionale. Forte peraltro del fatto che «anche all’interno del Pd monfalconese, condividendo la stessa
sensibilità in merito alla problematica, viene portata avanti questa proposta», al fine di scongiurare lo
svuotamento del Laboratorio di analisi cittadino che, secondo le ipotesi prospettate, prefigura
l’incardinamento del Servizio al Laboratorio triestino di Cattinara, comportandone l’invio di tutti i
campioni raccolti al San Polo e al nosocomio di Gorizia. Greco osserva: «Condivido le preoccupazioni
espresse in questi giorni relative alla possibilità che l’ospedale di San Polo perda il servizio di
Anatomia patologica e il Laboratorio analisi, quest’ultimo oltretutto una delle vere eccellenze del
nostro nosocomio. Il Laboratorio di analisi di Monfalcone, rappresenta un’eccellenza nell’ambito della
regione sia per quanto riguarda la qualità che i costi poichè riveste, in pratica, le funzioni di Hub
provinciale dopo l’accorpamento dei servizi di Gorizia, Grado, Cormons, e oggi processa più di
2milioni trecentomila analisi/anno. Voci riportano della possibilità che questa realtà possa essere
ridotta a presidio P.O.C.T. (point of care test, per definizione esame eseguito al letto del paziente da
personale professionalmente non formato nei settori del laboratorio clinico)». Quindi Greco aggiunge:
«Non essendoci chiarezza sulle scelte che la Regione si appresta a prendere, l’allarme è assolutamente
fondato e non può rimanere inascoltato». Il vicesindaco poi evidenzia, a proposito di riassetti:
«Vediamo con favore la ridefinizione dei confini amministrativi delle future Aziende sanitarie
contenute nella riforma (l’Ass Isontina/Bassa friulana avrà un bacino d’utenza superiore ai 250 mila
abitanti), ma se questo non è accompagnato da una reale tenuta e implementazione dei servizi
ospedalieri e territoriali, il saldo sarà assolutamente negativo. Se il traguardo che ci si prefigge è il
miglior rapporto qualità/costo e il livello di soddisfazione degli utenti, allora perché non espandere
l’attuale bacino di utenza di Monfalcone costituendo un vero Hub insieme a Palmanova, superando i 4
milioni di analisi l’anno? Monfalcone è già pronta e attrezzata ad accettare la sfida».
Mangiarotti convoca gli operai in assemblea (Piccolo Gorizia Monfalcone)
Assemblee dei lavoratori alla Mangiarotti di Monfalcone e di Pannellia di Sedegliano convocate
dall’amministratore unico della società, Andrea Oddi. Le riunioni sono fissate a Monfalcone per le 14
di domani e soltanto in un secondo tempo, alle 15, i vertici aziendali incontreranno le rappresentanze
sindacali unitarie e i sindacati provinciali di categoria. Il giorno dopo, Oddi parlerà agli operai delle
sede storica di Pannellia di Sedegliano. Potrebbe essere questa l’occasione per i dipendenti di avere dei
chiarimenti sull’immediato futuro dell’azienda, leader mondiale nel settore nucleare. Come è noto è in
via di definizione l’accordo con il colosso statunitense Westinghouse electric company (il cui socio di
maggioranza è però la giapponese Toshiba) per il passaggio di proprietà dell’azienda. C’è grande
attesa, quindi, per la presentazione alle parti sociali del piano industriale. Nel frattempo vige ancora il
contratto di solidarietà che coinvolge 314 lavoratori i quali hanno una riduzione media dell’orario di
lavoro del 58% con una perdita di circa il 30% dello stipendio. Non tutti i dipendenti comunque hanno
una uguale riduzionde che viene effettuata in base alle effettive esigenze tecnico-produttive che si
presentano nei due siti produittivi. Alla fine luglio, al termine di un incontro in Regione a Trieste,
presieduto dal vicepresidente e assessore alle Attività prodiuttive, Sergio Bolzonello, l'acquisizione da
parte della società statunitense era stata annunciata ufficialmente, presente il vicepresidente senior di
Westinghouse electric, Rick Gabbianelli. In quella sede era stato anche precisato che l'acquisizione
della società friulano-monfalconese era prevista per la fine dello scorso mese di agosto. Subito dopo
tale passaggio, era stato comunicato che l'azienda avrebbe presentato ai sindacati il piano industriale,
che prevedeva la salvaguardia di tutti e due gli stabilimenti (Monfalcone e Pannellia di Sedegliano), di
tutti i posti di lavoro e lo sviluppo sia del settore nucleare, sia dell'Oil&Gas. Sembrava però che i due
storici soci privati, Paolo Di Salvio e Tarcisio Testa, non ci stessero a non far più parte della società e
questo aveva rappresentato un ostacolo sulla strada di una rapida soluzione dell’intera partita. Per
quanto riguarda i lavoratori, i ocntratti di solidarietà sono entrati in azione nel magio scorso,
prevedondo per essi la durata di un anno a fornte di una riduzione del carico di lavoro. L’accordo aveva
fatto tirare un sospiro di sollievo agli operai e allontanato lo spetto della cassa integrazione e della
mobilità.