Download Pdf - Il Calendario della Vigilanza Privata

0. INDICE
1.
INTRODUZIONE
1.1
Gli obiettivi della tesi
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4
1.2
Le modalità di ricerca
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6
1.3
Una breve storia degli studi sul corpo dei Vigiles
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7
2.
EXCURSUS STORICO
2.1
Il problema degli incendi a Roma
PAG.
12
2.2
L’assenza di un sistema di polizia cittadina
PAG.
13
2.3
L’insicurezza urbana notturna
PAG.
14
2.4
I prodromi della Militia Vigilum in età repubblicana: alcune ipotesi
PAG.
15
2.5
Le fasi dell’istituzione del corpo dei Vigiles nella politica augustea
PAG.
18
2.6
Lo stato di fatto degli arruolati nelle riforme nell’alto Impero
PAG.
23
2.7
I milites vigilum in età flavia e in età severiana
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24
2.8
L’eredità dei Vigiles nel tardo impero: i collegiati
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27
2.9
Alcune note sull’evoluzione della prefettura dei Vigili
PAG.
29
3.
CARATTERISTICHE del CORPO
3.1
Il concetto di safety & security nella Roma augustea
PAG.
34
3.2
La struttura paramilitare
PAG.
39
3.3
Il reclutamento in età augustea: i Vigiles libertini
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40
3.4
L’evoluzione della condizione giuridica degli arruolati
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44
3.5
La durata del servizio
PAG.
47
1
3.6
La carriera dei Vigiles
4.
ORGANIZZAZIONE e FUNZIONI d’IMPIEGO
4.1
PAG.
49
Le mansioni del praefectus vigilum e del sub-praefectus vigilum
PAG.
53
4.2
Le attribuzioni degli ufficiali
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56
4.3
I più rappresentati: principales, immunes e milites gregales
PAG.
58
4.4
La sorveglianza delle terme
PAG.
71
4.5
Le attività diurne del corpo dei Vigiles
PAG.
73
4.6
Gli “equites Vigiles”: probabilità ma senza nessuna prova
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75
4.7
I servizi fuori Roma
PAG.
77
5.
EQUIPAGGIAMENTO e DOTAZIONI
5.1
Il problema della ricostruzione dell’equipaggiamento dei Vigiles
PAG.
81
5.2
Gli strumenti dell’antincendio nelle fonti: eventuali ipotesi
PAG.
84
5.3
L’armamento individuale
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92
5.4
La divisa dei Vigiles
PAG.
94
6.
RESTI MONUMENTALI
6.1
Alcune note sugli edifici dei Vigiles: le fonti
PAG.
100
6.2
L’excubitorium della settima coorte
PAG.
108
6.3
I castra della quinta coorte
PAG.
112
6.4
L’errore di interpretazione di un frammento della Forma Urbis Romae: ubicazione
della prima coorte e della prefettura
6.5
6.6
2
PAG.
114
Le altre sedi principali delle cohortes vigilum nelle regiones di Roma: opinioni
La caserma di Ostia
PAG.
116
PAG.
118
7.
Il RUOLO di SECURITY dei VIGILES nelle FONTI: ICONOGRAFIA,
EPIGRAFIA e LETTERATURA
7.1
Il problema iconografico
PAG.
123
7.2
Il ritratto nell’iscrizione funeraria di Q.Iulius Galatus (C.I.L. VI, 2987)
PAG.
128
7.3
Considerazioni generali sui monumenti sepolcrali di Vigiles
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133
7.4
La ghirlanda
PAG.
139
7.5
L’ascia
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142
7.6
Gli uccellini
PAG.
144
7.7
Ipotesi di immagini sepolcrali di membri delle cohortes vigilum
PAG.
145
7.8
Il mosaico del Caesareum di Ostia
PAG.
150
7.9
Il punto di arrivo attuale degli studi iconografici sui Vigiles
PAG.
154
7.10
Alcune considerazioni sull’epigrafia
PAG.
156
7.11
Il ruolo di security dei Vigiles nelle fonti letterarie
PAG.
160
8.
CONCLUSIONI
8.1
La riconsiderazione della posizione dei Vigiles nell’ambito dell’armata imperiale
PAG.
166
9.
BIBLIOGRAFIA
9.1
I testi di riferimento
PAG.
173
9.2
I testi consultati
PAG.
173
9.3
Gli articoli e gli estratti
PAG.
178
3
1. INTRODUZIONE
1.1
Gli obiettivi della tesi
L’obiettivo basilare del mio lavoro è quello di illustrare l’organizzazione, oltre che la
funzione prettamente militare, delle cohortes dei Vigiles, ed evidenziare l’importanza da
questi rivestita nell’Urbs per oltre quattro secoli dalla loro creazione.
Il corpo, inizialmente chiamato “Militia Vigilum Regime”, venne creato da Augusto
nell’anno 6 d.C. con la finalità di fare fronte ai vari incendi che si sviluppavano
frequentemente nell’Urbs, anche se la loro attività fu probabilmente più efficace del
semplice soccorso quando i disastri del fuoco erano già in atto attraverso una sorta di
prevenzione agli stessi mediante il pattugliamento delle strade, su cui si affacciavano le
abitazioni popolari (insulae).
L’istituzione rientrava pienamente tra le componenti terrestri dell’esercito romano,
nell’ambito delle guarnigioni di Roma, agendo in concomitanza alla guardia pretoriana e
alle coorti urbane: nel razionale schema militare dell’Impero Romano, l’originalità della
figura dei Vigiles venne marcata da un mix di caratteri militari e attributi civili, che li
collocò storicamente in una situazione di ambiguità.
Infatti, nonostante la rilevanza del loro ruolo, essi non hanno mai beneficiato di una
proporzionale stima, sia da parte dei loro contemporanei che successivamente da parte di
approfonditi studi della “grande” storia, rimanendo, per così dire, nell’anonimato. In
realtà, questi pompieri dell’Antichità, che, allo stesso tempo sono anche gli antenati
virtuali dei moderni metronotte, riflettono sicuramente, nella loro organizzazione
flessibile e nella loro efficienza funzionale, una peculiarità del mondo romano.
Poiché la sua funzione lo rende indubbiamente un elemento onnipresente nella vita della
capitale, la figura del vigile è parte integrante del paesaggio di Roma antica.
Si trattava, inizialmente, di cohortes di schiavi affrancati o ingenui di modeste origini, che
avevano come finalità comune la sicurezza di Roma allo stesso modo dei loro comandanti,
di rango più elevato, e che potevano progredire fino a raggiungere i vertici della struttura
appartenenti all’ordine equestre. In un tale contesto si esplica il tratto distintivo della
meritocrazia nel mondo romano, attraverso la possibilità del riscatto sociale, del
4
raggiungimento di una posizione migliore nell’ambito militare e quindi nella vita
quotidiana.
Al contempo, nel microcosmo romano dei Vigiles, sono ben evidenti alcune
caratteristiche dell’indole dello Stato romano: l’incontro tra orizzonti sociali e geografici
nettamente differenti (cosmopolitismo), alla base della lunga durata del sistema
imperiale, come pure la disciplina, dichiaratamente rigida, la gerarchia e l’obbedienza, che
regolano il corpo; tutti fattori che, come in altri ambiti di applicazione, erano artefici del
successo universale della cultura esportata dall’antica Roma.
L’avvento del Principato non può sottovalutare l’espansionismo urbano della capitale: i
processi di insicurezza urbana e le problematiche relative alla prevenzione e al
contenimento del crimine vengono ravvisati in una politica avveniristica, che determina
l’istituzione di diverse compagini con obiettivi ben precisi, ma comunque complementari.
Si può perciò parlare di organismi differenti che interagiscono per la sicurezza generale
dell’Urbs, in una avanzata soluzione di safety & security. Nel mondo attuale, la
traslitterazione di questi due termini è sinonimo di sicurezza, ma evidenzia una differenza
fondamentale: la volontarietà o meno delle cause delle evenienze; circostanze accidentali
ed indipendenti dall’uomo possono determinare una soluzione di safety, mentre
l’intenzionalità degli eventi delinea una protezione rientrante nel campo della security.
Le fonti letterarie sono concordi nell’inserire il corpo dei Vigiles tra le varie divisioni
dell’esercito romano, tuttavia non in maniera definitiva prima del terzo secolo d.C.
Ciononostante, fin dalla genesi di questa categoria di truppe, era contemplata la funzione
di polizia urbana notturna, strettamente connessa alla responsabilità dell’ordine pubblico
dal tramonto all’alba, espletata regolarmente attraverso i continui controlli che le guardie
dovevano effettuare per prevenire le conflagrazioni, anche di modesta entità.
Non è casuale che l’equipaggiamento e le dotazioni degli appartenenti alle cohortes
vigilum, assetti permanenti ed in continua evoluzione durante l’intero arco dell’età
imperiale, fossero simili a quelli dei milites; da questi ultimi, i Vigiles, nel corso della loro
storia, recepirono oltre che l’inquadramento militare, anche altri elementi tipici quali, per
esempio, le cariche degli ufficiali e dei sottoufficiali o il congedo (honesta missio) con la
relativa concessione della completa civitas romana.
Con la fine dell’Impero in Occidente le coorti dei Vigili non hanno più ragione di esistere
ma, come tutti gli elementi del mondo romano, è possibile ritrovarle, adattate al nuovo
5
contesto, in Oriente, nonché in labili tracce ancora in Italia, svanendo lentamente, per poi
dissolversi inevitabilmente quando si giunge al nuovo ordinamento delle istituzioni del
mondo alto-medievale.
Le prove archeologiche e letterarie, pur nel loro carattere lacunoso che non permette di
ritracciare agevolmente né la costituzione né tantomeno l’evoluzione del corpo1, lasciano
spazio alla congettura che inserisce pienamente i Vigiles, già da corpo paramilitare delle
origini, come parte integrante delle guarnigioni di Roma, nella proposizione di un
organismo unitario, garante della safety & security di un microcosmo davvero importante,
quello della metropoli imperiale.
1.2
Le modalità di ricerca
Attraverso un’analisi diacronica, in una prospettiva d’insieme, con la presente ricerca,
cercherò di delineare sinteticamente la nascita e l’evoluzione della posizione del vigile
nella Roma antica, prima nel mondo militare e poi nella società, esaminando e
confrontando gli studi e i testi relativi: le coorti saranno analizzate nella struttura, nella
gerarchia, nella composizione e nella loro trasformazione nel corso della storia.
Si esamineranno, in particolare, le funzioni più importanti dei vari incaricati, riproposti in
ciascuna sezione, sottolineandone le evidenti attribuzioni di chiara connotazione militare,
riscontrando altresì le varie difficoltà incontrate nel comprendere requisiti, passaggi e
tappe regolari nella carriera, a causa dell’esiguità delle fonti epigrafiche.
Un particolare interesse è stato rivolto allo studio dell’iconografia, davvero molto scarsa e
di ardua interpretazione, individuando le iscrizioni funerarie corredate da immagini di
appartenenti alle cohortes vigilum per identificarne le caratteristiche e il simbolismo, e
contestualmente operando un raffronto con gli elementi che erano peculiari ai milites.
La principale problematica emersa durante l’indagine riguarda l’ambito ordinario e
quotidiano degli elementi di queste truppe della guarnigione cittadina: in tal senso, le
fonti storiche e letterarie sono quasi mute e il carattere ufficiale della maggior parte delle
epigrafi elimina sistematicamente l’individualità dei Vigiles.
1
SABLAYROLLES 1996, p. 285.
6
L’attenzione della ricerca è stata così particolarmente indirizzata ai fattori connotanti la
dimensione militare del corpo, per comprendere se, nonostante la scarsità degli studi
portati avanti sull’argomento, i Vigiles, pur collocandosi in un limbo di contraddizioni,
possano essere considerati una vera e propria forza armata oppure debbano rimanere
confinati nell’ambito paramilitare, alla stregua delle odierne guardie giurate.
Il mondo attuale, presenta, seppure in termini indiscutibilmente diversi, analogie tra gli
antichi Vigiles ed i contemporanei vigilantes, quali l’ambito paramilitare di appartenenza,
le funzioni di safety & security e, purtroppo, la mancanza di una equivalente
considerazione rispetto alle forze proprie di polizia, nonostante siano trascorsi oltre
duemila anni.
1.3
Una breve storia degli studi sul corpo dei Vigiles
Il pregiudizio che domina tutta la speculazione storica sugli antichi Vigiles di Roma
imperiale, è incentrato sulle esclusive mansioni antincendio, con vaghi cenni a funzioni
non definite di polizia notturna urbana: l’intero complesso degli studi considera tale
milizia come una semplice brigata di pompieri, seppure molto ben organizzata, addirittura
rimpiazzabile nelle città del territorio italico e delle province da collegia di artigiani.
Questo studio vuole dimostrare le molteplici ed indispensabili funzioni di tale corpo nella
capitale imperiale, delineandone la parabola nei secoli della sua esistenza come parte
della guarnigione cittadina, fino a giungere alla sua fine, non per inutilità ma per gli
evidenti motivi contingenti che portano alla caduta del mondo romano occidentale. In
effetti, i Vigiles rimangono ancora attivi nelle successive capitali imperiali: a Ravenna in
Occidente e, per quanto riguarda il corrispondente contesto orientale di dominio, a
Bisanzio.
La circostanza che il fattore principale utilizzato per gli studi storici precedenti su tale
corpo sia quello della funzione di lotta alle fiamme è comprensibile, in quanto assurge ad
unica spiegazione delle ridotte testimonianze presenti, di qualsiasi genere esse siano
(archeologico, epigrafico, letterario).
Si può affermare che gli studi sui Vigiles iniziano nel momento in cui le ricerche storiche
relative al periodo classico divengono specialistiche, agli inizi dell’Ottocento, ma
7
curiosamente non da uno storico, bensì dal comandante dei Vigili del fuoco di Roma,
Giuseppe Origo (vedi ORIGO 1821), definito da John Rainbird2 come “l’ultimo dei pompieri
in grado di leggere classicismo ed antiquaria allo stesso modo”.
Essendo un addetto ai lavori, Origo nel 1821 trova familiare quanto è riportato dalle fonti
antiche, senza metterle in discussione in alcun modo; è ragionevole attribuire al lavoro di
scrittura del capo dei pompieri della capitale uno scopo più che altro politico: rifacendosi
alla letteratura classica, tatticamente egli sottolinea le storiche e nobili origini
dell’istituzione del proprio corpo di appartenenza, al fine di evitarne l’abolizione3.
Le successive analisi ottocentesche sulla Militia Vigilum sono state effettuate da storici
classici ed archeologi, dopo la scoperta, sul Celio, nella verosimile statio della quinta
coorte, delle due basi di statue contenenti le liste del 205 e 210 d.C. (note come
“latercula”)4.
Nel 1835, Olaus Kellerman (vedi KELLERMAN 1835) pubblica testi e materiali confrontati, in
rapporto soprattutto alla durata del servizio e alle prospettiva di carriera degli arruolati.
Gian Battista De Rossi, qualche anno più tardi, si occupa di prove materiali inerenti gli
edifici delle stazioni presenti in Roma, in un’epoca in cui l’excubitorium della settima
coorte e la caserma di Ostia, non erano ancora state scoperte, realizzando una sintesi
completa delle vestigia archeologiche allora conosciute.
Nello stesso periodo Ludwig Preller (vedi PRELLER 1846) propone, basandosi sullo studio
dei testi dei Cataloghi Regionari, uno schema d’insieme dell’ubicazione delle sedi del
corpo.
Alla fine del secolo diciannovesimo un altro ufficiale dei pompieri di Roma si dedica allo
studio dei prodromi del proprio mestiere: Ettore De Magistris (vedi DE MAGISTRIS 1898),
non essendo uno storico di professione, scrive entusiasticamente delle testimonianze
archeologiche, che trova comuni e comprende, senza lasciare spazio alle problematiche
interpretative.
2
RAINBIRD 1976, p. 3: “*…+ was among the last firemen capable, if they wished, of reading the classicists and
antiquarians on equal terms.”.
3
Quando i Francesi si stabilirono a Roma, il tentativo di restaurazione portò a riconsiderare la necessità di
mantenere o meno tutti i vari corpi dello Stato Pontificio. Con la sua attenta analisi, che conferisce una
superiorità notevole al corpo dei Vigiles dell’antica Roma, Origo riuscì a fare in modo che i pompieri non
venissero aboliti a Roma.
4
C.I.L. VI, 1057 e 1058.
8
Il primo trattato, reputato dal mondo accademico come un testo standard sui Vigiles, è
realizzato nel 1926, da Paul Kenneth Baillie Reynolds (vedi BAILLIE REYNOLDS 1926), il quale
offre un resoconto completo dei risultati delle ricerche storiche ed archeologiche svolte
fino ad allora, proponendo uno screening quasi perfetto del corpo, distaccandosi
completamente dai metodi e dalle tecniche dei coevi Vigili del fuoco, i quali sono presi a
confronto, al contrario, negli studi precedenti.
Un lavoro minuzioso e preciso è portato avanti successivamente nel 1976 dal Rainbird
(vedi RAINBIRD 1976): lo studioso, pur nella convinzione della quasi esclusiva incombenza
della prevenzione e dell’estinzione degli incendi, attua un esame scrupoloso delle varie
tecniche operative dei Vigili del fuoco degli anni Settanta del secolo scorso, per verificare
la concreta necessità del numero elevato di uomini risultante dalle liste dei latercula,
stabilendo senza dubbio alcuno l’assoluta veridicità della primaria intenzione per la quale
il corpo è stato creato, ossia per la funzione della lotta alle fiamme.
In Italia, a parte alcuni articoli più che altro datati alla prima metà del Novecento, solo nel
1990 appare un opuscolo di Anna Maria Ramieri (vedi RAMIERI 1990), che non è altro che
un breve sunto delle conoscenze sui Vigiles, e qualche anno più tardi (precisamente nel
1993), il volume di Stefania Capponi e Barbara Mengozzi (vedi CAPPONI MENGOZZI 1993),
con indubbi riferimenti alla precedente letteratura.
Il testo attualmente più esauriente negli argomenti trattati e nell’analisi delle cohortes
vigilum, è la ricerca del professore francese Robert Sablayrolles (vedi SABLAYROLLES 1996),
in cui rimane prevaricante, comunque, l’idea della funzione antincendio e di conseguenza,
lo spazio di ragionamento dedicato alle mansioni di security è spesso trascurato.
Anche gli studi francofoni, come quelli anglosassoni, propendono alla marginalità dei
compiti di polizia cittadina affidati ai Vigiles e lasciano imprecisate eventuali motivazioni
che possano allacciarsi, in qualche modo, alla dotazione di armi a tali uomini.
Una ulteriore peculiarità del range di indagini considerate, con riferimento alla più
recente bibliografia5, è la definizione di una struttura paramilitare con compiti puramente
civili, che solo a partire dal terzo secolo d.C., con le riforme dei Severi, aveva acquistato
dignità militare seppure limitata. Trattandosi di una progressivo sviluppo della condizione
delle cohortes vigilum, il cambiamento non poteva essere stato repentino ad una data
precisa: i sintomi dell’evoluzione verso uno stadio militarizzato si innescarono
5
SABLAYROLLES 1996.
9
verosimilmente fin dalla genesi, quando Augusto si accorse dell’utilità della guarnigione
per la città di Roma e decise di tramutare la temporaneità in permanenza.
La principale obiezione a tale teoria potrebbe derivare dalla presunta assenza di
organismi simili nelle grandi città dell’Impero, dove, da fonti attendibili, risulta che il mero
compito di estinzione delle conflagrazioni cittadine era affidato a gruppi di artigiani,
facenti capo a specifiche corporazioni (i collegia dei fabbri, dei dendrofori e dei
falegnami). In realtà, proprio tale asserzione suffraga la massiccia presenza di Vigiles a
Roma e il loro dualismo funzionale.
Come si vedrà più avanti, era l’aspetto architettonico ed urbanistico della metropoli
imperiale che rendeva, purtroppo, agevoli le combustioni ma, al contempo, la copertura
capillare delle quattordici regiones augustee, oltre che dalla safety, non poteva esimere
dalla security: le pattuglie erano attive prevalentemente di notte, quando la delittuosità
solitamente agisce, e, pare poco coerente una politica che avrebbe evitaato di affidare
loro missioni di sorveglianza armata, di ordine pubblico e, in genere, di polizia.
La guarnigione urbana dei Vigiles, come del resto l’intero esercito romano, affascina
primariamente i ricercatori inglesi e statunitensi, la cui tradizione di studi ha viziato
inesorabilmente le indagini
sull’armamento romano in generale, rendendo la
ricostruzione ineccepibile sotto parecchi aspetti: allo stesso modo, le cohortes vigilum,
dopo avere ricevuto l’etichetta storica di antenate delle brigate dei pompieri, continuano
ad essere accolte nel mondo accademico con tale definizione.
Perdura pertanto la necessità di un riesame critico, anche perché lo sguardo degli studi
universitari attuali sulla Roma antica si è innegabilmente ampliato e non può più
coincidere con quello della fine del diciannovesimo secolo6.
Non possono non essere ricordati gli studi italiani in campo giuridico, i quali, a differenza
di quelli meramente storico-archeologici, vantano una serie di trattazioni che lasciano
trapelare un eccellente tentativo di rivalutazione delle funzioni di polizia dell’officium
della praefectura vigilum7.
E’ curioso notare come la contemporanea bibliografia americana, non specialistica, abbia
restituito uno spazio ragguardevole ai Vigiles come parte integrante dell’armata romana
6
7
SABLAYROLLES 1996, p. 248.
STRATI 2012; GUARINO 1962.
10
e, al di sopra di tutto, essi vengano ricordati nella loro autentica funzione di milites
responsabili della safety & security della Roma imperiale8.
8
Eloquente, a tal proposito, è il sito internet dell’F.B.I. (Federal Bureau of Investigation) che nella
storiografia delle origini, si rifà all’antica Roma, citando appunto le mansioni di polizia svolte dai Vigiles,
nella sfera di azione di una avveniristica “consolidated public safety”.
11
2. EXCURSUS STORICO
2.1
Il problema degli incendi a Roma
La fisionomia cittadina di Roma1, in continua crescita a partire dall’età monarchica, e gli
aspetti della sua tecnica edilizia erano le componenti di una situazione estremamente
favorevole agli incendi, con compresenza di coefficienti di innesco abbinati a condizioni
confacenti alla degenerazione del fuoco2.
Tra le cause correlate alla propagazione degli incendi si annoverano: la conformazione
stradale che si risolveva spesso in un labirinto di vicoli e stradine anguste e tortuose; la
distribuzione su ambienti collinari, struttura del terreno che favoriva la veloce estensione
del fuoco seguendo una corrente ascensional3; l’aumento demografico non proporzionale
all’espansione del territorio urbano che si delineava in forme di ripiego illusorie quali le
tecniche che utilizzavano materiali deperibili di costruzione4; lo sviluppo in altezza delle
insulae, instabili grandi caseggiati di quattro o cinque piani abitati da centinaia di schiavi e
plebei, che avevano come esito la caratteristica della fragilità delle mura, nonché i limiti
dell’hypocaustum5 nel riscaldamento degli appartamenti che obbligava l’uso di fornelletti
a carbone e bracieri; infine il fuoco utilizzato per l’illuminazione, soprattutto nelle
lussuose domus e la difficoltà di portare acqua alle abitazioni allocate in alto.
1
SOUTHERN 2007, p. 119: “Republican Rome was a closely packed city with timbered buildings and was
therefore always at risk from fires.”.
2
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 16. Tra il 31 a.C. e il 410 d.C. gli autori coevi registrarono non meno di quaranta
conflagrazioni imponenti in cui andarono distrutti numerosi edifici pubblici e vaste zone residenziali, mentre
si possono fare solo congetture sul numero degli incendi minori.
3
TACITO, Annales XV, 38: “*…+initium in ea parte circi ortum, quae Palatino Caelioque montibus contigua est,
ubi per tabernas, quibus id mercimonium inerat, quo flamma alitur, simul coeptus ignis et statim validus ac
vento citus longitudinem circi conripuit. Neque enim domus munimentis saeptae vel templa muris cincta aut
quid aliud morae interiacebat. impetus pervagatum incendium plana primum, deinde in edita adsurgens et
rursus inferiora populando anteiit remedia velocitate mali et obnoxia urbe artis itineribus hucque et illuc
flexis atque enoribus vicis, qualis vetus Roman fuit.”.
Sono elencati i fattori che hanno agevolato la repentinità e la violenza dell’incendio neroniano che devastò
Roma nel 64 d.C., quali le merci combustibili, il vento, l’assenza di recinti intorno ai palazzi o di mura che
circondavano i templi, le vie strette e tortuose in un territorio sia pianeggiante che collinare che facilitava la
risalita e la conseguente discesa delle fiamme.
4
La costruzione dei caseggiati prevedeva l’uso di una gran quantità di legname e di incannucciate.
5
L’hypocaustum è il sistema di riscaldamento di cui solitamente usufruiva l’insula romana, consistente nella
circolazione di aria calda entro cavità poste nel pavimento e nelle pareti. A partire dal primo secolo d.C. tale
invenzione venne adottata anche nei bagni pubblici.
12
Le dimore dei benestanti, tuttavia, correvano minore pericolo di essere distrutte dal
fuoco, in quanto circondate da alte mura, le quali servivano anche come protezione dalle
fiamme, oltre che da intrusioni.
Le testimonianze letterarie riportano informazioni circa incendi fraudolenti di natura
dolosa, sottolineando, inoltre, tra le specifiche mansioni del capo supremo dei Vigiles,
quella di arrestare e di punire i piromani e coloro che mantenevano situazioni a rischio, o
disattenzioni capaci di generare tragedie, a causa dell’insidiosità delle fiamme.
2.2
L’assenza di un sistema di polizia cittadina
In età repubblicana, la città di Roma era considerata una zona demilitarizzata e il quadro
sociale era costituito dai cittadini romani che componevano una comunità politica,
definita da diritti e doveri.
I soldati erano percepiti, per l’intero arco della storia dell’Urbs come fattore, da una
parte, di protezione, dall’altra di minaccia6 per l’intera popolazione di Roma, con chiaro
nesso con le guerre civili.
Una caratteristica dell’Urbs era pertanto l’assenza, in tale scenario, di un’organizzata forza
di polizia o di un corpo di impiegati statali incaricati di mantenere l’ordine ed esercitare il
monopolio di stato dell’impiego della forza pubblica7, particolarità invece riscontrabile
nell’intero mondo antico.
Non è detto che tale carenza costituisse un elemento di debolezza strutturale per la
società romana: i garanti essenziali dell’ordine pubblico erano la stabilità politica e
sociale, il consenso ed il rispetto per la legittima autorità8. I magistrati del periodo
repubblicano professavano limitate funzioni di polizia, assicurandosi l’obbedienza senza
ricorrere a misure coercitive, mentre durante il Principato, gli imperatori si cautelavano
per mantenere la pace urbana, appagando la plebe con “panem et circenses”9 cioè
elargizioni economiche e concessione di svaghi.
6
BUSCH 2011, p. 164.
NIPPEL 1998, p. 334.
8
Ibidem; RICH 1991, p. 194.
9
GIOVENALE, Satire X, 81.
7
13
I soldati vennero stazionati per la prima volta nella capitale imperiale sotto Augusto, il
quale procedette a questa allocazione con grande discrezione: ciò marca risolutamente la
svolta decisiva del passaggio dal governo dei consoli e del senato a quello del Princeps.
Il regime imperiale, in effetti, non rimedia alla mancanza di un corpo di polizia forte e
politicamente imparziale10, anche se compie passi in avanti creando le basi di una
struttura11 in grado di sopperire, con più corpi complementari, a tale necessità, in una
concezione di sicurezza globale finalizzata a realizzare uno sviluppo sostenibile di una
delle più grandi metropoli dell’Antichità.
2.3
L’insicurezza urbana notturna
I contrasti di luce tra il giorno e la notte erano palesi nell’antica Roma12: a tarda serata,
solo le case dei ricchi erano debolmente rischiarate con torce e lucerne ad olio mentre,
all’esterno, il resto dell’ambiente cittadino, non contemplava alcuna forma di
illuminazione, se non il naturale chiarore della luna, quando era presente.
L’oscurità, in passato come oggi, è un incentivo al crimine: favoriva tutta una serie di
attività illecite, contraccolpo della rapida trasformazione fisico-sociale della realtà urbana,
dovuta alla crescita della popolazione già in età repubblicana.
Nelle buie strade della capitale, dopo il crepuscolo, era facile imbattersi in vagabondi
ubriachi, rapinatori (raptores), scassinatori (effractores), se non assassini (sicarii), tanto
che i benestanti si aggiravano di notte solo se accompagnati da scorte armate, costituite
dai propri schiavi, che portavano torce per fare luce.
Le problematiche devianti e criminali, presenti all’interno della metropoli antica durante
le fasi notturne, venivano prese in considerazione fin dai tempi delle monarchie
etrusche13; tuttavia, per arrivare a misure adeguate di prevenzione e contenimento, era
necessario un processo graduale che si sarebbe concluso nella creazione delle figure dei
10
NIPPEL 1995, pp. 94-96.
In RICCI 2003, p. 12 si ravvisa che il numero dei militari della guarnigione urbana, in età augustea,
oscillasse tra i 15.000 e i 25.000 elementi; questi uomini vivevano e lavoravano nel composito quadro della
Roma imperiale.
12
GOUDSBLOM 1996, p. 82.
13
SABLAYROLLES 1996, p. 5 : “*…+ les réformes serviennes offrent l’image d’une cité suffissamment organisé
pour qu’on ait pas omis de s’intéresser aux problèmes de sécurité.” Si suppone cioè che le riforme serviane
abbiano considerato anche l’aspetto della sicurezza nella Roma monarchica.
11
14
Vigiles, durante i primi anni dell’Impero, la cui istituzione, esportata anche nella parte
orientale, perdurerà fino alla fine del mondo romano.
Come se non bastasse, le tenebre condizionano la rapidità di intervento di fronte a
qualsiasi evenienza, quali appunto le conflagrazioni, dove si aggiunge anche il fattore
psicologico degli eventuali individui sorpresi dalle fiamme nel sonno ed inconsapevoli dei
ripari che invece potevano offrire le ore di luce, tanto da incorrere più facilmente in
situazioni di panico generale14.
2.4
I prodromi della Militia Vigilum in età repubblicana: alcune
ipotesi
Esistono differenti orientamenti di pensiero complementari circa la nascita, nella Roma
repubblicana, del corpo dei Vigiles: si tratta di congetture tra loro potenzialmente
interdipendenti, ma con una diversa consequenzialità.
Un punto di vista vede un’origine spontanea, a cura di privati benestanti, per la tutela dei
propri beni ed interessi: il dominus affidava inizialmente ai propri schiavi il compito della
sicurezza pubblica attorno alla sua proprietà; l’osservazione di quanto avveniva nello
spazio circostante avrebbe poi fatto intuire la necessità della prevenzione, per un
espletamento migliore e più efficiente di tale incombenza da parte della servitù,
giungendo ad avere un controllo della zona, in modo da allontanare precauzionalmente
potenziali criminali.
Si pervenne, di conseguenza, all’attivazione di piccole ronde notturne per vigilare sulla
sicurezza pubblica, portando l’attenzione anche allo scoppio degli incendi ed attuando
perciò le necessarie misure per eluderli.
L’ipotesi prevalente, dedotta da una fonte scritta (è infatti riportata dal frammento del
Digestum I, 15, 115), ha cancellato, invece, la considerazione di una genesi della figura dei
Vigiles da un bisogno generale di sicurezza, vedendone una delineazione tipologica
esclusiva in relazione alla risoluzione del problema dei disastri legati al fuoco.
14
Ibidem, p. 16, nota 23; RAINBIRD 1976, p. 24.
Digestum I, 15, 1: “*…+ Apud uetustiores incendiis triumuiri praeerant, qui ab eo quod excubias agebant
nocturni dicti sunt: interueniebant nonnumquam et aediles e tribuni plebis.”.
15
15
Gli incendi a Roma, considerati alla stregua di calamità naturali, aumentavano a livello
numerico in proporzione alla crescita del centro abitato e al relativo processo di
urbanizzazione ma, in età monarchica e in età repubblicana non esisteva un servizio
organizzato per la loro estinzione.
La competenza della problematica venne affidata, con responsabilità d’intervento
differenti a seconda della gerarchia, a magistrati superiori sine imperio, cioè edili, consoli
e tribuni della plebe, i quali decisero la disposizione di un collegio di tre membri a loro
subordinati, i cosiddetti tresviri, probabilmente aiutanti del pretore urbano, con il
compito di perlustrare le vie di Roma durante la notte, assumendo di conseguenza
l’appellativo di tresviri nocturni o capitales.
Nel quarto secolo a.C.16 gli aediles erano incaricati della Cura Urbis17, cioè della vigilanza
sulla vita economica e religiosa della città, della prevenzione e del controllo sociale,
attraverso compiti di polizia urbana, per assicurare la tranquillità pubblica soprattutto in
occasione di feste e di altri avvenimenti, nonché della custodia dei beni privati e della
collettività18; tra queste competenze rientrava anche quella della lotta contro il fuoco.
L’intervento di una più alta autorità, ossia del console, o dei tribuni della plebe, era
determinato dalla gravità dell’evento, che poteva mettere in pericolo la stessa esistenza
dell’Urbs. In tal caso, il console rimpiazzava l’edile sia nella funzione di prevenzione che in
quella esecutiva, cioè nella predisposizione delle forze e nel comando delle manovre,
nonché nella repressione, ossia nella ricerca dei colpevoli19. I tribuni della plebe, ispettori
e garanti dell’interesse collettivo, dovevano poi accertarsi della diligenza dei
comportamenti tenuti nel contrastare il sinistro, sia dal popolo che dall’insieme degli
addetti20.
16
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 18. Si lascia intendere l’istituzione del servizio antincendio cittadino nel 390 a.C.,
dopo l’episodio del Sacco di Roma ad opera dei Galli Senoni, secondo quanto riportato dallo scrittore
bizantino del sesto secolo, JOANES LAURENTIUS LYDUS, nel De Magistratibus rei publicae romanae I, 50.
17
SABLAYROLLES 1996, p. 8.
18
Nella funzione di vigilanza e custodia dei beni pubblici e dei cittadini di Roma, è indubbio il paragone
dell’ufficio degli edili di età repubblicana con gli attuali istituti di vigilanza in Italia, in base al comma I
dell’art. 133 del T.U.L.P.S. “Gli Enti pubblici, gli altri enti collettivi e i privati possono destinare guardie
particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari o immobiliari”, in cui le guardie giurate,
come i più antichi Vigiles, non sono assoggettate alle sfere militari vere e proprie.
19
SABLAYROLLES 1996, p. 10.
20
Ibidem, p. 12. Tale competenza dei tribuni della plebe, utilizzata come arma di discredito nei confronti di
alcuni avversari politici, in particolare nei confronti dei tresviri nocturni.
16
Da tale situazione appare chiaro che la suddivisione degli ambiti di intervento, tra i poteri
superiori, non veniva perentoriamente determinata, per cui non essendo chiari i ruoli di
cooperazione tra le diverse cariche pubbliche scaturivano limiti nell’espletamento del
servizio antincendio.
Le risorse a disposizione dell’ufficio degli edili per l’intervento sul campo, oltre ai tresviri,
subalterni magistrati inferiori, erano perlopiù composte da servi pubblici di proprietà
dello Stato 21 , riuniti in squadre;
questi drappelli di uomini erano dislocati per
l’organizzazione delle ronde notturne, a presidio presso le porte di Roma e in vari punti
della cinta muraria22.
Successivamente, nel 186 a.C., in ausilio ai tresviri si affiancarono altri cinque magistrati
deputati ai problemi degli incendi, denominati quinqueviri uls cis Tiberim23, ciascuno con il
dovere della sorveglianza notturna degli edifici della rispettiva regio di Roma affidatagli,
con il compito di organizzare pattugliamenti e presidi di guardia24. Agli inizi del secondo
secolo a.C., l’Urbs era, in effetti, ancora ripartita nelle quattro regioni di età serviana,
situate citras Tiberim cioè sulla riva destra del Tevere, più la regio ultras Tiberim, cioè il
quartiere trasteverino. L’ulteriore nomina dei quinqueviri, quasi due secoli dopo
l’istituzione dei triumviri, esprimeva una presa di coscienza, da parte delle autorità
repubblicane, della pericolosità del compito di vigilanza nelle ore di oscurità,
incompatibile con altre attività diurne.
É proprio a partire da questo momento, secondo l’idea preminente sull’origine dei Vigiles,
che i ricchi patrizi decisero di mettere a disposizione i propri schiavi, sia gratuitamente
che contro remunerazione, per rinforzare il servizio ufficiale dello Stato.
L’atto di assoldare privatamente corpi di uomini a beneficio della collettività si inseriva in
un logico programma di evergetismo, per mezzo del quale il finanziatore ambiva a
conquistare consensi per cariche politiche25, con il medesimo criterio dell’organizzazione
21
I servi pubblici formavano la cosiddetta familia publica, ed erano necessari per i servizi statali o per i
servizi di una civitas all’interno dello Stato.
22
In Digestum I, 15, 1 l’espressione “*…+ circa portas et muros disposita *…+” si riferisce alle mura serviane
in quanto viene descritta la situazione in età repubblicana.
23
TITO LIVIO, Annales XXXIX, 14, 10: “Triumviris capitalibus mandatum est ut Vigilias disponerent per urbem
servarentque ne qui nocturni coetus fierent utque ab incendiis caueretur; adiutores triumviris quinqueviri uls
cit Tiberim suae quisque regionis praessent.”.
24
SABLAYROLLES 1996, p. 19.
25
Le fonti antiche tramandano un esempio significativo di investimento di beni privati in opere di
evergetismo in un ambito utilitario quale appunto la lotta contro gli incendi: da VELLEIUS PATERCULUS,
Historiae Romanae II, 91, 3 e CASSIO DIONE, Variae LIII, 24, 4 si apprende del giovane edile M. Egnatius Rufus,
17
di giochi per il popolo, elargendo gratuitamente una misura di sicurezza sociale che il
sistema offriva sì, ma in modo inadeguato. Non mancano comunque le truffe: già durante
la tarda Repubblica, il futuro triumviro Marcus Licinius Crassus costituì una truppa di
schiavi addestrati a spegnere le conflagrazioni, non con lo scopo del bene della città di
Roma, ma per interessi prettamente finanziari. La speculazione consisteva nel poter poi
acquistare a prezzi ridicoli le proprietà devastate dal fuoco26. Sotto Augusto, l’edile
Egnatius Rufus costituì un’altra brigata antincendio di schiavi, la quale controllava con
successo diversi fuochi che altrimenti sarebbero stati devastanti; proprio tale gruppo di
uomini, una volta che per ambizioni politiche il loro capo venne accusato di cospirazione,
andrà a rappresentare il nucleo originario27 della prima unità di Vigiles.
La principale critica al presidio antincendi e di vigilanza notturna di età repubblicana è
proprio la scarsa efficacia della struttura creata, conseguente all’operatività di elementi
assolutamente eterogenei, in numero insufficiente, non disciplinati e con una
organizzazione agli esordi, molto lacunosa e non ben definita, che lasciava spazio alla
gestione degli interessi privati dei funzionari, piuttosto che a quelli della comunità urbana.
2.5
Le fasi dell’istituzione del corpo dei Vigiles nella politica
augustea
La creazione di corpi di truppa permanenti a Roma rientrava nel programma augusteo di
tutela dell’ordine pubblico e della pace sociale, progetto realizzato con gradualità e
sistematicità per non destare sospetti di bruschi sovvertimenti delle garanzie
repubblicane28, conformemente al modello costituzionale del Princeps, ispirato ad una
conservazione formale ed una correzione sostanziale delle precedenti istituzioni 29 ;
che all’inizio del suo cursus honorum, raggruppa una squadra privata antincendio per intervenire a favore di
gente in pericolo, accrescendo la sua immagine tanto da venire nominato pretore l’anno successivo, a causa
della pressione popolare, contrariamente a quanto stabilito dalla legge in materia di avanzamento di
carriera politica.
26
PLUTARCO, Crassus II, 2; SABLAYROLLES 1996, p. 23; SOUTHERN 2007, p. 119.
Se il proprietario non voleva vendere il sito incendiato, quasi certamente con dolo, per Crasso non
cambiasse nulla, non perdendo assolutamente denaro.
27
SOUTHERN 2007, pp. 119-120.
28
L’avvento del Principato vedeva un solo uomo al comando, il quale, con la potenziale forza coercitiva
dell’esercito, controllava ogni cosa.
29
STRATI 2012, p. 180.
18
indubbiamente il tutto si risolve nell’espressione30 “Nova Urbs” ma bisogna sottolineare
che la capitale rimarrà comunque “Urbs Aeterna”.
In tale prospettiva si inserisce la fondazione delle cohortes dei Vigiles: uno tra i servizi
d’ordine preesistenti, sia pubblico che in forma privata, che vengono semplicemente
ufficializzati ed adattati, per tappe successive, in un intervallo di tempo di oltre un
trentennio.
Il nuovo ordine del principato concretizzava un’amministrazione capace di modificare le
proprie strutture e le proprie risorse tecnico-logistiche, conformandosi alle sopravvenute
congiunture31, in modo da costruire degli organismi fortemente competitivi.
Il primo intervento di Ottaviano Augusto si manifesta nel 21 a.C.32, confermando gli
aediles curules unici responsabili della prevenzione e della repressione degli incendi e del
mantenimento della sicurezza in città, e, per l’espletamento del servizio, fornendo loro
una ulteriore équipe di seicento schiavi della familia publica. Al di là dell’insufficienza
della disponibilità di forze umane, il reale scopo della risoluzione era quello di frenare il
continuo ricorso all’iniziativa privata in materia antincendio, pericoloso espediente in
forma di dono munifico da parte di soggetti politici ambiziosi33, con palese riferimento
all’episodio già ricordato di M. Egnatius Rufus, il quale, a seguito della popolarità acquisita
con l’edilità, mise in atto un complotto contro Augusto.
Nonostante la rielaborazione del mandato, le conflagrazioni nell’Urbs erano continue e
catastrofiche, tanto che, la ripartizione definitiva del territorio urbano in quattordici
entità geografiche ed amministrative34, con il superamento della separazione tra centro
storico e nuovi quartieri sorti oltre le mura repubblicane, portò l’imperatore a
riesaminare le funzioni degli edili, per assicurare un migliore e più efficace funzionamento
dell’intero apparato per la lotta contro il fuoco. Il rinnovato schema assegnava per
sorteggio ciascuna regio, ossia circoscrizione amministrativa, a due magistrati superiori
(edili, tribuni, pretori), mentre il comando della squadra dei servi pubblici veniva
30
SABLAYROLLES 1996, p. 288.
DAGUET-GAGEY A., I grandi servizi pubblici a Roma in LO CASCIO 2000, p. 71.
32
SCHEID 2005, p. 21: “Nel 21 a.C. aveva costituito una compagnia di schiavi, destinata a lottare contro il
flagello costante degli incendi; *…+”.
33
VELLEIUS PATERCULUS, Historiae Romanae II, 91, 4.
34
Le divisione di Roma in regioni, operata dalla riforma amministrativa di Augusto, rimase tale fino alla fine
dell’Impero.
RAMIERI 1990, p. 18: “Secondo il sistema delle grandi capitali ellenistiche e forse sull’esempio particolare di
Alessandria, nel 7 a.C. Roma venne da Augusto totalmente ristrutturata e divisa in quattordici regioni con
una organizzazione che costituì la base dei vari servizi urbani, primo fra tutti quello contro gli incendi.”.
31
19
trasferito ai vicomagistri, scelti dall’imperatore tra uomini di bassa estrazione sociale,
ingenui e liberti, ed incaricati della responsabilità delle contrade derivate dal
frazionamento in quartieri. Il rapporto diretto tra l’autorità suprema e le risorse umane
del servizio antincendio e di polizia urbana era decisamente innovativo ed indubbiamente
più conveniente in termini di efficienza seppure, allo stesso tempo, continuativo della
vecchia istituzione repubblicana, in un’ottica di diplomazia e di flessibilità.
Lo stadio finale dell’iter istitutivo del corpo dei Vigiles, si concluse nel 6 d.C.35 con una
ulteriore rivisitazione dell’ufficio: la creazione di sette coorti, comandate ciascuna da un
tribuno, sotto gli ordini del praefectus vigilum, funzionario imperiale appartenente al ceto
equestre, sull’esempio di quanto avvenuto ad Alessandria d’Egitto già da molto tempo,
come riportano le fonti letterarie36. Tale organizzazione, indubbiamente funzionale alla
suddivisione della città avvenuta anni prima, deputava a ciascuna coorte il servizio di due
regiones, anche se non vi sono dati certi circa il numero dei Vigili effettivi che poteva
essere inferiore rispetto alle mille unità imputate a ciascuna coorte nel terzo secolo d.C., a
seguito dei cambiamenti intervenuti37.
Per fare fronte al pagamento dello stipendium degli uomini di questa guarnigione
cittadina, venne introdotto un nuovo vectigal, un’imposta indiretta regolare (contemplata
nel diritto romano come un’entrata statale di ordine tributario), cioè la quinta et vicesima
venalium mancipiorum ossia l’imposta del 4% applicata sulla vendita di schiavi38; poiché
sintomo di un periodo di difficoltà finanziarie, tale iniziativa di Augusto era concorde ad
un voluto moderato arruolamento di uomini nella formazione cittadina.
Altre incertezze sui primordi delle coorti dei Vigiles, prodotte dall’assenza di
testimonianze in merito, riguardano l’organizzazione e l’acquartieramento, mentre la
condizione giuridica delle reclute è assodata: si trattava di schiavi manomessi, ossia di
liberti.
La primigenia “Militia Vigilum Regime” interpretava l’assetto temporaneo di una struttura
destinata ad un servizio provvisorio; tuttavia, dopo averne sperimentato la grande utilità
35
SCHEID 2005, p. 21: “*…+ in occasione di gravi incendi, nel 6 d.C., lo sostituì con sette coorti di Vigili
composte da liberti, ciascuna delle quali doveva sorvegliare due regioni urbane.”.
36
STRABONE, Geographia XVII 1, 2.
Le altre fonti letterarie che riportano le disposizioni di Augusto circa la nascita dei Vigiles nel 6 d.C. sono
tutte postume e, probabilmente, riportano la situazione a loro coeva.
37
SABLAYROLLES 1996, pp. 29-31.
38
SOUTHERN 2007, p. 73, Taxation.
20
ed efficienza, esito dell’inquadramento paramilitare, l’imperatore la rese perpetua, in
modo straordinariamente pragmatico e con notevole abilità: il corpo cambiò poi la
denominazione in “Cohortes Vigilum”, divenendo un aspetto peculiare della vita
quotidiana della città di Roma.
Non si conosce il momento preciso in cui avvenne il cambiamento di appellativo; inoltre la
menzione degli appartenenti al corpo, con il termine Vigiles sottintendeva anche
l’aggettivo urbani, in quanto presenti in via esclusiva nella capitale.
Tra le unità fondate dal Princeps per il servizio cittadino durante il suo regno, solo ai
Vigiles, a seguito della struttura definita da rilevanti connotati civili, spettava la residenza
all’interno dei sacri confini 39 dell’Urbe, giustificata da indubbi motivi strategici di
prontezza di operatività nelle diverse stationes ed excubitoria all’interno del pomerium.
Considerando che Roma esportava i propri modelli funzionali in qualsiasi territorio
conquistato, pare logico domandarsi della eventuale dislocazione dei Vigiles in altre città
dell’Impero: tale presunzione viene meno individuando nella realtà romana, poiché sede
centrale del potere, caratteristiche peculiari ed esigenze specifiche, a differenza dei
territori provinciali, dove i compiti di polizia spettavano ai governatori e dove comunque
esistevano già simili corpi paramilitari, specie nel mondo ellenistico.
Il reale bisogno dei municipi e delle città del territorio italiano e delle province era
pertanto una organizzazione del solo servizio di lotta agli incendi, senza la necessaria
prevenzione che era resa obbligatoria dai requisiti della città di Roma; gli addetti allo
spegnimento delle fiamme erano artigiani40 (fabri, centonarii, dendrophori, detti anche
“tria collegia”) provenienti da diverse corporazioni, che si incaricavano temporaneamente
e volontariamente di tale incombenza, in cambio, verosimilmente, di privilegi economici e
finanziari41. La scelta, ricaduta su tali categorie di professionisti, derivava verosimilmente
dal rapporto della loro attività con il fuoco: i fabbri da sempre avevano necessità di
elevate temperature per modellare il ferro, i centonarii producevano tessuti in lana che si
rivelavano essere potenzialmente ignifughi, soprattutto se imbevuti di aceto o di urina42,
39
BUSCH 2011, p. 163. In età augustea, le coorti urbane, la guardia pretoriana e le altre unità, non
disponevano ancora di un quartiere fisso e risiedevano, per lo più, al di fuori delle mura di Roma.
40
RAINBIRD 1976, p. 183.
41
Sono presenti testimonianze materiali e numerose epigrafi in merito a fabri e centonarii, che si occupano
del servizio antincendio nelle città imperiali.
42
Di non facile interpretazione è l’associazione della corporazione dei centonarii nella lotta antincendio, con
quelle dei fabri e dei dendrophori: si presume che i centones potessero essere utilizzati, eventualmente
21
mentre i dendrofori, quali carpentieri e falegnami, temevano il fuoco nelle loro
lavorazioni in quanto la materia prima era appunto il legno. Nella stessa Roma imperiale,
il collegium dei falegnami era uno dei più numerosi, organizzato ed importante43.
Testimonianze scritte lasciano dedurre che nella parte ovest dell’Impero, precisamente
nella provincia della Baetica, il servizio urbano antincendio fosse prevalentemente
affidato ai collegia centonariorum44: un esempio è fornito dall’iscrizione in C.I.L. II, 1167 la
quale riporta:
Imp Caes.
T. Aelio Hadr
Antonino Avg
Pio P P
corpus Cento
nariorum
5
indulgentia eius
collegio hominum
centum dum taxat
costituto
A ciò si aggiunge la corrispondenza di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia,
all’imperatore Traiano45, nella quale descrivendo un drammatico incendio intercorso a
Nicomedia, consigliava invano al Princeps di costituire un collegium di fabri di 150 uomini,
in modo tale che potesse essere attivo nella interruzione delle conflagrazioni. Tale
rescritto imperiale costituisce una prova indiretta delle reali funzioni di polizia svolte dai
imbibiti di aceto, come dispositivi di protezione individuale per avvicinarsi alle fiamme, proteggendosi dal
calore oppure, in un’ottica di applicazione di tecniche militari da parte dei Vigiles, come rivestimento di
scudi portati avanti come una testudo tra materiale in combustione, od anche come armature di protezione
del corpo, vedi D’AMATO 2009, p. 46.
43
CAPPONI MENGOZZI 1993, pp. 129-130; la testimonianza epigrafica rivela l’importanza e la massiccia
presenza di soggetti facenti parte della corporazione dei falegnami; in ibidem, p. 30 risulta: “Tra il 199 ed il
210 d.C. essi erano circa 1300, raggruppati in sessanta decurie.”.
44
RAINBIRD 1976, p. 164.
45
PLINIO IL GIOVANE, Epistularum 10, 33-34. La risposta dell’imperatore rigetta la richiesta di Plinio,
sottolineando che l’accorpamento di un numero elevato di uomini può dare luogo, nella provincia di Bitinia,
a fomentazioni e a rivolte mirate a sovvertire il regime imperiale; così stabilisce che siano gli stessi
proprietari degli immobili a fare fronte agli incendi, dotandosi di tutto il materiale necessario nelle loro case
ed, eventualmente, avvalendosi del concorso della popolazione.
22
Vigiles nella capitale, in vista della minaccia al potere presagita come potenziale in casi di
una eventuale loro implementazione fissa anche nelle province imperiali.
I tria collegia erano la migliore soluzione quando non è accettabile una brigata di
pompieri a tempo pieno: tuttavia questi artigiani provinciali non possedevano,
ovviamente, l’elevato livello di specializzazione tecnica dei Vigiles di Roma, come
attestato dalla presenza, nello stesso contesto periferico, di altri addetti all’anticendio
quali dolabrarii e scalarii46 per esempio, con essenziali funzioni di salvataggio.
Non ci sono prove, invece, dell’ingaggio dei collegia degli hamarii, in ambito extra-Urbs:
prevedibilmente è la popolazione stessa che si occupava di portare secchi di acqua per
spegnere le combustioni47.
2.6
Lo stato di fatto degli arruolati nelle riforme dell’alto Impero
Durante il principato di Tiberio vennero apportate diverse riforme allo status dei Vigiles,
per cercare di assimilarli, seppure mantenendo l’ampio divario intervenuto, ai milites
compagni della guarnigione urbana, visto il comune obiettivo della sicurezza di Roma.
Le cohortes vigilum erano ormai, indubbiamente, una milizia importante, ripartita in tutti i
quartieri di Roma: il tentativo di un equilibrio con le altre forze militari riepiloga il disegno
augusteo.
Da prove epigrafiche si evince che, a partire dalla metà del primo secolo d.C. 48 ,
l’inquadramento degli ufficiali delle coorti dei Vigili, centurioni e tribuni, si era
perfezionato in una forma militare,
in quanto poteva rappresentare una tappa di
passaggio per la futura carriera nelle privilegiate coorti urbane e pretorie.
Significativa è la lex Visellia, la quale, dal 24 d.C. concedeva la piena cittadinanza ai liberti,
dopo sei anni di servizio49, rapportando giuridicamente la maggior parte dei Vigiles ai
soldati dei presidi urbani, ma purtroppo, solo teoricamente.
Le testimonianze letterarie poi, delineano per l’alto Impero, il ruolo giocato dalle cohortes
vigilum nella strategia militare e politica dell’Urbs in caso di crisi, eguagliandole al resto
46
RAINBIRD 1976, p. 185.
Ibidem.
48
SABLAYROLLES, 1996 pp. 37-38
49
SABLAYROLLES 1996, pp. 38-39.
47
23
dell’esercito, benché venga sottolineato il loro rango inferiore50. In quel momento del
Principato, è innegabile che la competenza in materia di lotta contro il fuoco non era più
certamente l’unica prerogativa dei Vigiles.
Il rinnovamento edilizio neroniano, in vista di una nuova Roma, con l’applicazione
quotidiana di strette norme in materia di prevenzione dal fuoco, non può avere ignorato
tale guarnigione urbana, verosimilmente a livello di edificazione degli immobili adibiti a
sedi delle coorti, anche a seguito dell’immenso spazio interessato dalla distruzione
incendiaria del 64 d.C.51.
2.7
I milites vigilum in età flavia e in età severiana
I Flavi attuarono riforme a beneficio delle guarnigioni urbane, di cui si giovarono anche i
Vigiles, a conferma della loro validità in campo militare comprovata durante i diversi
momenti di inquietudine politica del primo secolo d.C.52.
Nella riorganizzazione delle truppe l’imperatore Vespasiano sostituì le coorti urbane
dislocate a protezione dei porti della città, Ostia e Pozzuoli, con distaccamenti delle
cohortes vigilum: divenne quindi consequenziale un incremento di elementi effettivi, non
potendo diminuire il numero degli addetti alla sicurezza e agli incendi nella capitale. Una
ulteriore derivazione della politica flavia fu la creazione della figura del sottoprefetto dei
Vigili, innescata dalla moltiplicazione del personale in servizio e dell’ampliamento del
campo delle competenze53.
Il secondo secolo identifica una certa stabilità nel corpo dei Vigiles che, nel suo iter
evolutivo, raggiunse una posizione precisa nella milizia urbana, nonché collocazioni
logistiche, missioni, gerarchie, tradizioni e culti ben definiti54. Venivano ora ingaggiati
50
FLAVIO GIUSEPPE, Antiquitas Judaicae XIX, 253. Si narra un episodio unico nella letteratura antica, circa la
proclamazione dell’imperatore Claudio da parte dei Pretoriani, che fece insorgere altri pretendenti, i quali si
recarono ai castra paretoria, accompagnati da “un considerevole numero di gladiatori, Vigiles e marinai
della flotta”.
51
SABLAYROLLES 1996, p. 288 e p. 45.
52
SOUTHERN 2007, p. 60: “The problems of the succession were never satisfactorily solved, except perhaps for
the relatively brief period when the so-called adoptive emperors designated their successors in advance to
preempt a general scramble for power as soon as they were dead.”.
53
SABLAYROLLES 1996, p. 104.
54
Ibidem, pp. 49 -50.
24
uomini liberi55, segno di integrazione con l’esercito romano, mentre un senato-consulto
riduceva a tre anni il periodo probatorio dei Vigili libertini ius latii per l’acquisizione del
diritto di cittadinanza pieno56.
L’iscrizione sui registri del frumentum publicum fu un altro vantaggio conseguito, ma le
differenze rispetto agli altri milites dell’Urbe e ai legionari restavano sensibili,
particolarmente per i sottoufficiali e i soldati semplici delle cohortes vigilum. Nonostante
le simpatie mostrate verso il corpo dai Severi, nel terzo secolo, tali differenze non erano
ancora completamente soppresse.
Le prove materiali che precisano la rilevanza di un periodo privilegiato per le cohortes
vigilum, tra il 193 e il 235 d.C., sono consistenti: statue ed epigrafi dedicatorie
all’imperatore Settimio Severo, anche se, da un lato, l’ingente quantità di tali prove è
verosimilmente causata dalla fatalità dei rinvenimenti archeologici.
La data che si ritiene possa stabilire la militarizzazione del corpo dei Vigili è il 205 d.C.,
quando si assiste ad un miglioramento nella copertura del territorio di Roma da parte dei
medesimi57.
Nel riordino d’insieme delle truppe urbane, a partire dal 193 d.C., si verificò un cambio
palese nella presenza militare a Roma con Settimio Severo, Princeps che quasi
quadruplicò il numero dei soldati. Implicito fu il sostanziale mutamento nella posizione
sociale dei milites, perché il maggiore effettivo militare acquisiva enorme rilevanza sul
piano politico, e i rapporti di dipendenza tra imperatore, senato e soldati, cominciavano
ad essere sottoposti a costanti mutamenti58, ai quali i Vigiles stessi non avrebbero potuto
rimanere estranei.
Dopo il successo della campagna contro i Parti, l’imperatore di origini africane introdusse
una modifica eclatante nell’assetto strategico dell’armata imperiale: la Seconda Legione
Partica venne fatta acquartierare vicino alla capitale, ai Castra Albana sui colli laziali,
diventando così la prima legione stanziata in Italia dopo due secoli di Principato,
rappresentando quindi una forte forza militare nei pressi della città. La legione “urbana”
era poi comandata da un legato di rango equestre; in realtà tale unità militare non era
55
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 67: “*…+ we can only say for certain that it was before A.D. 166, for which year
we have epigraphic evidence of free-born men in the Vigiles, *…+”.
56
SABLAYROLLES 1996, p. 50.
57
RAINBIRD 1976, p. 187.
58
BUSCH 2011, p. 163.
25
altro che uno strumento a disposizione dell’imperatore contro eventuali usurpatori del
potere. Questa rivoluzionaria misura fu anticipata dal ridimensionamento delle coorti
pretorie, fino ad allora composte prevalentemente da elementi di provenienza italica,
sostituiti da provinciali, in particolare da Illirici. In questi atti era implicita la fine della
congiunzione tra il territorio italiano e le forze che reggevano le sorti dell’Impero, le quali
erano passate ormai definitivamente nelle mani delle Province, come maturazione di un
processo insito nello sviluppo stesso della forza politica ed espansionistica dello Stato
romano, che si risolse effettivamente nel 212 d.C. con la Constitutio Antoniniana che
prevedeva la concessione della cittadinanza a tutti gli abitanti liberi dell’Impero (ad
eccezione dei dediticii).
Nello stesso periodo, i milites vigilum persero i connotati di stampo civile che li avevano
caratterizzati dall’origine e divennero veri e propri soldati, delineandosi come
un’autentica sezione dell’esercito severiano. Anche il loro numero di effettivi fu
verosimilmente ampliato: non ci sono dubbi sul fatto che raggiunsero certamente i mille
uomini per coorte, rendendo imprescindibile un rinnovamento architettonico delle sedi,
con la conseguente appropriazione di settori in precedenza di uso civile:
Il calo di reclutamento di Italici nell’esercito, conseguenza della politica dei Severi, dopo
essersi manifestato tra i Pretoriani, divenne pressoché generale nelle legioni, settore in
cui aveva già avuto avvio nel secondo secolo d.C. 59, e si palesò immancabilmente anche
tra i Vigiles, preannunciando il diffuso cosmopolitismo delle coorti nel terzo secolo.
Tra i motivi dei privilegi accordati ai Vigili, dagli imperatori della dinastia flavia e, ancora di
più, di quella severiana, si annoverava la fedeltà dimostrata, in primis dai praefecti vigilum
e dai propri subordinati, rispettivamente, negli squilibri del 69 d.C., che portarono
all’ascesa di Vespasiano e nei sovvertimenti del 193 d.C., che sancirono il successo di
Settimio Severo.
Come retaggio del fortunato momento per la guarnigione dei Vigiles, nella
denominazione delle loro coorti iniziò ad apparire sistematicamente, come segno di
gratificazione, il titolo derivato dal gentilizio dell’imperatore: severianae, antoninianae e
poi gordianae, philippianae.
Nel terzo secolo, a seguito della crisi dell’Impero Romano innescata dalla caduta della
dinastia dei Severi, le riforme dell’imperatore Gallieno (253-268 d.C.) optarono per un
59
FRANZONI 1987, pp. 121-122.
26
accrescimento di prestigio dell’ordo equestre nell’esercito, che comportò la promozione
dei comandanti delle truppe, alla quale partecipò il corpo dei Vigiles, soggetto oramai da
tempo ad una trasformazione e ad una progressiva attribuzione di compiti militari,
pressoché integrato al resto dell’esercito romano.
La distinzione tra guarnigione urbana, legioni e truppe ausiliare si affievoliva
lentamente60: a partire da allora, vere e proprie vexillationes di Vigiles vennero distaccate
presso l’esercito mobile, spesso al seguito degli imperatori61.
2.8
L’eredità dei Vigiles nel tardo Impero: i collegiati
L’integrazione dei vari comandanti e, man mano anche degli esecutivi, al resto
dell’esercito mostra un cambiamento nella formazione delle coorti, verso la fine del terzo
secolo, quando cominciò ad attenuarsi la distinzione tra guarnigioni urbane, legioni e
truppe ausiliarie.
La riorganizzazione amministrativa dell’Impero sfociò nella separazione del potere
militare da quello civile: i litterati Vigiles, cioè coloro che possedevano un livello elevato di
alfabetizzazione, perdettero gradualmente le loro prerogative militari e furono destinati
agli officia civili62.
Il successivo disarmo di Roma da parte degli imperatori Diocleziano e Costantino, sancì
l’integrazione definitiva dei Vigiles nell’esercito romano, non essendo più legati all’Urbs,
per la sicurezza della quale erano stati istituiti circa quattro secoli prima.
Negli stessi anni a Costantinopoli, oramai divenuta la “Nova Roma”, si ripresentano gli
stessi problemi e le stesse modalità di soluzione della prima Roma imperiale; venne,
infatti, emanata una costituzione con esplicita attinenza agli incendi63 che dimostra la
difficile condizione abitativa e la facilità del propagarsi del fuoco 64 e, per contro,
l’improrogabile occorrenza di un corpo addestrato a fare fronte a quelle tipologie di
60
SABLAYROLLES 1996, p. 57.
MASTINO 2011, p. 6.
62
ALBANA 2010, p. 15.
63
Si tratta della costituzione emanata da Arcadio e Onorio nel 398 d.C., indirizzata al praefectus urbi, che
prevedeva l’abbattimento di tutte le opere aggiunte in un secondo momento agli edifici quali rimesse,
tettoie o similari, che possono provocare la diffusione di incendi.
64
MINIERI 2004, pp. 88-89.
61
27
evenienze, ossia i Vigiles. Il mondo bizantino mantenne tutti gli ingredienti che erano stati
congeniali all’universo occidentale, adattandoli alle mutate esigenze imperiali e
all’ambiente in cui ebbero ragione di essere: in realtà, Bisanzio ritraeva il mondo romano
che continuava con la mediazione etnica dell’Impero, in cui predominava la lingua greca.
Dopo la prima metà del quarto secolo le cohortes vigilum di Roma furono soppresse da
Valentiniano I, nell’ambito della riorganizzazione delle forze di polizia della città, tra il 364
ed il 375 d.C.: l’evoluzione graduale della struttura del corpo dei Vigiles era giunta
irreversibilmente all’epilogo. L’imperatore, in verità, ratificò una situazione di fatto: la
scissione in due dei servizi di polizia e di incendio già avvenuta a metà del quarto secolo.
L’incarico relativo al solo spegnimento degli incendi, e quindi di fatto momentaneo, venne
allora affidato ad unioni di artigiani facenti capo a differenti corporazioni.
Tale prassi era consolidata da molto tempo, oramai, nelle altre città imperiali, dove non
era mai esistito un vero e proprio corpo di Vigiles: contrariamente a quanto avveniva
durante la prima età imperiale, questa volta era proprio Roma che recepiva, adattandosi,
uno schema collaudato sia nel territorio italiano che nelle province.
Gli “omnes collegiati” sono noti da molte fonti letterarie65 della tarda Antichità, oltre che
da iscrizioni: nelle quattordici regiones di Roma rimpiazzavano quindi l’antica istituzione
delle cohortes vigilum, ma, al confronto, in numero davvero esiguo: erano solo 560
uomini66, i quali, contemporaneamente alle proprie attività produttive, assicuravano alla
collettività il servizio di lotta alle fiamme, perché, nella contingente fine dell’Impero, lo
Stato non era più in grado di garantire, sotto parecchi punti di vista, la safety urbana, in
particolare la urban care.
Della oramai remota pianificazione augustea non rimaneva che il praefectum vigilum, sia
a Roma che a Costantinopoli, il quale mantenne sicuramente le funzioni giudiziarie ma,
verosimilmente, non le passate responsabilità in materia di antincendio 67, ridotte per il
progressivo concorso dei collegia, e, indiscutibilmente, non era più titolare di compiti
militari.
65
Il principale documento tardo-antico che fornisce notizie sulla nuova istituzione della lotta antincendio è
la Notitia Urbis Constantinopolitanae, oltre ai codici redatti dai giuristi.
66
Codex Iustinianus IV, 63, 5: “Cessante omni ambitione omni licentia quingentorum sexaginta trium
collegiatorum numerus maneat nullique his addendi mutandiue uel in defuncti locum substituendi pateat
copia”.
67
SABLAYROLLES 1996, p. 65.
28
Al tempo di Giustiniano, il nome attribuito ai Vigili fu quello di matricarii: molteplici sono
le congetture per illustrare la derivazione di tale termine. L’appellativo potrebbe
semplicemente derivare da matricola cioè il registro nel quale, gli uomini adibiti
all’intervento in caso di conflagrazioni, erano iscritti; oppure con tale terminologia
potrebbero intendersi i carpentieri, nel senso di militari addetti alla lavorazione del legno
e del ferro68.
2.9
Alcune note sull’evoluzione della prefettura dei Vigili
A Roma, il praefectus era colui che veniva preposto ad espletare sia funzioni
dell’amministrazione centrale, sia funzioni di minor rilievo, di carattere amministrativo,
giurisdizionale e militare; mentre con il termine praefectura si indicava la funzione
espletata dal medesimo, vale a dire l’officium, sempre delegato dal titolare del potere
centrale69.
Il praefectum vigilum nel nuovo ordine augusteo non era un magistrato, ma un alto
responsabile che gestiva un servizio per conto dell’imperatore70: capo supremo dei
Vigiles e ufficiale preposto alla sorveglianza notturna della città, con il compito di
sovrintendere all’ordine pubblico cittadino e organizzare il servizio di prevenzione ed
intervento antincendio.
I cinque praefecti più importanti a partire dalla riforma statale augustea erano: praefectus
urbi, praefectus praetorio, praefectus Aegypti, praefectus annonae, praefectus vigilum.
Tale carica rientrava quindi tra le più importanti dell’istituto prefettizio romano, seppure
venne considerata dagli storici coevi un ruolo formalmente secondario, per via dell’umile
origine dei sottoposti oppure a causa del raggiungimento di tale posizione a seguito di
promozioni straordinarie.
Le connotazioni del titolo di prefetto dei Vigili si modificarono nel tempo in una parabola
evolutiva, esplicita anche nella titolatura nelle epigrafi: da funzionario temporaneo creato
68
CAPPONI MENGOZZI 1993, pp. 128-129.
STRATI 2012, p. 177.
70
Fin dal principio della sua storia la prefettura dei Vigili fu una carica di rilievo, che venne ricoperta da un
diretto delegato dell’imperatore, perché la sicurezza della città di Roma appariva ad Augusto, come un
problema prioritario.
69
29
da Augusto a uno degli uomini più potenti di Roma in età severiana, per poi retrogradare
alla funzione subalterna di modesto ausiliario del prefetto della Città alla fine del quarto
secolo d.C.71. Infatti, già nel secondo secolo d.C., le iscrizioni mettono in evidenza che il
comandante dei Vigiles acquisiva la qualifica di perfectissimus (vir), risultando, in alcuni
casi, anche quello di eminentissimus (vir), titolo proprio del prefetto del pretorio, quando
gli appellativi superlativi venivano regolarmente applicati all’ordine equestre, a partire dal
principato di Settimio Severo; agli inizi del quarto secolo, si osserva l’elevazione al rango
di (vir) clarissimus, titolatura strettamente pertinente ai senatori, per poi essere, più tardi,
spectabilis (vir), titolo onorifico dato ai magistrati di rango senatoriale.
É comunque veritiero che, spesso, la prefettura dei Vigili non fu altro che l’anticamera
della prefettura del pretorio 72 , come pure i cambiamenti di imperatore venivano
accompagnati da una variazione al vertice del comando dei Vigiles.
Non è facile comprendere se tale carica debba essere intesa come tappa73 di passaggio
che contribuì a fare conoscere ed accrescere di importanza il soggetto, in attesa di un
incarico superiore e più redditizio, oppure come punto di arrivo del cursus honorum del
ceto equestre: entrambe le ipotesi sono attestate.
I compiti e le responsabilità seguirono un iter di sviluppo parallelo al conferimento di una
progressiva autorevolezza alla carica e al graduale aumento della sfera di autorità
associata ad un rafforzamento del prestigio, a partire dal primo secolo d.C.,
principalmente a livello di competenze giuridiche; infatti, nelle fonti scritte della tarda
Antichità che descrivono l’alto Impero, la funzione primaria di prevenzione ed estinzione
degli incendi non occupa mai il primo posto nell’elencazione delle competenze, se non è,
addirittura, assente.
Appena pochi anni dopo la loro creazione, infatti, i Vigiles vennero utilizzati per assicurare
l’ordine pubblico a Roma, durante la caduta del capo dei Pretoriani (e del relativo
prefetto del pretorio, Seiano), tramite una operazione specificamente militare 74 . In
71
SABLAYROLLES 1996, p. 67.
Ibidem, p. 124. Molte volte Pretoriani e Vigiles si trovarono a fronteggiarsi in campi opposti: non è
tuttavia dimostrato astio tra le due truppe della guarnigione urbana ma piuttosto, tale opposizione era il
risultato della politica imperiale.
73
Il praefectum vigilum, a livello gerarchico si posizionava immediatamente sotto al prefetto dell’annona, al
prefetto d’Egitto e al prefetto del pretorio.
74
Cassio Dione informa che, a seguito della condanna a morte del prefetto del pretorio (Seiano), vennero
schierate una contro l’altra le due forze numericamente più importanti di Roma, vale a dire Pretoriani e
Vigiles.
72
30
seguito, nell’eventualità di disordini politici e militari (come accadde nel 69 d.C.), le
cohortes vigilum, alla stregua di quelle urbane, erano impiegate come una forza in grado
di opporsi ai legionari.
Il prefetto dei Vigili fu ben presto partecipe degli intrighi e delle cospirazioni della corte
imperiale: si può ipotizzare che il supporto militare fornito dalle sette cohortes, che erano
in realtà un corpo armato, accrebbe indubbiamente la loro importanza nell’ambito dei
poteri nella Roma antica.
Nel terzo secolo, più che le attribuzioni inerenti all’amministrazione della giustizia, erano
importanti le capacità belliche del prefetto dei Vigiles75, per accattivarsi la simpatia
dell’imperatore, il quale poteva attingere a diverse categorie per tale nomina: legionari
dell’esercito, soldati delle truppe urbane, centurioni, tribuni o prefetti della flotta di
Miseno e/o di Ravenna; la carriera propedeutica veniva trasformata da civile a militare.
Al contrario, nel secolo seguente, il potere militare venne meno come conseguenza della
soppressione delle cohortes vigilum. La prefettura dei Vigiles avrà di conseguenza una
connotazione per lo più giuridica, perdendo gran parte del precedente prestigio.
Dalle fonti letterarie76 risulta che nel quinto secolo i poteri del praefectum vigilum sono
subordinati ad un altro dei magistratus urbani, vale a dire il praefectus urbi Romae
(prefetto della Città), in quanto magistrato cui incombe il buon ordine di Roma77, sotto il
sovrano dei Goti, Teodorico: funzionari ed ufficiali del regno barbaro erano romani e
nominati alle loro cariche dal re, nonostante quest’ultimo risieddesse a Ravenna, nella
nuova capitale.
Questi magistrati cittadini erano provvisti di uffici subordinati piuttosto numerosi ed
articolati, che assorbivano compiti di polizia minori; nel dettaglio il prefetto dei Vigili si
occupava di amministrare la giustizia criminale minore e viene definito da Cassiodoro78
75
SABLAYROLLES 1996, pp. 80 e 97. Non essendovi testimonianze dirette dell’importanza in ambito militare
del praefectus vigilum, si conviene che essa si accrebbe con l’attribuzione di compiti di polizia sempre più
numerosi ai Vigiles, e con il reclutamento, per il quale progressivamente, la bassa estrazione sociale venne
meno.
76
Nello specifico, dalle informazioni dedotte dal catalogo Notitia utriusque Imperii dignitatum, che è in
disaccordo a livello di titoli, numeri ed attribuzioni degli ufficiali che presiedono alla città di Roma. I Goti
introdussero alcuni cambiamenti nel numero e nell’ordinamento delle cariche gerarchiche, sia civili che
amministrative: i magistratus urbani sono il praefectus urbi Romae, il praefectus annonae e il praefectus
vigilum. Anche in CASSIODORO si incontra il praefectus vigilum.
77
MOISÈ 1839, p. 234. In realtà, fino dal rinnovamento costituzionale augusteo, il praefectus vigilum, come il
praefectus annonae, fu comunque un funzionario ausiliario al praefectus urbi, titolare del più elevato potere
militare e civile.
78
CASSIODORO, Variae VII, 7.
31
“fures sollicitus”. In realtà tale prefettura era stata tramutata in uno dei ministeria
illitterata, i quali costituirono la necessaria nervatura esecutiva per la giustizia 79
dell’intero regnum.
Proprio a Ravenna, poi, mancava la prefettura della Città e, in conseguenza, la prefettura
vigilum aveva poteri più estesi rispetto quella romana80.
In effetti, a partire dal sesto secolo, l’attività di polizia conobbe una fase di forte
attenuazione,
causata
da
una
trasformazione
e
marginalizzazione
facilmente
comprensibili 81 a seguito del decadimento delle città. Le funzioni di polizia sono
praticamente ineliminabili in qualsiasi società che sia provvista di un, per quanto
semplice, ordinamento normativo; la qualità ed il peso del praefectum vigilum nell’Italia
goto-bizantina appare dunque diversa, complicata dalla scarsità di fonti che attestino tale
presenza82.
Tale autorità ha mansioni attribuite, eventualmente implicite o eventuali, praticate in
concreto all’occorrenza o all’occasione, perché ritenute necessarie, o strumentali al
raggiungimento di altri fini; come magistratura del regno dei Goti, che svolge tra i propri
compiti generali, attività di polizia, appare peraltro di perdurante impianto basso
imperiale, quale sistema ereditato dalla monarchia di Teodorico; diversa invece è la
questione della sua effettiva vigenza, della sua efficienza, della rispondenza della realtà al
quadro esteriore descritto dalle fonti, che sono molto scettiche al riguardo83.
Segue poi il dominio bizantino, le cui tracce sono meglio recuperabili a Costantinopoli,
dove nel 535 d.C., Giustiniano rimpiazzò la figura del praefectus vigilum84 con un praetor
urbanus, con il compito della sicurezza della città 85. Nell’organizzazione del servizio
d’ordine nella nuova grande città imperiale, scenari e protagonisti cambiarono e, anche e
soprattutto nell’esercito, le pratiche di controllo si avvicinarono a quelle moderne86.
Il cittadino del nuovo Impero romano e cristiano si definiva “soldato di Cristo” e
recuperava il mondo di valori assoluti di cui l’esercito era portatore e simbolo, vale a dire
79
Ibidem XI, 6 e XII, 1.
SORACI 1974, p. 35.
81
SBRICCOLI 2009, p. 373.
82
BELLOMO 1982, p. 65: “*…+ resta il dubbio che nei documenti ricorrano vuoti nomi, per l’uso e la tradizione
delle cancellerie, piuttosto che per reali competenze e funzioni.”.
83
SBRICCOLI 2009, p. 375.
84
La posizione del praefectus vigilum constantinopolitanus non è ricostruibile nella sua interezza perché la
Notitia Dignitatum Orientis è purtroppo lacunosa.
85
SABLAYROLLES 1996, p. 102.
86
RICCI 2003, p. 27.
80
32
la gerarchia, la disciplina e l’obbedienza, nell’ambito del quale rientravano anche i
corrispettivi orientali degli antichi Vigiles, con mansioni che esulavano dall’antincendio,
lasciato di competenza ai matricarii.
L’innovazione principale introdotta dalla dominazione longobarda in Italia, rispetto
all’ordinamento precedente, è probabilmente la fusione dei poteri civili ossia giudiziari,
amministrativi e finanziari, con quelli militari87. Le ideologie politiche di fondo della
cultura politica che ispirò l’Editto di Rotari (643 d.C.), cancellarono separazioni di poteri,
mescolano pubblico e privato, intricando e confondendo prevenzione e repressione,
responsabilità e danno, trasgressione e colpa; le iniziative dei privati assorbirono
necessariamente la quasi totalità delle attività di vigilanza e prevenzione relative a sé e ai
propri beni.
A questo punto della storia, nulla più rimase dell’antica struttura dei Vigiles, uscita
dall’Antichità insieme alla graduale disintegrazione di Roma, nemmeno più con una labile
impronta segnata, ad esempio, nel nome di un magistrato, come nei precedenti domini.
87
SBRICCOLI 2009, p. 375.
33
3. CARATTERISTICHE del CORPO
3.1
Il concetto di safety & security nella Roma augustea
Nel corso della prima età imperiale vennero assicurati alla popolazione di Roma alcuni
servizi essenziali, dal mantenimento dell’ordine pubblico alla prevenzione e all’estinzione
degli incendi, mettendo in risalto l’agilità e la capacità di adattamento alle varie situazioni
della nuova struttura amministrativa creata dal Princeps per la città. L’insieme dei
componenti venne progettato da Augusto ai fini di una immagine positiva dell’Urbs, non
solo finalizzata alla sua reazione ma intesa come simbolo dell’eternità della città (Urbs
Aeterna).
Nel quadro urbano di Roma imperiale, dal primo sino al principio del quarto secolo d.C.,
diverse unità militari e paramilitari furono presenti con differente intensità, costituendo
parte non trascurabile della popolazione1: il numero di soldati oscillava, a seconda dei
computi, tra i 15.000 e i 25.000 uomini2; solo Alessandria e, in condizione subordinata,
Lugdunum (Lione), avevano una popolazione militare altrettanto considerevole e stabile.
Con la riforma augustea, i servizi di polizia cittadina vennero coerentemente divisi tra
guardie imperiali (coorti pretoriane e Germanes Corporis Custodes3), coorti urbane e
coorti dei Vigili4, in una logica di distribuzione delle funzioni e, soprattutto, di ripartizione
dei comandi dei corpi tra il ceto equestre e l’ordine senatoriale5. A questi reparti devono
poi aggiungersi i soldati distaccati agli scali di appoggio della flotta e quelli provenienti
dalle province, al pari della guardia del corpo equestre di nuova creazione6, gli Equites
Singulares Augusti.
1
BUSCH 2011, p. 163.
RICCI 2003, p. 12.
3
L’unità dei Germani Corporis Custodes, guardia personale privata di Augusto, rimase in attività
sicuramente per tutta l’età giulio-claudia, pur tra scioglimenti e ricostituzioni; si trattava di elementi
reclutati prevalentemente tra la popolazione di stirpe germanica dei Batavi, che andarono a formare truppe
a cavallo.
4
BUSCH 2011, p. 19.
5
SCHEID 2005, p. 175: “Le truppe dell’Urbe erano comandate da cavalieri usciti dal pretorio, i quali erano
tribuni di una coorte di Vigili, poi di una coorte urbana, e infine del pretorio.”.
6
BUSCH 2011, p. 163.
2
34
Stazionare delle truppe nella città o in prossimità di essa rappresentò una innovazione
rivoluzionaria, in contrasto con la tradizione repubblicana7.
I Pretoriani, comandati dal prefetto del pretorio, funzionario di rango equestre,
rivestirono vari incarichi: in presenza del Princeps e della famiglia imperiale erano le
guardie del corpo e i custodi delle residenze ufficiali, mentre, fuori dall’ambito cittadino
seguivano l’imperator nelle spedizioni militari e nei viaggi; per di più, nell’Urbs erano
incaricati di controllare le strade, aiutare a circoscrivere gli incendi gravi e svolgevano
funzioni di polizia politica, per mezzo di una intera coorte che controllava regolarmente i
luoghi di spettacolo, con lo scopo di reprimere gli eventuali episodi di violenza, e che
sorvegliava, inoltre, le assemblee popolari.
Le tre cohortes urbanae erano incaricate di servizi di polizia diurna8, quali la sorveglianza
dei mercati, delle strade, dei ponti, delle terme, dei luoghi di associazione, con milites
dislocati inizialmente anche ad Ostia e a Pozzuoli9, comandati dal prefetto urbano, di
rango senatorio, reso in tal modo responsabile della sicurezza della città.
Le sette cohortes vigilum, comandate dal prefetto dei Vigili, proveniente dal ceto dei
cavalieri, assolvevano a compiti di polizia notturna, ordine pubblico e controllo degli
incendi.
Dalla configurazione dei monumenti funerari dei soldati delle guarnigioni urbane, e dalle
loro iscrizioni, quali dediche militari al Genius centuriae o al Genius cohortis, così come
dalla composizione delle necropoli, traspare uno spirito corporativo senza paralleli;
determinanti invece per la socializzazione e per la comprensione dei soldati in seno alle
loro unità e dell’intero esercito di stanza nell’Urbe sono le differenze di origine e stato
giuridico, in grado di influenzare anche il rapporto con la popolazione civile 10.
7
SABLAYROLLES 1996, p. 29, nota 62 : “Des forces armées stationnées dans la capitale ou à proximité était
aussi bien une assurance qu’un risque pour le pouvoir *…+”.
8
SCHEID 2005, p. 176: “Le coorti urbane erano responsabili della polizia; se ne contano tre di 500 uomini, in
origine come nel II secolo, e il loro organico fu accresciuto da Settimio Severo.”.
9
In una data più tarda rispetto al primo principato, due ulteriori coorti urbane furono stabilite
rispettivamente a Lione (Lugdnum), sede di una importante zecca imperiale, e a Cartagine, sotto il
proconsolato d’Africa; ma già nel secondo secolo d.C. queste due unità fuori Roma cambiarono allocazione,
secondo CONNOLLY 1981, p. 227. Il numero delle medesime, presenti a Roma, col tempo venne elevato dai
successori di Augusto, fino ad un massimo di sette sotto Claudio.
10
BUSCH 2011, p. 165.
35
Si deduce, pertanto, che le competenze affidate ai Vigiles sono da osservare in un sistema
integrato di sicurezza urbana, davvero antesignano, se paragonato all’attuale endiadi
safety - security, tradotto in lingua italiana nell’unico concetto riassuntivo di “sicurezza”.
La nozione di safety implica la salvaguardia o la protezione da sinistri o da altri eventi di
pericolo, determinati da circostanze accidentali, indipendenti quindi da precise volontà;
nella sfera di operatività tecnica dei Vigili dell’Antichità questo concetto si può applicare
alla funzione antincendio.
Nel forgiare uno Stato imperiale, alla fine del millennio, Augusto assumeva il ruolo di
pater patriae, estendendo il suo controllo in ogni aspetto della vita della capitale, ed
intervenendo in qualsiasi livello della città11, cercando di coinvolgere ogni classe sociale
nel suo obiettivo strategico: l’attività di fire prevention rifletteva, quindi, parallelamente,
una consistente funzione di polizia del controllo sociale12.
La parola security indica, piuttosto, la repressione di diverse tipologie di illecito quali
attacchi, aggressioni o danni,perpetrati volontariamente, contro persone e beni, al fine di
garantire la sicurezza pubblica dello Stato: l’astrazione di security è dunque comparabile
con il servizio di pattugliamento cittadino, eseguito dai Vigiles dal tramonto all’alba, quale
misura di sicurezza sociale combinata, adottata dalla politica di Augusto, contro la
microcriminalità.
Non si spiegherebbe, altrimenti, la consistente forza numerica di tale distaccamento, e
soprattutto la raffigurazione iconografica con armi, elementi che testimoniano il compito
del mantenimento della sicurezza in città, difendendo Roma dai disordini notturni e
arrestando ladri e malfattori: i Vigiles, come gli Urbaniciani erano garanti della tranquillità
degli abitanti13.
In altri termini, è proprio dall’originario ruolo di prevenzione ed intervento in materia
incendiaria, che si palesa l’importante funzione di polizia notturna dei Vigiles: l’incessante
sorveglianza nelle strade dell’Urbs collocava queste truppe della guarnigione cittadina in
11
L’intervento imperiale nella città capitale si può riassumere nella cura urbis, che consisteva per esempio
nella gestione delle strade, della distribuzione di acqua e della costruzione e manutenzione degli edifici,
concetto molto simile all’attuale urban care.
12
FAVRO 1962, p. 61.
13
SCHEID 2005, p. 173: “Con sette coorti (che forse erano militari fin dall’origine), i Vigili erano più numerosi,
di origine sociale modesta, essi fungevano da guardie notturne e da Vigili del fuoco.”.
36
una situazione ideale per il mantenimento dell’ordine e, in tal senso, li obbligava ad
intervenire in numerosi contesti problematici14.
Un indizio delle competenze prettamente di ordine preventivo permeate da un forte
carattere di misura precauzionale, è rivelato dall’etimologia del nome Vigiles: in latino
vigilare significa fare la veglia, mentre l’equivalente in lingua greca è νυκτεπαρχος, cioè
sorvegliante notturno.
Se si vuole comunque discutere sull’originaria funzione del corpo, inteso più che forza di
lotta contro gli incendi, come una unità di prevenzione, il cui servizio è organizzato di
conseguenza, rimane il problema dell’incongruenza del numero elevato di uomini
arruolati: 3.500 o 7.000 Vigiles per la tutela della sicurezza in materia antincendio, in una
città di circa un milione di abitanti distribuiti in una superficie totale di 18 Kmq.
Questa presenza massiccia può essere spiegata dalla concreta esigenza di svolgere
ovunque attività di salvaguardia, in particolare durante la notte, quando i rischi erano
maggiori e l’allerta, come pure i soccorsi, erano più lenti. É logico, per contro, che le
ronde di controllo notturne necessitassero di una nutrita schiera di effettivi 15, anche per il
semplice fatto che lo stesso soldato non poteva assicurare la guardia per tutta la durata
della notte.
Il servizio pubblico di vigilanza notturna, che con la riforma augustea andava a sostituire
l’incarico affidato dai patrizi a propri schiavi per il controllo delle dimore durante le ore di
assenza di luce, si attuava attraverso il pattugliamento delle strade nottetempo per
mantenere l’ordine pubblico, con operazioni di polizia per la tutela e per la garanzia di
tranquillità dei cittadini dell’Urbe, e tramite l’istituzione di posti di guardia, allo scopo di
prevenire e contrastare le azioni delinquenziali.
É ragionevole ammettere che le sedi fisse a discrezione dei Vigiles, ossia i luoghi da cui
partivano le perlustrazioni notturne 16 , fossero comunque attive anche di giorno,
presidiate plausibilmente dai medesimi, piuttosto che da Urbaniciani, come indicato dal
Baillie Reynolds, il quale asserisce che castra ed excubitoria erano, quasi senza ombra di
dubbio, i punti di partenza delle inarrestabili ronde notturne.
In tale logica si potrebbe inserire una similitudine con le veglie notturne effettuate dai
legionari, le cui regole, antesignane dell’odierna vigilanza, sono riportate da una fonte
14
SABLAYROLLES1996, p. 380.
SABLAYROLLES1996, pp. 371-372.
16
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 100.
15
37
letteraria di età repubblicana17 e, di conseguenza, precedente all’istituzione della Militia
Vigilum, ma comunque ribadite successivamente nel trattato militare della tarda Antichità
di Vegezio18.
Solo un quantitativo limitato di uomini poteva avviarsi da ogni presidio, con la massima
cautela nei confronti dei rischi individuali e collettivi nei quali avrebbero potuto incorrere,
e marciava silenziosamente, ascoltando, guardando e odorando tracce di combustioni19.
In vista della praticità della soluzione, nell’ambito del pragmatismo del mondo militare
romano e nell’applicazione di schemi validi già testati, la suddivisione di ogni singolo
presidio di guardia nelle quattordici regiones di Roma, con turni di servizio di qualche ora
per ciascun uomo, con cambi di guardia, ispezioni attraverso un passaggio di tessere
controllate poi la mattina successiva dal tribuno della coorte20, non dovrebbe essere stato
un sistema estraneo al mondo dei Vigiles, purché efficiente ed ottimale.
I turni di guardia successivi, che consentivano ai soldati di riposarsi tra un pattugliamento
e l’altro, rappresentavano una delle ragioni della moltiplicazione dell’effettivo della
milizia, proprio per lasciare agli uomini il tempo di recupero.
Sempre in base alle testimonianze letterarie antiche che forniscono informazioni
sull’esercito, si può abbozzare l’ipotesi della variabilità del turno di servizio dei Vigiles, in
base alle stagioni, quale effetto della differente durata delle ore di oscurità 21.
Si può affermare con sicurezza soltanto che il modello di un organismo, oramai con
connotazioni chiaramente militari, basato su corpi di guardia, è in vigore intorno agli inizi
del terzo secolo d.C. e continua nel quarto; probabilmente l’adozione di una struttura di
tal genere sarà mantenuta sino alla caduta dell’Impero d’Occidente e potrebbe anche
avere già avuto inizio con Augusto stesso22.
17
POLIBIO, Historiae VI, 33-35.
VEGEZIO, Epitoma Rei Militaris III, 8: “*…+Et quia impossibile uidebatur in speculis vigilantes singulos
permanere, ideo in quattuor partes ad clepsydram sunt divisae Vigiliae, ut non amplius quam tribus horis
nocturnis necesse sit vigilare. A tibicine omnes Vigiliae committuntur et finitis horis a cornicine revocantur.”.
Vegezio raccomanda quattro Vigiliae di tre ore ed informa che il cambio turno è ricordato dai suoni dei
tubicines e dei cornicines (figure non attestate, dalle fonti epigrafiche, nel corpo dei Vigiles). La stessa
minuzia doveva presiedere all’organizzazione delle veglie dei Vigili e i turni di guardia successivi
consentivano ai soldati di riposarsi nel tempo intercorrente tra due ronde.
19
RAINBIRD, p. 189.
20
2
CAGNAT1877 , p. 869.
21
2
CAGNAT1877 , p. 870.
22
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 54.
18
38
3.2
La struttura paramilitare
Il corpo dei Vigiles si configurava, almeno nel terzo secolo d.C., in una compagine formata
da 7.000 uomini e divisa in sette coorti23, ciascuna agli ordini di un tribuno; il numero
delle unità in cui si frazionavano le truppe indica una differenziazione rispetto alle coorti
militari che erano sempre sei (coorti urbane e pretoriane) oppure dieci24, diversità
deliberatamente voluta per enfatizzare il carattere non militare del corpo25, benché
l’inquadramento risultava essere quello classico militare.
A sua volta, ogni coorte era suddivisa in sette centurie, ciascuna guidata da un centurione,
come nelle legioni dell’esercito.
A capo di tutti stava il praefectus vigilum, un prefetto di rango equestre, affiancato in età
traianea da un sottoprefetto, che coadiuvava il proprio superiore a fare fronte ai
numerosi doveri insiti nella mansione di comandante supremo dei Vigiles.
Come negli altri reparti che, con la riforma augustea andarono a costituire il sistema di
polizia cittadina della capitale imperiale, cioè le cohortes praetoriae
e le cohortes
urbanae, le cohortes vigilum erano articolate secondo un rigido sistema gerarchico,
connotato da una disciplina severa e da un addestramento rigoroso, che contrapponeva
gli ufficiali alla manovalanza.
Agli inizi della sua storia, il corpo non era altro che un presidio metropolitano antincendio,
con funzioni preventive, di soccorso e di ordine pubblico, mutando poi gradualmente
grazie ad una progressiva enfatizzazione della sua natura militare, senza perdere mai
completamente il proprio carattere civile26.
23
RAINBIRD 1976, p. 105. Quando il corpo dei Vigiles venne istituito, l’effettivo verosimilmente contava la
metà degli uomini rispetto all’età dei Severi, vale a dire il periodo di massimo splendore del corpo (3.500
effettivi divisi in coorti da 500 Vigiles ciascuna).
24
Dagli studi di René Cagnat (in DAREMBERG SAGLIO 1877, pp. 877-879) e del Baillie Reynolds (in BAILLIE
REYNOLDS 1926, p. 71) emerge che la discordanza nel numero delle coorti dei Vigili rispetto a quello delle
altre guarnigioni di Roma e delle legioni dell’esercito, serviva ad enfatizzare il carattere paramilitare della
“Militia Vigilum Regime” alla genesi, proprio per differenziarla dalle componenti militari dell’organizzazione
difensiva imperiale.
25
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 71.
26
SABLAYROLLES1996, p. 469.
39
3.3
Il reclutamento in età augustea: i Vigiles libertini
L’originaria composizione sociale delle cohortes dei Vigiles era coerente con la politica di
governo augustea, dove nel passaggio da Repubblica ad Impero, in qualsiasi ambito
politico e sociale, tutto doveva rimanere uguale: visto che il servizio di estinzione degli
incendi e di sorveglianza notturna era stato per secoli una incombenza servile, esso
doveva continuare ad essere tale,
e, pertanto lo si affidò a liberti, cioè a schiavi
manomessi.
Congetture per comprendere i motivi di tale consuetudine sono state fatte sin
dall’Antichità: da Svetonio27 si evince che l’utilizzo dei servi affrancati derivava anche dal
timore dell’insorgere di tumulti della plebe in caso di difficoltà di approvvigionamenti
alimentari. Nell’attualità, invece, gli studi del Baillie Reynolds28 considerano l’iniziale
sbarramento di ingresso agli ingenui come un rilievo del carattere non militare del corpo,
portando a considerare la “Militia Vigilum Regime” come reggimento inferiore, non solo
della città di Roma, ma dell’intero esercito, al di sotto, perfino, degli auxiliaria.
Il Sablayrolles29 individua una strategia congeniale della politica augustea nell’istituzione
dei Vigiles libertini, dopo la regolamentazione restrittiva della pratica della manumissio, al
fine di preservare i cittadini romani. Augusto in effetti emanò una serie di leggi per
definire l’affrancamento degli schiavi, da intendersi come misure necessarie per
contenere il numero crescente delle liberazioni.
Fare accampare, all’interno dell’Urbs un’organizzazione militare di ingenui avrebbe
rappresentato un rischio, soprattutto per l’ancora vivo ricordo delle guerre civili ma, al
contempo, l’esercito era comunque precluso agli affrancati.
Così veniva riservato ai liberti un reparto indispensabile delle guarnigioni di Roma, che
permetteva loro di partecipare alla salvaguardia della città e li integrava nella comunità
sociale, figurandosi come un miglioramento della propria condizione.
In effetti, gli ex schiavi, non erano cittadini di pieno diritto perché con la liberazione, a
seguito delle nuove norme, ricevevano lo ius latii, ma non la piena cittadinanza romana30,
27
SVETONIO, De Vita Caesarum II, 25.
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 23.
29
SABLAYROLLES 1996, p. 34-36.
30
Per esempio, gli ex schiavi liberati dal padrone (che diveniva a tutti gli effetti il loro patronus, in un
rapporto di dipendenza diretta), a cui devono l’obsequium, non potevano accedere alle magistrature e
28
40
per cui rimanevano soggetti ad alcune limitazioni, al contrario dei propri figli che
nascevano liberi31.
In realtà, bisogna oggettivamente valutare le difficoltà di arruolamento dei Vigiles
augustei, conseguenza di compiti gravosi e funzioni estenuanti e pericolose, quali vegliare
per tutta la notte e combattere il fuoco, nonché le limitate prospettive di promozione, la
lunga durata del servizio e, addirittura, la scarsa reputazione generalmente sofferta dalla
milizia dei Vigili nei primi anni di presenza nell’Urbs.
Come esito le reclute, oltre ai liberti, non potevano che essere uomini di bassa estrazione
sociale, i quali con l’ingaggio si assicuravano due vantaggi materiali importanti:
l’alimentazione quotidiana e lo stipendium pagato da Roma.
Eppure l’integrazione nelle cohortes vigilum simboleggiava, fino dalla sua genesi, oltre che
benefici tangibili, anche prerogative di promozione sociale, tali da renderla allettante.
Non bisogna poi dimenticare l’attrazione esercitata dalla capitale su tutti gli abitanti
dell’Impero: le condizioni di vita e lavorative di un membro dei Vigiles erano
innegabilmente più allettanti di quelle di qualsiasi altro soldato inviato al limes32, a cui
andava aggiunta la fierezza di appartenere al popolo dell’Urbs, che spesso si traduceva
nelle iscrizioni commemorative dell’accesso dei Vigiles alle frumentazioni.
Il reclutamento era diretto generalmente dal prefetto dei Vigili, come testimoniato
dall’iscrizione in C.I.L. VI, 22033, il quale effettuava la probatio, mediante la valutazione
meticolosa della sussistenza delle condizioni indispensabili per l’arruolamento nel corpo
dei Vigiles, vale a dire condizioni giuridiche, attitudini fisiche ed intellettuali, come
accadeva nelle altre unità della guarnigione urbana34.
La verifica dello status dell’aspirante Vigiles potrebbe sembrare opzionale, vista l’apertura
ai liberti, ma, proprio per tale motivo, era doveroso controllare, per esempio, che
l’individuo non fosse ancora in condizione di schiavitù o era necessario determinare la
erano interdetti da alcune cariche sacerdotali; inoltre il loro voto non aveva sempre lo stesso peso di quello
del cittadino romano, perché era prevista la loro iscrizione esclusivamente nelle quattro tribù urbane.
31
Grazie alla Lex Iulia relativa allo status dei liberti della prima generazione, Augusto concedette loro lo ius
conubii, grazie al quale i figli nascevano liberi.
32
CAMPBELL 1984, p. 178: “*…+to many people in the Empire who lived at subsistence level, the well fed soldier
with his ordered existence in well built and hygienic barracks must have seemed comfortably off.”.
33
La formula adottata “Magno pr(aefecto) in C.I.L. VI, 220 testimonia che l’arruolamento di 16 soldati nel
199-200 d.C. era presieduto dal praefectum vigilum Flavius Magnus.
34
SABLAYROLLES 1996, p. 317. Indubbia è la comparabilità con gli attuali requisiti per l’accesso
all’arruolamento nelle forze dell’ordine e nei corpi paramilitari, come, appunto il settore della vigilanza
privata.
41
precisa categoria di appartenenza degli affrancati per impedire l’ingresso nelle coorti di
soggetti pericolosi, non inclini a servire la società romana35.
Nella logica di formazione di un corpo paramilitare è pertanto da rigettare la speculazione
secondo la quale, per riempire i ranghi dei Vigiles, si sarebbe talvolta ricorsi all’ ingaggio di
schiavi fuggitivi catturati durante i pattugliamenti notturni delle squadre della milizia:
schiavi e criminali erano di norma esclusi dall’esercito, salvo nei casi di pericolo
straordinario per lo Stato, e qualsiasi sospetto sulla condizione legale degli arruolati
doveva essere attentamente verificato36.
I requisiti indispensabili per portare avanti le missioni dei Vigiles comprendevano un
ampio range di abilità37.
La resistenza fisica era un requisito imprescindibile, dati i piantonamenti e le costanti
ronde notturne, nonché necessaria per la rapidità di intervento che costituiva la
condizione primaria di efficacia nella lotta contro gli incendi.
Da una fonte letteraria risalente ai tempi del principato di Adriano si evince che, alla fine
del secondo secolo d.C., coloro che desideravano entrare nelle coorti dei Pretoriani o
degli Urbaniciani, ma non avevano l’adeguata prestanza fisica, venivano orientati verso un
arruolamento all’interno delle cohortes vigilum38.
Infine l’amministrazione del corpo stesso e i numerosi incarichi del prefetto richiedevano
personale competente, in grado di assimilare un grande ammontare di informazioni
tecniche, in merito al fuoco, agli edifici e agli equipaggiamenti.
Con l’avvento del Principato aumentò la preferenza per i documenti scritti: anche
l’esercito, in generale, ne fu coinvolto a causa della complessa organizzazione della
struttura militare, che comportava la creazione di quadri professionali sempre più
diversificati e rispondenti alle molteplici esigenze che man mano emergevano39.
Divennero quindi necessarie personalità acculturate in una organizzazione professionale
molto articolata: accanto ai Vigiles semplici, ritroviamo nelle fonti un numero elevato di
specialisti, impiegati nei ruoli più disparati.
35
Tra i liberti, ad esempio, troviamo i dediticii i quali, durante il periodo di schiavitù, erano incorsi in una
condanna ed erano pertanto interdetti dal soggiorno a Roma.
36
SOUTHERN 2007, p. 131.
37
RAINBIRD 1976, p. 25.
38
PORTHIER 1824, p. 658; la fonte citata è DOSITHEUS MAGISTER, grammatico greco, che riferisce alcune sentenze
dell’imperatore Adriano.
39
ALBANA 2010, p. 4.
42
Le funzioni, per esempio, di librarius, actuarius, exceptor oppure di exactus, esigevano dei
soldati che conoscessero perfettamente la lingua latina, sapessero leggere e scrivere e
possedessero delle conoscenze, seppure rudimentali, di diritto40: per tali individui, la
competenza costituiva una opportunità di miglioramento economico, di promozione
sociale e di avanzamento nella carriera41; l’istruzione rendeva pertanto idonei a gestire
posti di responsabilità.
Come nell’esercito, il divario tra l’elevazione culturale dei graduati, dovuta agli accresciuti
bisogni della nuova unità della guarnigione urbana unitamente ad una buona dose di
ambizione personale che incentivava il processo di alfabetizzazione, e i soldati
semplici,era indubbiamente notevole: questi ultimi erano talvolta analfabeti o appena in
grado di tracciare lettere di una grafia elementare, data peraltro la circostanza che la loro
originaria provenienza etnica non era necessariamente latina.
I delicati compiti in materia incendiaria, come se non bastasse, richiedevano personaggi
psicologicamente pronti ad affrontare situazioni estreme, in grado di contenere il panico
della popolazione in pericolo di vita42.
Il quadro che figura dal reclutamento dei futuri Vigiles è in contrasto con l’ideologia
diffusa nell’Antichità, che vede tale corpo, comunque poco stimato, formato da individui
quasi ai margini della società e perlopiù con connotazioni negative o di dileggio; i compiti
notevoli che sono obbligati a svolgere, il rischio quotidiano insito nelle mansioni e
l’evoluzione della milizia stessa, portano a riconsiderare le teorizzazioni negative,
probabilmente frutto di episodi circoscritti, e a restituire loro quella rinomanza nella
storia che legittimamente meritano di ricevere.
In accordo con l’efficiente organizzazione militare del sistema creato da Augusto, le
reclute dei Vigiles eranosottoposte ad un training formativo di qualche mese, simile a
quello riportato nelle fonti scritte tardo-antiche riferite all’esercito43, in vista della forza
fisica indispensabile a svolgere le mansioni che competevano a tale corpo.
40
SABLAYROLLES 1996, p. 321; BEST 1966, pp. 122-127. Il soldato romano è in grado di leggere e scrivere quasi
sempre e il vigile non può fare eccezione a questa regola, anche se i graffiti dell’excubitorium della
quattordicesima coorte mostrano una conoscenza della lingua latina molto approssimativa.
41
ALBANA 2010, p. 4 e nota 8: “Le possibilità di promozione all’interno delle unità ausiliarie erano
strettamente connesse alla conoscenza della lingua latina.”. I soldati acculturati sono definiti litterati
milites.
42
RAINBIRD 1976, p. 24.
43
VEGETIO, Epitoma Rei Militaris I, 8.
43
Non si può sapere se i coscritti fossero soggetti alle lunghe e faticose marce, o alle
esercitazioni con armi in legno, come avveniva per i futuri legionari, ma, in ogni modo,
l’abilità nel sapersi difendere era inclusa nella prima rudimentale istruzione di uomini che
avrebbero poi pattugliato l’antica capitale, nelle ore di oscurità. Il record epigrafico non
ha fornito, per il momento, accenni sui responsabili dell’addestramento (campidoctor,
magister campi, exercitator)44 che, presumibilmente erano centurioni, in maniera simile a
quanto avveniva con l’esercito.
Al termine dell’addestramento, molto probabilmente anche i Vigiles, come tutti gli altri
milites dell’impero, dovevano recitare un giuramento militare, rinnovato sia ogni anno
che ad ogni cambio di imperatore45; non esistono testimonianze di epoca classica che
abbiano preservato le parole esatte, né per l’esercito, né tantomeno per i membri delle
cohortes vigilum.
3.4
L’evoluzione della condizione giuridica degli arruolati
Augusto lasciò in eredità ai suoi successori un corpo attivo ed efficiente, che presentava
però un evidente contrasto: i vigile serano membri delle guarnigione di Roma perché
assolvevano alle stesse funzioni degli Urbaniciani e dei Pretoriani, i quali rappresentavano
l’élite dell’esercito, ma è palese l’immenso gap che esisteva a livello qualitativo tra la
formazione dei liberti e quelle dei soldati privilegiati di Roma46, che rimarrà tale almeno
fino al terzo secolo.
La situazione di diritto degli appartenenti alle cohortes vigilum evolse molto lentamente,
agendo da ruolo di passaggio dei liberti senza la cittadinanza verso l’integrazione nel
corpo civico: purtroppo, l’assenza di iscrizioni del primo secolo d.C. relative ai Vigiles,
delinea un quadro pressoché parziale della genesi della milizia.
44
SOUTHERN 2007, p. 136.
Ibidem, p. 134, The military oath.
46
SABLAYROLLES 1996, p. 37.
45
44
La lex Visellia47, in età tiberiana, rappresenta una misura per incentivare l’arruolamento
degli affrancati di diritto latino (vale a dire la prima generazione di liberti), che, all’inizio
dopo sei anni di servizio, e poi dopo solo tre anni, ottenevano la civitas romana;
analogamente tale provvedimento legislativo rappresentava una conseguenza logica alla
precedente politica augustea: nel dinamismo della società romana, fortemente
meritocratica, il corpo dei Vigiles era per alcuni liberti una modalità di integrazione
sociale. L’acquisizione della piena cittadinanza romana, oltre ad un miglioramento della
propria condizione, conduceva a nuove prospettive di carriera.
L’emanazione di una tale normativa dimostra come la categoria dei liberti possedenti lo
iuslatii fosse il gruppo prevalente nella formazione, almeno nel primo secolo d.C.
Il diritto della piena cittadinanza romana, a sua volta, rendeva possibile l’accesso dei
Vigiles libertini alle frumentationes48, ossia alle distribuzioni pubbliche gratuite di grano,
come risulta nelle epigrafi in cui appare la formula F.P.A., sciolta in frumentum publicum
accepit, vale a dire la ricompensa specifica dei Vigiles, celebrata volentieri nelle numerose
iscrizioni di Ostia o di Roma.
L’iscrizione sulle liste del grano pubblico offriva a tutti i milites vigilum, qualunque fosse il
loro status giuridico originario, vantaggi materiali e promozione sociale: si spiega così
l’orgoglio rappresentato da questa forma di integrazione sociale. Infatti, qualsiasi
membro delle cohortes vigilum acquisiva in tal modo il privilegio, caratteristico della
plebe urbana in materia di distribuzioni straordinarie. In pratica, la posizione sociale di un
vigile diveniva equiparabile a quella di un romano della capitale, nonostante l’origine
geografica o la precedente condizione giuridica: l’avanzamento sociale, più culturale che
giuridico o materiale, diveniva una delle soddisfazioni più alte a cui i Vigiles potevano
ambire49. É proprio in questo settore che si manifesta la prima attestazione di uguaglianza
con il resto dell’esercito: alla morte dell’imperatore Tiberio, in via eccezionale, i Vigiles
vennero gratificati attraverso un donativum elargito su base testamentaria
50
.
Contemporaneamente però, non bisogna dimenticare che l’iscrizione sul registro del
47
La lex Visellia contemplava l’accesso allo ius Quiritium ossia al sistema giuridico arcaico romano, adatto ad
una società ristretta (dei soggetti qualificati Quiriti), elaborato da una serie di organismi politici quali la
civitas, le gentes e le familiae.
48
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 68.
49
SABLAYROLLES1996, p. 331.
50
Ibidem, pp. 337-339.
45
frumentum publicum non era altro che l’assimilazione dei Vigiles alla plebe urbana, segno
tangibile della permanenza del carattere civile dell’istituzione.
Le cohortes vigilum, composte inizialmente in via esclusiva da affrancati, accolsero poco a
poco uomini di condizione libera (ossia ingenui), peregrini e gli stessi cittadini romani51,
tanto è vero che dalla metà del secolo successivo alla loro origine, si intravede la presenza
di ingenui, per pervenire poi al principato di Settimio Severo (193 – 211 d.C.) con reclute
costituite per la maggioranza da civites romani52, per le quali è evidente che la lex Visellia
non apportava alcuna prerogativa53.
L’area geografica di reclutamento si allargò54 e sembra la medesima dei Pretoriani e degli
Urbaniciani: plausibilmente, gli effettivi destinati alla guarnigione dell’Urbs provenivano
dagli stessi luoghi, arruolati in piccoli gruppi, in vista di un considerevole privilegio a cui un
provinciale troppo poco romanizzato non poteva prima aspirare.
L’individuo assoldato nel corpo dei Vigiles, come già detto, era chiamato a divenire
cittadino romano nel caso in cui non lo fosse già: per esempio se originario di borgate
rurali riceveva la cittadinanza al momento stesso dell’arruolamento55. In assenza di nome
latino, la recluta aveva due scelte: o latinizzare il proprio appellativo indigeno oppure
scegliere un nome latino dal repertorio classico. Da quest’ultima consuetudine si evince la
provata volontà di integrazione sociale dei nuovi soldati, magari provenienti da orizzonti
molto lontani da Roma.
La visione lungimirante del mondo romano, meritocratica e aperta, si svela interamente
nell’universo dei Vigiles: l’accesso al corpo, in qualche maniera, portava a sfumare le
differenze giuridiche e socio-economiche, offrendo a uomini di origini e condizioni
differenti un ambito e delle prospettive identiche56, senza preclusioni, seppure con limiti
agli avanzamenti di carriera dovuti alla consistenza numerica delle gerarchie.
La graduale evoluzione dello status giuridico degli arruolati, verso il terzo secolo d.C.,
portò a paragonare le cohortes vigilum alle altre schiere dell’esercito, ammettendo un
interscambio di uomini tra milites veri e propri, e Vigiles in linea con l’idea, accreditata
51
Ibidem, p. 179.
Lo studio della condizione giuridica degli arruolati è possibile grazie all’analisi dell’onomastica degli epitaffi
e delle liste delle coorti che sono pervenute.
53
SABLAYROLLES 1996, p. 331.
54
Sulle liste dei latercula del 205 e del 210 d.C. compare un numero considerevole di africani e di orientali
oltre che soldati originari di regioni periferiche come le province danubiane, la Tracia o il Ponto Eusino.
55
SABLAYROLLES 1996, p. 183.
56
Ibidem, p. 319.
52
46
nella riforma augustea, di un organismo militare integrato ed unitario, sebbene sempre in
una condizione di inferiorità per quanto concerne i milites vigilum.
Per mezzo di ragionamenti analogici rispetto al resto dell’armata imperiale, si ammette
che i Vigiles percepissero una paga verosimilmente affine a quella delle truppe ausiliarie,
se non superiore57, in quanto la specificità del corpo era del tutto assiomatica, ed è
congetturabile che vi siano stati dei criteri interni58 che stabilivano le diverse classi di
stipendium.
I Vigiles tendevano ad identificarsi sempre di più con gli altri soldati, acquisendo man
mano, in materia di emancipazione, gli stessi privilegi, parafrasandosi per la maggior parte
sul riconoscimento del loro status militare, invece che nella soppressione del valore della
loro condizione nella scala sociale.
3.5
La durata del servizio
Il reclutamento avveniva tra i 17 e i 29 anni: la maggior parte degli arruolati erano
soggetti di età compresa tra i 19 e i 23 anni59.
Non è possibile stabilire la durata del servizio di un membro dei Vigili, se non attraverso
un paragone con le altre formazioni militari dell’esercito romano, tenendo sempre
presente l’ibridità delle condizioni del corpo dei Vigiles urbani, nel quale convergevano sia
elementi civili, sia fattori più propriamente di natura marziale, che propongono calcoli pur
sempre aleatori.
La quasi assenza di testimonianze epigrafiche60 o letterarie a conferma dell’argomento,
impedisce la verifica delle determinazioni scaturite.
Con la riforma augustea, i soldati della guarnigione urbana, Pretoriani e Urbaniciani,
potevano congedarsi dopo, rispettivamente, sedici e venti anni; l’unico altro corpo
57
SCHEID 2005, p. 178: “In cima si trovavano i Pretoriani (che ricevano più del triplo della paga di base di un
legionario), poi i soldati delle coorti urbane; i Vigili erano sullo stesso piano dei legionari, mentre gli ausiliari
dovevano prestare servizio più a lungo con una paga inferiore, come del resto i soldati di marina.”.
58
Nell’esercito romano, l’indennità percepita era determinata, infatti, oltre che dal corpo al quale si
apparteneva, dal posto che si occupava all’interno dell’unità.
59
SABLAYROLLES 1996, p. 316. L’età di coscrizione è calcolata attraverso le informazioni desunte dagli epitaffi.
60
Sono troppo rare le iscrizioni di veterani dei Vigiles ai fine dell’estrazione di dati per stabilire la durata
effettiva del servizio nel corpo. Dall’analisi dei dati a disposizione è inconfutabile affermare che, in media,
gli anni prima del congedo non potessero essere inferiori a sei.
47
dell’esercito in cui si reclutavano dei liberti era quello dei marinai della flotta imperiale (di
Miseno e di Ravenna), i quali prestavano servizio per ventisei anni. A fronte di ciò, fatto
salvo che durante i primi anni di vita dell’istituzione, lo status sociale dei Vigiles era
contemplato alla stregua di quello dei milites classiarii, la permanenza nel corpo di uno
dei Vigiles, prima del congedo,non può essere considerata maggiore di quella dei
marinai61.
I cambiamenti nella formazione delle unità poi, oltre a produrre differenti condizioni,
accorciarono i tempi del servizio, giungendo ai venti anni o addirittura ai sedici62, nel terzo
secolo d.C.63, quando i Vigiles equivalgono ai milites, come delineato nel Digestum, da
Ulpiano64.
Le riforme dell’epoca dei Severi portarono ad importanti trasformazioni sulle modalità di
reclutamento,ma si tratta, in realtà, di una situazione di transizione, che non può offrire
risposte certe.
L’aumento del numero degli effettivi, inoltre, più che una riduzione degli anni di
coscrizione, poteva far salire vertiginosamente per un intervallo di tempo limitato il
numero delle nuove reclute.
I Vigiles verosimilmente dovrebbero avere avuto una permanenza in servizio simile o
superiore a quella degli Urbaniciani e, forse, uniforme a quella dei classiarii: in pratica tra
venti e ventisei anni.
Risulta difficoltoso pervenire ad uno schema evolutivo della permanenza della militanza
nelle coorti dei Vigili, esistendo al riguardo al contrario una moltitudine di incertezze: è
pertanto presumibile una eterogeneità nelle tempistiche di permanenza dei soldati nelle
cohortes vigilum.
61
SABLAYROLLES 1996, p. 322; SCHIED 2005, p. 178.
In VON DOMASZEWSKI 1908, p. 7 risulta che Settimio Severo avrebbe ridotto a sedici anni il servizio dei
Vigiles, ma ciò non rappresenta una certezza.
63
La durata media calcolata a partire dalle informazioni fornite dai latercula di età severiana è nettamente
inferiore ai venti anni di servizio prestati nelle cohortes urbanae. Sussistono difficoltà notevoli di confronto
tra tali cifre e quelle fornite dalle iscrizioni di Ostia che commemorano l’accesso al frumentum publicum.
64
Digestum XXXVII, 13, 1, 1: “ … in classibus omnes redige et nautae milites sunt; item Vigiles milites sunt, et
iure militari eostestari posse nulladubitatio est.”
62
48
Al termine del servizio, come negli altri corpi militari, i Vigiles venivano comunemente
congedati con l’honesta missio, come risulta dall’iscrizione funeraria di Iuventius Felix, in
C.I.L. VI, 3275465.
É indubbio che, come il regime dei Vigiles nell’ambito del congedo era analogo a quello
degli altri soldati, così il titolo di veteranus rappresentava un certo prestigio, che si
materializzava con qualche vantaggio seppure con differenze di trattamento, le quali
illustrano una situazione di inferiorità, testimoniata dall’assenza del diploma rilasciato
contestualmente alla missio66, almeno per quanto concerne i primi secoli di vita della
guarnigione.
Man mano che i Vigiles assunsero progressivamente vere e proprie funzioni militari,
benché in una situazione di palese secondarietà rispetto alle altre truppe, anche il
congedo tese ad equipararsi a quello dei milites con la consegna di una vera e propria
attestazione: sicuramente questo si verificò tuttavia solo dopo le riforme dei Severi.
Sono state fatte molte speculazioni sulla missio perché, nonostante il comprovato e
corposo arruolamento di individui provenienti da zone diverse dell’Impero Romano, non
sono state rinvenute epigrafi menzionanti Vigiles fuori dall’Italia: ciò significherebbe che,
al momento del congedo, essi preferivano non tornare nei rispettivi Paesi d’origine, ma
piuttosto continuare a vivere a Roma, probabilmente per evitare la perdita dei vantaggi
materiali connessi con la residenza nella antica capitale67.
3.6
La carriera dei Vigiles
L’appartenenza al corpo dei Vigiles, come per le altre truppe permanenti di Roma,
consentiva ai propri membri avanzamenti di carriera seppure parecchio circoscritti,
mostrando analogie e al contempo peculiarità rispetto a quelli degli altri corpi. Alla base
di ciò risiedono le stesse riforme augustee che crearono tale organizzazione e, allo stesso
65
Nel dettaglio, l’epigrafe recita: “… vet(e)rano ex coh(orte) (tertia) vig(ilum) missus honest(a) missione mil
*…+”, dove compare il termine veteranus anche per le cohortes vigilum. In realtà, solo tre veterani
informano della loro condizione sul proprio epitaffio (C.I.L. VI, 32754, 2989 e C.I.L. XIV, 221).
66
Il diploma era una istituzione imperiale che ricompensava sia le truppe meno prestigiose (flotta ed
ausiliari) che le truppe d’élite.
67
SABLAYROLLES 1996, pp. 404-406.
49
tempo, favorirono notevolmente la mobilità sociale, sia per il ceto equestre che per i
militari68.
Le fonti epigrafiche pervenuteci per determinare i cursus sono davvero poche e
frammentarie69.
La tipologia di avanzamento professionale non è peraltro uniforme, ma esistono, pur se
per incarichi omogenei, curricula con tappe e durate medie dissimili.
Per le cohortes vigilum non può valere la distinzione che si riscontra pressoché in tutto
l’esercito imperiale, tra incarichi strategici, superiori ed inferiori, e l’opportunità di
aumentare di rango solo attraverso il previo esercizio di un incarico strettamente
militare70.
Il capo supremo, il praefectus vigilum, inizialmente proveniente dal rango equestre, a
partire dalla metà del secondo secolo d.C., poteva derivare anche dalle legioni, magari
dall’essere stato prima un centurione primus pilus, che aveva poi servito in diversi uffici
amministrativi. Analogamente, se alla nascita del corpo dei Vigiles solo lo staff dell’ufficio
del comandante aveva reali possibilità di carriera, successivamente le aspettative di
avanzamento progressivo si aprirono all’intero complesso della guarnigione, benché
sempre con forti limitazioni.
Gli ufficiali, cioè i tribuni e i centurioni, possedevano solitamente una solida precedente
carriera militare negli altri corpi della guarnigione urbana o nelle legioni. Di conseguenza
rappresentavano una sorta di legame tra le coorti dei Vigili ed il resto dell’esercito.
Accadeva frequentemente che gli evocati, cioè i veterani che avevano svolto per 16 anni
servizio in un corpo della guarnigione urbana, in particolare nella guardia imperiale,
decidessero nonostante la missio di rimanere nell’esercito e fossero promossi al grado di
centurioni. Se poi desideravano continuare a vivere a Roma, militavano prima nei Vigiles,
poi nelle cohortes urbanae ed infine potevano ritornare, acquisito un grado più elevato,
nelle cohortes praetoriae: nessun ufficiale inferiore in ferma nell’Urbs sembra provenire
dalle legioni71.
68
SOUTHERN 2007, p. 125.
Si dispone di sole tre carriere complete di Vigiles conservate: Q. Iulius Galatus (C.I.L. VI, 2987), C. Virrus
Secundus (C.I.L. XI, 1438) e l’anonimo di C.I.L. VI, 37295, alle quali si somma quella dell’urbaniciano C. Aecius
Similis, prima militante nei Vigiles e le due liste della quinta coorte.
70
SABLAYROLLES 1996, pp. 234-235.
71
CONNOLLY 1981, p. 226.
69
50
Dai primipili, cioè dai centurioni delle prime coorti, erano reclutati coloro che andavano a
ricoprire la posizione di tribuno al comando delle guarnigioni cittadine: tale abitudine era
forse legata alla prevenzione di cospirazioni o alla necessità di disporre di ufficiali
maggiormente motivati72.
Non pare infondata, se rapportata ai livelli superiori delle cohortes vigilum, l’affermazione
di Marcel Durry che riduce le medesime meramente a dei meccanismi per addestrare dei
soldati cittadini destinati agli altri corpi della guarnigione urbana 73; in realtà, però,
l’avvenire del semplice vigile era quasi sempre all’interno del suo corpo di appartenenza.
Benché poco documentato, poteva tuttavia avvenire il passaggio dai Vigiles agli altri corpi
esterni: rari epitaffi mostrano centurioni che raggiunsero un livello superiore nella scala
militare, assumendo la medesima posizione nelle coorti urbane, poi nella guardia
pretoria, e, dopodiché progredendo nella loro carriera all’interno delle legioni,
raggiungendo alcune volte anche il posto di primus pilus.
Sempre per i sottoufficiali, inoltre, una promozione era anche fattibile, malgrado ciò:
come nel resto dell’armata imperiale romana, essa dipendeva dalla loro abilità, dai
rapporti interpersonali interni al corpo e dalle opportunità74.
Sebbene i testi epigrafici contemplino la possibilità di un passaggio da un corpo ad un
altro, il corpo dei Vigiles rimase relativamente statico, con esclusivamente due forme di
transizione nelle altre truppe: la promozione al centurionato, rara e difficile 75 e il
successivo trasferimento presso gli stratores, ossia i decurioni di cavalleria dell’esercito, e
poi nelle coorti urbane ed, eventualmente, nel pretorio76.
La ragione della scarsa mobilità potrebbe intravedersi nell’addestramento dei Vigiles, in
cui era logico supporre che, per fare risaltare nel modo migliore le attitudini del soldato,
la carriera si dovesse svolgere per intero all’interno del corpo.
Un complesso divario esisteva tra ufficiali e semplici milites ai livelli inferiori per quanto
concerne la loro permanenza all’interno di un grado o di una funzione, in quanto la
rapidità nell’evoluzione della carriera dipendeva da parametri complessi 77 e, nello
72
Ibidem, p. 227.
DURRY 1939, p. 342 : “*…+ des machines à faire des soldats citoyens pour les autres corps de la garnison.”.
74
SOUTHERN 2007, p. 125.
75
La promozione al centurionato dei cornicularii intervenne soltanto dopo il 141 d.C. e resta indubbiamente
relativamente rara.
76
La promozione negli altri corpi della guarnigione urbana pare possibile solo a partire dal grado di optio.
77
SABLAYROLLES 1996, p. 240.
73
51
specifico, dal numero di posti disponibili nei gradini immediatamente superiori della scala
gerarchica.
52
4. ORGANIZZAZIONE e FUNZIONI d’IMPIEGO
4.1
Le mansioni del praefectus vigilum e del sub-praefectus vigilum
Sebbene la sua nomina non prevedesse necessariamente una carriera militare, bensì
procuratoria, il praefectus vigilum aveva un comando armato e, in un periodo di tempo
successivo all’istituzione della carica, venne coadiuvato da un sub-praefectus1.
Le sue funzioni, secondo il Digestum, erano essenzialmente bivalenti, di natura tecnica e
di natura giuridica; tecnicamente aveva la responsabilità della sorveglianza notturna
dell’Urbe2, per essere pronto a far fronte a qualsiasi avvenimento, essendo il responsabile
della sicurezza notturna della città di Roma, e assicurarsi della disponibilità di acqua per i
pompieri; in qualità di giudice, possedeva la facoltà di amministrare la giustizia, civile e
penale, come il praefectus annonae.
Il capo dei Vigiles si occupava abitualmente dei reati minori, compiuti principalmente
durante le ore notturne, periodo nel quale egli era responsabile della safety dell’Urbs3; si
trattava di azioni delittuose non compiute solo da incendiari, ma anche da ladri,
scassinatori, rapinatori, ricettatori, cioè microcriminali in genere, colti in flagrante, come
informa il giureconsulto imperiale giunto a noi,mentre i misfatti di maggiore scalpore ed
importanza4, seppure commessi dopo il tramonto, rientravano nella competenza del
praefectus urbi5.
Tra gli incarichi del praefectus vigilum figurava un deterrente contro gli incendi dolosi o
dovuti all’incuria dei cittadini: la facoltà di arrestare i piromani e coloro che mantenevano
un comportamento negligente a livello di precauzioni nei confronti del fuoco; in aggiunta
1
STRATI 2012, pp. 201-202.
Digestum I, 15, 3: “Sciendum est autempraefectumvigilum per totamnoctemvigilaredebere et coerrare[…+”;
“Cognoscitpraefectusvigilum de incendiariis, effractoribus, furibus, raptoribus, receptatoribus, nisi si qua
tamatroxtamquefamosapersonnasit ut praefecto Urbi remmittatur. Et quia plerumque incendia fiunt culpa
inhabitantium, autfustibuscastigateos qui neglegenterignemhabueruntaut.”.
3
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 38.
4
STRATI 2012, p. 202: “Per i casi che si presentavano più gravi o delicati in sé stessi o in relazione alla persona
del reo, la competenza e la decisione venivano sempre rimesse al prefetto urbi.”. Se si trattava di persone
tanto scellerate ed infami, dovevano essere deferite al praefectus urbi, come per esempio gli incendiari
dolosi.
5
Il dominio del praefectus vigilum non si estendeva esclusivamente alla notte, ma alla flagranza del reato in
generale: nel tribunale amministrato da tale prefettura, tra gli imputati, erano compresi fures nocturni,
fures balnearii, capsarii.
2
53
egli doveva svolgere indagini su eventuali colpevoli, con la prerogativa di punirli
direttamente o di deferirli alle autorità giudiziarie superiori6. In realtà, dalle fonti scritte,
risulta che comunque gli incendiari dolosi dovevano essere deferiti al prefetto urbano7.
I metodi della fire investigation, già all’epoca, erano pressoché scientifici: raccolta delle
prove in fase di investigazione, accertamenti per poter basare l’impianto accusatorio su
elementi diretti, nonché ricostruzione dei fatti; si trattava, perlopiù, di procedure
facilmente applicabili ad altre fattispecie di reati.
Si può asserire che la massima carica della terza guarnigione cittadina era un vero e
proprio prefetto di polizia, preparato a giudicare extra ordinem nelle materie attinenti alle
proprie competenze8: la facoltà risultava però parziale9 in quanto poteva compiere atti
solo in relazione a specifici illeciti, precisamente quelli nei quali i propri subalterni
potevano imbattersi nello svolgimento del servizio a cui erano destinati. Nonostante la
restrizione giuridica, il praefectus vigilum aveva il potere di infliggere pene anche molto
severe, quali fustigazioni e damnatio ad metalla, ossia la condanna ai lavori forzati in
miniera, in opus perpetuum o temporiarum, o addirittura, per gli schiavi, la morte10.
In età tarda, in effetti, solo Cassiodoro, autore cristiano delle Variae, riporta tra le
incombenze del prefetto dei Vigili di Roma e di Ravenna al tempo di Teodorico11 quella di
punire i servi guardiani delle case che non si accorgevano della forzatura della serratura
dei magazzini, oppure che si appropriavano indebitamente di beni lasciati a loro in
custodia, come pure la prerogativa di condurre le ricerche degli schiavi fuggiti dal
padrone. In realtà, le competenze giuridiche in materia di schiavitù del comandante
supremo delle cohortes vigilum erano incluse già all’origine di tale carica12.
6
RAMIERI 1990, p. 9.
Digestum I, 15, 4: “*…+ Insularios et eos, qui neglegenter ignes apud se habuerint, potes fustibus vel flagellis
caedi iubere: eos autem, qui dolo fecisse incendium convincentur: ad Fabium Cilonem praefectum urbi
amicum nostrum remittes *…+”.
8
STRATI 2012, p. 202.
9
In questo caso è indiscusso il paragone, in Italia, con i Vigili del fuoco attuali, che sono ufficiali o agenti di
polizia giudiziaria a competenza limitata mentre carabinieri, guardia di finanza e polizia di stato si
considerano in servizio permanente.
10
STRATI 2012, p. 202.
11
CASSIODORO, Variae VII, 7-8.
12
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 39.
7
54
Alla giurisdizione criminale del prefetto si univa quella civile13, ampia e strettamente
connessa al diritto di perquisizione accordatogli per facilitare la sua azione di prevenzione
dagli incendi. Informazioni in merito si raccolgono sempre nel Liber singularis de officio
praefecti vigilum del Digestum, nello specifico in materia di locazione, quali le note
inerenti ai proprietari di horrea o di insulae, per i quali non ricevevano più l’affitto dai
conduttori.
In queste vicissitudini, al praefectus vigilum spettava concedere l’autorizzazione ad aprire
abitazioni o depositi, allo scopo di effettuare l’inventario delle cose che vi si trovavano in
caso di irreperibilità del locatario moroso14, oppure la chiusura, in caso di inadempimento
dell’obbligazione del pagamento della merce, della casa locata con i beni mobili in essa
contenuti15.
Inoltre, entro certi limiti, le prerogative giudiziali del capo dei Vigili riguardavano vertenze
relative ai diritti di proprietà e, nello specifico, questioni di diritti sulle acque pubbliche16.
Numerosi sono poi gli incarichi amministrativi svolti attraverso la ripartizione delle coorti
nelle regiones dell’Urbs, a cui si aggiungeva la sorveglianza degli edifici sacri e
l’applicazione delle misure di urbanismo prese, a seconda dei periodi, nel quadro della
lotta contro il fuoco17.
Come già detto, tra la fine del secondo e gli inizi del terzo secolo d.C., il praefectus vigilum
venne coadiuvato nell’espletamento delle sue mansioni militari e giudiziarie da un subpraefectus vigilum 18 , seconda carica del corpo, che rimarrà attiva almeno fino a
Diocleziano. L’istituzione del ruolo di collaboratore del prefetto venne avviato a seguito
dell’incremento delle funzioni di comando nella propria sfera di autorità.
L’assenza di fonti epigrafiche, antecedenti all’età traianea, relative al sottoprefetto dei
Vigili, non può confermare l’assenza di tale incarico prima del terzo secolo, anzi potrebbe
anche avvalorare l’ipotesi della creazione della nomina direttamente all’origine del corpo
13
Da recenti studi giuridici (vedi STRATI 2012, pp. 202-203) si suppone che il praefectus vigilum non avesse
una funzione giurisdizionale in materia civile, dato che le sue competenze restarono sempre circoscritte alla
sua funzione di polizia.
14
Digestum XIX, 2, 56.
15
Digestum XX, 2, 9.
16
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 78; SABLAYROLLES 1996, pp. 113-120.
Si fa riferimento alle iscrizioni in C.I.L. VI 266 e 267 riguardanti una lite, articolata in diverse udienze tra il
226 ed il 244 d.C., insorta tra il collegio dei fullones, ossia lavandai ed il fisco, a proposito di una fontana di
pubblica proprietà ed il mancato pagamento di un corrispettivo per il godimento, quindi, di suolo pubblico.
17
SABLAYROLLES 1996, pp. 123-124.
18
RAMIERI 1990, p. 9.
55
da parte di Augusto. Sono pressoché mancanti le testimonianze dell’esistenza di tale
incarico sia nella letteratura storica che giuridica 19 , di conseguenza per tentare di
tracciare un quadro delle funzioni si procede per congetture, evidenziando competenze
sensibilmente identiche a quelle del praefectus.
Come per i prefetti, anche per i sottoprefetti si evidenziano cursus viri militares o
specializzazione in materia giuridica nel background culturale: ciò rivela senza dubbio una
integrazione di requisiti tra le due più alte cariche delle cohortes vigilum 20 e tale
complementarietà documenta l’esigenza, pur sempre militare, soddisfatta da tale parte
della guarnigione urbana, di abbinare la praticità del soldato alle capacità del giurista.
Le dediche delle iscrizioni delle coorti o dei distaccamenti menzionano entrambi i vertici
del comando: si presume che a Ostia, a partire dall’età severiana, il sub-praefectus
potesse ricoprire il medesimo ruolo del prefetto a Roma e che in particolare si dovesse
occupare di regolare gli affari amministrativi e giudiziari della vexillatio21.
Infine, si ricorda una funzione, alquanto recondita, menzionata in pochissime iscrizioni22:
il curator cohortis, forse un funzionario temporaneo nominato per aiutare o rimpiazzare il
sottoprefetto quando quest’ultimo era impegnato in altre attività.
4.2
Le attribuzioni degli ufficiali
Come accadeva in qualsiasi reparto militare, anche nelle coorti dei Vigili, seppure trattasi
di un organismo con caratteristiche anche civili, un rigido sistema gerarchico
contrapponeva gli ufficiali alla truppa, la quale, partendo dai gregari, giungeva fino al
centurionato23.
L’ufficiale più elevato in grado che dirigeva la coorte e la rappresentava è il tribuno, che
legava la propria carica alle realtà quotidiane del servizio.Il tribunato dei Vigiles
eragiudicato come un posto di debutto in una nuova carriera, ed era seguito
19
Nel Digestum è ignorata l’esistenza della figura del sub-praefectus vigilum.
Un prefetto vir militaris può essere accompagnato da un sottoprefetto preparato a fornire consulenza
giuridica oppure un praefectus vigilum con competenze di amministrazione della legalità, si integra meglio
ad un sub-praefectus a vocazione piuttosto militare.
21
SABLAYROLLES 1996, p. 134.
22
C.I.L. VI, 1092, 3908, 3909. Il termine curator è attestato esclusivamente presso i Vigiles.
23
RICCI 2003, p. 13.
20
56
sistematicamente, dopo circa due anni, da una promozione24; al contempo rivestiva un
ruolo essenziale nel corpo, che metteva in luce l’importanza militare della guarnigione.
La sua appartenenza alla gerarchia militare equestre e parallelamente al corpo dei Vigili,
lo conduceva a costiture una sorta di legame tra i Vigiles ed il resto dell’esercito, mentre il
carattere effimero della sua permanenza nel corpo gli impediva invece una perfetta
integrazione con i suoi uomini.
Alla pari di tutti i tribuni dell’esercito romano ciascun comandante delle sette cohortes
vigilum aveva un incarico prettamente di tipo marziale, essendo responsabile del servizio
svolto dalla sua stessa coorte; la conoscenza di tali funzioni è stata resa possibile grazie
ad una sezione25 del Digestum, denominata De re Militari.
La situazione dei Vigiles, in tal caso, è equiparabile interamente a quella degli altri milites:
il tribuno doveva occuparsi dell’addestramento dei suoi uomini, organizzare i turni di
guardia e i servizi, verificare durante la notte la corretta esecuzione dei compiti distribuiti,
assicurarsi dell’approvvigionamento di cibo per la coorte e, in generale, fare rispettare la
disciplina.
L’attività del tribuno dei Vigili era fondamentale per la sicurezza di Roma perché le ronde
e i picchetti di guardia costituivano l’assetto nodale del sistema di prevenzione contro le
distruzioni causate dal fuoco, nonché a livello di polizia notturna. In caso di allerta
incendi, il tribuno era il primo responsabile dell’organizzazione dei soccorsi26 durante
l’intervento.
Oltre alle funzioni militari, analizzando la composizione del relativo officium, risulta che
ciascun tribuno aveva in delega dal praefectus vigilum un certo numero di competenze
amministrative e giudiziarie, comprovate dalla presenza di personale di segreteria,
inesistente presso gli uffici dei tribuni Urbaniciani e Pretoriani. Si trattava dei cosiddetti
codicillarii, in numero di undici27, che rappresentano un grado proprio dei Vigiles; non è
possibile stabilire con esattezza la loro mansione specifica se non facendo ricorso
24
Da informazioni di ordine epigrafico, si reputa che la naturale ascesa nel cursus consistesse nel tribunato
delle cohortes urbanae.
25
Digestum XXXXVIIII, 16, 12: “Officium tribunorum est uel eorum qui exercitui praesunt milites in castris
continere, ad exercitationem producere, claues portarum suscipere, Vigilias interdum circumire,
frumentationibus, commilitonum interesse, frumentum probare, mensorum fraudem coercere, delicta
secundum suae auctoctoritatis modum castigare, principiis frequenter interesse, querellas commilitonum
audire, valetudinarios inspicere.”.
26
SABLAYROLLES 1996, p. 156.
27
Dalle liste della V coorte (C.I.L. VI, 1057, 1058) i beneficiarii tribuni sono undici e una tale cifra, per un
ufficio, testimonia l’importanza dell’incarico amministrativo.
57
all’etimologia che indica verosimilmente strumenti destinati alla scrittura, quali le
tavolette cerate, per esempio.
É invece attestata l’indipendenza del tribuno dalla coorte comandata o dalla regio dove i
propri sottoposti erano stazionati, alla stregua dell’autonomia operativa del centurione, il
quale poteva prendere sotto la sua responsabilità gruppi che amministrativamente non gli
appartenevano28: si delinea quindi una certa mobilità degli ufficiali di comando.
Il centurionato dei Vigiles si contraddistingueva per la coesistenza di personaggi
provenienti da orizzonti sociali fortemente differenti, dei quali le prospettive di carriera
erano dunque innegabilmente eterogenee.
Il rango di centurione, rispetto a quello di tribuno, era il più vicino ai soldati: tramite essi,
l’ufficiale rappresentava la materialità del comando e, al fine di marcare un legame più
personale con la centuria, le donava il suo nome o il suo gentilizio; tale atto sanciva
comunque un certo vincolo con il gruppo dei propri subordinati.
Gli incarichi diversi che incombevano agli ufficiali superiori portarono, al fianco di questi
ultimi, dei subalterni qualificati nel settore militare, senza tralasciare il dominio
giudiziario, amministrativo e tecnico: è indubbio che, come nelle legioni, uomini
alfabetizzati avevano ragguardevoli possibilità di scalate gerarchiche. Ciò nonostante,
nell’età dei Severi, gli addetti agli officia non furono trasformati in semplici impiegati
perché l’esonero dai munera pare infatti riferirsi ai turni di fatica quotidiana e non ai
combattimenti29.
4.3
I più rappresentati: principales, immunes e milites gregales
I rinvenimenti di vestigia, quali iscrizioni funerarie su monumenti o lastre sepolcrali,
correlabili al personale operativo del corpo dei Vigiles superano di gran lunga quelli
attribuibili
alle
gerarchie
superiori
ma,
nonostante
la
relativa
consistente
rappresentazione prospettica nel record archeologico, i principales, cioè gli ufficiali di
28
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 72: “Transfers from one century to another, however are not uncommon, *…+.
Transfers from one cohort to another also appear to have taken place,*…+”.
Inoltre è necessario contemplare l’esempio fornito dalla vexillatio di Ostia dove gli ufficiali, nel secondo
secolo, comandavano manipoli di uomini che non appartenevano necessariamente alla propria coorte o
centuria.
29
ALBANA 2010, p. 14.
58
grado inferiore ed i sottoufficiali, rimangono pur sempre meno conosciuti, in quanto
elencati in lunghe liste di nomi, allo stesso modo degli immunes, connotati da capacità
tecniche specializzate.
Gli immunes rientravano, in realtà, nel contesto plasmato da Augusto, il quale,
consapevole dell’importanza dell’istruzione e della cultura, ai fini di promuoverne la
diffusione, concesse a medici ed altre categorie immunità e privilegi vari, in un’ottica di
incentivazione della leva di personale competente e funzionale alle specificità richieste
dalla macchina operativa.
Entrambe queste due categorie, immunes e principales, poiché coinvolte in compiti
ritenuti prioritari per il funzionamento del corpo, erano esentati dalle fatiche più gravi, al
contrario dei gregales; la motivazione esimente per gli immunes30era conseguenza, come
visto, dello svolgimento di una attività sostitutiva, mentre per i principales faceva parte di
una serie di riconoscimenti connessi al grado gerarchico rivestito, derivando dunque da
una situazione diversa31.
Al momento attuale non sono attestati documenti di Vigiles del primo secolo d.C.32 e lo
studio può dirsi concentrato prettamente sul periodo della dinastia dei Severi,
precisamente sulle fonti epigrafiche ritrovate nel distaccamento di Ostia 33 e dalla
commemorazione solenne dell’accesso al frumentum publicum dei soldati34. Si tratta di
documenti archeologici che provvedono abbondanti informazioni sull’organizzazione
interna di una coorte. In generale, negli epitaffi è frequente la citazione dell’età del
defunto e degli incarichi svolti durante il servizio nelle cohortes vigilum, dati che ci
permettono di congetturare le potenziali carriere.
Le tradizionali regole dell’avanzamento militare rientravano nel corpo dei Vigiles,
nonostante le peculiarità del corpo, essendo stati comunque parte della guarnigione
urbana: sono noti tratti in comune con le coorti urbane e pretoriane.
30
SOUTHERN 2007, pp. 102-103: “The men who performed specialist duties were immunes, who were exempt
from fatigues, guard duties, laboring jobs, and other tasks such as latrine cleaning. Immunes are first
attested in the mid-second century, but the concept probably dates from a much earlier period. There was
no extra pay for specialists, and immunis was not a rank, but the men were allowed to devote their time to
their specific tasks.”.
31
ALBANA 2010, p. 7.
32
La prima menzione di un soldato dei Vigiles in un’iscrizione risale al 111 d.C. (C.I.L. VI, 222).
33
Le liste in C.I.L. VI, 1056, 1057, 1058 restituiscono i nome di oltre l’85% dei Vigiles conosciuti.
34
C.I.L. VI, 220.
59
La presenza di liberti che nel tempo si andò affievolendo ed il carattere particolare della
missione divennero un aspetto proprio della gerarchia del corpo.
Purtroppo non è dato conoscere nel dettaglio le modalità del passaggio da una truppa di
schiavi manomessi, riunita temporaneamente per la lotta contro gli incendi ad una
organizzazione propriamente militare con le sue coorti, le sue centurie, i suoi sottoufficiali
ed ufficiali35, che perdura anche nella tarda Antichità.
Nel mondo romano imperiale l’esercito era costantemente presente nella realtà
quotidiana, perché assolveva tutte le funzioni che la società attuale divide in categorie
eterogenee, quali polizia, custodia, riscossione imposte, amministrazione della legge,
costruzione di strade, artiglieri, architetti ed ingegneri36.
Le cohortes vigilum, quali frazione delle armate permanenti di Roma, all’interno del
proprio microcosmo, rispecchiavano analogamente una buona fetta di incarichi
determinanti per il corretto andamento della vita materiale dell’Urbs: siccome l’esercito
registrava gli addetti a compiti speciali quali membri delle singole centurie, il corpo dei
Vigiles procedeva esattamente allo stesso modo.
La denominazione della funzione dei Vigiles principales, infatti, derivava dalla specifica
attribuzione operativa del singolo, strettamente legato a un centurione.
È un dato di fatto la circostanza che i sottoufficiali ricoprissero più di una mansione tattica
dei gradi inferiori per accedere poi a quelli superiori.
La severa disciplina ed il rigoroso addestramento, che permettevano un alto livello di
specializzazione del corpo, portarono l’arruolato ad occupare un posto preciso e ad
assolvere funzioni ben definite, allo stesso modo di quanto accadevanel complesso
dell’armata imperiale.
Nelle posizioni gerarchiche elevate si distinguevano per anzianità di servizio i cornicularii37
(praefecti, subpraefecti, tribuni), posizione universalmente constatata in tutto l’esercito
romano, ma della quale non si ravvisano le concrete attribuzioni, ma solo una ipotesi di
avanzamento del proprio cursus nelle legioni come centurioni38.
Dopo questo sottoufficiale arrivava, tra quelli incaricati dagli ufficiali di determinati servizi
o chiamati presso di loro con ordinanze, con rango immediatamente inferiore, il
35
SABLAYROLLES 1996, p. 206.
SOUTHERN 2007, p. 77.
37
Il nome deriva dal corniculum cioè l’ornamento (cornua) portato sull’elmo quale segno delle sue funzioni.
38
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 77-78; SABLAYROLLES 1996, p. 208.
36
60
commentariensis praefecti, attestato in una sola iscrizione39 inerente ai Vigiles e altresì
nelle coorti urbane.
Del tabularius, verosimilmente responsabile degli archivi, se ne ha testimonianza anche
nelle legioni e nella flotta di Miseno40.
Il direttorio del corpo (prefetto, sottoprefetto e tribuni)si avvaleva di beneficiarii, scelti
personalmente, per utilizzarli negli impieghi più diversi: il loro numero variava in rapporto
al grado dell’ufficiale superiore, senza però che gli specifici incarichi loro conferiti
influissero nell’avanzamento ordinario e senza che un titolo speciale fosse concesso a
questa distinzione41. Secondo i calcoli realizzati tramite le liste della quinta coorte,
l’ufficio del prefetto dei Vigili avrebbe compreso 35 beneficiarii cioè un numero superiore
rispetto all’officium del legato della legione, mentre risulta che i beneficiarii subpraefecti
fossero due per coorte42; l’ufficio del tribuno dei Vigiles contava 11 beneficiarii, numero
analogo a quello dei codicilarii43.
Da un attento esame dei dati riportati nelle iscrizioni, si è giunti alla conclusione che il
posto di beneficiarius tribuni ritraeva verosimilmente l’anticamera di incarichi tattici e un
cambiamento di categoria, ossia una tappa obbligata nell’evoluzione della carriera di un
membro del corpo in vista di attribuzioni rilevanti nella gerarchia di comando.
Lo scioglimento della sigla pr pr, corrispondente al soldato più anziano della quarta
centuria sulla prima lista della quinta coorte, pone una certa complessità: se si paragona il
corpo dei Vigiles all’esercito, la funzione potrebbe essere stata quella di princeps
praefecti, ma in realtà, pur ignorandone completamente le mansioni operative,
sembrerebbe più accettabile quella di protector praefecti44.
Nel quartiere generale del prefetto dei Vigili, per disimpegnare compiti d’ufficio, appare
l’actuarius praefecti, con attività identica a quella del suo omonimo nelle legioni o nelle
39
C.I.L. VI, 37295; CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 63.
SABLAYROLLES 1996, p. 210; CAPPONI MENGOZZI 1993, pp. 63-64; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 79.
41
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 63. La presenza dei beneficiarii nell’esercito romano è nota da VEGEZIO, Epitoma
Rei Militaris II, 7: “*…+ Beneficiarii ab eo appellati quod promoventur beneficio tribunorum *…+”, il cui nome
deriva dall’attribuzione dei medesimi a beneficio dell’ufficiale.
42
SABLAYROLLES 1996, p. 214 e p. 238.
43
Ibidem, p. 223.
44
SABLAYROLLES 1996, p. 212.
40
61
coorti degli auxilia: egli era a capo del servizio amministrativo della coorte, avendo sotto i
suoi ordini gli exacti45, cioè i segretari dell’officium.
Gli a quaestionibus praefecti ricoprivano delle funzioni giudiziarie o meglio di polizia
investigativa, ed erano considerati specializzati negli interrogatori: dal momento che il
praefectus vigilum doveva pronunciarsi anche su incendi dolosi, furti e scassinamenti46, si
preannunciava l’obbligatorietà di una indagine per ottenere dei riscontri in fase di giudizio
attraverso un impianto probatorio.
Come tutti i corpi dell’armata imperiale, le cohortes vigilum veneravano le immagini
imperiali: di conseguenza esistevano degli imaginiferi in ciascuna coorte. Si trattava di una
carica di notevole livello, attribuita a soldati con una certa anzianità di servizio, i quali
erano superiori rispetto agli incaricati tecnici47.
Di altre due cariche piuttosto alte nel corpo urbano, determinate del grado dell’optio,
ruolo che delinea abilità strategica, capacità militari e competenze amministrative, si
hanno testimonianze epigrafiche, che attribuiscono alla mansione varie interpretazioni,
anche se si è certi della sua posizione superiore rispetto a molti altri gradi; questi
incarichi, alquanto enigmatici, sono descritti dalle sigle OPB(A) e OPA48.
Nello specifico si fa riferimento all’iscrizione in C.I.L. VI, 31075 in cui, in una processione
rituale, compaiono dei sifones, delle falces, degli uncini e, secondo alcuni studiosi delle
ballistae49, cioè le balestre con cui si lanciano pietre ed altri proiettili, affermando che i
Vigiles, in una dinamica di interscambio di tecnologie militari, se ne servissero negli
interventi antincendio per abbattere i muri pericolanti.
Questa utilizzazione risulta fortemente improbabile, al massimo accidentale, al contrario
dei Pretoriani, unici milites in Roma addestrati all’utilizzo di macchine da lancio, o dei
45
Ibidem, p. 212 e p. 224; Non essendo presente almeno un exactus praefecti per coorte, non si può stabilire
il numero degli stessi nel corpo dei Vigiles.
46
Secondo CAPPONI MENGOZZI 1993, pp. 64, i quaestionarii del prefetto sono Vigiles addetti, durante gli
interrogatori, ad applicare la tortura per ottenere le confessioni dai colpevoli.
47
SABLAYROLLES 1996, pp. 214-215; CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 64; BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 82-83.
48
SABLAYROLLES 1996, p. 215; CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 65; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 83.
49
MARTINO 2007, pp. 273-274: “I casi di tecnici militari, prestati a lavori civili attestati dalla documentazione
sono numerosi ed è facile ipotizzare che questi tecnici versino il bagaglio di esperienza accumulato sui campi
di battaglia nei lavori che sono chiamati a svolgere con finalità pacifiche. In questa affermazione c’è
senz’altro qualcosa di vero, eppure, da un punto di vista strettamente meccanico, andando ad analizzare
qualcuno dei numerosi tipi di macchine da guerra impiegati dai Romani sembrerebbe che essi non
escogitano mai usi civili delle loro macchine; solo per una tecnologia ignifuga sviluppata in ambito
poliorcetico è testimoniata una applicazione civile, da parte comunque di un corpo militarmente
organizzato, quello dei Vigiles.”.
62
legionari, dei quali si consta un uso più ampio dell’artiglieria pesante,senza però che il
grado di optio ballistarum 50 o ballistariorum figurasse tra i loro ranghi. Contro tale
supposizione si inserisce anche l’assenza nelle cohortes vigilum di architecti tra gli
immunes, cioè di uomini addetti alla fabbricazione e alla manutenzione dei pezzi di
artiglieria, e di ballistarii, dediti alla produzione e alla riparazione degli ordigni e dei
macchinari51.
Nonostante tali affermazioni a discredito dell’adozione di macchine da guerra per un uso
civile da parte della milizia dei Vigili, bisogna tenere conto della casualità della
trasmissione delle fonti scritte, della letteratura antica e delle iscrizioni, a cui deve essere
aggiunta con una certa attenzione e analisi 52 la lacunosità del record epigrafico a
disposizione, nonché l’ambiguità dei dati riscontrati negli autori del passato.
Più plausibile è sicuramente l’interpretazione di optio balneorum perché, come già
accennato, il servizio di polizia nelle terme incombeva ai Vigiles, e la presenza di tre
optiones per coorte sarebbe spiegata dalla quantità e dall’importanza delle strutture
termali a Roma53.
Tra le congetture figura anche un optio balteariorum, con un chiaro riferimento al
balteus, cioè la cintura militare aventi caratteristiche tali da ricondurla esplicitamente a
uomini delle coorti dei Vigili: la fragile opinione del Sablayrolles si enuncia come tentativo
di spiegare, al contempo, il soprannome popolare di sparteoli affibbiato ai Vigiles,
presupponendo l’esistenza di operativi, i quali usualmente avrebbero portato attorno alla
50
Ibidem 2007, pp. 275-277. Le epigrafi che riportano l’eventuale grado di optio ballistarum o ballistariorum
sono le liste raccolte in C.I.L. VI, 1057 e 1958. La negazione dei ballistarii fra i Vigiles da parte del prof.
Sablayrolles si basa principalmente sul fatto che ben tre optiones attestati contemporaneamente farebbero
pensare ad una presenza massiccia di pezzi di artiglieria e, conseguentemente, ad un uso frequente e
rilevante; per contrasto, nessuna attestazione della carica di optio ballistarum è trasmessa per le coorti
pretoriane o per le legioni, che facevano largo uso di artiglieria.
51
SOUTHERN 2007, p. 104.
52
MARTINO 2007, p. 277 “*…+ da Vegetio apprendiamo che una legione aveva cinquantadue carruballistae e
dieci onagri. La Colonna traiana mostra che almeno due uomini erano necessari per mettere in opera una
carruballista mentre da Ammiano Marcellino apprendiamo che per far funzionare un onager erano necessari
otto o nove uomini: in sintesi, in ogni legione c’erano un minimo standard di almeno 190/200 uomini che
potevano legittimamente fregiarsi del titolo di ballistarius (ma la cifra è inferiore al vero). Eppure, delle
migliaia di uomini che nell’arco della secolare storia imperiale di Roma devono aver servito come artiglieri,
la testimonianza epigrafica di uno solo si è preservata.”.
53
SABLAYROLLES 1996, p. 216. Per la movimentazione di tali macchinari servivan oanimali e carri, presenti nelle
centurie delle legioni, come risulta in SOUTHERN 2007, p. 104: “By the middle of the first century AD, it is
probable that each century had one artillery engine, firing arrows or stones. Goldsworthy (1996) estimates
that 70 wagons and 160 animals would be needed to carry the artillery of one legion.”.
63
vita, a modo di balteo, del cordame, il quale sarebbe stato indispensabile per arrampicarsi
sugli edifici54.
A seconda dell’interpretazione scelta per questa problematica figura delle coorti dei
Vigiles, compaiono poi le connesse funzioni degli aiutanti, intesi come a balneis o a
balteis: il primo sarebbe stato incaricato di aiutare l’optio nella sorveglianza delle terme
pubbliche, mentre l’altro avrebbe avuto il compito di occuparsi delle corde; se invece, per
quanto riguarda il superiore si fa riferimento alle balliste, gli a balneis ricevono un’esegesi
eterogenea, in quanto sarebbero probabilmente i preposti all’ordine dei bagni della
coorte55 o i guardiani delle latrine56.
Al di sopra delle impieghi esecutivi, si considera una missione particolare, di natura
finanziaria ed amministrativa, quella del librarius 57 , correlato ad un ufficiale 58 e
menzionato anche a proposito dello stato maggiore del legato della legione, inteso come
un depositario dei registri, ma che presenta forti difficoltà di decodificazione59 della
professionalità.
Come già ribadito, lo staff impiegatizio includeva un range di assistenti, con la
responsabilità della tenuta dei conti delle riserve di grano e di vari conteggi finanziari,
come la tenuta della cassa o la custodia delle paghe dei Vigiles non ancora ritirate.
Immaginando di percorrere la gerarchia dei Vigiles a ritroso, dagli incarichi superiori si
scenderebbe poi a tre gradi tattici 60 , scalini fondamentali da oltrepassare per i
sottoufficiali che desideravano accedere alle cariche elevate già considerate.
In un prestabilito ordine di importanza, nel team di ufficiali che coadiuvava il centurione
nell’esercizio dei suoi doveri, compare il vexillarius, l’optio e il tesserarius, organizzazione
rigorosamente identifica a quella degli altri corpi dell’esercito, con la sola differenza della
sostituzione del signifer con il porta-vessillo.
In effetti il corpo dei Vigili, avendo all’origine una struttura di base paramilitare, non
poteva possedere vere e proprie insegne, ma un vexillum per centuria, simbolo di
54
Ibidem, pp. 216-217.
Ibidem, p. 233.
56
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 67.
57
SABLAYROLLES 1996, pp. 217-218; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 82.
58
Vale a dire al prefetto e al sottoprefetto dei Vigiles oppure in SOUTHERN 2007, p. 105 si ipotizza che i librarii
fossero subalterni dei cornicularii, per quanto riguarda la legione.
59
Allo stato attuale delle conoscenze non si hanno dettagli sui diversi incarichi affidati ai librarii, in ragione
della loro vicinanza all’ufficiale.
60
Definiti da VON DOMASZEWASKI 1908, p. 10: “Taktische Chargen”.
55
64
inferiorità delle cohortes vigilum rispetto alle altre truppe della guarnigione urbana e
delle legioni. Tuttavia, essendo il vexillarius il più alto in grado nella gerarchia degli
incarichi tattici di una centuria, egli era responsabile del comando della medesima, a
fianco del centurione. Verosimilmente ricopriva funzioni devolute al signifer nell’armata,
quale quella, appunto, di custodire i depositi “apud signa”61 delle monete necessarie per
il pagamento dello stipendium a ciascun membro del corpo62.
L’optio era un altro subordinato del centurione 63 ma le esigue informazioni sulla
specificità dei doveri di tale carica non permettono di delineare un quadro preciso delle
sue mansioni64.
Infine il tesserarius sarebbe stato il sottoufficiale meno elevato in grado tra le cariche
tecnico-operative: compare più raramente sulle iscrizioni con indicazione delle attività
specifiche dei Vigiles, ed era così chiamato in quanto responsabile della trasmissione della
tessera, cioè della parola d’ordine tra i soldati65.
Tra gli incarichi inferiori, due designazioni speciali della coorte dei Vigiles sono
rappresentate dall’optio carceris e dall’optio convalescentium66.
La presenza di tre optiones carceris in ciascuna divisione del corpo, assistiti a loro volta da
tre carcerarii evidenzia una particolarità del servizio penitenziario svolto dalla Militia
Vigilum a differenza dell’esercito imperiale, in cui l’imprigionamento era una punizione
relativamente poco utilizzata67. É rilevante notare oltretutto che l’optio carceris esisteva
esclusivamente nella guarnigione urbana68 cioè quando la truppa assicuravapropriamente
funzioni di polizia.
Si può affermare, perciò, che optiones e carcerarii, quali responsabili delle prigioni,
dovevano la loro realtà alla specificità del ruolo dei Vigili nell’ambito cittadino: durante i
61
VEGEZIO, Epitoma Rei Militaris II, 20: “Illud uero ab antiquis diuinitus insitutum est, ut ex donatiuo, quod
milites consecuntur, dimidia pars sequestraretur apud signa et ibidem ipsis militibus seruaretur, ne per
luxum aut inanium rerum conparationem ab contubernalibus posset absumi.*…+”
62
SABLAYROLLES 1996, pp. 218-219.
63
L’optio risulta essere anche il diretto superiore del sebaciarius sui graffito dell’excubitorium della
quattordicesima regio a Roma.
64
SABLAYROLLES 1996, pp. 219- 220.
65
Le parole d’ordine, nell’ambito militare, probabilmente per entrare nel castrum, erano scritte su tavolette
di legno e consistevano in termini molto semplici a causa del diffuso analfabetismo dei semplici milites. Vedi
SABLAYROLLES 1996, pp. 220-221.
66
CAPPONIMENGOZZI 1993, p. 66.
67
WATSON 1969, p. 126: “Imprisonment was not in itself a form of punishment in the Roman army, but was
no more than a convenient means of detaining men awaiting trial or execution.”.
68
Nelle legioni si riscontra unicamente l’optio custodiarum (vedi WATSON 1969, p. 126), assistito dai
clavicularii.
65
pattugliamenti nelle ronde notturne oppure diurne, come nei complessi termali dell’Urbs,
i malfattori arrestati, in seguito deferiti al cospetto del tribunale del praefectus vigilum,
venivano immediatamente fermati e detenuti in appositi locali adibiti a tale finalità.
L’optio convalescentium era un rango analogo a quello dell’optio valetudinarii tra gli
Urbaniciani, i Pretoriani e gli Equites Singulares, vale a dire un sottoufficiale
dell’infermeria, responsabile amministrativo senza rapporti gerarchici di interdipendenza
nei confronti dei medici, i quali erano scelti in funzionedelle loro competenze scientifiche.
Questi ultimi costituivano oggettivamente una sorta di gruppo di immunes, cioè di
esentati dai servizi ordinari, per via dello svolgimento di particolari compiti di notevole
rilevanza che, probabilmente, esulavano dalle competenze prettamente militari; gli
immuni erano assegnati permanentemente alle coorti nell’ambito della riorganizzazione
augustea dell’esercito, dotandone, a sua volta, anche i reparti ausiliari.
L’importanza delle prestazioni medicali è sottolineata dal numero di medici per coorte
(quattro), superiore rispetto all’esercito, e certamente legittimata dai rischi insiti
nell’espletamento dei servizi di cui i Vigiles erano incaricati nel loro ruolo di pompieri, in
particolare se si ammette l’eventualità della presa in carico dei feriti negli incendi o nei
crolli69.
Il grado di OPA, sigla sciolta in op(tio) a(rmorum), pone il problema dell’armamento dei
Vigiles. Attestato esclusivamente sulla prima lista della quinta coorte dei latercula,
potrebbe figurare come un sergente armiere inserito in ciascuna divisione.
Se si ipotizza che tale personaggio potesse occuparsi dell’equipaggiamento di base dei
soldati, il suo titolo propenderebbe a considerare i Vigiles70o almeno una parte di essi,
armati a tutti gli effetti, per fare fronte alle funzioni di polizia notturna.Questa congettura
non è avvalorata da altre testimonianze epigrafiche ma è coerente con le modeste notizie
che fornisce l’iconografia funeraria dei membri delle cohortes vigilum.
Il tribuno si avvaleva, oltre che dei suoi beneficiarii e curnicularii, di un seguito formato
dal secutor, dal codicillarius, dall’exceptor e dal librarius.
Nel dettaglio, i librarii erano particolarmente numerosi nei tabularia, vale a dire negli
archivi, ed erano presenti in tutti gli officia dei vari comandanti, mentre i secutores
69
SABLAYROLLES 1996, pp. 226-227.
Ibidem, p. 227.
70
66
tribuni, come in tutte le truppe della milizia urbana, formavano la guardia personale del
tribuno.
Riservati esclusivamente al corpo dei Vigiles erano poi i codicillarii tribuni, senza
equivalenti nel resto dell’esercito, verosimilmente legati a mansioni specifiche di tipo
amministrativo, svolte all’interno dell’officium del tribuno.
Si intravede chiaramente un rimando ai sistemi di registrazione scritta, che erano
indispensabili per l’organizzazione interna del corpo, ma anche ai fini di una corretta
rispondenza finanziaria e politica tra l’amministrazione centrale e le stesse cohortes;
queste unità richiedevano numerosi gradi impiegatizi, Vigiles comuni e operatori
appositamente addestrati da personale esperto.
Un exceptor tribuni si trovava in ciascuna coorte, mentre la medesima carica nell’ambito
della prefettura non è sempre attestata71.
I bucinatores72, numerosi in ogni singola coorte (da un’iscrizione73 risulta che erano sette),
erano gli esecutori delle diverse suonerie che scandivano la vita quotidiana del vigile,
tramite la bucina, una tromba di bronzo che si ripiega circolarmente su sé stessa; per
esempio, davano i segnali di guardia e di intervento, annunciando alla truppa gli ordini
degli ufficiali attraverso il suono74.
In questo caso il parallelismo con l’esercito, le unità ausiliarie, la guardia pretoriana e gli
Equites Singulares è d’obbligo, anche se non risulta dalle fonti epigrafiche o scritte che tra
i Vigiles fossero presenti altri suonatori75.
La partecipazione di ulteriori elementi, invece,sembra molto probabile nell’ambito delle
allerta e della direzione delle forze di intervento verso un punto di incendio, situazioni in
cui serviva un violento suono di tromba, nettamente differente da quello emesso con la
bucina76. Per una similitudine con l’esercito, i costruttori di trombe rientrano tra gli
addetti che si occupavano della fabbricazione di armi ed equipaggiamenti77.
71
Ibidem, pp. 230-231.
SABLAYROLLES 1996, p. 229; CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 66; BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 87-88.
73
C.I.L. VI, 221.
74
Per esempio, un bucinator della settima coorte dei Vigiles è menzionato nell’iscrizione in C.I.L. XIV, 04526.
75
Quali i tubicen o i cornicen. Da ciò appare necessaria una precisazione: in VEGEZIO, Epitoma Rei Militaris II,
22 e III, 5 sono specificate le funzioni dei bucinatores della legione, vale a dire le chiamate dalle tende dei
milites e le cadenze di routine, mentre i suoni del cornicen e del tubicen riguardavano gli ordini tattici e nel
campo, impartiti dagli ufficiali.
76
SABLAYROLLES 1996, p. 380; SOUTHERN 2007, p. 159. Gli strumenti musicali, nell’ambito dell’esercito romano,
erano utilizzati per segnali tattici.
77
SOUTHERN 2007, p. 103.
72
67
L’excursus delle cariche della branca della milizia urbana presa in esame deve ora
proseguire con l’elenco delle funzioni tecniche subalterne, tra cui rientrano: i victimarii78,
vale a dire i ministri dei rituali di culto della coorte, i quali approntavano il materiale
necessario per i sacrifici, riscontrabili in tutti i corpi della guarnigione cittadina; i
carcerarii, ossia soldati incaricati della custodia delle prigioni nei corpi di guardia dei
Vigili79.
Per la mansione di horrearius, intesa come quella di responsabile e guardiano del
magazzino di riserve alimentari per la coorte, o di magazzini dello Stato80, sono affiorati
dubbi che propendono verso uno scioglimento diverso della sigla HC, leggibile sulle due
liste della quinta coorte. In primis, tale funzione non è documentata per quanto concerne
l’esercito, tuttavia nell’epigrafe censita in C.I.L. VI, 221 compare la parola HOR LEG,
riferita alla legione, che è stata tradotta, a seguito di un possibile errore di incisione, in
HORLOG, con riferimento pertanto al ruolo di horologiarius, indubbiamente noto nei
corpi militari; a fronte di ciò, si presume che le caserme dei Vigili fossero dotate di
horologi ex aqua, cioè di orologi ad acqua.
Incerto è anche il significato dell’abbreviazione UNC COH, nella maggior parte degli studi,
inteso come l’uncinarius cohortis, vale a dire il sottoufficiale equipaggiato con ganci, per
demolire le mura diroccate, il cui uso doveva essere frequentissimo nelle pratiche di
estinzione degli incendi, o con ramponi di ferro, per mezzo dei quali arrampicarsi e
passare da un muro all’altro ai fini di facilitare le operazioni81. Nel tentativo di trovare una
corrispondenza con l’esercito, la sigla potrebbe sciogliersi in modo discutibile in unctor,
inteso come un massaggiatore, che era deputato ad ungere e massaggiare il corpo dei
soldati nel bagno82.
Le fonti epigrafiche rivelano inoltre l’esistenza di un drappello di militi preposti a funzioni
decisamente specialistiche e tecniche come i siphonarii, responsabili delle pompe
utilizzate dai Vigiles nella lotta contro le conflagrazioni, gli acquarii, deputati
all’approvvigionamento di acqua e alla verifica del corretto funzionamento degli idranti
78
SABLAYROLLES 1996, pp. 231-232; CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 66; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 88.
SABLAYROLLES 1996, p. 232; CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 66; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 88.
80
RAMIERI, p. 11.
81
SABLAYROLLES 1996, p. 233; CAPPONI MENGOZZI 1993, pp. 66-67; BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 89-90.
82
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 66.
79
68
ante litteram nelle regiones della Roma imperiale, i centonarii, i sebaciariie gli emilutarii83,
responsabili delle attrezzature del corpo.
Nel dettaglio, i centonarii si occupavano probabilmente di preparare e, durante
l’emergenza, utilizzare e piazzare i centones cioè coperte di lana impregnate di acqua e di
aceto, le quali servivano per soffocare le prime fiamme scaturenti da un principio di
combustione.
Sono molteplici le teorizzazioni in merito a tale funzione, tra le quali acquista una certa
rilevanza quella che vede nel collegium centonariorum, una società di Vigili volontari, che
spontaneamente prestavano il loro servizio per l’estinzione degli incendi, congettura che
spiegherebbe tale tipologia di associazione diffusa nelle province dell’Impero, posta in
essere verosimilmente per supplire alla mancanza di unità di Vigiles dislocate fuori Roma.
Due
specializzazioni
controverse
nell’interpretazione
sono,
infine,
quella
del
sebaciarius84e quella dell’emitularius85, il cui studio è basato prettamente sui graffiti
dell’excubitorium della quattordicesima regio, rendendo possibile una rilevazione di tali
funzioni anche in altri distaccamenti, oltre che a Trastevere86; l’esegesi delle due parole,
altrimenti ignote e la definizione dei due servizi da esse indicati, hanno dato vita a diverse
ipotesi87.
L’unica certezza emersa in merito al ruolo dibattuto dei sebaciarii riguarda la durata del
servizio svolto all’interno di un gruppo di commanipuli nell’arco di un mese, a cui si
aggiunge la derivazione etimologica del termine, che potrebbe verosimilmente indicare
l’illuminazione notturna. A ciò si aggiungono informazioni che denotano una certa
gravosità nell’ espletazione di tale compito. Nelle iscrizioni viene manifestato il sollievo
per avere portato a termine un incarico non privo di rischio, cui sembrano alludere le
reiterate espressioni omnia tuta (tutto a posto), feliciter, sine querella (senza
inconvenienti) e simili.
83
SABLAYROLLES 1996, p. 234; CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 67.
Sulla discussione circa le funzioni ipoteticamente attribuite al sebaciarius, vedi SABLAYROLLES 1996, pp. 373378, CAPANNARI 1886, pp. 251-269; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 99-107.
85
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 90-93.
86
Ibidem, p. 99 ; in CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 138 si afferma : “Non si è ancora ben chiarito se questo era un
ufficio che rientrava nell’ambito di una serie di compiti assegnati alla postazione, o se era la funzione
esclusiva disimpegnata dal distaccamento nell’escubitorio oppure se, per caso, invece di essere assolto da
tutti i distaccamenti, questo era un servizio prestato soltanto da quello trasteverino.”.
87
RAMIERI 1990, p. 11.
84
69
Molteplici sono le congetture sui potenziali luoghi in cui i sebaciarii diffondevano la luce:
dalla caserma, al posto di guardia88, alle pattuglie lungo le strade, all’intera città di Roma
attraverso l’accensione dell’illuminazione pubblica (lanterne, lampioni); nello specifico in
occasione di feste pubbliche connesse con il culto imperiale89.
Nelle vie buie della capitale è presumibile che vi fosse la necessità di punti di riferimento:
da ciò, il Sablayrolles90, attribuisce al sebaciarius il compito della ubicazione delle torce
murali che potevano poi permettere alle ronde dei Vigiles di orientarsi nel dedalo
tortuoso di stradine dell’Urbs; questa teoria è suffragata dal rinvenimento di una face di
bronzo, durante gli scavi dell’escubitorio transtiberino, con connotazioni tali da poterla
considerare utilizzabile solo se infissa ad una parete91 di un edificio.
La pericolosità della mansione si chiarirebbe con il fatto che i punti luminosi erano
potenziali punti di incendio e giustificherebbe l’incombenza del servizio notturno affidato
propriamente ai Vigiles, ma non il suo alto indice di insicurezza.
Dall’esame dei dati oggettivi, si rileva che le sebaciaria erano pattuglie con compiti
speciali e particolarmente delicati dal punto di vista del rischio personale, tali da
riconsiderarle un qualcosa di più che una semplice ronda notturna adibita anche
all’illuminazione. Si trattava, plausibilmente, di pattuglie correlate a un genere particolare
di ispezioni92, se non addirittura a vere e proprie ricognizioni militari notturne93, che
venivano eseguite con l’ausilio di lanterne. L’attività dei sebaciarii poteva verosimilmente
consistere in un servizio straordinario di esplorazioni ed imboscate notturne eseguito da
una squadra di Vigiles, che dall’excubitorium si recava presso luoghi sospetti infestati da
malfattori, i quali potevano servire da nascondiglio agli schiavi evasi94.
88
Illuminare le sedi dei Vigiles non pare giustificare la necessità dell’istituzione di un servizio così
importante, come quello dei sebaciarii.
89
Molte iscrizioni che nominano i sebaciarii non sono altro che frammenti di tavole votive.
90
SABLAYROLLES 1996, p. 376.
91
CAPANNARI 1886, pp. 261-262. Si tratta di una fiaccola in bronzo, rinvenuta in perfette condizioni,
scomponibile in quattro parti e conclusa in alto dal contenitore per l’olio a forma di fiamma, l’estremità
inferiore è a punta acuminata ed il lucignolo è praticato lateralmente, così da suggerire una posizione
inclinata di circa 45° della face, poggiata ed assicurata contro il muro da una staffa e da un braccio di ferro.
92
In CAPPONI MENGOZZI 1993, pp. 142-143 si immagina un servizio notturno dei Vigiles, alla ricerca di ladri e
fuggitivi, non solo entro la cerchia della città di Roma, ma anche in luoghi disagiati e campestri, e quindi più
pericolosi.
93
CARAFA PACCHIAROTTI 2012, p. 556.
94
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 143.
70
Di ancora più difficile determinazione rimane la figura dell’emitularius, uno dei
commanipuli del sebaciarius; a causa della ridotta presenza del termine nelle fonti
epigrafiche95: anche per questo vocabolo sconosciuto sono state date varie spiegazioni.
La teoria più accreditata corrisponde a quella di un milite che condivideva con il
sebaciarius, per un mese, la grave incombenza96 di quest’ultimo, ossia un vigile designato
a svolgere un incarico preciso collegato con le attività specifiche e tecniche del corpo, e,
presumibilmente, di natura temporanea97.
Il parallelo tra l’organizzazione dei Vigiles e quella degli altri corpi dell’esercito non
sempre offre risultati effettivi: alcune ipotesi prodotte dagli studiosi nel tempo, per poter
essere confermate, necessitano di nuove scoperte epigrafiche.
Legioni e coorti dei Vigiles costituivano, soprattutto a livello di organizzazione della
gerarchia subalterna, due entità fondamentalmente differenti, la cui composizione era
dovuta a tradizioni e vincoli di servizio diversi: per questa ragione, non possono essere
postulate supposizioni delle une in base alle altre98 a seguito dalla lacunosità delle fonti.
Nonostante ciò, come esiste una logistica nell’esercito romano, anche nell’universo dei
Vigiles è indubbio che fossero presenti diverse situazioni, a livello dei servizi espletati e
delle funzioni, sia nelle loro caserme sia nell’espletamento delle funzioni attribuite.
4.4
La sorveglianza delle terme
Una giurisdizione particolare dei Vigiles giustificata dai loro poteri di polizia, era quella
esercitata nei complessi termali, luoghi in cui essi rappresentavano l’autorità pubblica,
come è testimoniato da un graffito (C.I.L. VI, 3052) dell’excubitorium della
quattordicesima regione, che allude ad uno speciale distaccamento inviato alle Thermae
Neroniane99.
95
L’emitularius è menzionato soltanto due volte nei graffiti dell’excubitorium della settima coorte, riportate
in C.I.L. VI, 3057 e 3076.
96
RAMIERI 1990, p. 12. Le altre ipotesi riguardano la derivazione da hama e quindi l’incarico di portare un
secchio nelle pattuglie notturne, oppure più suggestiva è l’indicazione di un vigile incaricato di cuscini e
materassi stesi a terra per il salvataggio di chi si lancia dall’alto.
97
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 145.
98
SABLAYROLLES 1996, p. 222.
99
C.I.L. VI, 3052. SABLAYROLLES 1996, pp. 107-108 e pp. 278-279. A seguito dell’epiteto dato dall’iscrizione alle
terme, sono sorti parecchi dubbi in quanto la datazione del sito è di età severiana e non neroniana, e, al
71
Questa tipologia di incombenza affidata alla milizia dei Vigili legittimerebbe la
considerazione di un optio balnearum, anche se i bagni pubblici erano comunemente
indicati con il termine thermae.
I delitti a cui dovevano far fronte gli addetti alla vigilanza delle termeerano quelli
commessi dai capsarii, cioè dai ladri di vestiario ed oggetti personali, i quali, a livello di
competenza giuridica erano prerogativa del praefectus vigilum100.
La missione del piantonamento delle terme, data in esclusiva alle cohortes vigilum,
rientrava in un logico piano di safety & security, a causa del particolare rischio presentato
da tali immobili in relazione al pericolo di incendi. Innanzitutto occorreva proteggere ler
iserve di materie prime presenti in tali siti, quali l’acqua, il legno ed il carbone 101 da rischi
vandalici, oltre che tutelarle nei riguardi della microcriminalità, indotta inevitabilmente
dall’andirivieni di persone. É noto inoltre che, spesso, proprio dalle terme o dalle cisterne
pubbliche, i Vigiles si rifornivano di acqua per arginare le conflagrazioni, rappresentando
perciò i bagni pubblici dei punti di passaggio obbligato.
Con riferimento alla tipologia del servizio, prettamente diurno, non è chiaro il motivo
dell’assegnamento del medesimo al corpo dei Vigili, che, perlomeno nel momento iniziale
dell’istituzione del corpo, si caratterizzava soprattutto per le funzioni espletate durante le
ore di buio102.
Solo con il principato di Alessandro Severo venne consentita l’apertura notturna delle
terme103. Anni prima, nel 210 d.C., l’imperatore Antonino Caracalla Severo decise di fare
installare delle file di torce nelle vie intorno ai balnea perché, saltuariamente, l’orario si
protraeva fino alla tarda serata, quando l’oscurità aveva già preso il sopravvento.
Oltre ai bagni e alle palestre, nelle terme si trovavano giardini, passeggiate coperte da
colonnati, saloni da riposo, e perfino biblioteche e veri e propri musei; gli enormi
quadrilateri degli edifici pubblici erano circondati nella parte esterna da portici animati di
gente e affollati da clientela delle innumerevoli botteghe: un ritmo di vita notturna così
contempo, sono emerse problematiche nella definizione di un ipotetico piano di sorveglianza dell’Urbs da
parte dei Vigiles.
100
SABLAYROLLES 1996, p. 108 e p. 279, nota 117.
101
Legno e carbone erano i materiali per il riscaldamento delle varie unità di un ambiente termale,
potenzialmente incendiabili, di conseguenza pericolosi per lo sviluppo di conflagrazioni.
102
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 101.
103
TACITO, Historia Augustii 24.
72
convulso difficilmente poteva articolarsi in condizioni di buio totale o con il semplice aiuto
di portatori di lanterne104.
L’intervento dei Vigiles divenne dunque basilare:la produzione di luce era necessaria e,
verosimilmente realizzata dall’ufficio della sebaciaria, ma, al tempo stesso, era
ragguardevole il servizio di sorveglianza offerto ai fini di proteggere i frequentatori da
potenziali eventi delittuosi. L’affidamento di tale incarico, da parte dell’imperatore alla
milizia dei Vigili avvenne primariamente in virtù del tipo di servizio da essa prestato,
nonché come conseguenza dell’uniforme distribuzione cittadina delle loro caserme e dei
loro posti di guardia, prerogative che rendevano queste truppe urbane le più consone ad
espletare una mansione di questo genere.
4.5
Le attività diurne del corpo dei Vigiles
L’evoluzione della figura del vigile, dalla genesi all’età severiana, comportò
indubbiamente un incremento dei compiti da assolvere. Il maggior peso di questa
evoluzione di compiti, nel complesso sistema di sicurezza cittadina della capitale, derivò
dalle mansioni di polizia, concretizzate fondamentalmente nei pattugliamenti notturni
che, nel procedere del tempo, vennero attivati anche di giorno 105 , attraverso una
ripartizione di competenze con le cohortes urbanae.
L’attività militare dei Vigiles non terminava quindi alla fine della notte, quando le ronde di
security ed il lavoro di polizia venivano interrotti.
Indubbiamente il servizio antincendio relegato in via esclusiva alle cohortes vigilum venne
reso operante anche alla luce del sole: il corpo era chiamato ad intervenire nel suo ruolo
chiave per le conflagrazioni che scoppiavano, numerose, anche dall’alba al tramonto.
La principale missione, vale a dire il lavoro di prevenzione, imponeva dei compiti specifici
che potevano essere portati avanti solo nel corso della giornata. Per esempio, il prefetto,
o meglio i suoi subordinati, erano responsabili dell’equipaggiamento elementare della
lotta contro gli incendi, il quale non poteva esimersi dall’essere custodito in ciascuna
104
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 142.
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 101.
105
73
abitazione106, consistente nello specifico in un minimo di riserva di acqua e in attrezzi
quali scope e centones, considerati parte della casa medesima.
In realtà, questa funzione di informazione del pubblico e di controllo dell’attuazione delle
disposizioni, necessitavano di turni di ispezione che i Vigiles effettuavano quasi
certamente durante il giorno.
Era poi naturale la loro collaborazione con il personale della cura aquarum nella vigilanza
e nella manutenzione delle installazioni collettive, mediante l’individuazione congiunta
dei punti facilmente raggiungibili e prioritari in caso di incendio.
Nel corpo, erano verosimilmente presenti reparti specializzati e chiaramente esentati dai
pattugliamenti cittadini notturni, quali gli uffici amministrativi, legati alle funzioni
giudiziarie del prefetto: le ore diurne potevano essere riservate al disimpegno dei
procedimenti conseguenti ai rastrellamenti notturni di microcriminali o incendiari.
Di giorno poi, potevano esserci Vigiles incaricati della ricerca degli schiavi fuggitivi o
destinati a sorvegliare i bagni pubblici107.
Infine, tra le specifiche del lavoro, in orario quotidiano, non si può dimenticare, alla
stregua dell’intero esercito romano, la vita della coorte: registrazioni, archiviazioni,
contabilità, gestione del personale, organizzazione delle pattuglie, dei turni di guardia, la
costruzione e la manutenzione delle dotazioni e degli equipaggiamenti, ed altre tipologie
di servizi indispensabili per un efficiente funzionamento di ciascuna unità di Vigiles.
L’addestramento delle nuove reclute avveniva sì, certamente di notte, ma anche in piena
luce: l’uso delle tecnologie in dotazione, la conoscenza degli edifici e soprattutto dei
tragitti di raggiungimento dei vari siti, in cui il percorso cittadino era suddiviso per
facilitare la ricognizione in situazioni di emergenza, erano tutti fattori essenziali per
ottenere poi una certa rapidità di intervento108.
Si evince che una tale moltitudine di mansioni, relegate ad un corpo paramilitare,
progettato per missioni notturne, erano comunque portate a termine anche durante la
giornata, come avveniva inesorabilmente in tutti i corpi dell’intera armata imperiale.
106
Digestum I, 15, 3, 4 e XXXIII, 7, 12, 18.
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 138.
108
SABLAYROLLES 1996, pp. 380-382.
107
74
4.6
Gli “equites Vigiles”: probabilità, ma senza nessuna prova
Nello studio delle fonti antiche, ai fini del tentativo di una ricostruzione storica fattibile, è
valido più che mai il motto “the absence of evidence is not the evidence of the absence”,
meglio conosciuto con l’espressione latina argumentum ex silentio.
É altamente improbabile che un corpo ben strutturato a livello militare come quello dei
Vigiles non comprendesse un certo numero di uomini a cavallo, verosimilmente per
l’espletamento delle funzioni di polizia urbana.
Nelle due liste dei latercula del Celio non vi è menzione di Vigiles a cavallo, ma appare
strano che almeno gli ufficiali, alla stregua di quelli delle altre sezioni della guarnigione
urbana, non si muovessero in tale modo per le principali arterie di Roma109.
L’ipotesi dell’esistenza di distaccamenti di cavalieri è nata essenzialmente in base ad
un’iscrizione, catalogata in C.I.L. VI, 3045, rinvenuta tra i graffiti tracciati sulle mura
dell’excubitorium trasteverino della settima coorte, relativa al contestato servizio della
sebaciaria, pur tuttavia di difficile interpretazione con riferimento a questo argomento.
Tale epigrafe riporta:
S. Iuli Aemilianus
7 sebaciarius
centuria eques factus
Sempre relativamente alle possibili attestazioni di questo ruolo, in un altro graffito in cui
compare il nome dell’imperatore Marcus Antonius Gordianus, riportato in C.I.L. VI, 3020,
compare il disegno di un cavallo.
109
Come è spiegato più avanti, l’espressione del Digestum I, 15, 3, 3, prevede che il praefectus vigilum si
muovesse a piedi durante la notte, ma essa potrebbe rappresentare una semplice metafora, per indicare le
modalità di svolgimento dei reparti operativi dei Vigiles nocturni, traslitterandole nella figura del
comandante supremo. Non si può tuttavia escludere che si trattasse di una vera e propria disposizione
giuridica che imponeva al comandante dei Vigili di muoversi allo stesso modo dei suoi uomini, specie
durante le operazioni notturne.
75
La
principale
spiegazione
viene vista in una definizione
burlesca tra i compagni d’armi
che,
attraverso
i
tituli
memoriales sulle pareti del
corpo di guardia, si sarebbero
presi in giro a vicenda110. A ciò
si aggiunge che all’interno
dell’excubitorium,
tra
le
pitture scomparse, ve ne
sarebbero state alcune di
soggetto equino111.
Un ulteriore segnale positivo
viene dai resti monumentali
della caserma di Ostia: la
presenza nell’atrio ai due lati,
in prossimità dell’ingresso, di
due fontane o abbeveratoi,
con i relativi castelli d’acqua, che potrebbero indicare l’uso di cavalli o muli112. Non vi
sono tuttavia tracce di stalle all’interno dell’edificio, come pure nelle altre strutture
architettoniche identificate in Roma come caserme di Vigiles.
Per la funzione antincendio i cavalli presumibilmente sarebbero serviti per il trasporto dei
macchinari e degli altri equipaggiamenti collettivi fondamentali per circoscrivere le
fiamme, nonché per l’eventuale azionamento degli stessi, in particolare dei siphones.
Se, ad esempio, si vuole prendere per vero l’uso delle balliste da parte dei Vigiles, la mole
ed il peso di queste apparecchiature sarebbe stato tale da rendere dubbio un
trasferimento dal luogo di deposito al sito di intervento, con la sola forza umana; oppure
eventuali carri per l’invio delle dotazioni utili, quali le pompe o per il trasloco della stessa
acqua in recipienti, sarebbe stato penoso e lento senza cavalli od animali da soma.
Sicuramente il traino con animali veloci come i cavalli avrebbe consentito una maggiore
110
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 68.
Ibidem. Immagine tratta da RAMIERI 1990, p. 10.
112
Ibidem, p. 185.
111
76
rapidità di azione e, quindi, una migliore efficienza ed efficacia dell’attività dei pompieri di
Roma imperiale.
Di più dubbia definizione è la ronda notturna a cavallo, improponibile nelle strade strette,
tortuose e buie della capitale; non è da escludere che incaricati di rango più elevato dei
semplici milites vigilum, con mansioni di controllo del servizio di vigilanza effettuato dai
subordinati, fossero tenuti a raggiungere al galoppo i vari posti di guardia, allo stesso
modo di quanto accadeva nell’esercito, come informano gli autori antichi 113 , per
assicurare la continuità e l’espletamento del servizio.
4.7
I servizi fuori Roma
Si trattava di attività affidate ai Vigiles in siti esterni alla città ma con un’importanza
strategica, che avevano una palese connotazione di tipo militare.
Un distaccamento di Vigiles ad Ostia, a partire dall’età dei Flavi114 fino al principato di
Gordiano III, è una notizia sicura, mentre la presenza a Pozzuoli, nell’antica Portus, rimane
solo verosimile poiché l’ipotesi non è ancora avvalorata da prove archeologiche di qualità
architettonica, ma esclusivamente da iscrizioni115 e da un breve cenno di Svetonio116;
verosimilmente a Portus potrebbe essere stato stazionato un picchetto di guardia in un
excubitorium, molto ridimensionato rispetto alla vexillatio di Ostia.
Questa tipologia di servizio è considerata, con riserva, l’unica che allontanava gli uomini
delle cohortes vigilum da Roma, sempre che non si vogliano considerare singole missioni
di cui abbiamo testimonianza, le quali conducevano gruppi di uomini del corpo dei Vigiles
nei territori provinciali dell’Impero. Erano missioni probabilmente collegate al commercio
113
2
POLIBIO, Historiae VI, 33-37; VEGEZIO, EpitomaReiMilitaris III, 8; in CAGNAT 1877 , pp. 869-870:: “Le moment
arrivé, le cavalier à qui est échue la première veille fait sa ronde, accompagné de quelques amis comme
témoins. S’il trouve le premier post éveillé, il reçoit de lui une tessère ; s’il le trouve endormi ou si quelqu’un a
quitté sa place, il prend à témoin ceux qui l’accompagne *…+”.
114
Già lo stesso Augusto, conscio dell’importanza strategica che il porto di Ostia rivestiva per gli
approvvigionamenti di Roma, provveddette a collocare in loco la VI coorte pretoria, assegnandole compiti di
diversa natura, tra i quali figura presumibilmente anche quello della vigilanza contro il fuoco.
115
SABLAYROLLES 1996, p. 308.
116
SVETONIO, De Vita Caesarum XXV,2: “Puetolis et Ostiae singulas cohortes ad arcendos incediorum casus
collacavit.”.
77
via mare117, e, secondo i documenti, dopo il terzo secolo, espletate soprattutto quando le
coorti erano ormai completamente militarizzate.
In effetti, incarichi speciali dovevano necessariamente venire affidati a figure senz’altro
armate, in modo che fossero autosufficienti a livello di difesa personale o del manipolo di
commilitoni.
Nel corso del principato di Domiziano si intese trovare una soluzione stabile al problema
di safety & security dei magazzini, delle merci e delle attrezzature portuali e annonarie di
Ostia, nonché delle residenze signorili e delle abitazioni intensive, assegnandole un
presidio fisso di militi appositamente addestrati e riorganizzando in altre forme la
vexillatio ivi già presente 118 . In quel momento dell’età imperiale, il distaccamento
comprendeva l’equivalente di quattro centurie di Vigiles forniti a turno dalle sette coorti,
che stazionavano nel porto con turni di quattro di mesi, sotto gli ordini di due tribuni, in
origine, e poi di un solo ufficiale, il praepositus vexillationis, eventualmente coadiuvato
dal sottoprefetto119.
Tale varietà di servizio è confermata dalle iscrizioni, dove si individua la sistematica
formula “Ostiis descendere”120. Dagli studi effettuati sui reperti archeologici rinvenuti in
sito, è presumibile supporre che le attività, svolte durante la permanenza ostiense della
vexillatio, fossero coincidenti con quelle esercitate comunemente nella capitale. In
particolare le tradizioni tipiche del corpo erano riproposte, come pure la celebrazione del
culto imperiale, segnalata dall’Augusteum della caserma e dalle molteplici epigrafi
dedicatorie; i turni di guardia erano altresì scanditi dai suoni dei bucinatores, e, le funzioni
delle pattuglie erano le medesime di quelle plasmate e sperimentate a Roma 121.
I Vigiles erano realisticamente le sole truppe regolarmente permanenti nel porto: Ostia e
Pozzuoli avevano un’importanza vitale e strategica per la capitale dell’Impero. Di
conseguenza è indubbio che gli uomini del reparto distaccato fossero strettamente
117
MASTINO 2011, p. 2: “Si tratta di un diploma militare che contiene tra l’altro un estratto del rescritto
imperiale rilasciato da Filippo l’Arabo e da suo figlio in occasione del congedo per malattia ad uno dei Vigiles
di una coorte urbana di Vigili, particolarmente impegnato in diverse aree dell’impero, protagonista di una
serie di missioni speciali fuori dalla capitale, probabilmente in compagnia di altri colleghi. *…+la sezione
sarda del documento, che ricorda una missione speciale effettuata dal vigile M. Aurelio Muciano
probabilmente accompagnato da un distaccamento della II Cohors vigilum Philippiana partito da Roma il 28
maggio e trattenutosi in Sardegna fino al 15 agosto 245, durante l’età di Filippo l’Arabo e di suo figlio
Cesare, presso il procuratore provinciale*…+ ”.
118
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 188.
119
SABLAYROLLES 1996, p. 383.
120
C.I.L. XIV, 4499, 4500, 4501, 4503, 4505, 4506, 4508, 4509.
121
SABLAYROLLES 1996, pp. 383-384.
78
vincolati all’impegno di assicurare la pubblica sicurezza. D’altra parte si può vedere, senza
dubbio, che essi svolgevano prettamente incarichi di polizia, distanziandosi ampiamente
dal mero contesto della prevenzione degli incendi: rispetto ai primordi del corpo nella
prima età imperiale, il prestigio, nonché l’autorevolezza delle cohortes vigilum erano via
via aumentate.
La sorveglianza del porto avveniva in concordanza con i frumentarii, i quali si occupavano
dell’incanalamento delle derrate giunte dal mare, verso l’interno della città di Roma122.
Portus rappresentava la località per antonomasia del principale scalo marittimo di Roma,
a nord della foce del Tevere, su un bacino artificiale costruito dall’imperatore Claudio ed
implementato in età traianea. Qui sono venute alla luce numerose iscrizioni di Vigiles, che
confermerebbero la presenza, perlomeno in epoca tarda, di una stazione permanente 123.
Non è detto che l’assenza di attestazioni debba per forza negare l’invio di distaccamenti di
Vigiles in altre località strategiche per le rotte commerciali: l’esempio più eclatante è dato
dallo studio del prof. Attilio Mastino124 sulle congetture circa le motivazioni della missione
di un distaccamento della II Cohors vigilum Philippiana nel 245 d.C., in Sardegna, provincia
frumentaria.
In tal caso, si immagina la presenza di una unità di Vigiles nel portus di Olbia per
accelerare l’imbarco di grano sardo, necessario, in un momento di crisi125, per le esigenze
dell’annona militare o dell’annona di Roma. Tale deduzione era in linea con l’interesse
dell’imperatore per il rifacimento della viabilità stradale in Sardegna.
Il controllo di un porto sardo da parte di Vigiles sarebbe poi da mettere in relazione con la
successiva attività a Pisa e a Luni126, punti terminali della rotta da Olbia, dopo la fine del
periodo di mare clausum invernale; altre supposizioni in corrispondenza di missioni
simili127, riguardano la lotta al brigantaggio locale, oppure l’invio di un distaccamento di
una coorte, in modo da costituire parte della scorta del nuovo procuratore della
122
FREIS 1967, p. 15.
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 190.
124
MASTINO 2011.
125
Ibidem, p. 4. Si fa riferimento alla spedizione danubiano-balcanica di Filippo l’Arabo contro i Quadi ed i
Carpi.
126
DEMOUGIN LORIOT 2007, pp. 320-321. Il trasferimento a Luni del vigile è interpreto con un legame
all’estrazione e al trasporto del marmo e al commercio del legname destinato all’Urbe.
127
In MASTINO 2011, p. 7, nota 19, ci si riferisce nello specifico all’iscrizione in C.I.L. XI, 6107, che ricorda una
missione affidata ad un pretoriano con venti soldati della flotta di Ravenna, per combattere dei latrunculi
lungo la via Aemilia, negli stessi anni del trasferimento di Mucianus nella provincia di Sardegna.
123
79
provincia, al momento della presa in servizio in Sardinia, territorio che non presenta
sostanzialmente una grande attestazione di compiti di natura militare.
Distaccamenti di Vigili sono noti anche nei porti di Puteoli e Civitavecchia, in cui pare la
loro presenza fosse da mettere in relazione alla sorveglianza di una villa imperiale, più che
al portus ed, infine a Cartagine128.
Le missioni extra-Urbe sono, in realtà, la prova del risalto acquisito nel tempo dalle
cohortes vigilum nell’ambito dell’esercito, le quali, con le riforme dei Severi, perdettero
gran parte delle loro incombenze originarie, per divenire inevitabilmente delle formazioni
militari a tutti gli effetti.
128
MASTINO 2011, p. 8, nota 19.
80
5. EQUIPAGGIAMENTO e DOTAZIONI
5.1
Il problema della ricostruzione dell’equipaggiamento dei
Vigiles
Come gli altri militari che accompagnavano, proteggevano e sorvegliavano i
rappresentanti del potere e gli edifici civili, mescolandosi nel composito quadro della più
grande metropoli antica, anche i Vigiles, al tempo stesso, dovevano segnalare la loro
presenza sottolineando la loro strutturale differenza rispetto ai cittadini attraverso
l’abbigliamento, l’atteggiamento ed il ruolo1.
Le risorse materiali degli studi sull’esercito romano sono vaste e varie, ma non sempre
coese e coerenti2; a maggior ragione, a causa della loro limitatezza quantitativa, ciò si
manifesta ampiamente nell’ambito delle cohortes vigilum, dove appare assai arduo il
raffronto tra il record archeologico inerente l’equipaggiamento, purtroppo molto scarso,
le iscrizioni e la letteratura.
Se, d’altronde, è molto difficile dare un circostanziato e completo ritratto dell’esercito di
ciascun periodo storico dell’Impero Romano nella sua complessiva durata, è ancora più
difficile operare un’analisi diacronica e sincronica sull’aspetto di quella frazione di
guarnigione urbana costituita dai Vigiles, a causa dell’esiguità delle testimonianze, la
quale determina il consueto problema dell’aspetto pratico della ricostruibilità
dell’armamento romano. L’approccio della ricostruzione archeologica deve essere umile
e pieno di dubbi, in quanto si può arrivare ad una ricostruzione plausibile ma difficilmente
ad una realtà assoluta. Talvolta, pur avendo un reperto a disposizione non è sempre dato
di conoscerne l’utilizzo: tanto più, dove le prove materiali sono pressoché insussistenti,
l’orientamento dello studio non può avere presunzioni di offrire una ricostruzione reale.
La storia dell’arte agevola sì la ricostruzione dell’esercito romano, ma mostra soltanto
quanto nel tempo è stato filtrato: l’arte romana, a causa della scomparsa ad esempio dei
1
SOUTHERN 2007, p. 152: “*…+ so it is clear that soldiers and civilians were distinguishable from each other just
by looking at their clothing.”. Il concetto della distinzione tra soldati e Vigili attraverso l’abbigliamento è
palese.
2
Ibidem, p. 5.
81
colori e delle applicazioni metalliche, appare incompleta agli occhi dello studioso
contemporaneo: anche se un monumento non appare più nella sua uniformità, è tuttavia
utile come base per la ricostruzione, poiché recenti studi hanno dimostrato che l’arte
romana è tutt’altro che convenzionale, e che gli artisti Romani ben sapevano quello che
rappresentavano.
La problematica è ancor più complessa in relazione ai Vigiles: la scarsità iconografica delle
steli tombali non consente di intuire raffronti e comparazioni certe interne al corpo, ma
solo di fare ipotesi sull’equipaggiamento e perlopiù fuori dalla guarnigione cittadina.
Si intuisce che nella quotidianità del mondo romano gli appartenenti a tale milizia non
erano visti come eroi da celebrare: i Vigiles non erano coloro che conquistavano nuovi
territori ed apportavano nuove risorse, come i legionari, vero veicolo di romanizzazione
dell’impero; la normalità del lavoro svolto dagli uomini di questo settore della
guarnigione urbana, pur con interventi in situazioni di enorme rischio, li faceva entrare
nella routine di Roma antica, senza alcun clamore o interesse notevole destato dagli
storici.
Risulta doveroso tenere a mente che qualsiasi presunzione circa equipaggiamento, armi,
dotazioni ed uniformi dovrà necessariamente rappresentare un punto fermo,
difficilmente individuabile con precisione, nell’arco temporale dei quasi cinque secoli di
esistenza di questo corpo, durante i quali si assistette ad una progressiva e continua
trasformazione delle connotazioni delle coorti, alla quale non poteva rimanere estranea la
modifica dell’immagine individuale dei singoli membri e l’evoluzione della moda e del
costume romano, che non era ovviamente identico in tutti i periodi della sua storia.
La penuria di informazioni risultanti dalle rappresentazioni figurate e le ridotte
testimonianze archeologiche di strumenti sicuramente attribuibili alle tipiche funzioni
svolte dai Vigiles ci inducono a tentare una ricostruzione sulla base, principalmente, delle
notizie provenienti dalla letteratura.
Appare evidente che, in ambito storico, i principali riferimenti letterari ai Vigiles
riguardano l’espletamento delle mansioni di guardie cittadine, spesso in collaborazione
con le coorti urbane, piuttosto che la loro specifica competenza antincendio3.
3
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 54.
82
Un fattore di notevole interesse, trasferibile con sicurezza dall’esercito ai Vigiles, è la
variegata moltitudine di uniformi, armature ed equipaggiamenti, difformi a seconda del
modo in cui erano state procacciate e delle funzioni dei singoli operatori.
Il rinvio fondamentale, da cui iniziare l’analisi ricostruttiva, è il testo del giurista Paolo nel
Digestum, ove sono indicati i doveri del prefetto dei Vigili con l’espressione:
«[…] par totam noctem vigilare debere et coerrare calceatum hamis et dolabris*…+»
(Digestum I, 15, 3, 3)
La frase evoca figurativamente, attraverso il praefectum vigilum descritto come un
semplice miles, i doveri dei Vigiles durante le ore notturne4, specificando che essi
dovevano correre, indossando verosimilmente le caligae o i calcei alla stregua di qualsiasi
appartenente al mondo militare romano.
L’ipotesi che i Vigiles indossassero le caligae militari è suffragata anche da un graffito
dell’excubitorium della quattordicesima regione indicato in C.I.L. VI, 3053 in cui sul lato
sinistro della tavola ansata, compare la frase “oleum in caligas”, riferita al servizio della
sebaciaria. Tuttavia il termine calceatus è suscettibile di molteplici interpretazioni: oltre a
caligatus, può venire inteso come falcatus o falcitus, cioè dotato di arponi (falces) oppure
potrebbe riferirsi a calzari idonei alla corsa.
Più verosimilmente calceatus si riferisce invece alla circostanza che all’epoca di Paolo le
scarpe chiuse (calcei) avevano prevalentemente soppiantato le caligae, aperte e allacciate
con cinghie contigue; ancora il termine calceatus potrebbe riferirsi appunto alla calzature
del prefetto, che portava certamente calcei chiusi e non le caligae del miles.
Secondo il Sablayrolles 5 , la precisazione “coerrare calceatum” sottolineerebbe che
l’attività essenziale di un vigile altro non era che il pattugliamento a piedi con secchia ed
ascia, dunque con palesi funzioni antincendio. In altri studi, invece, il termine calceatus si
relaziona all’opera di vigilanza in senso generale, considerato che i Vigili prestavano il loro
servizio in abiti e calzari militari6.
4
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 100; RAINBIRD 1976, p. 108.
SABLAYROLLES 1996, p. 355.
6
CAPPONI MENGOZZI1993, p. 76.
5
83
5.2
Gli strumenti dell’antincendio nelle fonti: eventuali ipotesi
Di tutte le competenze del corpo dei Vigili, la più rilevante e pericolosa era senz’altro
quella relativa agli incendi: squadre di Vigiles in abito militare ed appositamente
equipaggiati percorrevano le zone di Roma loro assegnate, pronti ad intervenire7 di fronte
a qualsiasi imprevisto.
Con riferimento all’indicazione fornita dal Digestum, la dolabra era una particolare
tipologia di arma immanicata utilizzata come ascia, piccone o martello, costituita da un
lungo manico con inserita una lama in ferro, la quale si presentava appuntita ad una
estremità, mentre dall’altro lato era a fendente ricurvo.
Le indicazioni che riconducono a tale
forma sono note dall’iconografia di una
epigrafe rinvenuta nel territorio di
Aquileia8, nella quale il personaggio, un
dolabrarius
collegii
fabrum,
è
raffigurato con tale strumento, di cui
era l’artigiano costruttore, tenuto con
la mano sinistra e appoggiato sulla
medesima
spalla
9
.
Sono
poi
innumerevoli i ritrovamenti di dolabrae
nei campi militari degli eserciti romani
dal primo secolo a.C. al settimo secolo d.C.
L’impiego di questo arnese, presente nella dotazione dei legionari10e nelle funzioni di
vigile come soldato del fuoco, era chiaramente in relazione con l’abbattimento di ostacoli
sia in muratura che in legno.
Per quanto concerne l’ascia vera e propria, la securis (termine generico), quale strumento
di distruzione con cui si tentava di circoscrivere le fiamme11, è necessario fare riferimento
7
RAMIERI 1990, p. 14; RAINBIRD, p. 189. La principale differenza rispetto ad oggi è data dalle modalità di
intervento: oggi le pattuglie dei Vigili del fuoco sono allertate in caso di incendio mentre in età romana
erano le ronde dei Vigiles a scoprire dei principi di combustione durante il pattugliamento, dove erano poi
obbligati ad agire il più velocemente possibile, per scongiurare danni elevati.
8
C.I.L. V, 908. Immagine tratta da SAGLIO 1892, p. 329.
9
SAGLIO1892, pp. 328-329; BOSCOLO 2002, p.93; SABLAYROLLES1996, p. 355; RAINBIRD, pp. 139-140.
10
CONNOLLY 1981, p. 239: “Each legionary had to carry a sow, basket, pickaxe (dolabra), *…+”.
84
ad un’altra iscrizione funeraria di Roma, catalogata nel C.I.L. V, 908 ma non pervenutaci,
relativa al centurione T. Coelius Sentinianus12 della seconda coorte dei Vigili, originario di
Forum Cornelii.
In tal caso, il Corpus Inscriptionum Latinarum riporta la raffigurazione di una scure tra le
lettere D(is) e M(anibus), ma ignorando purtroppo la collocazione geografica del
supporto, se superstite, di tale epigrafe, non sono giunte a noi riproduzioni dello
strumento connotante il lavoro di Sentinianus, il vigile defunto commemorato
nell’epitaffio.
Nell’immagine tradizionale di Roma nell’Antichità, il vigile che svolgeva le funzioni
antincendio è concepito con una secchia contenente l’acqua destinata all’estinzione delle
fiamme: spesso tali recipienti erano passati di mano in mano, in modo da formare una
catena umana dalla più vicina fonte di acqua al sito dell’incendio.
L’efficacia dell’operato del corpo in materia di spegnimento delle fiamme era
strettamente congiunto all’abbondanza di acqua nell’Urbs, servita da diversi acquedotti e
dotata di numerose fontane pubbliche in ogni quartiere, oltreché di cisterne d’acqua
piovana e di pozzi nei giardini e nei cortili delle case13.
Non sono pervenute a noi ulteriori delucidazioni circa le caratteristiche ed il materiale di
fabbricazione delle suddette secchie, dette hamae, anche se è verosimile ipotizzare che
fossero più leggere di quelle tradizionali in metallo. Secondo la maggior parte degli
studiosi14, proprio le secchie in dotazione durante le ronde notturne sono le reali artefici
del soprannome di sparteolii assegnato ai Vigiles, per via della lavorazione delle stesse in
legno di giunco probabilmente cosparso di pece15(definite vasi spartea pice illita),per
renderle appunto più adatte e resistenti al trasporto di liquidi.
Non bisogna però pensare che secchia ed ascia fossero l’esclusivo emblema della figura
dei Vigiles, in quanto tali arnesi rientravano già ugualmente nell’equipaggiamento
individuale del legionario, come puntualizzato dall’autore Flavio Giuseppe nella prima età
imperiale16.
11
RAMIERI 1990, p. 16.
SABLAYROLLES 1996, pp. 615-616.
13
RAMIERI 1990, p. 14.
14
KELLERMAN 1835, p. 2; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 97 ; RAINBIRD 1976, p. 136.
15
RAMIERI 1990, p. 15.
16
FLAVIO GIUSEPPE, BellumIudaicum III, 95.
12
85
Anche le corde erano parte attiva delle molteplici spiegazioni proposte circa l’origine
dell’epiteto di sparteolii17: è indubbio che i Vigiles facessero largo uso di cordame, per
scalare le facciate degli edifici o per passare da una costruzione all’altra. La modalità di
trasporto più conveniente di questi materiali fibrosi, intrecciati e resistenti alla trazione,
poteva essere o sulla spalla o proprio a modo di cintura, comunque arrotolati.
Dalle corde in dotazione, inoltre, potrebbe essere derivata la presenza di optiones
baltearii, non supportata però dall’epigrafia che, con l’abbreviazione BA o BAL, lascia
spazio ad altre ipotesi (ballistarum, balneorum).
I confronti con le tecniche poliorcetiche antincendio, per l’interpretazione degli arnesi
riconducibili con certezza ai Vigiles, hanno portato ad argomentazioni concernenti l’uso
degli stessi, alla stregua di un passaggio del Digestum18 relativo ad un frammento di un
testo di Ulpiano, mal decodificato perché separato dal suo contesto.
Se si vagliano le abilità militari dei Romani negli assedi e nelle espugnazioni delle città,
non si può non riprendere in considerazione la già enunciata diatriba sull’uso della
ballista19 da parte del corpo dei Vigiles20. Per spiegarne la funzione in contesti urbani,
alcuni esegeti hanno paragonato tali macchinea lancia-pietre, destinate ad abbattere da
lontano e senza pericolo gli edifici in fiamme o quelli vicini all’incendio, per circoscriverlo
ed impedirne la diffusione21, mentre altri hanno ipotizzato che fossero utilizzate per
lanciare ingenti quantità di aceto racchiuse in contenitori ceramici di forma sferica,
destinati ad infrangersi contro il fuoco per soffocarlo22.
All’inizio del terzo secolo d.C., periodo al quale sono datate le iscrizioni che recano le sigle
attribuibili all’optio ballistarum o ballistariorum, il termine ballista indicava una macchina
17
Da molti studiosi la derivazione del soprannome sparteolus dalla corda portata arrotolata in vita dai
Vigilesè ritenuta l’esegesi più coerente; in particolare RAINBIRD 1976, p. 136: “*…+ that ‘sparteoli’ would have
been more likely to refer to ropes than buckets.”. Il termine di per sé derivava dalla parola sparto, il
materiale fibroso vegetale con cui venivano realizzati i cordami, le ceste per i proiettili ed anche certi
indumenti militari.
18
Digestum XXXIII, 7, 12, 18 : “Acetumquoque, quod exstinguendiincendii causa paratur, item centones,
siphones, <perticaequoquae et scalae> et formiones et spongias et amas et scopascontineriplerique et
Pegasus aiunt.” .
19
CONNOLLY 1981, p. 301; RAINBIRD 1976, pp. 150-152.
20
In particolare, con riferimento all’analisi effettuata in MARTINO 2007 sull’interscambio tra tecnologia civile
e militare; in ibidem, p. 266 rende noto un comportamento anomalo che si verifica nella città di Roma: “*…+
alcune macchine da guerra romane sono una ripresa ed un adattamento militare di soluzioni escogitate per
un uso civile.”.
21
VON DOMASZEWSKI 1908, p. 10.
22
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 97.
86
lancia-giavellotti23, per cui può dedursi che tali macchinari fossero altresì destinati a scopi
di polizia e di mantenimento dell’ordine pubblico, mansioni perfettamente rientranti nella
sfera di azione dei Vigiles nell’ambito dell’evoluzione della safety & security dell’antica
metropoli imperiale24.
La visione del Sablayrolles, fortemente prudente nell’assegnare tali strumentazioni alla
milizia dei Vigili, è influenzata dalle affermazioni di Eric William Mardsen25, secondo il
quale l’artiglieria era un’arma di prestigio a Roma e pertanto il suo possesso ed uso era
limitato alle legioni. Tuttavia le attestazioni epigrafiche, interpretabili a favore dei Vigiles,
risalgono ad un’epoca in cui essi erano tenuti in grande favore presso la casa imperiale
per il sostegno dato a Settimio Severo contro i suoi oppositori sostenuti dai Pretoriani.
Secondo le obiezioni di Salvatore Martino26, le eventuali efficacia ed utilità dei lanciapietre nel combattere i disastrosi incendi che colpivano Roma possono di certo far
passare in secondo piano le considerazioni relative al prestigio associato ad una specifica
arma.
Bisogna tener presente che la ballista era un macchinario da combattimento in campo
aperto e risultava efficace solo se vi era una certa distanza rispetto all’obiettivo da
colpire: le vie all’interno della capitale, strette e tortuose, male si sarebbero prestate alla
sua utilizzazione27nella lotta contro il fuoco28.
L’esistenza della figura di un uncinarius 29 (o meglio di un uncarius) evoca tra altre
dotazioni strumenti di piccola taglia, quali uncini o ganci, recentemente interpretate
come idonei alla rimozione delle macerie degli edifici che potevano costituire ulteriore
23
MARTINO 2007, p. 276.
MARDSEN 1971, p. 194: “On the whole, I favor the view that, whichever type of artillery they possessed, the
Vigiles employed it for police work.”.
25
MARDSEN 1971, pp. 185-187.
26
MARTINO 2007, pp. 277-280; nello specifico, viene espresso un ragionamento che porta ad una adozione
dei lancia-pietre nell’equipaggiamento dei Vigiles, a partire dai postumi dell’incendio neroniano del 64 d.C.
quando risulta che le ballistae erano utilizzate, probabilmente dai Pretoriani, per creare un’ampia zona
libera abbattendo degli edifici in modo da circoscrivere le fiamme; certamente l’uso di tali macchinari
rimaneva comunque inusuale nella città di Roma, fortunatamente per via della non drasticità di tutti gli
eventi incendiari. A tal riguardo si presuppone una eventuale custodia presso gli armamentaria publica, con
una chiara similitudine con gli odierni arsenali delle caserme dei Vigili del Fuoco.
27
SABLAYROLLES 1996, pp. 367-368.
28
MARDSEN 1971, p. 194.
29
RAINBIRD 1976, pp. 141-142.
24
87
combustibile per il fuoco incendiario30; tuttavia, non va tralasciato che spesso tali oggetti
vengono rinvenuti in siti propriamente militari.
Anche il falciarius era presumibilmente un vigile addetto all’abbattimento di muri.
Secondo le testimonianze letterarie le falces erano largamente adoperate nell’arte
poliorcetica, ma attestate nelle dotazioni dei Vigiles solo dal quarto secolo d.C.31: a
differenza dell’uncus, la falx, pur nelle sue numerose forme32, si connotava per la lama
curva con il lato concavo tagliente.
Seguono poi tutta una serie di strumenti assegnati alla milizia dei Vigili per mezzo del
sopraccitato passaggio del Digestum, relativo ai legati di una domus, nel quale in realtà si
stabilisce meramente la distinzione tra instrumentum domus e la portio domus e,
all’interno dell’instrumentum, si classifica ciò che rientra nel vincolo testamentario o di
compravendita dell’immobile e quanto invece non può farne parte33.
Vengono elencati due gruppi di oggetti: quelli del primo raggruppamento (acetum,
centones, siphones) sono semplicemente giustapposti, mentre quelli del secondo gruppo
sono coordinati gli uni agli altri tramite congiunzioni (perticae, scalae, formiones,
spongias, amas, scopas). Qualche riga più sotto34, Ulpiano spiega ciò che lega tra loro
questi ultimi e chiarifica che gli oggetti del secondo gruppo sono strumenti per la pulizia
della casa, i quali non possono essere separati dalla casa medesima lasciata in eredità35.
Appare palese che tale lista di oggetti non aveva nulla a che vedere con la lotta
antincendio ed è sbagliato volerli attribuire per forza ai Vigiles, come invece vorrebbe il
30
SABLAYROLLES 1996, pp. 357-358. Viene illustrata la teoria a favore dello scioglimento dell’abbreviazione
VNC in uncarius piuttosto che uncinarius, perché un semplice portatore di uncini in una coorte dei Vigiles
non giustificherebbe il grado specializzato e lo stato di immune; a ciò si aggiunge il fatto delle minuscole
dimensioni di tali strumenti, inidonei all’abbattimento di muri, come precedentemente supposto, in
un’ottica di decodificazione dell’uso degli attrezzi con similitudini all’arte dell’espugnazione delle città
fortificate (Poliorcetica).
31
RAINBIRD 1976, p. 142 e p. 148. La sola menzione di falces in relazione ai Vigiles è presente in C.I.L. VI,
31075, iscrizione datata al 362 d.C.
32
Nel Tropaeum Traiani ad Adamklissi in Romania (monumento commemorativo delle guerre daciche) è
scolpita una scena di un combattimento contro i Daci alcuni dei quali sono armati con la falx.
SOUTHERN 2007, pp. 16-17: “*…+ a sword with a curved tip like a large bill hook, that could slice off arms with
appalling ease.”.
Tale arma venne fatta propria dai Romani a partire dalle guerre daciche ed utilizzata ancora nel tardo
Impero.
33
RAINBIRD 1976, pp. 17-18: “*…+ the list of firefighting equipment given by Ulpian *…+ is not a list of
equipment used by the Vigiles (except coincidentally) but is a list of items of property which belong with the
fabric and fittings of a house and which cannot be sold except along with the house.”.
34
Digestum XXXIII, 7, 12, 22: “Item perticae quibus araneae detergantur, item spongiae quibus colomnae
pavimenta podia extergantur, scalae, quae ad lacunaria admoueantar, instrumenti sunt quia mundiorem
domum reddunt.”.
35
SABLAYROLLES 1996, pp. 358-359; MARTINO 2007, pp. 263-264.
88
Baillie Reynolds, secondo il quale, ad esempio, le pertiche, ossia i pali, sarebbero servite a
rinforzare i muri sul punto di crollare, i formiones, consistenti in stuoie di giunchi,
all’evacuazione dei feriti e le spongiae (cioè le spugne) ad umidificare i muri36, senza però
fornire spiegazioni sulle scope comprese nell’armamentario.
D’altro canto, può ritenersi tecnicamente fondato l’equipaggiamento con scale per
rendere di sicuro più agevole la messa in sicurezza di cose esposte all’assalto del fuoco.
L’aceto, i centones (ossia le coperte) e le pompe, estratti dal frammento della fonte
letteraria, hanno un assodato rapporto con la lotta antincendio37, ma la problematica
sorge a causa della loro ubicazione in una domus privata.
L’uso dell’aceto per l’estinzione del fuoco è testimoniato da numerosi autori antichi. In
ogni caso, il suo potere refrigerante non è superiore a quello dell’acqua, anzi nella sua
composizione chimica entra dell’acido che ne diminuisce a paragone l’efficacia. Il suo uso
sembra più propriamente associato ai centones: l’impiego di tali panni imbevuti d’aceto
per proteggersi dalle fiamme era una pratica corrente, riportata anche da molteplici
trattati militari38.
É ammissibile che i Vigiles potessero servirsi del potere solvente dell’aceto, che,
penetrando pelli e tessuti, rendeva i centones più resistenti all’azione del fuoco e, di
conseguenza, ulteriormente adatti per proteggersi dal calore, assicurando loro una più
elevata protezione individuale
39
. Riprendendone l’uso militare manifesto nella
poliorcetica, si potrebbe inoltre ipotizzare l’utilizzo dei panni ad elevato potere ignifugo
su vere e proprie protezioni antincendio unite in formazione, sul tipo della testudo40,
destinate a proteggere gli uomini che lavoravano a stretto contatto con le fiamme41. In
aggiunta, si è congetturata l’applicazione di centones sui siphones, per avvicinare meglio il
loro getto al fuoco 42 , oppure direttamente sulla divisa dei Vigiles impegnati nello
36
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 96-97; RAINBIRD 1976, p. 161. L’utilizzo delle spugne nell’antincendio è attestato
per i matricarii.
37
SABLAYROLLES 1996, p. 359; MARTINO 2007, p. 264.
38
VEGEZIO, De Re Militari IV, 14, 15, 17; CESARE, Bellum Civile II, 10, 6; VITRUVIO, De Architectura X, 14, 3.
39
SABLAYROLLES 1996, p. 360; ; MARTINO 2007, p. 265.
40
MARDSEN1969, p. 175; MARTINO 2007, p. 266: “Questo tipo di scudatura deve però eventualmente
considerarsi molto più piccolo del suo parente poliorcetico. Bisogna infatti tener presente che esso, nel caso,
sarebbe destinato a dover essere mosso rapidamente per le strette stradine di Roma, onde raggiungere
celermente il luogo dell’emergenza, oppure velocemente assemblato in batteria nei pressi del focolaio *…+”.
41
Se si considera veritiera tale asserzione, secondo MARTINO 2007, pp. 265-266, si comprende la necessità
della partecipazione della corporazione dei centonarii, insieme con quella dei fabrie dei dendrophori, alla
lotta contro l’incendio.
42
SABLAYROLLES 1996, p. 367.
89
spegnimento del fuoco. Non si può nemmeno escludere che i centones costituissero vere
e proprie vesti protettive dei Vigiles43.
Proprio l’elemento più problematico circa l’interpretazione del suddetto passaggio del
Digestum, vista la presenza a scopo d’approvvigionamento idrico in numerose abitazioni
private, è dato dalle pompe, i siphones, utilizzati al di là di ogni dubbio, grazie a numerose
e concordi testimonianze 44 , per domare le fiamme: si trattava di macchinari con
sicuramente un posto di rilievo nell’ambito dell’equipaggiamento collettivo di ciascuna
coorte, come risulta dalla presenza dei siphonarii e degli aquarii nelle liste della quinta
coorte degli inizi del terzo secolo d.C., capaci non solo di prelevare acqua, ma anche di
sollevarla e spingerla con forza a grande altezza.
Il siphonarius era il responsabile delle manovre di azionamento della pompa, per le quali
necessitava di una certa quantità di uomini o eventualmente di animali (probabilmente
cavalli, buoi o muli), mentre l’aquarius45 era colui che dirigeva il prelievo dell’acqua
occorrente ad alimentare il macchinario. Da deduzioni logiche, per svolgere nel modo
migliore il loro servizio, si può presumere che i Vigiles, oltre ad unità operative notturne,
con scopi per lo più perlustrativi delle vie di Roma, possedessero molteplici unità di
allerta, suscettibili di intervento in caso di pericolo: sono verosimilmente queste ultime le
detentrici delle pompe nel loro equipaggiamento collettivo46, per evidenti motivi logistici
e di trasporto che rendono inadatti i siphones alle dotazioni mobili delle ronde
ordinarie47.
La lacunosità delle testimonianze circa le dotazioni della milizia nello specifico reparto
dell’antincendio non permette di affermare se l’uso dell’alumen, vale a dire un composto
43
D’AMATO 2009, p. 46.
Per approfondimenti circa i siphones, vedi SABLAYROLLES1996, pp. 361-367; BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 9496; CAPPONI MENGOZZI1993, p. 122, VON DOMASZEWSKI1908, p. 14; RAINBIRD, p. 109 e pp. 137-138.
Questa attrezzatura viene esportata nella parte orientale dell’Impero, dove sarà utilizzata ancora nel
settimo secolo d.C. e dove, a rovescio, diventerà anche lo strumento con cui veniva eiaculato in battaglia il
temibile fuoco marino, l’arma segreta di Bisanzio.
45
Anche il ruolo dell’aquarius è controverso. CAPPONI MENGOZZI1993, p. 122: “*…+ gli Acquarii fossero i Vigili
scelti dal prefetto tra i più diligenti per delegare loro quell’incarico di sua competenza, consistente
nell’avvisare tutti gli inquilini di tener sempre pronta nei loro appartamenti acqua sufficiente a servire in
caso di incendi, poiché da solo non ce la faceva a disbrigare questo oneroso ufficio.”.
46
Ibidem, p. 379
47
CAPPONI MENGOZZI1993, pp. 137-138: “Queste ronde notturne, equipaggiate con secchi e picconi,
intervenivano immediatamente in occasione di un incendio o in caso di allarme *…+. Non siamo in grado di
stabilire da quanti Vigili fossero composte queste pattuglie inviate ogni notte da ciascuna coorte, tuttavia è
ovvio che nelle caserme fosse lasciato un cospicuo contingente, che senz’altro comprendeva la squadra
addetta alle pompe antincendio, visto che sarebbe arduo ritenere che queste macchine venissero portate
fuori sede nel corso delle perlustrazioni notturne.”.
44
90
in grado di preservare il legno dal fuoco (sostanza forse simile all’attuale vetriolo), oppure
del sale possano risultare veritieri, così come per quanto concerne una particolare
mistura di sabbia e urina.
Tra i ferramenta, vale a dire gli attrezzi in ferro utilizzati per circoscrivere gli incendi48,
emersi dagli scavi dei secoli passati specialmente sull’Esquilino49, ma purtroppo oggi non
si sa dove conservati, è stata trovata tutta una serie di armamentari del mondo romano
che ha mantenuto una forma costante nel tempo.
Alla fine dell’Ottocento non si aveva la certezza dell’appartenenza di tali reperti
archeologici al corpo imperiale dei Vigiles, ma buone erano comunque le probabilità di
attribuzione, ossia che le cohortes vigilum ne facessero uso nell’espletamento del loro
servizio, in base alle analogie con le dotazioni dei Vigili del fuoco contemporanei agli
studiosi.
In particolare si trattava di ramponi, di una falx, cioè una roncola, che rientra nella
dotazione del falciarius attestato dall’epigrafia, di accette50, di un avanzo della lama di
una sega, diverse tipologie di martelli ed una raccolta di cazzuole, pale e zappe per le
quali si può presumere l’appartenenza all’equipaggiamento tecnico51.
Ogni coorte aveva un vexillarius: ciò significa che i Vigiles erano muniti di insegne, oggetti
di culto tradizionale nell’esercito, ma la loro già citata ambiguità per non essere né civili,
né militari, si ritrova nell’organizzazione e nel simbolo medesimo.
Il vexillum era allusivo di una condizione di inferiorità, in assenza di un signifer, perché
marcava il carattere non propriamente militare della truppa, oltre al fatto che tale
tipologia di insegna non era altro che lo strumento di riconoscimento o di manovra di un
raggruppamento temporaneo, oltreché l’emblema di un drappello militare
52
.
Paragonandone la sua funzione a quanto in dotazione in ambito militare, potrebbe essere
plausibile un suo utilizzo nella Roma notturna, per orientarsi in caso di grandi incendi
oppure in occasione di festività, come i Bacchanalia o i Saturnalia, durante le quali i
Vigiles erano chiamati a prestare servizio tutta la notte.
48
Il termine ferramenta, nelle fonti scritte, è comunque riferito esclusivamente ai matricarii (535 d.C.) ossia
ai Vigiles del tardo Impero.
49
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 134.
50
Le accette sono di diverse tipologie: accettone, ascia terminata da una parte a forma di martello, etc.
51
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 134.
52
SABLAYROLLES 1996, pp. 385-386; VON DOMASZEWSKI1908, p. 11.
91
Le fonti tarde parlano di sorveglianza notturna con guardie munite di campanelli, per
essere in grado di segnalare dove tra i caseggiati c’era bisogno di accorrere; esiste solo
un’altra attestazione di tale usanza nell’antica Grecia53, ma considerandone l’efficacia tale
asserzione potrebbe essere veritiera anche già dai primordi del corpo, ed è
iconograficamente attestata.
5.3
L’armamento individuale
Gli uomini delle cohortes vigilum, o almeno alcuni di essi, erano indubbiamente armati.
Le funzioni di polizia notturna esercitate dai Vigiles in aggiunta al ruolo dell’antincendio, il
loro frequente intervento in operazioni propriamente militari e l’esistenza di un optio
armamentarii54 tra le varie cariche di una singola coorte, confermano tale ipotesi in modo
inequivocabile. Come pure la rafforza l’ordinamento puramente militare della
guarnigione, in quanto l’attività di polizia è tipicamente affare di gente armata e, altra
faccia della medesima asserzione, gli uomini armati divengono quasi naturalmente i
destinatari di compiti e responsabilità di polizia55.
L’arresto dei rei o dei sospettati e la loro incarcerazione e sorveglianza richiedeva inoltre
personale dotato in qualche modo di armi di difesa e di offesa: per il mondo romano e
specialmente per i milites la concezione del dare e distribuire la morte era una visione
abituale, completamente diversa da quella odierna, e gli appartenenti ai Vigiles non
potevano esimersi dal farla propria, seppure nelle loro controversa posizione.
Nonostante ciò, lo stato attuale delle fonti56 non ci permette di descrivere precisamente
le armi in dotazione ai Vigiles se non procedendo attraverso la ragionata discussione di
determinate tesi.
53
CAPPONI MENGOZZI1993, p. 52.
MACMULLEN 1960, p. 23.La presenza di un custos armorum o armamentarii indica che le armi erano
custodite, non dai singoli Vigiles, ma depositate in una stanza o più della caserma o dell’excubitorium, sotto
la tutela di tale figura.
55
SBRICCOLI 2009, p. 374.
56
L’iconografia restituisce poche prove a causa della esiguità del numero di testimonianze e del loro stato di
conservazione, in particolare se si considera il solo documento senza dubbio attribuito ad un vigile, vale a
dire la stele di Q. Iulius Galatus, troppo rovinata per riuscire a comprendere se si trattava di una
rappresentazione realistica o convenzionale.
54
92
Stando al Baillie Reynolds 57 ,
nella guarnigione alcuni Vigili
erano muniti di fustes e
flagellae, cioè bastoni e fruste,
per infliggere le punizioni
corporali sommarie decretate
dal praefectus vigilum nei casi
di
sua
competenza
come
riportato nel Digestum
58
,
anche se non esistono testimonianze tali da rendere inconfutabile questa affermazione.
Va altresì menzionato che nel tardo Impero la produzione di armi ed armature
rappresentava una priorità59 dalla quale non potevano essere esclusi di certo i Vigiles,
ormai considerati a tutti gli effetti un’istituzione militarizzata: nel terzo secolo d.C. è
difficile immaginare che non fossero dotati di armi difensive (scudi ed elmi) ed offensive
(pugnali e spade). D’altronde i mosaici di Ostia ci forniscono una preziosa fonte sugli scudi
dei Vigiles già nel secondo secolo d.C60.
57
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 98;CAPPONI MENGOZZI1993, p. 135.
Digestum I, 15, 4.
59
SOUTHERN 2007, p. 260.
60
Foto Dr. D’Amato Raffaele, Laboratorio Province Danubiane, Università degli Studi di Ferrara.
58
93
Come per tutte le truppe dell’esercito imperiale, le coorti dei Vigili erano provviste di un
proprio deposito di armi, cioè un armamentarium, dove custodire in modo collettivo gli
strumenti da offesa e da difesa61. Tale armamentarium poteva essere direttamente
collegato ai centri di manifattura dei medesimi62.
Facendo riferimento al Rainbird63, è legittimo immaginare i Vigiles con le loro scure
portate alla cintura, alla quale appendevano anche altro equipaggiamento,probabilmente
di piccola taglia.
Secondo l’opinione comune, nell’unico monumento funerario figurato disponibile del
Vigiles Galatus, si identificherebbe nel modello iconografico un gladio, il quale ricorda e
sottolinea senza alcuna perplessità l’appartenenza del defunto al mondo militare64.
In merito ad altre supposizioni circa la dotazione di armi da offesa, quali ad esempio il
pilum, è difficile darne un’interpretazione coerente: più giustificabile potrebbe essere il
riconoscimento di bastoni sfollagente, connessi con mansioni di ordine pubblico,
eventualmente notturno, nell’ambito della security della capitale.
A conclusione, distinguendo tra le due funzioni (offesa e difesa), gli addetti alla pubblica
sicurezza dovevano inevitabilmente essere armati, pronti sia ad offendere che a
difendersi: scutum, pilum, spada e pugnale erano le armi fondamentali di coloro che
vigilavano le vie della città di notte, ma al contempo anche altri dispositivi di protezione
individuale quali lorica, elmo e schinieri non dovevano essere considerati estranei a tale
formazione.
5.4
La divisa dei Vigiles
Come riguardo agli equipaggiamenti individuali degli uomini del corpo, anche in relazione
all’uniforme, praticamente nulla si sa. Il principale problema dell’abbigliamento è dovuto
al fatto che non vi sono possibilità di analogie, come invece, al contrario accade per gli
strumenti65, per cui sarà ineluttabile procedere per congetture.
61
MACMULLEN1960, pp. 23-24, nota 4.
Qualora la manifattura delle armi venisse affidata ad artigiani civili, essi sarebbero stati in ogni modo
controllati dallo Stato.
63
RAINBIRD 1976, p. 186.
64
FRANZONI 1987, p. 111.
65
Ibidem.
62
94
Nell’unica testimonianza archeologica funeraria certa, la lapide funeraria di Q. Iulius
Galatus in C.I.L. VI, 2987, l’effigie si presenta oggi talmente consunta che è arduo cogliere
i particolari della veste66.
Si può asserire, con una presunzione di certezza, che i Vigiles si fossero propriamente
adattati a vestire chiaramente in stile militare, pur con le dovute precauzioni relative
all’ibridità del corpo, vestendo l’ordinaria tunica militaris, indumento che qualifica tutti gli
appartenenti all’esercito. Generalmente, la tunica era formata da due quadrati o
rettangoli di tessuto, uniti insieme, con una parte aperta per la testa ed altri due fori per il
passaggio delle braccia; le maniche, di solito, erano corte: divennero generalmente
lunghe per i soldati a partire dal terzo secolo d.C.
In realtà, questa veste propende ulteriormente ad inserire le cohortes vigilum nel sistema
militare imperiale, della capitale nello specifico, anche se è doveroso ricordare che
nell’Antichità il livello di standardizzazione era davvero limitato: non è mai esistita, per
qualsiasi corpo, una uniforme vera e propria, probabilmente la conformità era data
soltanto dal colore (talvolta) per lo stesso tipo di reggimento.
Questa consuetudine potrebbe scaturire dalla certezza che, almeno durante il principato
di Domiziano, i soldati ricevevano un supplemento dello stipendium per caligae, fasciae e
vestimenta67, mentre durante il tardo Impero la fornitura doveva venire loro assicurata
dallo Stato, sia al momento dell’arruolamento che a cadenza annuale.
Ripartendo da un’altra affermazione circa la derivazione dello screditante soprannome
sparteolus con cui erano singolarmente appellati i Vigiles, esso potrebbe eventualmente
derivare dal colore dell’abbigliamento tipico 68 , ossia la tunica militaris di una tinta
somigliante a quello dello sparto69, tra il colore giallo scuro ed il marrone. È sicuramente
indubbia una gradazione di colore prevalentemente scura, se non addirittura nera,
giustificata dalla facilità di sporcare l’abbigliamento intervenendo in contesti incendiari,
che imbrattavano velocemente i tessuti, causa fumo, cenere e fuliggine.
Le tuniche militari nel mondo romano erano di diversi colori, ma è difficile stabilire
l’appartenenza specifica di una tinta ad un particolare corpo. Risulta comunque
inverosimile attribuire ai Vigiles, in riferimento ai compiti antincendio, una tunica militaris
66
CAPPONI MENGOZZI1993, p. 135; RAINBIRD 1976, p. 186.
MACMULLEN 1960, p. 24.
68
SABLAYROLLES 1996, p. 356.
69
Ibidem.
67
95
di colore bianco o rosso (i colori più usuali della tunica legionaria), seppure trattasi di
suggestioni che non possono essere contestualmente verificate, se non per paragoni.
È infatti assiomatico considerare che la tonalità sia in qualche modo allacciata alle
circostanze operative dei soldati: per esempio, Vegezio descrive le tuniche dei marinai
della flotta tardo imperiale ed in particolare delle naves lusoriae, di colore blu o verde, in
accordo con le vele, proprio per una questione di mimetizzazione di tali milites durante le
operazioni navali70.
Non è detto, perciò, che, in disaccordo con il resto dell’armata imperiale, i Vigiles
avessero una veste massificata: magari tribuni e centurioni potevano essere simili ai
propri ordinari degli altri ambiti dell’esercito romano71, i quali erano appunto distinguibili
dal colore rosso o bianco della veste.
Lana e lino rappresentavano essenzialmente le stoffe di confezionamento, con una
maggiore propensione, per gli addetti alla lotta al fuoco, verso il primo tessuto poiché
alquanto ignifugo.
Le discussioni tra gli studiosi circa l’identificazione del capo di abbigliamento che, in
concreto, contrassegnava un membro dell’esercito, non permette di trarre conclusioni
definitive sugli elementi distintivi dei Vigiles.
Prescindendo dalla tunica militaris, anche il mantello poteva essere una chiara
connotazione dell’appartenenza all’esercito, ma soprattutto il cingulum, il cinturone in
cuoio che più di qualsiasi altro oggetto, è stato proclamato l’accessorio per eccellenza del
milite72, segno di distinzione.
Solo il sagum era un manto di lana peculiarmente militare, tipico dei soldati semplici
mentre si ipotizza che gli ufficiali dei Vigiles utilizzassero il paludamentum, come accadeva
nelle altre truppe, indumento che non è altro che una reminescenza della toga, spesso
associato alla figura dell’imperator73. Anche i mantelli potevano essere ovviamente di
colori vari e di modelli senz’altro eterogenei.
Per quanto riguarda le dotazioni del corpo dei Vigiles, sia che si intenda la funzione di
soldati del fuoco che quella di polizia notturna, è innegabile la presenza della cintura
militare, al di là della finalità decorativa e di simbolo della milizia armata, data la sua
70
VEGETIO, Epitoma Rei Militaris IV, 37.
RAINBIRD 1976, p. 187.
72
SOUTHERN 2007, p. 153 Military dress.
73
Ibidem, p. 153.
71
96
indubbia funzionalità. Non è dato conoscere se vi fossero attaccate eventuali placchette
metalliche per stringere il cuoio, ma è fortemente probabile che vi si trovassero ganci ed
anelli, ai quali appendere gli strumenti e le armi da portare con sé, nonché le strisce di
cuoio che costituiscono il classico gonnellino militare di protezione delle cosce, le
cosiddette pteryges74, perché le tuniche dei soldati differiscono dalla versione civile per la
lunghezza, più corta a seguito dell’utilizzo del cingulum75, probabilmente per facilitare i
movimenti.
Nel dettaglio, per la peculiarità della primigenia missione dei Vigiles, erano necessarie
buone protezioni sia per gli arti superiori che inferiori: a tal fine non può essere escluso
che gli operativi potessero essere abbigliati anche con pantaloni, introdotti nel mondo
romano dalle tribù germaniche e dai popoli orientali, alla stregua degli auxilia
dell’esercito, ai quali competevano compiti più rischiosi delle regolari truppe legionarie.
Non vi sono notizie se, sulla divisa potevano esservi corazze o altre tipologie di elementi
protettivi, tuttavia è ovvio che l’uso di dispositivi di tutela personale sussisteva specie se i
Vigiles erano impegnati in operazioni di natura bellica, anche se solo all’interno dell’Urbe.
Se si valuta un unico equipaggiamento per il dualismo delle funzioni espletate (di polizia e
di pompieri), similmente alla prassi in uso nelle legioni, corazza ed elmo non potevano
sicuramente essere (durante le operazioni antincendio) di metallo, materiale che vicino al
fuoco si poteva oltremodo surriscaldare: negli studi del Rainbird 76 , spicca la
contraddizione dell’associazione di elmi di metallo, giustificata dalla certa assenza di
elettricità, senza tenere conto delle temperature elevate delle aree avvolte dalle fiamme,
nelle quali le cohortes vigilum, in qualche modo, dovevano necessariamente occuparsi dei
soccorsi. E’ invece probabile che le protezioni metalliche venissero usate, accanto a quelle
di cuoio, nelle operazioni paramilitari.
Inoltre i milites erano abilitati a cambiare il materiale di costruzione del loro
equipaggiamento quali elmetti e corazze: anche i Vigiles, dal ferro potevano passare al
cuoio o alla lana oppure a sostanze composite 77 e viceversa, a seconda delle loro
incombenze, od a seconda della disponibilità del momento.
74
CONNOLY 1981, p. 229.
SOUTHERN 2007, p. 153.
76
RAINBIRD 1976, p. 186: “*…+ the Vigiles will have worn helmets of metal (there was no electricity to provide
electrocution problems), *…+”.
77
MACMULLEN 1960, p. 30.
75
97
Non si può comunque escludere una suddivisione per classe di mansione attribuita a
ciascun membro del corpo e, come esito, la differenziazione dell’uniforme e
dell’equipaggiamento: per cui, per i Vigiles adibiti alla security, non è infondata l’opinione
che li considererebbe protetti anche con dispositivi fabbricati dall’arte metallurgica.
Nell’iconografia del monumento funerario del vigile Galatus, secondo alcuni studiosi,
sarebbe possibile individuare un elmo, di forma caratteristica a quello attualmente in uso
tra i pompieri di diversi Paesi europei78, con una cresta sul retro: in realtà si tratterebbe di
una delle varie tipologie di elmi romani crestati. Data l’usura della stele sepolcrale nella
parte figurata, pare una congettura troppo azzardata pensare l’esistenza di un elmo dei
pompieri ante litteram, sebbene portata avanti anche dal Baillie Reynolds79. Nel caso in
cui si trattasse effettivamente di un elmo con cresta, probabilmente veniva impiegato
solo nelle operazioni paramilitari o negli eventi bellici: a livello tecnico-operativo è
impensabile un intervento per spegnere le fiamme con in testa del materiale facilmente
combustibile quale, appunto, le penne.
Dalla letteratura antica si evince che le piume rosse o nere, che formavano i pennacchi
degli elmi, assolvevano alla funzione di fare sembrare i soldati più alti e, per conto, più
imponenti. Visto che è certo che i Romani, talvolta, combattevano adornati con tali
ornamenti80, si può ritenere che i Vigiles utilizzassero le tipologie di elmi ornati da piume,
nelle loro mansioni militari o nelle parate81, anche per far risaltare i loro gradi.
Se si vuole in ogni caso ritenere l’apparato iconografico del monumento funerario
ricordato non stilizzato, ma veritiero e conforme alla realtà lavorativa del defunto, il vigile
Galatus, in vita, potrebbe non avrebbe espletato mansioni antincendio, al di là della
carriera nelle diverse posizioni ricoperte: ciò comporterebbe, prescindendo dalla palese
presenza di armi nella figurazione, la sussistenza di ruoli puramente militari all’interno del
corpo dei Vigiles, senza alcun nesso più con la prerogativa a cui tale organizzazione
doveva proprio la sua esegesi. Oppure, molto più probabile, l’una e l’altra funzione ormai
consolidate come proprie di quello che ormai era un vero e proprio reggimento militare.
78
CAPPONI MENGOZZI1993, p. 135.
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 98: “*…+ the crest up the back of the melme, which is de rigeur for fire brigades in
our own country and in many others, was started by the Vigiles or not.”
80
SOUTHERN 2007, p. 158.
81
MACMULLEN 1960, p. 25:“A number of helmets, shinguards, and chamfrons have been found *…+. Their light
weight, not to speak of their beauty, makes it certain that they were not intended for actual combat but for
jousts.”.
79
98
Procedendo come al solito per paragoni con gli altri milites, si suppone il cuoio, appunto
per elmo, corazze e protezioni per il busto appunto di cuoio, feltro (coactilis) o lana
compressa (centones), vale a dire capi di abbigliamento fabbricati con tessuti fitti e
resistenti al calore, prodotti usati anche dai legionari come soluzione difensiva di alta
efficacia ed economicità.
Si potrebbe anche pensare, verosimilmente, proprio per la lotta al fuoco, l’uso di un
panno a modo di maschera respiratoria, per diminuire la possibilità di inspirare fumi
sprigionati dall’incendio e microparticelle di cenere, durante gli interventi.
Un elmo comune, elemento difensivo degli altri soldati era formato da tre componenti:
calotta, paragnatidi, ossia la copertura per le guance, e la protezione della nuca, che
poteva anche essere realizzata con scaglie di metallo, chiodi e filo di ferro, materiali non
comuni per un Vigiles, ma sostituibili da materie prime animali e vegetali, come il cuoio,
sempre atte a fornire una tutela adeguata.
Per quanto concerne le calzature, come già visto, si parla con certezza di caligae82 militari,
a seguito del graffito in C.I.L. VI, 3053, dove si fa riferimento ad esse.
Alla stregua di stivali, questa classe di calzature, pur essendo fondamentalmente dei
sandali chiusi, suolati e rinforzati con chiodi metallici, garantivano la salvaguardia del
piede e dell’estremità della parte terminale dell’arto inferiore che veniva rinforzata
attraverso l’uso di calzini, i cosiddetti udones83, prodotti in tessuto pesante.
82
RAINBIRD 1976, p. 186: “*…+ and thick soled boots.”; CONNOLLY 1981, p. 234.
SOUTHERN 2007, p. 155.
83
99
6. RESTI MONUMENTALI
6.1
Alcune note sugli edifici dei Vigiles: le fonti
Le caserme ed i presidi dei corpi militari urbani, tra cui quello dei Vigiles, trovarono la loro
appropriata collocazione nel tessuto della città di Roma suddivisa nella quattordici regioni
augustee, in modo che ciascuna delle sette cohortes vigilum assicurasse la vigilanza
nell’ambito territoriale di due zone di ripartizione. Tali settori erano probabilmente scelti
in modo da essere confinanti1, collocando in uno la caserma della coorte (statio) e
nell’altro un corpo di guardia (excubitorium) dipendente dalla prima. Le sedi della terza
guarnigione di Roma (dopo cioè, Pretoriani ed Urbaniciani) diventarono quindi
un’immagine familiare per il cittadino della capitale imperiale2.
Per fare in modo che i Vigiles non perdessero l’efficacia delle loro funzioni, in vista della
duplice connotazione civile e militare, si rese necessario collocare le loro basi all’interno
dell’Urbs entro il pomerium, contrariamente a quanto accadeva con i Pretoriani e gli
Urbaniciani, accasermati nei borghi vicini3: la prontezza di intervento era indispensabile
per la validità del servizio cardine del corpo, vale a dire la lotta contro le fiamme.
É indubbio che un gruppo di uomini alloggiati in una caserma fossero più disciplinati, più
pronti all’azione in caso di pericolo e meno soggetti alle tentazioni della vita urbana4;
inoltre la scelta della dislocazione degli edifici dipese logicamente da una visione
d’insieme data dalla coesistenza di molteplici elementi quali, per esempio, gli incroci delle
vie di comunicazione, la possibilità di approvvigionamenti di acqua, la vastità dei quartieri
e la natura delle costruzioni che li occupavano.
Vi è tuttora un vuoto archeologico di elementi strutturali associabili alle caserme dei
Vigiles per oltre un secolo dalla loro istituzione come corpo: la prova più antica di nuovi
edifici riferibili a queste unità, è data da un’iscrizione della quinta coorte, risalente
1
RAMIERI 1993, p. 292.
RICCI 2003, p. 12.
3
SABLAYROLLES 1996, p. 245. La principale diatriba tra gli studiosi riguarda il momento in cui le caserme dei
Vigiles sono sorte cioè se proprio alla genesi del corpo oppure in una fase seguente.
4
TACITO, Annales IV, 1.
2
100
all’anno 113 d.C., realizzata in occasione del rifacimento di una edicola votiva5. L’epigrafe
rinvenuta nel 1735 sul Celio, è catalogata in C.I.L. VI, 221 e reca la tipica formula
dedicatoria che si conveniva ad una ristrutturazione di un immobile, con l’indicazione
delle alte cariche della guarnigione (prefetto, sottoprefetto, tribuno) e l’elencazione delle
funzioni dei militari della coorte interessata.
L’assenza di siti databili al primo secolo d.C. ha diretto il pensiero di molti studiosi verso
l’ipotesi di un primigenio acquartieramento in domus private, appositamente acquistate o
requisite o prese in affitto dallo Stato, oppure verso un utilizzo delle residenze degli
schiavi della familia publica, quali caserme temporanee6 delle nuove cohortes vigilum.
In effetti, poteva delinearsi una similitudine con quanto riportato dagli autori antichi,
Svetonio e Cassio Dione, circa la dispersione dell’ubicazione dei Pretoriani in età
augustea, azzardando quindi la possibilità, anche per i Vigiles, di uno stazionamento in
dimore private, successivamente sostituite da costruzioni militari.
Le principali testimonianze per una presunta ricostruzione della collocazione topografica
delle basi di queste coorti urbane, sono due fonti letterarie: gli estratti del Liber singularis
de officio praefecti vigilum, inseriti nel Digestum (I, 15, 1 e 3), e i Cataloghi Regionari, vale
a dire la Notitia regionum Urbi Roma ed il Curiosum Urbis Romae regionum XIV. Si tratta
di due redazioni della tarda età imperiale pervenuteci in versioni manoscritte, di un
originario catalogo delle quattordici regioni della Roma augustea, costituito da un elenco
di monumenti in ordine topografico, con indicato il numero dei vici, delle edicole
compitali, dei vicomagistri e dei curatores della regione, delle abitazioni (domus, insulae),
dei magazzini, degli impianti termali, degli specchi d’acqua addirittura, e dei forni.
Vi sono discordanze tra i due documenti, probabilmente dovute alle date successive di
compilazione: la Notitia è datata tra il 337 ed il 354 d.C., ed è precedente al Curiosum,
prodotto tra il 354 ed il 403 d.C.; si definisce, inoltre, un chiaro distacco da un valore
topografico assoluto: viene reso noto sì, in quali regioni erano stazionate le unità, ma non
viene spiegato come le altre sette parti della suddivisione del territorio urbano, fossero
gestite.
Nella numerazione, entrambi i Regionari forniscono il numero della coorte, per esempio
“cohors prima vigilum” senza aggiungere ulteriori precisazioni.
5
6
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 43.
FAVRO 1992, p. 83, nota 146.
101
Il giurista Paolo, nei sopraccitati frammenti del Digestum, riferisce il motivo
dell’installazione razionale nei siti opportuni (“oportunis loci”) delle sette coorti di Vigiles7,
vale a dire il nesso con il precedente assetto in età repubblicana delle dimore degli schiavi
pubblici, nei pressi delle porte della cinta muraria della capitale8, descritto in una organica
sistemazione.
A parte queste fonti scritte, nessun altro testo riporta informazioni utili per la
localizzazione delle sedi del corpo dei Vigili, per conto essa deve essere affidata
all’archeologia e all’epigrafia9, con particolare cenno ai rinvenimenti in situ della caserma
di Ostia, dell’excubitorium della settima coorte nella quattordicesima regio di Roma e del
sito della quinta coorte, contesti archeologici certi finora conosciuti10.
Nel dettaglio, la caserma di Ostia nella quale era alloggiato un distaccamento di Vigiles
delle varie coorti romane, presenta resti monumentali conservati per oltre tre metri in
altezza, nonché fasi stratigrafiche che permettono una ricostruzione della storia
dell’edificio attraverso gli studi archeologici sull’architettura11 di età imperiale.
Dei due siti della capitale, soltanto le condizioni di conservazione dei resti dell’edificio
dell’antica regio trasteverina, sotto l’odierno piano stradale, ne hanno permesso una
certa identificazione topografica, a dispetto delle altre testimonianze monumentali
sotterranee rinvenute e attribuite con riserva alle stationes o agli escubitori delle cohortes
vigilum.
Pur nella identificazione certa di strutture architettoniche sepolte, come in qualsiasi altro
eventuale ritrovamento di elementi monumentali ipotizzabili come riferibili delle sedi dei
Vigiles, permangono le solite questioni dell’Archeologia urbana di Roa12, in particolare i
problemi derivano dalla evidente complessità nel determinare le potenziali dimensioni
del complesso, a causa della presenza di costruzioni vicine, nonché della
pluristratificazione dei depositi nel corso dei secoli.
7
Digestum I, 15, 3: “*…+ itaque septem cohortes oportunis locis constituit ut binas regiones urbis
unaquaeque cohors tueatur *…+”.
8
Digestum I, 15, 1 “*…+ circa portas et muros disposita unde si opus esset euocabatur *…+”.
9
SABLAYROLLES 1996, p. 250.
10
RAMIERI 1993, p. 292.
11
L’Archeologia dell’architettura viene intesa come lettura stratigrafica del sopravvissuto, degli elevati e
dell’edilizia.
12
L’Archeologia urbana si occupa dello studio della città nella sua conformazione archeologica, cioè come
organismo urbano, sull’intera sequenza insediativa, a partire dalla fondazione fino ai giorni nostri, senza
privilegiare un periodo rispetto ad un altro e utilizzando come strumento di indagine lo scavo stratigrafico.
102
L’Archeologia della città è oggi inscindibile dal metodo stratigrafico, come pure
l’Archeologia della sua architettura: ma al momento delle scoperte dei vari complessi, a
partire dal sedicesimo secolo, tale binomio doveva ancora essere implementato, e si
procedette con veri e propri sterri nel terreno, che limitarono fortemente la successiva
rilettura del materiale asportato. In particolare non è più verificabile se esso sia andato
distrutto nel tempo o no, poiché ad esempio privo di documentazione grafica.
Alcuni studi13, pur esaminando una testimonianza monumentale posteriore di almeno tre
secoli rispetto all’impianto della struttura originaria, enunciano che, nel corso di tale arco
di tempo, non dovrebbero essersi verificati cambiamenti significativi perché la
consuetudine del mondo romano sarebbe stata quella di non modificare sensibilmente gli
assetti degli edifici militari. Asserzione in qualche modo poco aderente con la realtà:
l’assetto urbanistico della Roma di Augusto non poteva essere simile a quello di età
severiana oppure del tardo Impero, perché le regiones si trasformavano a livello di
superficie e quindi di confini, nonché inevitabilmente si modificavano gradatamente di
pari passo con l’ampliamento urbanistico.
In quattro secoli di esistenza, le caserme furono ricostruite e modificate
immancabilmente parecchie volte, anche a seguito dell’accrescimento dell’effettivo del
corpo, andando a delineare la moltitudine dei contesti stratigrafici di appartenenza delle
odierne vestigia archeologiche14.
Dagli studi di fine Ottocento15, partendo dai dati desunti dai Regionari, cioè quattordici
excubitoria dei Vigiles, emerge che, le due regioni di attribuzione di una cohors vigilum
ospitarono singolarmente o una caserma propriamente detta, cioè la statio, oppure il
relativo distaccamento cioè l’excubitorium, ossia un corpo di guardia, che fungeva da
avamposto dipendente dalla prima. Tuttavia, secondo un’altra ipotesi gli escubitori
sarebbero stati due, uno in ciascuna delle regioni di competenza della coorte16.
Le iscrizioni finora rinvenute, che menzionano alcune stationes sono in gran parte non
utilizzabili per l’indagine topografica.
13
In particolare in BAILLIE REYNOLDS 1926.
SABLAYROLLES 1996, pp. 248-249.
15
DE MAGISTRIS (“La Militia Vigilum della Roma Imperiale” 1898); DE ROSSI (“Le stazioni delle sette coorti dei
vigili nella città di Roma” 1858); LANCIANI (“The ruins and excavations of ancient Rome” 1897).
16
RAMIERI 1993, p. 292; HOMO 1951, p. 188.
14
103
Talvolta accade che resti archeologici non più superstiti rappresentino un ipotetico
collegamento ad alcune caserme. Incerte e controverse sono anche le regioni di
pertinenza di ciascuna coorte17.
La tabella seguente mostra una delle più plausibili correlazioni tra cohortes vigilum e
regiones di assegnazione, già proposta dal Baillie Reynolds nel 192618.
COORTE
prima
REGIONI
VII
Via Lata (pianura ad est della Via Flaminia)
IX
Circus Flaminius (pianura tra le mura, la Via Flaminia e il Tevere)
seconda III
Isis et Serapis (valle del Colosseo e Oppio)
V
terza
Esquiliae (parte extramuranea dell’Esquilino)
IV
Templum Pacis (dalla via Sacra e dal Tempio della Pace si estende alla Suburra e al
Cispio)
quarta
quinta
VI
Alta Semita (via alla sommità del Quirinale, Viminale)
XII
Piscina Publica (piccolo Aventino)
XIII
Aventinus (Aventino e pianura del Testaccio)
I
Porta Capena (zona intorno alla Via Appia dalla Porta Capena alle mura Serviane fino al
fiume Almone)
sesta
settima
II
Caelimontium (Celio)
VIII
Forum Romanorum (Foro Romano, Fori Imperiali, Campidoglio e zona a sud di esso)
X
Palatium (Palatino)
XI
Circus Maximus (Circo Massimo, Foro Boario e Velabro)
XIV
Trans Tiberim (tutti i quartieri sulla destra del Tevere)
La comparazione tra fonti ed identificazioni si può così riassumere: solo in due casi le
vestigia archeologiche hanno fornito dati certi, con un basso margine di incertezza, vale a
dire il rinvenimento dell’excubitorium della settima coorte nella quattordicesima regione
e la caserma della quinta coorte nella seconda regione.
I dati epigrafici localizzano le sedi della prima e della quarta coorte rispettivamente nelle
regioni nove e dodici, ma in tali quartieri di Roma antica non sono state ritrovati, al giorno
d’oggi, materiali archeologici tali da poter verificare le iscrizioni. Inoltre, i testi degli
17
18
RAMIERI 1993, p. 292.
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 43-63.
104
antiquari sono concordi sull’allocazione del complesso della seconda coorte19, al contrario
dei Cataloghi Regionari, i quali, nonostante le menzioni, non convergono verso una
precisa individuazione della terza e della sesta coorte rispettivamente nelle regiones sesta
e ottava.
Per quanto riguarda gli excubitoria, entità sostanzialmente differenti rispetto alle
caserme, in quanto sedi minori dei Vigiles, in rapporto proprio ai castra vigilum, essi non
sono mai stati rintracciati nelle regioni dove non sono stazionate le coorti, cioè nella regio
prima, terza, quarta, quinta, nona, undicesima e tredicesima. Come riferito in modo
esplicito dal giurista Paolo (Digestum I, 15, 3), sette cohortes vigilum e quattordici
regiones, non lasciano spazio a dubbi circa l’attribuzione della sorveglianza di una coppia
di quartieri confinanti a ciascuna suddivisione della guarnigione, nei quali, solo il primo
vede un accasermamento degli uomini, presumendo invece nel quartiere secondario la
presenza di un semplice posto di guardia.
Nella lacunosità qualitativa e quantitativa delle fonti, la distinzione tra caserme e posti di
guardia, in ogni modo, non appare nitida; gli excubitoria, secondo il Sablayrolles20, sono
da ricondurre ad un’altra originalità dei Vigiles, cioè la creazione di piccole riserve di
uomini che intervenivano esclusivamente in caso di allerta, mobilitandosi facilmente da
una eventuale caserma. Questo avrebbe costituito una sorta di riserva di specifiche unità
antincendio, con appositi locali adibiti agli equipaggiamenti per l’espletamento di tale
servizio.
Il termine stesso excubitorium deriva etimologicamente da excubiae, che significa ronde,
in generale pattugliamenti, anche se in passato altri autori 21 hanno suggerito
un’opposizione alla parola vigiliae, quest’ultima da intendersi come controllo notturno.
L’affermazione del ricercatore storico francese, massimo esponente mondiale negli studi
sui “libertinus miles”
22
, è come tutta la letteratura prodotta sull’argomento,
indubbiamente tendente ad enfatizzare la funzione di prevenzione e di spegnimento degli
19
SABLAYROLLES 1996, p. 277.
SABLAYROLLES 1996, p. 283.
21
4
CAGNAT 1877 , p. 879.
22
Il titolo della trattazione del prof. Sablayrolles sui Vigiles è “Libertinus miles. Les cohortes de Vigiles”: con
l’appellativo “libertinus miles” si vuole sottolineare la principale caratteristica delle coorti all’origine, che
suscita stupore anche tra gli autori antichi, ossia l’ingresso dei liberti, ex schiavi manomessi, in un corpo
dell’esercito.
20
105
incendi (fire prevention e fire fighting), relegando a margine il carattere di polizia urbana
assunto dai Vigiles, delineato già alla genesi delle truppe in età augustea.
Parrebbe alquanto azzardato, in un’ottica di parsimonia economica, ammettere un
elevato numero di uomini, sebbene inizialmente non veri e propri milites, alloggiati in
stabilimenti statali e, militarmente addestrati, per il solo scopo di attivarsi in caso di
calamità legate al fuoco.
Come attestato dall’epigrafia funeraria, nei castra, dove si ravvisano le vere e proprie
caserme, al contrario degli excubitoria, si situerebbe l’insieme dei servizi amministrativi e
tecnici delle coorti, ma, comunque l’assetto logistico non poteva essere troppo diverso
nelle due tipologie di sedi, verosimilmente riprodotto in misura ridotta in quelle minori.
Purtroppo, a parte i graffiti dell’excubitorium nella quattordicesima regione ed i resti
monumentali dello stesso edificio, non abbiamo a disposizione altre testimonianze per
asserire o confutare questa ipotesi. É doveroso tuttavia tenere presente la razionalità e la
praticità del mondo romano in qualsiasi settore statale e, a maggior ragione, nel ramo
militare.
106
A seguito di ciò, nella ricostruzione di un razionale piano di sorveglianza di Roma
imperiale, in merito alle porzioni di superficie controllate da ciascuna coorte, gli studiosi
hanno prodotto idee non sempre compatibili tra loro23, giungendo a stabilire l’evidenza di
una certa cooperazione tra i sette distaccamenti del corpo dei Vigiles, nonché
un’interazione con gli altri componenti della guarnigione urbana, almeno a partire dal
terzo secolo in accordo con la riorganizzazione delle forze armate, operata dai Severi24.
La politica imperiale su una buona gestione delle zone maggiormente a rischio per gli
incendi e per la delinquenza comune, al fine di accrescere il senso di sicurezza dei cittadini
dell’Urbs negli ambiti interdipendenti della urban care e della safety & security, oltre che
per evitare focolai di iniziative popolari miranti a sovvertire il potere.
In una tale ottica si annoverano quelli che erano i punti più sensibili: l’area trasteverina
che includeva l’excubitorium della settima coorte, i quartieri popolari del Velabrum
(un’area pianeggiante situata tra il Tevere ed il Forum, tra il Campidoglio ed il Palatino),
dell’Argiletum (porzione di territorio attraversato da una strada che collegava il vasto e
popoloso quartiere della Subura25 al Foro Romano) e del clivus Suburanus26, in aggiunta
alla zona dei magazzini portuali lungo il Tevere.
Al contrario, i quartieri aristocratici, quali le sommità dei colli Quirinale, Aventino o
Esquilino oppure le zone periferiche, ricoperte di giardini, erano verosimilmente sinonimi
di stabilità e di minore insicurezza urbana.
Nella frammentaria percezione del fenomeno, appare paradossalmente rischioso parlare
di una nitida distinzione delle pertinenze per ciascuna regio, sia a livello di limiti
territoriali che di assegnazione specifica ad una precisa unità dei Vigili, nonché addirittura,
di mansioni riservate ad un esclusivo ramo dell’esercito.
Tale difficoltà di interpretazione dell’assetto della security rappresenta una ulteriore
testimonianza dell’integrazione dei Vigiles nel tessuto urbano di Roma antica e della sua
sicurezza.
23
SABLAYROLLES 1996, pp. 277-279.
La planimetria delle quattordici regioni augustee con le indicazioni in rosso dell’ipotetica allocazione delle
sette caserme dei Vigili e la loro rispettiva area di influenza (fonte: GNU Free Documentation Licence)
24
Un caso emblematico era mostrato dal palazzo imperiale, costruito da Domiziano sul Palatino, vale a dire
nella X regio, quartiere che divenne appannaggio non più dei Vigiles ma del corpo di guardia
dell’imperatore.
25
La Subura era il vasto e popoloso quartiere situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale, fino alle
propaggini dell’Esquilino.
26
Il clivus Suburanus era una strada, una continuazione irregolare della valle della Subura, che saliva tra il
colle Oppio ed il Cispio fino alla porta Esquilina.
107
6.2
108
L’excubitorium della settima coorte
Come già accennato, i resti monumentali dell’unico corpo di guardia visivamente attestati
fino ad oggi, scoperti nel diciannovesimo secolo (1866), nei pressi della basilica di San
Crisogono (circa 20 metri a sud della stessa), sono stati agevolmente identificati.
Il riconoscimento è stato possibile grazie ai quasi cento graffiti tracciati nel terzo secolo,
precisamente tra il 215 ed il 245 d.C., sugli intonaci dipinti delle pareti, dove oltre al
vocabolo excubitorium ricorreva frequentemente la citazione della VII coorte (C.I.L. VI,
2998 – 3091)27.
L’attribuzione del fabbricato alla funzione di distaccamento è stata confermata anche dal
rinvenimento di un ex voto di riconoscenza al Genius excubitorii, vale a dire il nume
tutelare delle coorti, da parte di un miles vigilum, riportato in C.I.L. VI, 3010:
(Centuria) Maxim i) Vetti us) F
\ lorentin(us)
sebaciaria
feci mense
Iunio grat(i)as Ag
5
\a(m) genio escubitori
et c(o)manipul
\is suis in perpetu
\o
Il monumento situato attualmente ad una profondità di circa otto metri dal piano di
calpestio, si inserisce al centro del quartiere transtiberino, all’angolo delle attuali Via
Montefiore e Via della Settima Coorte, e si interpreta come un immobile originariamente
formato da almeno quattro piani, molto simile ad una insula28.
Le strutture interne, delle quali è giunta a noi soltanto la descrizione, erano molto
suggestive: un grande atrio pavimentato a mosaico, con una vasca di forma esagonale a
lati concavi, un corridoio con una serie di stanze con pitture29, e sull’intonaco del muro,
27
Per la più recente bibliografia sull’excubitorium della settima coorte, vedi RAMIERI 1993, pp. 292-293,
CARAFA PACCHIAROTTI 2012, pp. 549-582, MOLINARI PRIESTER 1999, pp. 523-573.
28
SABLAYROLLES 1996, p. 254.
29
Proprio i dipinti, ora scomparsi, sono stati oggetto di datazione relativa, in base a due criteri: uno estetico
che li vede attribuire all’età dei Severi ma in modo molto incerto, e un altro ipotetico, secondo il quale i
graffiti del terzo secolo sarebbero cronologicamente vicini alla decorazione dell’edificio.
109
dipinto di colore rosso, le numerose iscrizioni graffite. L’insieme del materiale
archeologico, ad eccezione dei resti murari, è oggi completamente scomparso, a causa
dell’incuria nella conservazione negli anni seguenti la scoperta30.
L’edicola cultuale del Genius excubitorii, come di regola negli edifici militari,
rappresentava il centro del complesso ed era introdotta da una porta ad arco, in origine
incorniciata da due paraste con basi e capitelli corinzi, e sormontata da un timpano;
l’ingresso a tale larario31 si trovava di fronte all’impluvium, sulla parete sud.
Anche il pavimento dell’aula è sfortunatamente scomparso: un grande mosaico in bianco
e nero, documentato da riproduzioni grafiche e fotografiche, nelle quali si evincono due
tritoni, uno che tiene nella destra un grande tridente e nella sinistra una face spenta,
l’altro ha invece una fiaccola accesa ed indica il mare: l’interpretazione dei simboli
iconografici vede in tale raffigurazione, il fuoco domato e l’acqua che serve per spegnere
le fiamme32.
Nel sottarco di una porta che, quasi in asse con l’edicola, immetteva in un ambiente di
passaggio su cui si prospettavano tre vani, rimane un affresco rappresentante un erote e
cavalli marini.
Al termine del percorso restituito dai ruderi, gli studiosi sono discordi nell’assegnare i
resti di un insieme termale dotato di sistema di riscaldamento ad ipocausto ad una
effettiva sussidiarietà alla caserma dei Vigiles33: alcuni pensano piuttosto che su una
30
I graffiti sono indicati in C.I.L. VI da 2998 a 3091, visibili solo in foto scattate nel 1870 e conservate alla
British School di Roma. L’area scavata fu abbandonata con gravissimo pregiudizio per la conservazione delle
strutture murarie e soprattutto del loro apparato decorativo: gli intonaci dipinti sono andati
progressivamente in rovina, mentre il mosaico pavimentale è andato perso durante l’ultima guerra. Solo nel
1966, a cento anni dalla scoperta, si è avuta una sistemazione adeguata con copertura del monumento.
Sono seguiti lavori di ordinaria manutenzione fino al 1986, anno in cui è stato compiuto il restauro della
decorazione architettonica e dei resti di pitture.
31
La conservazione degli elementi decorativi del vano di culto della sede transtiberina dei Vigiles, riguarda
le sole pitture sulle sommità delle pareti brevi dell’edicola, ove pannelli delimitati da fasce rosse presentano
al centro un motivo architettonico di colonne sorreggenti architravi, che insieme a ghirlande ad andamento
obliquo inquadrano esili figure su fondo bianco, per poi ritornare in posizione del tutto marginale nella
suddivisione geometrica del sottoarco resa sempre con fascioni di colore rosso. Delle decorazioni della
porta del larario, realizzate tutte in mattoni, è sopravvissuto soltanto il timpano movimentato da cornici di
diverso aggetto, distinte anche dal diverso colore dei laterizi. (vedi RAMIERI 1993)
32
Anche in questo caso, il riferimento fazioso degli studiosi non si allontana dalla mera funzione
antincendio dei Vigiles, senza riflettere su altri indizi; per esempio, da alcune descrizioni ottocentesche si ha
memoria, oltre che di mostri marini fantastici, di un cavallo, un caprone ed un serpente che avrebbero
completato la decorazione musiva sugli altri lati.
33
SABLAYROLLES 1996, p. 254; BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 59; DE MAGISTRIS 1898, p. 46. Probabilmente è più
plausibile ammettere che potesse trattarsi di un bagno termale privato, sia in ragione della decorazione
lussuosa che delle dimensioni ridotte.
110
installazione precedente sarebbe poi stato impiantato una serie di ambienti di servizio per
la guarnigione.
Vi sono ulteriori elementi che definiscono con sicurezza l’attribuzione del complesso
architettonico alla settima coorte dei Vigili: un dolium34 interrato che rivela una riserva
alimentare e quindi una destinazione di un locale a magazzino, nonché la grande torcia di
bronzo, descritta già all’epoca del rinvenimento delle vestigia da parte del Capannari35, la
quale ben ipotizza l’esistenza di ambienti adibiti alla conservazione dell’equipaggiamento
dei Vigiles.
Addirittura il Sablayrolles36 più che alla caserma della settima coorte situata dai Cataloghi
Regionari nella quattordicesima regio, si domanda se sia più congeniale assimilare
l’organismo architettonico, nonostante l’apparente grandiosità delle strutture, ad un
semplice posto di guardia, di dimensioni ristrette, inserito necessariamente nel tessuto
urbano37, vista la similitudine apparente più alle insulae tradizionali che all’immagine di
un presidio militare.
Il quartiere di Trastevere in età imperiale era popolato da artigiani la cui attività era
direttamente legata al porto di Roma: era perciò una zona molto importante per
l’economia dell’Urbs e quindi necessitava alta protezione da rischi considerevoli, sia che si
trattasse di incendi38 che di episodi criminali.
Dubbi permangono anche sulle molteplici datazioni incoerenti: quella della costruzione
dell’immobile, che avvenne indubbiamente in età adrianea39, determinata solo da due
marchi di fabbrica sui mattoni e quindi, fondamentalmente debole, contrastante con
quella dei graffiti del terzo secolo; ma ciò, secondo Sablayrolles non deve
34
RAMIERI 1993, p. 293.
CAPANNARI 1886, pp. 261-262.
36
SABLAYROLLES 1996, p. 255.
37
I Vigiles della settima coorte potrebbero avere utilizzato, nel terzo secolo d.C., una parte dell’insula per
installare un picchetto di guardia, distinto dalla loro caserma.
38
Il principale pericolo di incendio era costituito dalle costruzioni non architettonicamente strutturate della
zona di Trastevere, più a rischio rispetto agli horrea, nei quali la presenza di materiale combustibile in
quantità considerevole era compensata da un piano di costruzione più razionale e da una adeguatezza degli
edifici ai possibili rischi.
39
La congettura più diffusa vede durante il principato di Adriano, nel secondo secolo d.C., l’edificazione di
una dimora privata, poi adattata a corpo di guardia dei Vigiles più tardi in età severiana; è incerta, infatti,
l’attribuzione esclusiva dell’atrium con impluvium al successivo excubitorium.
35
111
obbligatoriamente rimandare ad una anteriore domus privata adattata, errore nel quale
gli storici e gli archeologi sono incorsi in riferimento alla caserma di Ostia40.
Nonostante
ciò,
l’adattamento
di
una
dimora
civile,
comprata
o
affittata
dall’amministrazione pubblica per questa caserma minore di Vigili, intervenuto verso la
fine del secondo secolo d.C., della quale non è possibile individuarne i limiti originari,
rimane la tesi prevalente tra gli studiosi attuali41.
6.3
I castra della quinta coorte
La quinta coorte aveva la propria sede principale nell’odierno parco urbano della ex Villa
Celimontana (ossia nella parte orientale della stessa), sulla sommità del Celio; situata
nella seconda regione. Si tratta dell’unica caserma di cui alcuni ritrovamenti occasionali
hanno consentito di stabilire il sito in parte al di sotto della chiesa di Santa Maria in
Dominca 42 . Si è inoltre appurata la consueta vicinanza della statio all’antica cinta
difensiva, nei pressi della porta Capena.
L’ubicazione della caserma dei Vigiles è dimostrata con cetezza dalla combinazione di dati
archeologici ed epigrafici, in particolare dal recupero ottocentesco delle due famose basi
marmoree di statue iscritte (dedicate dalla quinta coorte a Caracalla nel 205 e nel 210
d.C.), inserite in C.I.L. VI, 1057 e 1058, contenenti peraltro quasi tutte le notizie di cui oggi
si dispone sull’organizzazione del corpo. Infatti nel 1820, i lavori eseguiti per la recinzione
di Villa Mattei riportarono inizialmente alla luce strutture murarie in opera laterizia che,
secondo quanto suggerito dal rilievo dello scavo, delimitavano una vasta area 43.
L’ultima fase di scoperte si data al 1931, quando nell’effettuare le fondazioni del nuovo
cancello della Villa Celimontana si scoprirono sei ambienti con muratura in opera mista,
mentre un’altra serie di vani tornò alla luce più a Sud durante l’allargamento di Via della
40
La caserma di Ostia si credeva stabilita sopra una abitazione privata, ma la costruzione si è rivelata
appartenere da sempre alla vexillatio, costituendo quindi, fin dalla sua genesi un castra vigilum.
41
RAMIERI 1993 p.293: “Adattato all’interno di una casa privata del II sec. d.C., il complesso attualmente si
compone *...+”. Vedi anche CARAFA PACCHIAROTTI 2012, p. 556.
42
SABLAYROLLES 1996, p. 262; RAMIERI 1993, p. 293.
43
RAMIERI 1993, p. 293.
112
Navicella, senza tuttavia che fosse possibile stabilire collegamenti tra questi ultimi e le
strutture precedentemente emerse o ricostruire la planimetria della caserma 44.
Le scoperte archeologiche, in realtà, avvennero già a partire dalla prima metà del
Cinquecento, quando tra il 1544 ed il 1546 sul Celio si effettuarono i lavori voluti dal papa
Paolo III: il recupero di marmi pregiati e colonne portarono a pensare a un tempio o a una
sontuosa dimora45 ma sicuramente non a un edificio dei Vigiles. La testimonianza di una
certa ricchezza di decorazione strutturale della costruzione, ci giunge attraverso i testi
degli eruditi dei secoli sedicesimo e diciassettesimo, fonti letterarie comunque non
dirette46 e purtroppo non verificabili.
Dopo vari errori di interpretazione, gli studiosi attuali sono giunti alla conclusione che
sicuramente una caserma della guarnigione urbana dei Vigiles era organizzata
architettonicamente attorno ad uno spazio aperto, vale a dire ad una vasta corte con il
porticato, connotazione tradizionale sia dei mercati romani nonché di una miriade di altri
fabbricati47, tale da indurre confusione nelle attribuzioni di ruolo di questa tipologia di
edificazioni antiche.
Per le attribuzioni si effettuarono confronti delle dimensioni dei resti strutturali degli
immobili verosimilmente attribuibili alle caserme, con la planimetria di edifici
propriamente militari di Roma imperiale, in modo da verificarne la similarità di estensione
o meno: nel caso della quinta coorte, trattandosi di un quadrilatero di 55 per 60 metri, la
conformità di misure con eventuali castra militari venne indubbiamente assodata.
Il panorama delle scoperte è poi completato dall’esame di due iscrizioni appartenenti alla
quinta coorte, relative a due edicole innalzate nella statio in onore del Genius Centuriae48,
indicate in C.I.L. VI, 222 e 221, le quali, assieme ad altro materiale epigrafico rinvenuto,
consentono di stabilire la collocazione cronologica del periodo di utilizzo dell’edificio da
44
Ibidem.
SABLAYROLLES 1996, p. 260: “*…+ une décoration architecturale luxueuse n’était peut-être pas à exclure
forcément d’une caserne de Vigiles.”.
46
Per esempio Lucas Holstenius fornisce una descrizione che non è altro che la copia di un testo di Pirro
Ligorio (relativa poi al Macellum Magnum, costruito da Nerone sul Celio) senza che vi sia un’analisi
autoptica, contrariamente a quanto lo studioso umanista afferma. Mentre alcuni studiosi rigettano
completamente il testo (per esempio BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 53), altri lo considerano come una fonte
debole seppure attendibile per la deduzione dell’esistenza di una grande corte a portici al centro della
caserma (in particolare, RAINBIRD 1976, pp. 337-338).
47
SABLAYROLLES 1996, p. 258 e p. 276: “*…+un bâtiment rectagulaire, organisé autour d’une cour centrale
bordée d’un portique sur lequel ouvrent de petites pièces *…+”.
48
RAMIERI 1993, p. 293.
45
113
parte dei Vigiles, fornendo dei terminus a quo e ad quem, ossia almeno dal 111 d.C. fino
al 210 d.C. e oltre, come testimoniano ritrovamenti numismatici49.
6.4
L’errore di interpretazione di un frammento della Forma Urbis
Romae: teorie circa l’ubicazione della prima coorte e della
prefettura
La Forma Urbis Marmorea è una pianta della città di Roma antica incisa su lastre di
marmo, realizzata tra il 203 ed il 211 d.C.: l’ottimismo degli studiosi nei confronti dei
frammenti come elemento di identificazione per le caserme ed excubitoria dei Vigiles
scaturisce dalla datazione di tale mappa catastale all’età severiana, epoca nella quale le
cohortes vigilum raggiunsero il vertice della loro floridezza, acquisendo definitivamente
una connotazione interamente militare.
La prudenza nell’accertamento non deve venire meno: in assenza di una esplicita
menzione toponomastica di un immobile, le interpretazioni possono essere solo
ipotetiche.
La maggior parte degli articoli e dei lavori dedicati ai Vigiles50 fanno allusione ad un
frammento della Forma Urbis, il numero 56, interpretato come raffigurante i Saepta
Iulia51con la caserma della prima coorte a lato. La raffigurazione di un porticato vicino ad
un edificio di tre corti è la causa di questo errore di decodificazione, che si è perpetuato
fino agli anni Trenta del secolo scorso, quando si intuì che l’immagine rimandava in realtà,
agli alloggi del personale degli horrea Galbana52, vista la sproporzione planimetrica
dell’edificio.
Ciò nonostante, già nel diciassettesimo secolo durante gli scavi per realizzare le
fondamenta dell’attuale palazzo Muti Papazzurri Balestra, in piazza Santi Apostoli, i resti
49
SABLAYROLLES 1996, pp. 262-263.
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 46-47, DE MAGISTRIS 1898, pp. 28-32.
51
Si trattava di un edificio costruito a Roma nel Campo Marzio, con la funzione di recinto elettorale, per le
votazioni, progettato già in età repubblicana da Cesare; nel corso dell’età imperiale, il sito venne adibito,
attraverso i secoli, a molteplici destinazioni (arena per combattimenti, venationes, naumachie).
52
SABLAYROLLES 1996, pp. 264-265.
50
114
della caserma della prima coorte sita nella settima regione, furono identificati in modo
corretto da Lucas Holstenius, attraverso tre iscrizioni53, statue e colonne.
La statio, posizionata tra la Via Lata, vale a dire il tratto della Via Flaminia che tra le mura
serviane e le successive mura aureliane, diventa una strada urbana, corrispondente
all’attuale Via del Corso, e il tempio di Serapide, non era lontana dall’ipotetica
collocazione dell’antica porta Ratumena delle mura serviane.
Deve essere usata comunque molta cautela nelle attribuzioni di sedi, sulla sola base di
materiale archeologico rinvenuto in situ, perché esso potrebbe essere frutto di recuperi e
riutilizzi, frequentemente attestati in età tardo-antica e medievale.
La caserma della prima coorte, teoricamente dovrebbe simboleggiare la sede del
praefectus vigilum: ciò pare essere testimoniato dalle iscrizioni dedicatorie offerte dai
comandanti delle cohortes agli imperatori54, dalla preziosità dei materiali di costruzione
(marmi), da statue dei prefetti rinvenute nel sito. In realtà non si tratta di appannaggi
esclusivi di una unica statio con presunta funzione di quartiere generale del corpo55, in
quanto compatibili con elementi trovati rispettivamente nel distaccamento ostiense e nei
presunti siti di acquartieramento della quinta e della quarta coorte56.
A seguito della pluralità delle attività di tipo amministrativo e giudiziario di competenza
della prefettura dei Vigiles, è più logico supporre un’indipendenza della struttura
materiale di tali uffici da qualsiasi edificio di inquadramento architettonico puramente
militare, quali appunto le caserme delle coorti, come avveniva per le altre alte cariche di
rango equestre quali la prefettura dell’annona e quella del pretorio.
Una delle congetture più accreditata dagli studiosi, ma comunque criticata e smentita 57,
vorrebbe la Crypta Balbi quale sede della prefettura dei Vigiles, supportata dalla presenza
interna del tempio di Vulcano, protettore degli incendi, e dalla dedica a tale divinità da
parte di un prefetto dei Vigili.
53
C.I.L. VI, 223, 1092 e 1226.
C.I.L. VI, 1092, 1144, 1157, 1221.
55
RAMIERI 1993, p. 292.
56
SABLAYROLLES 1996, p. 274.
57
Ibidem, pp. 274-275.
54
115
6.5
Le altri sedi principali delle cohortes vigilum nelle regiones di
Roma: opinioni
Le fonti per cercare di scoprire l’ubicazione della sede della quarta coorte sono
sostanzialmente i Regionari, che la piazzano nella dodicesima regio, territorio nel quale
sono state trovate diverse epigrafi relative a tale distaccamento del corpo dei Vigiles,
senza tuttavia una chiara conferma che le stesse giacessero lì sin dal principio.
In base a dati archeologici restituiti in tempi diversi dall’Aventino, si presumeva,
l’ubicazione della caserma sul colle, dove in epoca medievale sarebbe stato eretto un
monastero, accanto all’attuale basilica di San Saba, in cui sono visibili reimpieghi di
materiali archeologici attribuibili alla quarta coorte.
La caserma della quarta coorte era verosimilmente adiacente alle antiche mura serviane,
nei pressi della porta Rauduscolana e della porta Naevia 58 , testimoniando il
mantenimento dell’assetto pre-imperiale dell’organizzazione antincendio a livello
logistico.
Alcuni resti della caserma della seconda coorte furono individuati a metà nel sedecisimo
secolo, al confine tra la terza e la quinta regione, sull’Esquilino, presso l’odierna chiesa di
Santa Bibiana, ma, disgraziatamente, quelle preziose fonti materiali sono andate
distrutte, senza riuscire ad ottenere una precisa congettura circa l’effettiva collocazione
della costruzione.
La più recente interpretazione59, seppure sottolineando l’imprecisione degli elementi,
vede tale sede sulla Via Labicana a Sud, circa a metà tra la porta Labicana-Praenestina
delle mura aureliane e la porta Esquilina della cinta di età monarchica.
La problematicità aumenta esponenzialmente nelle ipotesi sulle dimore della terza e della
sesta coorte dei Vigiles: al momento non sono ancora comparse vestigia archeologiche
convincenti e la rarità o addirittura l’inesistenza di epigrafi, non permettono di stabilire
punti spaziali precisi.
Con le esigue testimonianze analizzate60, si tenta di inquadrare la caserma della terza
cohors presso la porta Viminalis, una delle più antiche porte della cinta difensiva di Roma,
58
59
SABLAYROLLES 1996, p. 268.
Ibidem, p. 269.
116
ai limiti tra la quarta e la sesta regione, vicino alle terme di Diocleziano61. In tal caso, il
contrasto tra le fonti, acceso dal rinvenimento dell’unica iscrizione ufficiale (C.I.L. VI,
31320) riguardante la presenza dell’intera coorte nella quinta regio, quartiere in cui era
quasi certamente accasermata la seconda coorte, si attenuerebbe considerando un
possibile deposito secondario del materiale epigrafico, con limitato valore topografico62.
Riepilogando, è indiscutibile che non esiste alcun indizio archeologico o epigrafico sicuro
per la locazione della caserma della terza coorte e le uniche indicazioni al riguardo si
rifanno ancora una volta ai Cataloghi Regionari, che situano il complesso nella parte SudEst della sesta regione.
La medesima circostanza è ripetuta per la sesta coorte, per la quale l’assenza di evidenze
materiali nella regio VIII della capitale, è pressoché totale63. Considerando poi che, la
numerazione dei Regionari sembra davvero non attendibile (la caserma sarebbe stata
costruita tra la Basilica Argentaria e il forum di Traiano, area non confacente
all’edificazione di una grande struttura), l’argomentazione pare davvero ardua64.
In effetti, una delle presupposizioni plausibili, già enunciata dal Baillie Reynolds65, è che la
sesta coorte avesse il suo castrum presso l’attuale piazza della Consolazione, in modo da
poter sorvegliare agevolmente i mercati ed il quartiere adiacente.
La disposizione delle caserme era frutto di un ragionato sistema, nel quale appare palese
che l’antica cinta serviana giocava un ruolo nella ripartizione con tre cohortes all’interno
(terza, quarta e sesta), quattro all’esterno (prima, seconda, quinta e settima) ma
comunque prossime alle mura di età monarchica, in particolare alle remote porte di
accesso della Roma antica66: ciò appare, agli occhi dei posteri, un incontestabile marchio
60
In nessuna delle tre attestazioni epigrafiche scoperte nella sesta regione figura la menzione della terza
coorte.
61
I dati estraibili rivelano un nesso con l’edificio termale dioclezianeo ma senza aggiungere notizie per un
inconfutabile riconoscimento spaziale. É parte di tale immobile l’iscrizione rinvenuta in 18 pezzi, catalogata
in C.I.L. VI, 31320, la quale implica una dedica all’imperatore Settimio Severo voluta dal praefectus vigilum
T. Flavius Magnus, alla fine del secondo secolo d.C.; potrebbe però rientrare ragionevolmente nella casistica
dei reimpieghi, già in età tarda.
Sono inoltre presenti contraddittorietà negli stessi Regionari: nel Curiosum urbis Romae regionum, la sede
della terza coorte dei Vigiles è menzionata dopo le terme diocleianee, mentre questo non avviene nella
Notitia regionum Urbi Romae.
62
RAMIERI 1993, p. 292.
63
Nella regione ottava è venuta alla luce una sola iscrizione dedicatoria rapportabile ai Vigiles (C.I.L. VI,
3909).
64
SABLAYROLLES 1996, p. 272.
65
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 62-63.
66
SABLAYROLLES 1996, pp. 285-286.
117
dell’amministrazione augustea, in cui l’eredità di epoca consolare venne rimodellata ed
integrata nella nuova realtà67.
In aggiunta, è evidente l’ubicazione delle caserme su importanti assi viari, nonché nelle
vicinanze di infrastrutture quali i ponti68, per motivi ovvi di facilità di comunicazione e di
raggiungimento degli obiettivi di controllo o di intervento.
Nonostante la separazione formale dei soldati dalla popolazione civile della città, gli
impianti dei Vigiles si svelano come una sorta di residenze militari, capaci di esistere solo
come entità non autonome, ma annesse a Roma, da cui erano per necessità e per servizio
dipendenti69.
6.6
La caserma di Ostia
La safety e la security delle infrastrutture portuali della capitale erano indispensabili in
quanto l’approvvigionamento alimentare di una città, con una popolazione, in certe
epoche, di un milione di persone, era davvero un fattore vitale per l’esistenza della
metropoli stessa.
Come già accennato nella discussione circa i distaccamenti e le missioni extra-Urbs dei
Vigiles, la sorveglianza dei magazzini di Ostia era affidata, probabilmente a partire dal
secondo secolo d.C., nell’ambito della riorganizzazione della dislocazione delle truppe, ad
una sezione della guarnigione urbana, come risulta dalle testimonianze epigrafiche, in un
regime di temporanea intercambiabilità del servizio da parte degli incaricati, facenti capo
alle cohortes vigilum di Roma.
La vexillatio ostiensis costituisce oggi l’unica struttura architettonica, completamente
scavata ed in buono stato di conservazione, che ammette una ricostruzione
dell’evoluzione di un edificio sede di Vigiles, rapportabile poi come schema planimetrico,
nonostante le specificità, alle stationes e agli excubitoria romani70: i resti monumentali
della capitale non presentano dunque alcuna incompatibilità con quelli ostiensi.
67
Ibidem, p. 288.
I ponti rivestivano un ruolo fondamentale per la settima coorte, situata oltre il fiume Tevere.
69
BUSCH 2011, p. 166.
70
SABLAYROLLES 1996, p. 289 e p. 292.
68
118
La statio vigilum di Ostia, scavata nel 1888 dal Lanciani, era situata nei pressi del teatro, a
Nord delle terme di Nettuno71; occupava una superficie di circa 2.900 metri quadri, con i
lati maggiori quasi paralleli all’antico corso del Tevere72.
71
72
DELTENRE 2005, p. 4.
Immagine tratta da DELTENRE 2005, p. 6.
119
120
La pianta73 implica connotati comuni agli edifici dei Vigiles di Roma: si tratta di un
complesso rettangolare, organizzato attorno ad largo cortile circondato da un
colonnato74, dove nell’’atrium davanti ad esso, si elevavano le statue degli imperatori.
La fronte dell’edificio è orientata ad Est e si apre su Via dei Vigili attraverso un ingresso
fiancheggiato da tre ambienti addossati nel terzo secolo, identificabili con mescite di vino
per i soldati, cui allude la rappresentazione di crateri nei mosaici pavimentali. Nel vano ad
angolo di Sud-Est, delimitato da Via dei Vigili e Via della Palestra, è una latrina con
l’edicola dedicata alla Fortuna. Superato il vestibolo, si entra nel cortile con portici sui
quattro lati sorretti da pilastri e attorno al quale si dispongono le stanze destinate ai Vigili,
poste in comunicazione attraverso scale con quelle del piano superiore. I due angoli del
cortile prossimi all’ingresso sono occupati da fontane o lavatoi con i relativi castelli
d’acqua. Sull’altro lato breve del cortile, orientato verso Ovest, si trova il Caesareum, una
sorta di cappella per il culto imperiale ricavata nel 207 d.C. chiudendo con due tramezzi
l’ambulacro del portico. Il retrostante sacello, rialzato e con un ingresso a pilastri,
presenta sul fondo un podio su cui sono allineate piccole basi dedicate ad Antonino Pio,
Lucio Vero, Settimio Severo e Marco Aurelio. Nei pressi si rinvenne anche una statua del
figlio adottivo di Adriano, L. Elio Cesare, la cui datazione al 137 d.C. fissa il termine di
completamento dei lavori fatti realizzare dallo stesso imperatore nella caserma.
Nelle cinque stanze posteriori alla zona di culto si è voluta vedere la residenza degli
ufficiali dotata di una latrina nell’angolo Nord-Ovest. L’edificio è concluso da una serie di
botteghe che in origine si aprivano su Via della Fontana e la cui chiusura coincide con il
loro inglobamento nella caserma nel corso della ristrutturazione severiana75.
Attualmente è stata ormai accertata la non fondatezza dell’ipotesi di un riutilizzo in epoca
severa di una domus precedente76: fino dalla sua genesi strutturale, l’immobile77 di Ostia,
antecedente al principato di Domiziano, venne adibito a caserma dei Vigiles.
73
Planimetria tratta da DELTENRE 2005 p. 32.
SABLAYROLLES 1996, p. 311; COARELLI 2007, pp. 454-455; RAMIERI 1990, p. 27.
75
RAMIERI 1990, pp. 27-29.
76
BAILLIE REYNOLDS 1926, pp. 107-108.
Una delle prove a favore della congettura della domus privata adibita ad ospitare il distaccamento dei vigili
ad Ostia è data dalla ostruzione (ben visibile nell’aspetto esteriore del fabbricato) di tutti i vani di porte, di
botteghe e di finestre esterne, chiuse con muro a cortina traforato da feritorie; lavori datati proprio all’età
severiana, grazie ai bolli di fabbrica dei mattoni impiegati nel riempimento.
77
Purtroppo del primo edificio di età flavia esistono poche tracce, come indicato in SABLAYROLLES 1996, p.
292: “De l’édifice primitif daté du régne de Domitien, il ne subsiste rien d’autre que les traces décelées par F.
Zevi dans la stratigraphie pratiquée au pied de l’Augusteum.”.
74
121
Se le fonti letterarie78 e i documenti epigrafici sembrano riferire l’istituzione di questo
servizio all’imperatore Claudio (41-54 d.C.), gli scavi più recenti hanno rivelato che la fase
più antica della caserma risale a Domiziano (81-96 d.C.). L’intervento successivo si deve a
Adriano (117-138 d.C.) che ricostruì l’edificio79.
Lo studio dei bolli laterizi di alcuni mattoni, i quali assieme all’epigrafia costituiscono le
uniche fonti per la datazione, ha permesso di stabilire che i Severi si limitarono ad una
ristrutturazione ampliativa nel 207 d.C., resasi necessaria a seguito dell’incremento
dell’effettivo (da 400 a 600 o 700 elementi).
In effetti, la storia della costruzione è pressoché impossibile da tracciare in modo lineare,
perché la percezione archeologica non consente di individuare le varie trasformazioni
intercorse nel corso dei secoli80.
L’edificio fu abbandonato dopo la metà del terzo secolo, quando iniziò il declino della
città di Ostia81.
78
SVETONIO, Claudius XXV.
RAMIERI 1990, p. 27.
80
SABLAYROLLES 1996, p. 303.
81
RAMIERI 1990, p. 27.
79
122
7.
Il RUOLO di SECURITY dei VIGILES nelle FONTI:
ICONOGRAFIA, EPIGRAFIA e LETTERATURA
7.1
Il problema iconografico
L’arte e le iscrizioni sono forme di rappresentazione diretta dei milites della guarnigione
urbana, che testimoniano la loro volontà di tramandare ai posteri un’immagine di sé; ci
informano, attraverso la simbologia cui fanno ricorso, sui culti da loro praticati o, ancora,
sul linguaggio utilizzato, ma non ci forniscono grandi elementi per la ricostruzione del
ruolo di controllo e di mantenimento dell’ordine a Roma, al quale questi soldati erano
adibiti.
Il materiale iconografico relativo ai Vigiles, che è pervenuto ai giorni nostri, è davvero
esiguo, conseguenza dell’epigrafia funeraria1 a loro riferita, molto limitata rispetto agli
altri corpi militari2.
Se si prende come riferimento il terzo secolo d.C.,
inteso come lasso temporale
dell’Antichità in cui è attestata la maggiore produzione di iscrizioni, le cohortes vigilum
erano numericamente superiori rispetto alle coorti urbane3, ma gli epitaffi relativi ad
Urbaniciani, per tale periodo, ritrovati a Roma, sono pressoché il doppio di quelli attribuiti
a Vigiles.
Alcuni segnacoli funerari sono stati rinvenuti nelle concentrazioni di sepolture ubicate ai
lati delle principali arterie stradali della Roma antica, nello specifico in quantità maggiore
nella necropoli della Via Salaria4, seppure non posizionati in maniera vicina5; altri sono
1
VON HESBERG 1994, p. 72.
NOY 2000, p. 13, nota 32: “*…+ the Equites Singulares are particularly well represented and the Vigiles
particularly badly.”; BUSCH 2011, p. 139: “*…+ Denkt man an die Mannschaftsstärke der cohortes vigilum,
überrascht die geringe Zahl dokumentierter Denkmäler *…+”.
3
SABLAYROLLES 1996, p. 346, nota 81. Nel terzo secolo d.C. i soldati delle cohortes urbanae erano circa 4.000
rispetto ai 7.000 uomini delle cohortes vigilum, a fronte dei 10.000 Pretoriani.
BUSCH 2011, p. 169, Tab. 2 (CV). Gli Urbaniciani dai 2.000 effettivi del secondo secolo d.C. accrebbero a
6.000 nel terzo, con la presenza di un divario meno netto rispetto ai Vigiles, calcolati nel numero di 7.000,
con riferimento certo all’elenco indicato in C.I.L. VI 1057 e 1058, del 205 d.C.
4
Tra il diciannovesimo ed i primi decenni del ventesimo secolo, i lavori per l’urbanizzazione del quartiere
Salario, in parte distrussero ed in parte inglobarono nel tessuto urbano numerosi resti archeologici. In
particolare nell’area immediatamente a ridosso delle mura aureliane, compresa tra Porta Pinciana, Porta
Salaria e Villa Borghese, vennero alla luce numerosi monumenti sepolcrali, relativi ad un’unica grande
necropoli che si sarebbe estesa lungo il primo tratto della Via Salaria Nova e della Via Salaria Vetus. Il nucleo
2
123
stati rinvenuti nei pressi della Via Nomentana, della Via Tiburtina ed anche della Via
Appia, dell’Aurelia e della Labicana6, in linea con la tendenza generale, al principio
dell’epoca imperiale, delle tombe di militari di radunarsi in piccoli gruppi nel quadro della
popolazione civile.
Vigiles
Necropoli Salaria
via Nomentana
via Tiburtina
via Appia
Pretoriani
10
2
2
1
Urbaniciani
128
30
14
15
17
6
1
3
140
120
100
80
Vigiles
Pretoriani
60
Urbaniciani
40
20
0
Necropoli
Salaria
via Nomentana
via Tiburtina
via Appia
Le ricerche sul mondo antico sono inesorabilmente condizionate dall’aleatorietà della
documentazione ma, in questo caso, la scarsità e la casualità del record epigrafico non
può essere considerata l’esclusiva ragione dello scarso numero dei tituli vigilum.
Sicuramente il ruolo principale tra le concause è stato giocato, in parte, dall’inferiorità del
livello sociale e culturale rispetto ai soldati della restante milizia urbana.
più antico del Sepolcreto Salario è databile all’ultima età repubblicana ed alla prima età augustea, quindi
l’attività funeraria proseguì con interventi sporadici sino alla fine del secondo secolo d.C. ed oltre.
5
Si fa riferimento allo schema di suddivisione delle tombe nella Necropoli della Salaria tra Pretoriani,
Classiarii, Urbaniciani, Vigiles e Legionari, presente in BUSCH 2011, p. 117. In generale, le stele funerarie
militari a Roma non si trovano mai del tutto isolate.
6
BUSCH 2011, p. 139 e p. 171, nello specifico Tab. 5, alla voce CV.
124
Non si può dimenticare che, durante l’Impero, il servizio militare era un autentico mezzo
di elevazione sociale, fonte di distinzione e di prestigio, nella coscienza di appartenere ad
una componente fondamentale al funzionamento e alla conservazione dello Stato7: è
ovvio che una tale ideologia non poteva essere estranea alle cohortes vigilum. Il prestigio
conquistato doveva riflettersi, senz’altro, anche nei monumenti funerari, allo stesso modo
del fenomeno della ricchezza delle tombe dei liberti nel patrimonio archeologico
funerario romano.
Gli schiavi liberati, ed in misura minore le generazioni successive, nella condizione sociale
di outsiders, poiché esclusi praticamente dalla vita politica della città, compensarono tale
mancanza nello sfoggio della rappresentazione privata, per mezzo di forme codificate di
tipo monumentale8; eppure i Vigiles pur essendo inizialmente, in gran numero, degli
affrancati oppure uomini di bassa estrazione sociale, almeno durante il corso della prima
età imperiale, non dimostrano assolutamente di avere ostentato con sepolcri
monumentali il miglioramento della loro condizione sociale, come pure gli eredi della
Militia Vigilum nei secoli successivi.
Una ulteriore probabile causa della scarsità dei monumenti funerari commemorativi di
appartenenti al corpo dei Vigiles è la circostanza che, in realtà, una carica in tale milizia
poteva rappresentare semplicemente un trampolino di lancio verso promozioni in altri
corpi.
In aggiunta, è opportuno non dimenticare che la ricchezza della decorazione dei
monumenti funebri era direttamente rapportabile ai desideri del de cuius9 e alle sue
condizioni economiche e non era sempre predeterminata in base alla classe sociale10.
Se, inoltre, si considera il primo secolo d.C. come terminus post quem, il più ambito tra i
corpi dell’esercito, sia per funzioni, che per salario, era indubbiamente quello delle coorti
pretorie; coloro che probabilmente in considerazione di una minore robustezza fisica o di
minori possibilità di raccomandazione, non erano ammessi tra i Pretoriani, potevano
entrare nelle coorti urbane o nei Vigiles, servizi pur sempre preferibili a quello prestato
7
FRANZONI 1987, p. 129.
BUSCH 2011, p. 164
9
L'espressione de cuius è una ellissi della locuzione latina is de cuius hereditate agitur che, tradotta
letteralmente, significa "colui della cui eredità si tratta" e, in pratica, indica la persona defunta che ha
lasciato un'eredità.
10
FELETTI MAJ 1977, p. 212.
8
125
nelle legioni 11 , certamente per il vantaggio di non doversi spostre da Roma.
Considerando, infatti i distaccamenti noti delle coorti dei Vigili, quali Ostia e Pozzuoli, la
distanza percorsa dall’Urbs per raggiungere tali sedi decentrate era minima, in
proporzione alle migliaia di chilometri di marcia delle legioni, eventualmente in territori
lontani dal cuore dell’Impero, costantemente ostili e talvolta impervi dal punto di vista
naturale.
Osservando poi l’area di provenienza, si nota che essa è la medesima per tutti gli effettivi
della guarnigione urbana, a testimonianza del privilegio che l’arruolamento rappresentava
in tale sezione dell’armata imperiale12.
Il piccolo numero dei resti archeologici relativi ai Vigiles nell’ambito funerario sorprende
se si pone poi attenzione all’elevato tasso di mortalità, a seguito dei rischi professionali
che si correvano rispetto agli altri soldati13 della guarnigione urbana; nella lotta per
domare le fiamme delle conflagrazioni era facile, purtroppo per un vigile, perdere la vita,
come ferirsi in modo grave, al punto da divenire poi inadatto a proseguire la propria
carriera14 lavorativa.
Non si può comunque dimenticare che, verosimilmente la speranza di vita di un miliziano
dei Vigili era in ogni modo superiore a quella della popolazione civile di Roma: gli aspiranti
selezionati erano individui in buona salute e di robusta costituzione, in grado di resistere
meglio alle malattie e all’atmosfera insalubre dell’Urbs15.
Lo scopo a cui tendevano le memorie sepolcrali, sia che avessero valore intenzionale di
ritratto (come effettivamente era), sia che si voglia vedervi oggi anche una
rappresentazione simbolica, era quello di perpetuare il ricordo del defunto
commemorato, con un segno tangibile della sua individualità16, servendosi di diversi
livelli; è certamente palese l’intento comunicativo sia nei confronti dei viandanti che,
soprattutto, dei posteri. Ora, trascorsi quasi venti secoli dalla composizione armonica del
messaggio, è evidente che i codici simbolici ed interpretativi sono mutati, evolvendosi
11
Ibidem, p. 122.
SABLAYROLLES 1996, p. 183.
13
BUSCH 2011, p. 139; SABLAYROLLES 1996, pp. 345-353. Da uno studio degli epitaffi degli appartenenti alla
guarnigione urbana, si stima che la percentuale di mortalità in servizio di un Vigiles fosse dell’87%, a fronte
di percentuali più basse sia per quanto riguarda gli Urbaniciani (67%) che i Pretoriani (69%).
14
SABLAYROLLES 1996, p. 347.
15
Ibidem.
16
FELETTI MAJ 1977, p. 202.
12
126
progressivamente; pertanto, quasi regolarmente, la decifrazione ed il proposito stesso
della comunicazione proveniente dall’Antichità, appaiono a volte enigmatici.
Nello scenario cimiteriale, indubbiamente, il linguaggio epigrafico era quello più diretto,
particolarmente significativo per la chiarezza di impostazione e per la ricchezza di
informazioni offerte: la gran parte dei monumenti di Vigiles è caratterizzata dalla sola
presenza della iscrizione, sebbene nel corso del Principato il trend si fosse adeguato ad
una diminuzione della funzione di richiamo esercitata proprio dagli epitaffi, come si
evince dal mutamento del loro contenuto e della loro formulazione17.
Considerando il procedimento di progettazione della lapide funeraria, nella sua variegata
articolazione e, al tempo stesso, con la sua unitarietà di fondo, ciascun monumentum era
programmaticamente concepito come la sintesi di tutto ciò che l’uomo, in questo caso il
vigile, davanti alla morte, voleva esprimere di sé o per sé18.
Ai fini di una analisi del limitato quantitativo di fonti iconografiche relative agli
appartenenti alle coorti dei Vigili, in questa ricerca sono state individuate ed analizzate le
iscrizioni funerarie dei monumenti sepolcrali in cui si riconoscono elementi di decoro19,
tenendo presente che il quadro delle nostre conoscenze rimane fortemente limitato e
provvisorio.
L’immagine di un appartenente alle cohortes vigilum è fornita con certezza soltanto
dall’epitaffio di Q. Iulius Galatus20, documento figurativo non particolarmente ricco di
notizie circa l’abbigliamento, l’equipaggiamento e soprattutto viziato dal modo scelto per
l’autorappresentazione del militare, che ha generato una moltitudine di considerazioni
interpretative discordanti tra loro.
17
VON HESBERG 1994, pp. 230-231.
ORTALLI 2010, p. 96
19
Si considerano le epigrafi corredate di apparato figurativo, attribuibili con sicurezza ai Vigiles e rinvenute a
Roma: in totale sono undici (vedi BUSCH 2011, p. 172, Tab. 8, voce CV); in questo lavoro se ne considerano
dodici.
20
SABLAYROLLES 1996 p. 354 : “*…+ Seules, le mosaÏque de l’Augusteum d’Ostie et l’épitaphe de Q. Iulius
Galatus offrent l’image de soldats des Vigiles.”.
18
127
7.2
Il ritratto nell’iscrizione funeraria di Q. Iulius Galatus
(C.I.L VI, 2987)
Q, Iulius Q.f.
Galatus, Thysdro,
mil(es) coh(ortis) VI vigil(um)
7 (centuria) Lucani Augurini,
milit(avit) annos) II,
5
beneficiarius
eiusdem ann(os) II,
vexillarius ann(os) III.
Vix(it) ann(os) XXXVII.
T(estamento) p(oni) i(ussit).
10
La lapide funeraria, alta 128 cm e larga 75 cm, realizzata in travertino, è stata rinvenuta
nel 1767 a Roma nei pressi della Porta Ostiense, una delle porte meridionali delle mura
aureliane, nella Vigna Maccarani21.
La datazione convoglia sostanzialmente tra la fine del primo ed il secondo secolo d.C. 22.
Il principale problema che evidenzia l’apparato decorativo dell’epitaffio, attualmente
conservato ai Musei Vaticani di Roma nella Galleria Lapidaria, è dato dall’usura della
pietra, che rende labili i contorni del rilievo della figura presente.
Non è infatti possibile comprendere se si è di fronte ad una rappresentazione realistica
del defunto oppure se in effetti, la stele non è altro che un monumento convenzionale
semilavorato, scelto dal committente presso un’officina lapidaria, e, di conseguenza, il
ritratto rientrerebbe in una formula di stereotipia.
Il ritratto sui monumenti funerari militari, in accordo con modello imperiale accettato, era
generalmente tipizzato nella postura, per cui poteva risultare fisionomico sia nelle
intenzioni che non nella realtà. La scuola anglosassone, in virtù di un mancato
ragionamento sulla odierna mancanza di colori delle tombe e sulla base della nota teoria
21
22
La casa di Paolo Maccarani possedeva una vigna sull’Aventino presso Porta San Paolo.
RICCI 1994, p. 195
128
della stereotipicità dell’arte romana, ha elaborato convulse teorie sulla mancanza di
ritrattistica nei monumenti militari romani23.
Per quanto concerne il nostro monumento, il dato iconografico24 certo è che il vigile
Galatus, della sesta coorte, di note origini africane, fu riprodotto nella stele sepolcrale
abbigliato con una tunica militaris. Emergono opinioni differenti di interpretazione circa
gli oggetti espressi nel rilievo, a causa della loro difficile distinzione nel contesto
figurativo25.
Secondo l’interpretazione del
Sablayrolles
26
,
al
fianco
sinistro il personaggio porta
una
spada
oppure,
più
verosimilmente un pugnale27,
denotando quindi il carattere
militare
della
attività
del
defunto; lo studioso colloca
poi
mano
verosimilmente
destra
un
nella
vessillo,
essendo stato Galatus un
vexillarius, come reso palese
dall’epigrafe, sottolineandone
comunque lo standard della
figura,
secondo
i
canoni
funerari dell’iconografia dei
milites dell’epoca.
Tuttavia, nei precedenti studi
23
VERZÀR-BASS 2010, p. 70; SOUTHERN 2007, p. 10: “Most Roman military tombstones display a portrait of the
deceased, not to be interpreted as an accurate depiction of the soldier, but stylized according to an
accepted, Empirewide pattern.”.
24
Immagine tratta da Busch 2011, p. 140 Abb. 82.
25
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 98: “The indistinctness of the figure is such that two authorities, Henzen and
Albert Müller, disagree as to what clothing is represented; *…+”.
26
SABLAYROLLES 1996, p. 354.
27
La raffigurazione di una spada o di un gladius o di un pugnale, in ogni modo vuole ricordare e sottolineare
l’appartenenza del defunto al mondo militare. Ma, a parte la sottolineatura, rappresenta concreti strumenti
di uso quotidiano.
129
del Baillie Reynolds è chiara la convinzione di trovarsi di fronte all’effige di un portavessillo, connotata da una uniforme indubbiamente differente rispetto a quella degli altri
uomini delle cohortes vigilum 28 e, purtroppo, dall’insegna nel rilievo inevitabilmente
deterioratasi.
La versione di Michael Alexander Speidel29 è ulteriormente connessa alle funzioni di
polizia che erano svolte dai Vigiles, assegnando a Galatus, nella mano sinistra, un bastone
di legno (la cosiddetta fustis), per poi riconoscere, con certezza, sorretto dalla mano
destra, un contenitore di tavolette di cera, supporto scrittorio mai individuato da altri
esponenti del mondo accademico, ma strumento caratteristico di un beneficiarius30,
incarico del vigile dell’epitaffio, ancora prima di divenire un vexillarius.
Il particolare della scatola di tavolette per scrivere potrebbe essere messo in relazione
anche con la qualifica di secutor tribuni31, figura che accompagnava il tribuno di ciascuna
coorte dei Vigili, pronto ad eseguire i suoi ordini, ma, tale carica, non risulta menzionata
nell’iscrizione sottostante, anche se riconsiderata da Sablayrolles32: Q. Iulius Galatus
avrebbe servito sette anni come semplice soldato, per poi avere una rapida ascesa di ruoli
(due anni come secutor, due anni come beneficiarius tribuni e tre anni come vexillarius).
Il bastone viene considerato un’arma dissuasiva, utilizzata dai vari corpi militari urbani nei
confronti della folla, per mantenere l’ordine in caso di tumulti, perché meno letale per via
del materiale di fabbricazione, il legno appunto, ma, contemporaneamente la fustis, era
anche un emblema dei beneficiarii, probabilmente usata come potenziale minaccia
individuale durante la riscossione delle imposte.
28
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 98.
SPEIDEL 1993.
30
In SPEIDEL 1993 si presenta una similitudine di oggetti, tra l’immagine delle stele romana del Vigiles Q.
Iulius Galatus, quelle di due stele funerarie di beneficiarii provenienti dalla provincia di Acaia (Grecia
meridionale) e quella di un beneficiarius della provincia di Mauretania; in ciascun bassorilievo del
personaggio defunto, oltre al bastone di legno, compare il mazzo di tavolette di cera, funzionali alla
registrazione delle operazioni fiscali o, verosimilmente, delle azioni criminali. Lo studioso conclude che il
grado e le funzioni dei quattro soldati considerati, pur collocati in ambienti diversi, nell’ambito del regime
imperiale, sarebbero stati piuttosto corrispondenti.
31
RICCI 2011, p. 135.
32
SABLAYROLLES 1996, p. 235.
29
130
Nell’immagine della lastra sepolcrale di Galatus, a causa del cattivo stato di
conservazione, è piuttosto difficile determinare la caratteristica della nodosità del legno
del bastone, ben evidente invece in altre raffigurazioni di soldati con tale dotazione33.
Nell’iconografia funeraria romana, la fustis, parallelamente alla vitis, che definiva
comunemente il centurione o l’evocatus, in quanto strumento usato per la disciplina dei
milites sottoposti, potrebbe essere presa come elemento di distinzione degli appartenenti
alle milizie urbane. Tuttavia si è compreso che la fustis non era necessariamente collegata
ai beneficiarii, perché spesso risulta essere stata rappresentata anche sui monumenti di
soldati graduati (secutores, doctores, tesserarii, …).
Inoltre, nonostante vitis e fustis siano state molte volte confuse, la riproduzione nel rilievo
funerario del modo di portare questi due strumenti è differente nell’atteggiamento: la
vitis è di solito tenuta dal personaggio commemorato in modo solenne, mentre il bastone
è illustrato portato verso il basso, con la presa quasi all’estremità34.
Roma e, verosimilmente anche le altre grandi città dell’Impero, erano soggette a cospicui
assembramenti di popolo, che potevano dare adito a tumulti, per esempio negli anfiteatri
per assistere ai giochi, e, sia i Pretoriani, che gli Urbaniciani, che i Vigili erano incaricati
della tutela dell’ordine pubblico, in maniera probabilmente congiunta e ben disciplinata.
Nello specifico delle mansioni del praefectum vigilum, riportate in Digestum I, 15, 3, 135,
appare chiaramente che, per infliggere le punizioni corporali sommarie da lui decretate
nei casi di sua competenza, alcuni membri del corpo dei Vigiles dovevano essere dotati di
bastoni36.
L’interpretazione dello Speidel circa l’iconografia della stele di Galatus presuppone una
congettura per giustificare la rappresentazione del personaggio in una carica inferiore,
cioè quella di beneficiarius (seppure considerata una promozione), rispetto al ruolo che
andrà ad acquisire successivamente nel tempo, di grado superiore ossia quello di
vexillarius: il monumento del Vigiles sarebbe stato commissionato indiscutibilmente
33
SPEIDEL 1993, pp. 138-139 (figg. 1. e 2.). Sono considerate alcune stele romane di Pretoriani (per esempio
quella di M. Aurelius Lucianus) in cui la fustis è resa con minuzia di particolari, tali da rimandare
immediatamente al legno come materiale di costruzione dell’oggetto.
34
Ibidem, p. 139: “*…+ the vitis is held in a dignified way as a badge of office, while the fustis is gripped from
above, as if for beating somme.”.
35
Digestum I, 15, 3, 1: “*…+ aut fusti bus castigat eos qui neglegentius ignem habuerunt, aut severa
interlocuzione comminatus fustium castigationem remittit.”.
36
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 135.
131
durante il corso della sua vita, come risulta dalla formula epigrafica T. P. I. (ossia
testamento poni iussit) nel momento in cui ricopriva ancora l’incarico di beneficiario.
Invece
appare
giustificabile
con
l’incarico
intermedio
di
secutor
tribuni
la
rappresentazione delle potenziali tavolette individuate nella figura a rilievo, così come la
rappresentazione della fustis si accorda con il grado di beneficiarius: si può congetturare
che Galatus, ancora vivente, abbia commissionato la sua stele sepolcrale quando già
aveva la qualifica di vexillarius, ma con la volontà di celebrare anche le altre sue vecchie
cariche importanti, seppure meno elevate nel curriculum professionale di un vigile.
L’esigenza di inserire comunque il ruolo di secutor, certamente degno di nota, almeno nel
rilievo, potrebbe essere stata ottemperata tramite la raffigurazione del materiale
scrittorio in uso, piuttosto che con la modifica della parte destinata all’iscrizione e lasciata
a bozza37.
Si può quindi concludere che la raffigurazione del vigile Q. Iulius Galatus concorda
sicuramente con le mansioni di polizia notturna e di ordine pubblico svolte dalle cohortes
vigilum, già agli inizi del secondo secolo d.C., epoca in cui il corpo dei Vigili poteva
considerarsi ormai pressoché militarizzato nella quotidianità delle funzioni.
Tunica militare, armi (sia che si preferisca vedere indifferentemente, un’arma da offesa
come una spada o un pugnale oppure un’arma persuasiva come un manganello di legno),
dotazioni (sia l’interpretazione di un vessillo che di una eventuale custodia di tavolette di
cera) e carica militare rappresentata (vessillario, beneficiario o secutor), nell’immagine
scolpita di Galatus nella stele funeraria, commissionata quando il vigile era vivente,
alludono alla professione militare38 a tutti gli effetti, senza alcun rimando alle funzioni
dell’antincendio, proprie invece del suo corpo di appartenenza.
Senza alcun dubbio, era chiara l’intenzione di rappresentare il vigile non in un aspetto
legato alla sua professione al servizio dei civile ma nella sua vestis militaris, come era
propriamente in uso, nello stesso periodo, per gli appartenenti agli altri corpi della
guarnigione urbana.
37
BUONOPANE 2009 pp. 66-71. Nelle officine epigrafiche per esigenze produttive, vi erano monumenti
semifiniti con le superfici sommariamente trattate e con le raffigurazioni iconografiche lasciate a bozza, che
in seguito venivano rifinite; in questa fase, oltre alla realizzazione dello specchio epigrafico, anche parti del
testo, perlopiù appartenenti al formulario di uso corrente, venivano già incise, delineando la futura
ordinatio, ossia l’impaginazione dell’iscrizione.
38
FRANZONI 1987 p. 107: “*…+una sola arma basta a richiamare le altre e quindi ad alludere alla professione
militare*…+”.
132
7.3
Considerazioni generali sui monumenti sepolcrali di Vigiles
I monumenta, cioè le architetture sepolcrali, sono formate da diverse componenti di
natura architettonica, figurativa, simbolica ed epigrafica, complementari per via della loro
compenetrazione fisica e semantica attraversi i codici comunicativi, materiali ed
immateriali, con cui i Romani erano in grado di palesare, per qualsiasi ambito civile e
sociale, la propria opinione sulla morte.
Di conseguenza, seppure l’argomento sia stato tralasciato dagli studiosi a causa della
modestia quantitativa e ornamentale, è imprescindibile in un lavoro come questo uno
studio dell’apparato figurativo e della relativa simbologia nell’ambito funerario delle
cohortes vigilum, come vero e proprio mezzo di espressione39, rapportato alle molteplici
valenze comunicative che esso può assumere.
La decorazione figurata delle tombe, quando disponibile, completa i messaggi divulgati
dalle iscrizioni, e deve essere
approfondita parallelamente allo studio della forma
architettonica originaria.
Le tipologie dei supporti delle iscrizioni funerarie dei Vigiles, sono le più modeste, con
formule epigrafiche essenziali e carenza di apparato figurativo. Sono circa una
cinquantina i monumenti di sicura attribuzione, di cui sette di classificazione sconosciuta,
a causa dello stato di conservazione frammentario, oppure di collocazione ignota, così
suddivisi:40
39
40
ORTALLI 2010, p. 80.
BUSCH 2011, p. 171 Tab. 6, voce CV. I dati si riferiscono ad uno studio effettuato ad aprile 2006.
133
TIPOLOGIA MONUMENTALE FUNERARIA
NUMERO
altare
4
stele
11
urna
3
colombario
2
lastra
7
sarcofago
1
tabula (C.I.L.)
1
tabula marmorea (C.I.L.)
7
tabula in travertino (C.I.L.)
1
tabella (C.I.L.)
4
cippo marmoreo (C.I.L.)
3
Tra i fattori di condizionamento nella scelta di questi impianti era senz’altro importante la
disponibilità finanziaria, che, di solito, si traduceva in una differenziazione dimensionale e
compositiva ma non necessariamente tipologica e, tantomeno, di significato41, al pari di
quanto accadeva nel mondo funerario dei legionari42. Malgrado ciò, tra le tombe dei
Vigiles, non si ravvisa l’omogeneità di una forma standardizzata, che possa consentire una
distinzione degli stessi dalle altre unità urbane.
In effetti, nei monumenti funerari militari a Roma, in epoca proto e medio-imperiale, si
stabilì una forma caratteristica per i soldati che consente una distinzione dalle guarnigioni
urbane, anche per mezzo di modalità di rappresentazione in qualche modo uniformi.
41
ORTALLI 2010, p. 83-84: “*…+ Le principali tipologie monumentali proponevano dunque diversi livelli
comunicativi, da quelli più immediati, di natura funzionale e celebrativa, a quelli che attingevano ad una
sfera più trascendentale, legata a problematiche esistenziali, al pensiero della morte e al credo funerario.”.
42
BUSCH 2011, p. 164.
134
Delle undici stele di membri delle coorti dei Vigili sopravvissute, nove sono
completamente disadorne e delle restanti una è il già ricordato monumento funebre di Q.
Iulius Galatus, mentre della stele di C. Calvius Sabinus con la rappresentazione di una
corona nella parte superiore delimitante lo
specchio epigrafico dell’iscrizione, se ne ha
notizia tramite il C.I.L. VI, 2986 e per mezzo di
una riproduzione ad incisione in rame del
175643, realizzata da Francesco Piranesi, che
testimonia il rinvenimento della stessa nella
Vigna del Cinque, in una necropoli che
radunava i rilievi commemorativi di soldati
Pretoriani44.
Sono attestati inoltre, tre altari45 e tre urne46
che presentano semplici ornamenti.
É innegabile che, nei rari casi in cui la
decorazione
si
manifesta,
semplice
ed
austera, essa consiste in immagini scolpite a
rilievo oppure incise, scelte dal repertorio
della
simbologia
funeraria
romana,
indistintamente utilizzate sia per civili che per
soldati, per cui, al momento, non è possibile
identificare letteralmente un debole segno
rappresentativo che riconduca propriamente
ai Vigiles come milizia vera e propria.
Considerando tuttavia che l’iconografia è, in
43
BUSCH 2011, p. 120 e p. 139. Immagine tratta da Busch 2011, p. 120 Abb. 56.
Si spiega il rinvenimento del monumento funerario del vigile Calvius Sabinus nel contesto funerario
pretoriano della Vigna del Cinque, perché il committente è il fratello Calvius Iustus, miles cohortis I
praetoriae.
45
C.I.L. VI 32757, 2961, 2990.
In VOH HESBERG 1992, p. 197 si evidenzia che gli altari impiegati come urne cinerarie o sarcofagi, delineano
una mancanza di funzionalità della tomba, indicando allo stesso tempo una eroicizzazione tributata al
titolare.
46
C.I.L. VI 2984, 2981, 2985.
44
135
ogni modo pluridirezionale, è possibile concepire alcune riflessioni.
Per il primo secolo d.C., come pure per i cento anni successivi, non sono presenti
monumenti sepolcrali di membri delle coorti dei Vigili tali da poter delineare un quadro
preciso. Come già ribadito sopra, solo per l’arco di tempo che va dal principato di Settimio
Severo alla morte dell’imperatore Gordiano III, i monumenti funerari e le epigrafi, in
generale, sono abbondanti, per poi ritornare ad essere in quantità esigua.
La volontà delle tipologie funerarie di stimolare il ricordo personale trovava i suoi
strumenti più efficaci nei messaggi programmaticamente volti all’autorappresentazione
del defunto, del quale venivano abitualmente descritte, e spesso celebrate le prerogative
terrene47, ribadite nelle differenti didascalie sepolcrali, perlopiù sotto forma di stringate
elencazioni con cui si riportavano i dati anagrafici, lo status e la carriera militare.
L’assenza quasi totale di ritratti funerari di Vigiles nel record epigrafico, ritratti che erano
deputati a trasmettere le fattezze del defunto, può quindi essere imputata al mutamento
nella concezione del monumentum e delle pratiche funerarie, che si impostò proprio a
partire dal secondo secolo d.C., innescando un cambiamento di ruolo dell’apparato
figurativo e decorativo all’interno dei segnacoli sepolcrali.
Il ritratto fisionomico quale segno più evidente e significativo della cultura romana,
confacente all’età augustea48, scomparve progressivamente dalle stele e da altre forme
monumentali quali le are e i cippi.
Come manifestatosi nelle pietre sepolcrali commemorative di soldati, comunque fuori
Roma, la raffigurazione del defunto poteva affidarsi alla sola rappresentazione di oggetti
allusivi al mestiere del vigile, facendo affidamento ad un repertorio simboleggiante la
personalità, ma ciò accade esclusivamente in un’iscrizione della quale se ne ha solo
notizia, riportata dalle raccolte epigrafiche; nel dettaglio l’epigrafe è catalogata in C.I.L. VI,
2963 e in essa si legge l’originaria raffigurazione di un’ascia nello specchio epigrafico del
supporto monumentale.
Risulta che a Roma, nel primo e secondo secolo d.C., i monumenti funerari militari,
quando privi di rappresentazioni figurate, rinunciarono pressoché del tutto alla
riproduzione di equipaggiamento militare o a immagini di guerra, riducendosi a semplici
stele iscritte.
47
48
ORTALLI 2010, p. 86.
FRANZONI 1987, p. 113.
136
EPIGRAFI FUNERARIE (rinvenute a Roma) DI VIGILES CON APPARATO DECORATIVO
INTERESSATO
CARICA
TIPOLOGIA
MONUMENTO
ELEMENTI
ICONOGRAFICI
DATAZIONE
BIBLIOGRAFICI
L.
Liburnius
Romanus
(liberto)
beneficiarius
tribuni
VI coorte
cippo marmoreo
corona
C.
Vehelius
Eralim(?)
miles
III coorte
frammento
scorniciato
T. Didius
miles
III coorte
stele in marmo
n. 2 corone:
- tra D e M
- in alto
corona
C.
Iunius
Fortunatus
miles
VI coorte
piccolo
Sex.
Vibius
Superus
miles
II coorte
tabula marmorea
corona
T.
Coelius
Sentinianus
centurio
II coorte
stele
ascia tra D e M
C.
Calvius
Sabinus
miles
III coorte
tabula marmorea
corona vittata
M. Iuventius
Felix
veteranus
II coorte
cippo marmoreo
T.
Avidius
Romanus
miles
(siphonarius)
VII coorte
tabula marmorea
corona tra D e M
Sex.
Modus
Salvianus
veteranus
VI coorte
stele marmorea
corona
I / II sec.
lemniscata
d.C.
Q.
Iulius
Galatus
beneficiarius,
vexillarius
VI coorte
stele
ritratto
fine I / II
Sex.
Titinio
Doryphor
miles
V coorte
tabula marmorea
137
cippo
marmoreo
SABLAYROLLES
1996, NR 275
BUSCH 2011, CV
40
C.I.L. VI, 2988
BUSCH 2011, CV
27
n. 2 uccelli tra i
quali un vaso
metà I / II
sec. d.C.
corona vittata
I – II sec.
d.C.
in
travertino
sec. d.C.
corona
RIFERIMENTI
II sec. d.C.
BUSCH 2011, CV
14
C.I.L. VI, 32753
BUSCH 2011, CV
27
C.I.L. VI, 32757
BUSCH 2011, CV
34
C.I.L. VI, 32752
SABLAYROLLES
1996, NR 165
BUSCH 2011, CV
45
C.I.L. VI, 2963
SABLAYROLLES
1996, NR 2033
BUSCH 2011, CV
06
C.I.L. VI, 2970
BUSCH 2011, CV
01
C.I.L. VI, 32754
SABLAYROLLES
1996, NR 266
BUSCH 2011, CV
39
C.I.L. VI, 2994
SABLAYROLLES
1996, NR 2056
BUSCH 2011, CV
02
C.I.L. VI, 37249
SABLAYROLLES
1996, NR 349
BUSCH 2011, CV
05
C.I.L. VI, 2987
SABLAYROLLES
1996, NR 1
BUSCH 2011, CV
28
C.I.L. VI, 2982
Quando non si procedeva alla rappresentazione del personaggio, il concetto della
memoria di sé sulle forme monumentali, veniva espresso con strumenti o altri rimandi
allo status sociale della persona, ed era potenziato quale forma di esaltazione
retrospettiva dell’uomo, così da dettagliarne con maggiore incisività e compiutezza il
profilo personale e le benemerenze trascorse.
Certamente tale casistica di figurazioni era più costosa49 e, probabilmente non sempre
alla portata di committenti di ceto basso e medio, quali appunto i membri delle cohortes
vigilum anche se è noto che, di frequente, anche gli strati più bassi della popolazione
talvolta ricorrevano ad un variegato campionario di immagini che rifletteva la loro realtà e
le loro ambizioni, rievocando certi aspetti della vita pubblica e lavorativa50.
La priorità era quella di ricordare l’individuo, più che quella di esaltazione del ruolo civile
oppure peculiarmente militare, come invece succedeva, in quest’ultima opzione, per le
altre categorie della guarnigione urbana di Roma, almeno per i primi tre secoli
dell’Impero.
Tale attitudine potrebbe verosimilmente essere imputata all’orgoglio circoscritto della
professione del vigile, che, secondo la letteratura pervenutaci, appariva non troppo
appropriata ad una celebrazione, se non addirittura oggetto di derisione e scherno 51,
come testimoniato dall’attribuzione popolana del nomignolo di sparteolii.
Nei rilievi sepolcrali di questi paramilitari si evidenzia in particolare, una ripetizione
convenzionale del motivo della corona, la cui interpretazione a livello di simbologia
funeraria è controversa perché tale ornamento era, in ogni caso, un prodotto industriale
delle botteghe lapidarie, nella quali si tendeva ad imitare per necessità di professione,
rimandando quindi il tema disegnato all’individualità dell’artefice52 più che al contenuto
metaforico, anche se, molte volte, tale reiterazione, diveniva luogo comune del linguaggio
figurato53.
49
VERZÀR-BASS 2010, p. 70.
ORTALLI 2010, pp. 86-87.
51
Da uno scolio delle Satire di GIOVENALE (XIV, 305) risulta: “*…+per translationem disciplinae militaris
Sparteolorum Romae, quorum cohortes in tutelam Urbis cum hamis et cum aqua Vigilia curare consueverunt
vicinis *…+”, come pure indicato in età tarda da TERTULLIANO nell’Apologeticum (39): “*…+ad fumum coenae
Serapicae sparteoli excitabuntur *…+”.
52
MACCHIORO 1911, p. 15.
53
Ibidem p. 13: “*…+ Non è il motivo in sé come tale ma il modo di usarlo che, tranne eccezioni, determina il
significato simbolico. E non è forse vero che a volte un motivo ritenuto per ornamentale dopo avere subito
parecchie vicende di adattamento industriale acquista invece una fisionomia che non esclude un contenuto
simbolico?”.
50
138
L’arte funeraria romana era comunque profondamente compenetrata dal sentimento
della morte, non potendo pertanto accettare motivi oscuri o assurdi54. Nella maggior
parte dei casi, si deve ritenere che soggetti apparentemente isolati e secondari
rappresentassero in realtà una versione abbreviata e semplificata di disegni che
fondamentalmente richiamavano significati simbolici e allusivi, strettamente connessi alla
sfera funeraria, chiaramente percepibili dall’osservatore dell’epoca55.
Le figurazioni sepolcrali di valenza simbolica offrono le indicazioni più importanti
sull’ideologia funeraria, sebbene la loro interpretazione sia spesso assai incerta.
apparato decorativo epigrafi funerarie Vigiles
(dati ricavati da BUSCH 2011, p. 172, Tab. 8)
corona vittata
ritratto
ascia
cratere con uccellini
10%
10%
10%
70%
7.4
La ghirlanda
Le ghirlande, o meglio corone nella terminologia latina, alla stregua di festoni o inserti
acroteriali, campeggiano su tanti segnacoli; si tratta di immagini di impianto elementare,
riferibili alla sacralità e alla ritualità delle pratiche sepolcrali, come le raffigurazioni di
arredi religiosi o di oggetti cerimoniali quali l’urceus e la patera. Queste due ultime figure
54
55
Ibidem p. 17.
ORTALLI 2010, p. 87.
139
sono presenti in monumenti sepolcrali in cui il Vigiles non era l’interessato ma il
committente, in qualità di padre del figlio defunto56.
Le corone sono da interpretare come la riproduzione dei provvisori addobbi usati nei
rituali funebri, trasposti e materializzati sulla pietra, così da rendere stabile quello che era
l’effimero scenario della decorazione floreale allestita in occasione delle festività in onore
dei defunti57.
Esaminando i monumenti sepolcrali della milizia dei Vigili, si può affermare che il serto è il
simbolo maggiormente disegnato (in totale nove58), non ascrivibile tuttavia a particolari
incarichi del vigile o alla distinzione tra veterani59 e non usato alla stregua di una
onorificenza.
Quale tipico simbolo della sfera funeraria, la ghirlanda è presente in diverse categorie di
epigrafi, come ad esempio nel caso individuato in C.I.L. VI, 2988 in cui si commemora un
beneficiarius, oppure nell’iscrizione in C.I.L. VI, 2994 dedicata ad un sifonario.
Non bisogna dimenticare che nell’esercito romano imperiale la corona, nelle sue diverse
forme, era la più prestigiosa decorazione ricevuta dai militari per i loro meriti in battaglia,
una delle massime onorificenze militari.
Si potrebbe immaginare una eventuale trasposizione sul rilievo funerario, di una corona
civica, premio militare concesso ai milites che salvavano la vita di un cittadino romano,
episodio d’altronde comunemente possibile nell’ordinario lavoro di un vigile addetto alla
lotta contro le fiamme.
Le caratteristiche di questa tipologia di serto erano coincidenti con gran parte delle
raffigurazioni sui supporti sepolcrali dei Vigiles: composto da foglie di quercia, vedeva le
estremità congiunte con un nastro, ipoteticamente di colore rosso. La corona civica, in
effetti, potrebbe specificatamente descrivere una traslitterazione dal mondo militare
proprio a quello dei Vigiles, contesto indubbiamente con un mix di connotazioni
56
In C.I.L. VI, 2968 è attestato, sull’epitaffio del proprio figlio, il tribuno dei Vigili della seconda coorte, Sex.
Truttedius Clemens, collocabile tra la metà del secondo e la metà del terzo secolo d.C., come pure in C.I.L.
XIV, 2057 Q. Sittius Flaccus è tribuno dei Vigili, sempre della seconda coorte.
57
ORTALLI 2010, p. 87.
58
BUSCH 2011, p. 140.
59
VON HESBERG 1994, p. 239: “ Mentre i cittadini si limitavano ai ritratti, nei quali i veterani spesso facevano
ritrarre i propri simboli onorifici sotto forma di falere e di corone, *…+”.
Di monumenti funerari di veterani delle cohortes vigilum ne sono conosciuti esclusivamente due (vedi BUSCH
2011, p. 172, Tab. 7, voce CV).
140
puramente civili, ma tendente, gradualmente, verso elementi distintivi di chiaro ambito
bellico.
In generale, la corona di elementi vegetali, formata da foglie, fiori o, anche frutti, è
contraddistinta dal segno convenzionale del cerchio, che sul piano simbolico
corrispondeva alla durevolezza, alla vitalità60.
La gamma delle stesse, nelle formule sepolcrali considerate, è varia: da realistiche, a
stilizzate, a segmentate, a lemniscate, a vittate.
Un esempio di corona segmentata è dato da un frammento di una piccole stele centinata
in marmo, conservata nella raccolta
epigrafica della biblioteca comunale di
Imola61, catalogata in C.I.L. VI, 2985 e
in C.I.L. XI, 78,1.
Il frontone, di appena 22 cm, che
contiene al centro il serto dal quale
dipartono
due
nastri
stilizzati,
è
completato da due acroteri.
Nella parte di specchio epigrafico
presente, risulta inciso il seguente epitaffio:
D(is) M(anibus)
P(ubli) Cipi Crescentis
mil(itis) coh(ortis) VI vig(ilum).
Le caratteristiche delle lettere apicate ed incise con modulo largo e profondo e le
interpunzioni triangolari, conducono ad una datazione del reperto al primo secolo d.C.:
Crescentis era un vigile, militare semplice, tra i più antichi finora conosciuti.
Una corona ornata di lemnisco compare nella stele marmorea del veteranus cohortis VI
vigilum catalogata in C.I.L. VI, 37249; nello specifico, il lemnisco era un nastro, in origine
di lana e in seguito anche di metalli preziosi, che veniva tradizionalmente avvolto intorno
alle corone dei trionfatori.
60
61
BIEDERMANN 1991, p. 222.
CICALA 1982, p. 90. Fonte immagine: fotografia per concessione della Biblioteca Comunale di Imola (Bo).
141
Numerose poi sono le corone vittate, come ad esempio tra le lettere D(is) e M(anibus),
nell’iscrizione sepolcrale in C.I.L. VI, 2970 ossia nella tabula in marmo di un vigile della
terza coorte (C. Calvius Sabinus), originario di Dertona: questo serto comprende anche i
lemnisci.
In realtà, entrambe queste due ultime specie di ghirlande, lemniscate e vittate,
rimandano metaforicamente alla vittoria e all’immortalità per via del significato figurativo
della conformazione ad anello, ma non possono essere comunque riportate unicamente
al mondo militare, in quanto nella simbologia funeraria erano generalmente fattori
celebrativi da ricondurre preferibilmente alla dimensione mondana e ad una prospettiva
di commemorazione sociale e personale, senza alcuna attinenza con il destino
ultraterreno dell’uomo62.
Con tutto ciò, non si può non apprezzare che spesso, nei monumenti funerari dei militari
di Roma, nei primi due secoli dell’età imperiale, l’unico ornamento corrisponde proprio ad
una corona vittata63.
L’utilizzazione di corone negli epitaffi dei Vigiles si rifaceva certamente all’idea di
rappresentazioni di sicuro e pregnante valore simbolico onorifico, concepite nell’ambito
di una ideologia collettiva immediata ed efficace per lo spettatore antico;
oggi,
purtroppo, le accezioni di tale emblema sono intrinsecamente ambigue e polisemiche a
causa delle pregiudiziali o dei condizionamenti che influiscono sui nostri odierni codici
interpretativi64.
7.5
L’ascia
Non si hanno più notizie circa l’esistenza e l’eventuale collocazione del rilievo funerario
del centurione cohortis II vigilum, T. Coelius Sentinianus65, originario di Forum Cornelii, la
cui epigrafe è riportata in C.I.L. VI, 2963, nella quale viene segnalata l’esistenza di
62
ORTALLI 2010, p. 87.
BUSCH 2011, pp. 163-164.
64
ORTALLI 2010 p. 89
65
In MONTEVECCHI 1939, pp. 176-177; p. 181; p. 186; p. 188 sono indicate diverse varianti dell’iscrizione,
riportate in manoscritti imolesi, a partire dal quindicesimo secolo. Vedi anche KELLERMAN 1835, p. 39.
63
142
un’ascia nella prima riga convenzionale della formula epigrafica, tra le lettere D e M
dell’adprecatio agli dei Mani.
La lettura iconografica dello strumento porta ad una ambivalenza significativa.
Innanzitutto potrebbe trattarsi di un’arma distintiva e, perciò, di un attributo della
professione antincendio del vigile, propria di un processo figurativo indirizzato all’uso di
emblemi, attraverso l’idea delle armi raffigurate senza il loro portatore.
In effetti l’ascia era uno strumento di demolizione, importante per isolare il fuoco
abbattendo edifici di legno o per sventrare porte e, come già ribadito, indispensabile
nell’equipaggiamento di un addetto al servizio di prevenzione e spegnimento degli
incendi.
Allo stesso tempo l’ascia come segno simbolico, in riferimento agli antichi fascies
lictoriae66, rimandava alla giustizia, che rientrava tra le competenze del praefectum
vigilum e di conseguenza, poteva identificarsi in un chiaro riferimento di delega delle
funzioni del capo supremo, sul campo, ai propri sottoposti nel corso della sorveglianza
notturna67.
Come accadeva parallelamente nelle legioni, anche nelle coorti dei Vigiles, i centurioni
svolgevano un ruolo di raccordo tra la truppa vera e propria ed i gradi più alti,
possedendo un grado che permetteva di percorrere poi un’ulteriore carriera nell’esercito
e, con questa, di acquisire una migliore collocazione sociale. Se fossero attestati altri
esempi di monumenti commemorativi con asce, si potrebbe postulare che tale immagine
per le cohortes vigilum possa essere equiparabile alla vitis, simbolo del grado del
centurionato nell’esercito.
A favore della congettura sul rimando giuridico, di amministrazione della giustizia è la
comparsa di un’ascia, sempre tra le lettere D e M S dell’adprecatio agli Dei Mani,
dell’epigrafe funeraria di un veterano della militia petitor di Roma 68 : in questa
testimonianza la difesa del diritto di proprietà è associata in modo palese alla dimensione
giudiziaria.
66
Nei fasci littori la simbologia è notevole: rappresentando di per sé il potere e l’imperium, in essi la
presenza dell’ascia indicava l’autorità sulla vita e sulla morte dei condannati.
67
RAMIERI 1990, p. 14.
68
KELLERMAN 1835, p. 62.
143
Se si osserva la scure come la figurazione di un utensile di lavoro per un vigile, essa si
concretizza quale manifestazione della fiducia nel mezzo iconografico come strumento di
comunicazione e di celebrazione, che era propria dello spirito italico69.
7.6
Gli uccellini
In C.I.L. VI, 32757 è indicato un piccolo cippo marmoreo dedicato alla memoria del miles
cohortis VI vigilum C. Iunius Fortunatus, da parte degli eredi, sulla cui sommità sono
scolpiti due uccelli affrontati, in mezzo ai quali è raffigurato un vaso a forma di cratere70.
La testimonianza archeologica proviene dagli sterri del 1887, effettuati tra la Via Salaria e
la Via Pinciana71.
La forma semplificata del motivo dimostra che esso non essere sentito come
rappresentazione di esseri vivi, ma come segno72. La tradizione mitologica e letteraria in
merito ad esso è solidissima: nel mito, l’uccello, animale domestico assai caro ai Romani,
significava l’anima, e venne preso in prestito, molto velocemente, dalla pittura
vascolare73, nonché dall’arte sepolcrale dove divenne un motivo profuso.
La raffigurazione simbolica di due uccellini, uno di fronte all’altro, mantiene un carattere
proprio, singolarissimo: era un motivo stereotipo che non poteva essere semplicemente
decorativo74.
Gli uccelli-anima relativi ad un solo estinto potevano essere parecchi: tuttavia, in una
composizione con un cratere, due piccole immagini si adattano meglio rispetto ad una
singola.
69
FELETTI MAJ 1977, p. 325.
BUSCH 2011, p. 140; NSA 1887, p. 238.
71
NSA 1887, p. 237.
72
MACCHIORRO 1911, p. 22: “*…+ per non dir come un simbolo, tanto più che questa schematizzazione è
contraria all’indole dell’arte decorativa in genere e dell’arte romana imperiale in specie, la quale, per
influsso dell’arte ellenistica, amava il pittoresco: i cippi e i sarcofagi lo dimostrano incontrovertibilmente.”.
73
Ibidem.
74
MACCHIORRO 1911, p. 61.
70
144
7.7
Ipotesi di immagini sepolcrali di membri delle cohortes
vigilum
Le testimonianze archeologiche funerarie di Vigiles, corredate da apparato iconografico,
oltre ad essere, per così dire, irrisorie, sono in diversi casi sfortunatamente scomparse dal
circuito dei reperti e, come visto sopra, in alcuni casi ne rimane eventualmente notizia
tramite le raccolte epigrafiche75 all’interno delle quali sono state censite.
Il già citato rilievo funerario del centurione della seconda coorte, T. Coelius Sentinianus,
commissionato dalla moglie Flavia Probincia,
del quale rimane la sola trascrizione
dell’iscrizione in C.I.L. VI, 2963 con l’indicazione della raffigurazione di un’ascia, sarebbe
davvero interessante ai fini di un esame autoptico per la ricostruzione di uno degli
strumenti della dotazione di un vigile o, in alternativa, dell’eventuale messaggio
semantico trasmesso da tale emblema.
L’aspetto intrinseco artistico delle uniformi e delle armi facilitò la nascita di iconografie
incentrate su di esse e ne consentì il trasferimento su monumenti, come sistema di
simboli in cui l’immediatezza conviveva con la chiarezza del senso; il programma
iconografico basato su temi dell’equipaggiamento militare assicurava un tono ridondante
nell’autocelebrazione che avveniva sul rilievo funerario76.
E’ logico supporre, quindi, che nell’ambito funerario non civile, l’attività e le capacità
(virtus) militari, fossero esibite con la rappresentazione di strumenti bellici e di
onorificenze ed è noto che questo modello era più volte imitato da appartenenti alle
truppe ausiliarie77.
Al riguardo è particolarmente significativo ricordare che, nel corso del primo secolo d.C., i
Pretoriani e gli Urbaniciani hanno prediletto monumenti commentati da immagini delle
sole armi, mentre, sullo scorcio del secolo e durante tutto quello successivo, la preferenza
andava nettamente alla completa effige del soldato.
Indubbiamente, effettuando un parallelismo, dal confronto di alcune stele figurate
ipoteticamente commemoranti Vigiles, con quelle relative agli altri militari delle coorti di
75
Le fonti che forniscono notizie di epigrafi scomparse sono: il C.I.L. (Corpus inscriptionum Latinarum) e gli
strumenti di aggiornamento quali l’Année épigraphique (A.E.), i Supplementa Italica (S.I.), per esempio, e
altre sillogi epigrafiche, oltre che le raccolte locali di iscrizioni.
76
FRANZONI 1987, p. 131.
77
VON HESBERG 1994, p. 272.
145
Roma, emerge la ripetitività e la persistenza del tipo del soldato stante che si appoggia ad
una lancia con il braccio destro e che con l’altro tiene uno scudo posato a terra;
l’uniforme, inoltre, è sempre costituita dalla tunica unita al mantello militare.
A tal riguardo, non può essere trascurata una stele in marmo commissionata da un miles
della quarta coorte dei Vigili, L. Monnenius Secundus, dedicata al fratello urbaniciano,
riportato dall’Année Epigrafique (A.E. 1948, 68 Rom) e attualmente collocata nella
Galleria Lapidaria ai Musei Capitolini di Roma78, databile al secondo secolo.
E’ evidente come la professione militare fosse motivo di prestigio per entrambi i fratelli,
interessato e committente. In questo
monumento sepolcrale viene pure
ribadito il legame corporativo di due
unità
differenti
della
guarnigione
urbana: coorti urbane e coorti dei
Vigili.
Lo schema iconografico è degno di
nota: significativa è la visualizzazione in
una profonda nicchia della stele a
pseudo edicola (alta 108 cm e larga 41
cm),
del
ritratto
del
defunto,
rappresentato in piedi a testa scoperta
con la tunica militaris e sopra il tipico
mantello indossato dai soldati, la
paenula
79
, rimboccata sul braccio
sinistro. Nell’immagine del personaggio
è compreso anche l’armamento: il pilum stretto nella mano destra; invece nella mano
sinistra l’urbaniciano Secundus porta una cassetta. La nicchia contenente l’effigie è ornata
con acroteri, mentre sotto ad essa compare lo specchio epigrafico ampio e liscio, con la
seguente iscrizione:
78
Immagine fotografica tratta da raccolte foto nel sito www.fickr.com
La paenula era un mantello corto, con una sola apertura per la testa, indossato da schiavi, soldati e civili
di basso rango sociale, è adatto per i viaggi e per cavalcare.
79
146
D(is) M(anibus)
C (aius) Monnenius
Secundus mil( es)
c(o)hor( tis) XIIII urb(anae)
7(centuria) Claudi
5
L(ucio) Monneni(o)
Secundo frati
suo mil(iti) c (o)ho(rtis) IIII vig(ilum)
(centuria) Lucreti Romani.
Gli acroteri stilizzati di acanto, quale motivo ornamentale ripetuto, denotano
fondamentalmente finalità comunicative con un significato specifico che, tuttavia, non è
di lettura immediata80, se non riconducibile a visioni allegoriche oscillanti tra l’esperienza
di vita dell’uomo, il pensiero della morte e la dimensione trascendentale, senza tralasciare
comunque il collegamento palese con la folta vegetazione che accompagna tanti impianti
sepolcrali.
Nella rappresentazione del soggetto, il carattere militare dell’abito e degli oggetti tenuti
in mano appare evidente a prima vista: tunica e mantello sono certamente attribuibili alla
sfera militare, enfatizzata dalla presenza del pilum.
La classe iconografica vede proprio una ripetizione di quella esemplare dell’ambito
militare, in cui il personaggio visto frontalmente è appoggiato all’arma da lancio con la
destra, mentre alla sinistra è affidato ad un altro attributo.
Nell’immagine di L. Monnenius Secundus si individuano difficoltà di interpretazione
dell’oggetto sostenuto con la mano sinistra, essendo assenti indicazioni epigrafiche tali da
attribuire una valenza inequivocabile a tale dotazione: si parla di una scatola, ma le
ipotesi circa la sua funzionalità rimangono frutto di congetture.
Si potrebbe presupporre, ad esempio, collegandosi alla stele del vigile Q. Iulius Galatus,
della stessa raffigurazione del contenitore per tavolette scrittoree e, pertanto attribuire la
funzione di annotazione di criminali ed azioni ree da parte dei membri, sia delle cohortes
vigilum, probabilmente durante le ore notturne, sia delle cohortes urbanae, nel servizio di
pattugliamento diurno. Tuttavia, del vigile Galatus si hanno informazioni in merito alle
80
ORTALLI 2010, pp. 94-95.
147
sue cariche (beneficiario, vessillario) mentre l’epigrafe dell’urbaniciano Secundus non
ragguaglia, come visto, circa le funzioni dell’interessato all’interno della quattordicesima
coorte urbana.
Nelle unità urbane di Roma, comunque, oltre ai compiti bellici, di presidio o di polizia, i
militari potevano anche garantire la supervisione delle attività mercantili oppure venire
proprio incaricati della riscossione delle tasse81: attività certamente diurne, riconducibili
meglio agli Urbaniciani che ai Vigiles, se si vuole negare una loro funzione di security
portata avanti anche durante le ore di luce.
Una considerazione sull’abbigliamento riguarda la paenula, alla stregua del sagum, vale a
dire il tipico mantello pesante di lana, aperto frontalmente e fermato sulla spalla da una
fibula, con il quale vengono spesso raffigurati i soldati comuni e i militari di basso grado.
I mantelli descrivono perciò l’aspetto normale del miles, in un assetto meno formale, se
non ancora tendente al civile, verosimilmente a seguito della tendenza confermata degli
appartenenti alla guarnigione urbana di una autorappresentazione non in armi.
D’altronde i soldati indossavano le armi solo
quando
necessario, ma
distinguibili
dai
civili
dovevano
per
via
del
essere
loro
abbigliamento e del loro cingulum.
Per ragionevole assegnazione alla serie dei
Vigiles, si considera altresì la stele veronese82 di
T. Aelius Victor, oggi situata nel Museo
Archeologico del Teatro Romano di Verona. Si
tratta di un monumentum molto rovinato e
mutilo, perché mancante della parte inferiore e
del lato destro.
L’iscrizione residua recita:
T. Aeli Vict(o)
ris mil(itis) coh(ortis)
…
81
82
FRANZONI 1987, p. 138.
Immagine tratta dal sito www.romanarmytalk.com
148
L’identificazione del militare appartenente alle coorti di Roma con un eventuale T. Aelius
Victor della quinta coorte dei Vigili, nel terzo secolo d.C., è supposta dal confronto con
una delle due liste del Celio, indicata in C.I.L. VI, 1057.
Tale attribuzione è ambigua in quanto si inserisce in un periodo temporale in cui si assiste
alla frequenza di nomi ricorrenti all’interno dell’esercito, fenomeno che impedisce una
identificazione di genere83.
Nella zona superiore della stele è stata ricavata, entro uno pseudofronte, la figura del
soldato, in rilievo molto basso: l’immagine è quella classica della raffigurazione di milites.
Il personaggio regge con la destra una lancia e, probabilmente, sostiene con l’altra uno
scudo posato a terra, mentre l’abbigliamento è costituito dal solito accoppiamento di
tunica e di sagum, che si scorge sul retro della figura84, chiaro segno del passaggio dallo
status civile a quello militare.
Le caratteristiche di imprecisione nella microscultura85, magari con il fraintendimento dei
modelli precedenti, appone un terminus post quem al rilievo funerario, che non può
sicuramente essere anteriore al terzo secolo.
Nel dettaglio, prendendo in considerazione l’area di provenienza del monumentum,
proprio nell’Italia padana, si rileva che i cenotafi di militari appartenenti alle differenti
milizie dell’Urbs, sia Pretoriani, che Urbaniciani, che Vigiles, sono tra loro singolarmente
vicini sia nella tipologia e sotto l’aspetto iconografico, come nelle province dell’Impero in
generale, dove nella scultura funeraria militare non si assiste di norma a standardizzazioni
collegabili con i soldati come tali o con una unità determinata86.
Tale uniformità dei monumenti funerari si rifletteva senza dubbio nella consapevolezza di
essere parte di un tutto: è quindi deducibile che all’interno delle guarnigioni urbane non
contava più di tanto mostrare una determinata appartenenza in forma ostentata o
sottolineare altre caratteristiche. Va però considerato che ogni lapide era originariamente
83
SABLAYROLLES 1996, p. 162. L’esempio relativo ai centurioni dei Vigiles, “De même, s’il est légitime
d’identifier le centurion des Vigiles Patroilus à son homonyme des cohortes prétoriennes *…+, une
identification de ce genre est impossibile avec des centurions dont le surnom était Severus ou Victor.” riporta
la difficoltà ordinaria nell’attribuzione onomastica dei milites. In ibidem, p. 196 si ribadisce l’apprezzamento
del cognomen Victor: “*…+les surnoms comme Felix et Victor qui étaient particulièrement appréciés chez les
soldats. Felix, à lui seul, était porté par 9,20% des Vigiles à surnom latin et Victor par 4,03% du même
ensemble.”.
84
FRANZONI 1987, pp. 57-58.
85
In generale, la scala di rappresentazione era fortemente diminuita e si attenuava, di molto, l’attenzione ai
dettagli, tanto che i rilievi più che offrire la figura e il volto di un personaggio preciso e chiaramente
identificabile, si avviavano a diventare immagini della vita militare.
86
BUSCH 2011, p. 164.
149
dipinta a colori vistosi: gli stessi potevano rappresentare delle caratteristiche
connotazioni di un corpo che oggi sono perdute, ma che all’epoca erano immediamente
riconoscibili dai Romani.
Seppure nell’arte mitologica vi fosse una naturale propensione del mondo romano
all’idealizzazione, oscurante la realtà, riflettente le distorsioni della medesima, questo
non valeva per il mondo militare né tantomeno per la scultura funeraria dei civili. Al
contrario è proprio grazie alla precisione degli artisti antichi che oggi possono identificarsi
le unità militari nella scultura, basandosi sui differenti stili di armi o scudi, o tipi di elmi, o
sui resti dei colori: è ridicolo pensare che l’artigiano non avesse mai visto le truppe in
azione o in movimento, e che potesse avere creato e scolpito equipaggiamento ed
armamentario a sua immaginazione. Questo non vuol dire che anche un equipaggiamento
reale poteva far parte della composizione decorativa, allo scopo di implementarla in
modo armonico87.
7.8
Il mosaico del Caesareum di Ostia
In un tentativo di analisi dell’iconografia relativa ai Vigiles, non si può tralasciare il
mosaico a decorazione geometrica, in tessere bianche e nere, del pavimento del vestibolo
dell’Augusteum, o meglio Caesareum88 della vexillatio di Ostia, datato alla prima metà del
secondo secolo89.
87
SOUTHERN 2007, p. 12, la pensa in modo diverso, ovviamente vittima della scuola anglosassone.
L’Augusteum era un santuario pubblico dedicato a Roma e all’imperatore: nell’esempio di Ostia, si
trattava di un luogo di devozione di un gruppo particolare, quello dei Vigiles e, per conto, non può essere
inteso come uno spazio effettivamente pubblico. La denominazione di Caesareum è quella accolta da gran
parte della bibliografia recente (vedi RAMIERI 1990, RAMIERI 1993, COARELLI 2007).
89
CARCOPINO 1907, p. 241; DELTENRE 2005, p. 11.
La datazione del mosaico è controversa. Secondo Carcopino, risulta più probabilmente inserita negli ultimi
anni del principato di Adriano, ma senza argomentazioni. L’ipotesi di Lanciani, al contrario, coincide con il
momento in cui il vestibolo viene costruito, ossia in epoca severiana. Entrambe le congetture sono in
contrasto con i criteri intrinseci di datazione dell’opera artistica perché l’abbandono della tecnica del
mosaico a figure monocrome è universale, salvo qualche persistenza in ambito italico, a partire dal terzo
secolo d.C.
88
150
Nonostante possa essere considerato,
assieme all’effigie di Q. Iulius Galatus, un
documento
sicuro
che
fornisce
la
rappresentazione figurativa di un vigile,
purtroppo
esso
non
dell’equipaggiamento
e
rivela
nulla
della
divisa
quotidiana degli appartenenti alla milizia
dei Vigili, in quanto la composizione
rimanda a scene relative a sacrifici religiosi, con un intento più decorativo che
comunicativo e, per contor, le immagini sono più significative per uno studio relativo alla
concezione romana di uno spazio culturale che non per l’analisi della figurazione90.
L’insieme presenta a sinistra un uomo in piedi, ritratto di profilo, nell’atto di
abbattimento di un toro sacrificale 91 . Le caratteristiche dell’abbigliamento e delle
dotazioni del soggetto rimandano essenzialmente ad un victimarius: in testa porta un
copricapo, attribuibile sia al mondo militare che cerimoniale92.
La certezza dell’affidamento di tale incarico all’interno di una coorte è fornita
dall’epigrafia: le liste della quinta coorte e quella della prima93, menzionano ciascuna un
victimarius, presente in tutti i corpi della guarnigione urbana, quale soldato immunis, che
aveva la specifica funzione di sacrificare gli animali durante le cerimonie religiose della
divisione94.
Il vigile vittimario indossa una corta tunica alla maniera di un pareo, la quale lascia il torso
nudo, alla stregua degli assistenti dei sacerdoti durante i rituali; la piegatura del tessuto
sopra le anche palesa la presenza, non individuabile nell’immagine, di un cingulum, ossia
la cintura che permetteva di tenere la tunica cinta e che, nell’ambito militare, era atta a
sostenere oggetti, per esempio il gladio, oltre che essere simbolo della milizia.
La gestualità del brandire nella mano destra la scure presuppone l’inizio del sezionamento
dell’animale già ucciso.
90
DELTENRE 2005, p.2.
Immagine tratta da DELTENRE 2005, p.7.
92
CARCOPINO 1907, p. 231 : “L’homme, glabre, coiffée d’un bourrelet dont il est difficile de dire si c’est un
pileus de fentre, comme en portaient le soldats et le marins, ou une infula ceignant la tête de ceux qui
participent aux fonctions sacrées, *…+”.
93
C.I.L. VI, 1057, 1058.
94
SABLAYROLLES 1996, pp. 231-232.
91
151
Nel complesso iconografico musivo segue un personaggio raffigurato di faccia95, barbuto,
di cui è visibile l’abbigliamento diverso, rispetto al precedente victimarius, cioè una toga o
meglio la tunica di un bovaro, distinguibile anche dal bastone, tenuto nella mano destra,
utilizzato per condurre la bestia: da ciò consegue che non vi siano apparentemente
elementi per identificare un membro delle coorti dei Vigiles in tale soggetto, a meno che
non lo si voglia ricondurre addirittura al prefetto, il quale presiederebbe il sacrificio, con
un atteggiamento ieratico. In realtà il comandante supremo presiedeva a tutte le feste
religiose delle sette cohortes96.
A destra è collocato un sacrificatore, la principale personalità della composizione figurata,
armato con una lunga ascia, che indossa il limus, vale a dire una sorta di gonna ornata e
frangiata al margine inferiore, trattenuta da una fascia di porpora, avvolta a più giri
attorno alla vita, mentre il torso veniva lasciato nudo.
Si ipotizza che tale ritratto, il quale si
diversifica completamente dagli altri
personaggi per le calvizie e l’adiposità,
potrebbe appartenere al comandante
della vexillatio di Ostia, ossia al
sub-
praefectus, il quale avrebbe celebrato i
sacrifici, come previsto, in nome dei
propri sottoposti. Nelle iscrizioni votive
rinvenute nel distaccamento, proprio il sottoprefetto dei Vigili, risulta essere il primo
dedicante per conto dei suoi uomini97.
La sequenza vede anche altri due individui che coadiuvano il sacerdote nella funzione
cerimoniale98, producendo musica attraverso un flauto e portando oggetti rituali, tra cui
probabilmente una patera. Al di sopra della tunica questi due personaggi indossano un
corto mantello.
95
Immagine tratta da DELTENRE 2005, p.7.
SABLAYROLLES 1996, p. 100.
97
CARCOPINO 1907, p. 237.
98
Vedi immagine nella pagina successiva (p. 153) tratta da DELTENRE 2005, p.8.
96
152
Infine la scena si chiude allo stesso modo di
come inizia, ossia con la raffigurazione di un
altro vigile victimarius99, con il profilo a destra
e in testa una corona sopra al copricapo, della
quale sono accertabili due foglie poste davanti
alla fronte del soggetto.
Sebbene non vi siano elementi riferibili
propriamente
all’attività
militare
degli
officianti il rito sacrificale riportato nel mosaico, da tale testimonianza iconica è possibile
dedurre alcuni indizi che riconducono effettivamente ad un ambito indubbiamente non di
matrice civile.
La composizione rappresenta, in realtà,
una semplice offerta rituale durante le
feste in onore dell’imperatore regnante,
cioè il sacrificio di un toro, vittima
solitamente
imperiali
100
consacrata
alle
divinità
: per l’anniversario della
nascita, dell’acclamazione, dell’elevazione
alla
carica
consolare,
i
Vigili
del
distaccamento di Ostia, come gli altri soldati, compivano tale rito e, per realizzarlo in
modo appropriato, invitavano nella loro sede, un bovaro con l’animale per l’olocausto e
un sacerdote con gli assistenti, alla stregua dei cittadini per i sacrifici privati.
In secondo luogo, i personaggi raffigurati come membri del corpo dei Vigiles, sono vestiti,
in pratica, con la tunica militaris101, ma soprattutto portano il cingulum, chiaro segnale di
appartenenza al mondo dei guerrieri, come pure il mantello corto, di indubbia
connotazione militare.
99
Immagine tratta da DELTENRE 2005, p.9.
CARCOPINO 1907, p. 236-237.
101
Ibidem, p. 237.
100
153
7.9
Il punto di arrivo attuale degli studi iconografici sui Vigiles
Dall’esame del modesto numero delle potenziali stele figurate commemorative di Vigiles,
si nota una singolare persistenza delle iconografie che, in modo sintetico ed efficace,
ricordano l’appartenenza del defunto all’elemento militare, mediante la sua
rappresentazione in armi ed in posizione stante.
Ogni ritratto antico era indiscutibilmente il frutto di una scelta e di una selezione di
particolari, operata consapevolmente, e, in essa, elementi personali comparivano accanto
ad altri comuni a molti soggetti. Gli elementi comuni operavano in modo più vincolante
che altrove nell’ambito militare102 e paramilitare, come appunto il caso dei Vigiles, ma
una loro corretta interpretazione richiede non poche cautele.
L’effige di un soldato armato non deve portare all’errata conclusione che quella
rappresentata sia la tenuta quotidiana, ma certamente che sia una sorta di tenuta che era
quella usualmente utilizzata. La tesi di alcuni studiosi103, secondo cui la raffigurazione di
un soldato in tunica e mantello potrebbe volere trasmettere un messaggio di
conciliazione, la volontà di ridurre la separazione con il mondo civile oppure, al contrario,
di accertuarne la separatezza rimane nel mondo delle teorie empiriche che mal si concilia
con la semplice praticità dei Romani. Era chiaro che un militare doveva essere
rappresentato come tale, ed essere immediatamente riconoscibile da chi guardava la
stele, come lo era quando ancora in vita girava con le vesti sue proprie.
Quanto accadeva a livello di iconografia funeraria data dalle rappresentazioni individuali,
nel mondo dell’esercito ed indubbiamente nelle altre guarnigioni urbane, può riflettersi
nell’ambito delle cohortes vigilum, in particolare nel periodo successivo al secondo secolo
d.C., datazione approssimativa dei reperti archeologici analizzati, quando l’evoluzione
verso una sempre più accentuata militarizzazione di tale corpo procedette sempre più
velocemente.
L’esigua quantità di figurazioni non offre, purtroppo, un repertorio di riferimento di come
i membri delle unità di Vigiles potevano venire ritratti. Forse perché, dopo tutto, un
repertorio di riferimento non c’era.
102
103
RICCI 2011, p. 133.
Ibidem.
154
La sola immagine di un vigile su un monumento commemorativo, presa senza considerare
il testo dell’iscrizione, il quale aiuta ad identificare il corpo di appartenenza, non
renderebbe possibile l’individuazione di una tipologia specifica di abbigliamento o di
elementi caratteristici dell’equipaggiamento, che distinguevano gli uomini di tale milizia
da altri. Ma ancora una volta va ricordato che la perdita dei colori originari ci permette
ora di vedere la scultura come non si presentava all’epoca, dove i segni distintivi erano
ben riconoscibili.
E’ opportuno, inoltre, valutare che gran parte della scultura funeraria dei soldati a Roma
denota una lavorazione piuttosto modesta e assai omogenea, a confronto delle possibilità
finanziarie dei militari e della quantità di botteghe disponibili nella capitale 104; la qualità
mediocre dell’arte sepolcrale è per di più supportata dalla distanza risultante tra
l’osservatore105 e la struttura architettonica: ciò si verifica indistintamente sia per i civili
che per i militari106, per cui non può essere considerata una discriminante.
Ricapitolando, abbigliamento indossato e armamento recato da legionari, Pretoriani,
Urbaniciani e Vigili, non sembrano essere caratteristici di un corpo piuttosto che di un
altro, vagliando attentamente anche le varianti, che spesso si ripetono in settori
differenti; tuttavia l’abbinamento di tunica e mantello è di gran lunga prevalente,
trattandosi dell’uniforme quotidiana, indossata anche nelle occasioni solenni107.
Sintomatica è comunque l’evidenza delle armi, tenute in mano, accanto alla figura:
gladius e pilum (con punta conica) o hasta108 (con punta foliata), che assai probabilmente
faceva parte della dotazione dei Vigiles, come l’arma dissuasiva cioè la fustis. Bisogna
comunque considerare che la lancia, oltre alla sua rappresentazione in quanto arma,
potrebbe avere il significato di richiamo simbolico al ruolo di questi miliziani, nonché alla
funzione giudiziaria del praefectus vigilum.
La scelta iconografica nei rilievi funerari dei Vigiles potrebbe in realtà essere stata
condizionata dal ruolo che tale mestiere, prima paramilitare e poi propriamente militare,
rivestito nel contesto di Roma, sottolineando la vicinanza e la coesistenza rispetto a
104
BUSCH 2011, p. 164.
VON HESBERG 1994, p. 233.
106
Ibidem, p. 236.
107
RICCI 2011, p. 147.
108
L’hasta era un’arma in legno, da fianco, con una punta in ferro a doppio taglio.
105
155
soldati di altri corpi, in modo da produrre complessivamente un insieme eterogeneo di
truppe, le quali cooperavano alla safety & security della capitale imperiale.
Nonostante ciò, un solo esempio di volontà di illustrazione di un vigile su una stele
funeraria, non può essere considerato sufficiente a teorizzare l’appartenenza al mondo
militare di tutti i membri il corpo, almeno prima della riorganizzazione severiana
dell’esercito. Ma in questo senso suppliscono le fonti.
Non può, inoltre, venire omesso un paragone importante con le altre guarnigioni
dell’Urbe: a scapito dell’assodata consuetudine in altre parti dell’Impero Romano, i
militari nella capitale non comparivano spesso nei loro monumenti a figura intera109;
infatti, a Roma, si incontrano quasi solo monumenti funerari militari senza
rappresentazioni figurate, segno forse tangibile di una sorta di ritrosia, altrove non
osservabile in pari misura e di cui no se ne spiega la ragione110. Di tale trend si sarebbero
appropriati a sua volta i membri delle cohortes vigilum, come risulta dalle immagini degli
stessi fornite dal mosaico del sacrificio del Caesareum di Ostia.
L’orientamento predominante tra i Vigiles, in materia di sepolture, nel corso dei primi
secoli dell’impero, che non si attaccava eccessivamente ai temi militari e alle figurazioni in
uniforme, al pari degli altri milites interagenti nel contesto di Roma, contrasterebbe
verosimilmente con la successiva vocazione di questi ultimi, nell’età dei Severi, quando
predominò l’enfatizzazione dello status militare attraverso le immagini, con una
trasformazione nelle modalità di rappresentazione nel campo della scultura funeraria in
generale.
7.10 Alcune considerazioni sull’epigrafia
Un ramo notevole dello studio dell’esercito romano in età imperiale, a livello di
ricostruzione della vita dei milites e di descrizione dell’intero esercito 111 , è dato
dall’epigrafia, che, per quanto riguarda le cohortes vigilum, è molto avara di informazioni.
109
Tra i numerosi esempi a disposizione, si cita il monumento funerario di C. Monnenius Secundus,
urbaniciano, commissionato dal fratello militante nel corpo dei Vigiles.
110
BUSCH 2011, pp. 163-164.
111
SOUTHERN 2007, p. 9.
156
L’analisi epigrafica si può suddividere in due gruppi comprendenti rispettivamente le
iscrizioni collettive e quelle relative ai singoli membri del corpo dei Vigiles.
Le prime sono generalmente celebrative dell’imperatore regnante, realizzate dal corpo o
meglio dalle singole coorti, mentre le seconde vengono classificate in dedicatorie
(all’imperatore o alle divinità) e in onorifiche e funerarie, costituendo, queste ultime, la
maggioranza. Queste celebravano le benemerenze del singolo guadagnate nella sua
carriera, citando il servizio svolto, appunto, nelle cohortes vigilum. Le iscrizioni che,
invece, onoravano l’imperatore oppure attestavano la devozione nei confronti di una
divinità, erano in gran numero commissionate dai prefetti o dai ranghi più elevati delle
coorti.
Gli epitaffi di Vigiles abitualmente forniscono informazioni circa il nome del soldato,
l’unità o le unità nelle quali ha servito, la sua età alla data del decesso: il vocabolario di
tali iscrizioni ha un carattere povero e stereotipato.
Sembra presentarsi un certo disequilibrio nella cronologia epigrafica rispetto a quello
risultante da uno studio del corpo dei Vigiles in epoca severiana112, a seguito della
scoperta delle grandi basi quadrangolari in onore dell’imperatore Antonino Caracalla,
nella vexillatio di Ostia113, ossia i cosiddetti latercula del 205 e 210 d.C., che offrono una
preziosa immagine delle cohortes vigilum del terzo secolo, oltre ad una quantità di
materiale incomparabile per un’indagine onomastica114.
Tra le iscrizioni non datate, sia di Roma che del territorio italico, la maggior parte sembra
comunque anteriore alla metà del terzo secolo d.C.115.
Fino all’età traianea non sono presenti iscrizioni singole: da questo momento in poi, ci
sono sì iscrizioni delle cohortes, ma sono riferite esclusivamente all’attività di costruzione
dei locali, e quindi commissionate dai costruttori, per cui assimilabili alla categoria delle
epigrafi individuali. Infatti, fino a Settimio Severo non si trovano più iscrizioni collettive a
Roma, con l’eccezione di Ostia.
112
SABLAYROLLES 1996, p. 175.
Tali monumenti trasmettono: la lista di quattro centurie della prima coorte nel 205 d.C., la lista
dell’intera quinta coorte nel 210 d.C., e della stessa qualche anno più avanti. Sono state censite in C.I.L. VI,
1056, 1057, 1058.
114
SABLAYROLLES 1996, p. 184. E’ necessario prendere atto che l’onomastica non trasmette dati certi
sull’origine delle reclute dei Vigiles: ad esempio il medesimo gentilizio può indicare fratelli, parenti oppure
liberti dello stesso patronus.
115
Ibidem, p. 178.
113
157
Per quanto riguarda le epigrafi funerarie sono degne di nota quelle rinvenute fuori Roma,
nelle relative città, riferibili ai tribuni dei Vigiles, le quali riproducono un aspetto
caratteristico del mondo romano, vale a dire l’attestazione di ammirazione e di
riconoscenza da parte dei propri concittadini a coloro che li rappresentavano a Roma116,
come avveniva spesso per i soldati e per gli stessi Vigiles che ottenevano promozioni in
altri corpi dell’armata.
Le iscrizioni hanno permesso di comprendere, seppure in maniera circoscritta, la presenza
di veri e propri Vigiles in due città provinciali della Gallia (l’attuale Francia): Nemausus117 e
Lungdunum 118 , in contrasto con la tendenza assodata ad implementare collegia di
artigiani per i compiti antincendio, con missioni di intervento esclusivamente limitate allo
spegnimento delle fiamme.
L’epigrafia assurge spesso a prova tangibile dell’integrazione sociale dei soldati dei Vigiles,
quando rende evidente per esempio, l’adozione di nomi latini nell’onomastica dei
medesimi o la latinizzazione di appellativi orientali, obbligatoria con l’acquisizione della
cittadinanza romana.
La maggior parte delle iscrizioni possiede, comunque, un carattere ufficiale che, di
conseguenza, va ad eliminare metodicamente l’individualità della figura del vigile, oltre
che l’aneddotico della medesima, non permettendo alcuna analisi della vita quotidiana di
questi uomini della guarnigione urbana.
Solo i graffiti dell’excubitorium della quattordicesima regio119, quelli della caserma di
Ostia, e qualche raro epitaffio apportano qualche ragguaglio nel settore personale e non
formale120, rivelando comunque poco sotto l’aspetto della generale operatività del corpo
di guardia121. In effetti, le iscrizioni graffite, oltre a configurarsi come una straordinaria
fonte di prima mano, offrono una testimonianza viva e toccante nel partecipare in modo
diretto al lettore e a distanza di secoli i messaggi dei Vigiles. A queste scritte scalfite
frettolosamente, racchiuse talvolta in una cornice con anse laterali o accompagnate da
116
Ibidem, pp. 153-154.
C.I.L. XII, 3002, 3166, 3210, 3213, 3223, 3232, 3247, 3259, 3274, 3296, 3303.
118
C.I.L. XIII, 1745.
119
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 99.
120
SABLAYROLLES 1996, p. 315.
121
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 138.
117
158
disegni sommari eppure efficaci, i militari avevano affidato i propri sentimenti e i timori
con linguaggio semplice ed immediato122.
In realtà, la scrittura lapidaria rivela il peso dato dall’istituzione militare in due aspetti
dell’esistenza privata dei Vigiles vale a dire la religione e la vita familiare.
In ambito di devozione, il culto ufficiale delle cohortes dei Vigili vede la pratica religiosa
completamente subordinata alla struttura militare: il culto del Genius Centuriae, associato
alla vita della centuria, è praticamente uguale a quello dimostrato per gli altri corpi
dell’esercito, in particolare per quelli della guarnigione urbana, come pure i
comportamenti tradizionali dell’evergetismo romano123.
Il Genius era il protettore delle veglie e delle pattuglie, simboleggiava la presenza del
divino anche negli atti più umili del servizio dei Vigiles, divenendo una realtà vivente alla
quale ciascuno aderiva con fervore: il mondo degli dei era permeato con quello degli
uomini e tale credenza era radicata nell’intera concezione del paganesimo romano124.
Il culto imperiale poneva il corpo dei Vigili sullo stesso piano del resto dell’esercito, con
l’eccezione delle coorti pretorie e degli Equites Singulares, unità che sembrano non aver
posseduto le figure degli imaginiferi.
Avvenimenti pubblici o privati afferenti alla famiglia imperiale erano l’occasione per
testimoniare la fedeltà delle truppe dei Vigili alla dinastia: il numero cospicuo di iscrizioni
trovate nei siti archeologici, conferma questo attaccamento dei soldati ai valori ideologici
tradizionali125.
Lo stesso regime di relazioni dei Vigiles era peraltro simile a quello dell’intera categoria
militare 126 : legami di amicizia e di affetto paterno predominano rispetto all’amore
coniugale.
In effetti, fino alla riforma severiana dell’esercito, i membri delle cohortes vigilum, come
degli altri militari, non avevano la possibilità di contrarre legale matrimonio, durante gli
anni di servizio127: questa restrizione spiega lo spazio limitato occupato dalle donne e dai
figli nelle iscrizioni funerarie.
122
RAMIERI 1990, p. 27.
SABLAYROLLES 1996, pp. 386-387.
124
E’ inconfutabile che il cristianesimo produrrà altri valori nell’uomo membro delle cohortes vigilum, che lo
porterà ad essere, a tutti gli effetti, un soldato cristiano.
125
SABLAYROLLES 1996, p. 390.
126
Ibidem, p. 399.
127
Solo al termine del servizio, cioè honesta missio, il vigile poteva contrarre matrimonio.
123
159
A fronte della relativa rarità delle fonti epigrafiche sono state congetturate diverse
ragioni, tra le quali indubbiamente vanno scartate quelle economiche e culturali, per dare
maggiore peso a quelle sociologiche. La pressione sociale e la considerazione della
professione dei Vigiles erano offuscate dal poco credito che la vox populi loro accordava:
dato il legame con la massa popolare, per conto, magari questi uomini preferivano non
ricordare di avere servito nelle coorti dei Vigili128, poiché trattasi di una occupazione
lavorativa ordinaria, reputata scevra da imprese eccezionali.
Agli occhi dell’osservatore moderno pare incontestabilmente certo che, più di una volta,
gli antichi Vigiles nocturni si siano trovati, invece, a fronteggiare contesti straordinari nella
quotidianità di Roma imperiale, riuscendo ad avere la meglio sul fuoco o su qualsiasi altra
evenienza che potesse mettere in pericolo la safety e la security della capitale.
7.11 Il ruolo di security dei Vigiles nelle fonti letterarie
Scarsi sono gli accenni degli autori antichi alla guarnigione urbana dei Vigiles: nel trantran
dell’antica Roma, alla stregua di qualsiasi altra professione, indubbiamente tali uomini
non potevano essere argomento di ammirazione letteraria nella regolarità dei loro
interventi.
Al contrario, come accade nel mondo attuale a livello massmediatico, gli insuccessi delle
ronde nella prevenzione degli incendi e nella lotta al crimine notturno destavano
maggiore attrattiva: gli esiti fallimentari delle attività dei Vigiles erano quindi evidenziati
negli scritti dei letterati dell’Antichità, in modo da farcire l’immagine delle cohortes
vigilum con un inevitabile giudizio negativo, perpetuatosi poi tra i posteri, nel totale
disinteresse verso l’utilità del delicato servizio notturno della guarnigioni urbana.
A favore di tale atteggiamento risulta essere la minuziosa trascrizione della lista delle
importanti conflagrazioni accorse nella capitale, nel periodo che va dal tra il 31 a.C. ed il
410 d.C., che portarono alla distruzione di vaste zone residenziali ed edifici pubblici.
La mancanza di interesse delle fonti scritte letterarie, si addizionò alla lacunosità dei
riferimenti, sia a livello diacronico che sincronico. Assiomatico è il fatto che gli storici
128
SABLAYROLLES 1996, pp. 406-407.
160
illustri tesero decisamente ad ignorare tale istituzione 129 , nonostante l’esaltazione
dell’esercito imperiale che hanno espresso nelle loro opere.
L’assenza di testimonianze dirette della creazione augustea è anche qui evidente: esiste
una sola fonte coeva, la Geographia di Strabone130 , che cita in un breve accenno
l’istituzione dei Vigiles da parte del Princeps, sottolineando lo status giuridico degli
arruolati, ossia ex schiavi manomessi, nonché l’adozione da parte di Augusto del modello
delle brigate antincendio attive ad Alessandria131.
Originale, in tale argomentazione, è il riferimento di Appiano di Alessandria, storico e
filosofo greco del terzo secolo d.C., il quale colloca la nascita della guarnigione urbana dei
Vigiles già nel 36 a.C.132. Date peroò le somiglianze del corpo con quello che si ritrovava
nello stesso periodo di tempo nella futura provincia d’Egitto133, la data di creazione a
Roma risulterebbe molto più plausibilmente concreta solo se successiva alla visita di
Augusto in tale territorio.
Nell’excursus
letterario,
partendo
dunque
da
Strabone,
compare
uno
iato
nell’informazione inerente ai Vigiles per quasi un secolo e mezzo: di conseguenza, tutte le
altre attestazioni letterarie sullo start-up della Militia Vigilum, sono postume ed,
irrimediabilmente riportano la situazione della loro epoca; come accade per altre branche
dell’esercito romano, molti ragguagli derivano da quegli autori che narravano la storia
romana in generale, illustrando periodi di tempo remoti rispetto ai loro giorni.
Dalle opere di autori classici quali Svetonio 134 e Dione Cassio135 è tuttavia possibile
estrapolare un sommario resoconto della primigenia organizzazione delle coorti dei Vigili,
nel quale è ben evidente la sottoposizione della terza guarnigione cittadina (rispetto a
quella della guardia imperiale pretoria e quella delle coorti urbane) ad una condizione di
netta inferiorità.
Sintomatica della nuova situazione era la meraviglia suscitata nei Romani, secondo
quanto riportato da Svetonio136, nell’impiego di liberti equipaggiati con asce e varie armi:
129
CAPPONI MENGOZZI 1993, p. 54.
STRABONE, Geographia V, III, 7.
131
STRABONE, Geographia XVII, I, 12.
132
APPIANO, Bella Civilia V, 122.
133
L’Egitto diventa provincia romana nel 30 a.C., acquisita da Ottaviano Augusto dopo la morte di Cleopatra.
134
SVETONIO, De Vita Caesarum I, 25.
135
DIONE CASSIO, Historiae Romanae 55, 26.
136
SVETONIO, De Vita Caesarum I, 25.
130
161
solo in altre due occasioni in passato si erano utilizzati schiavi manomessi come soldati,
vale a dire, per la protezione delle province illiriche e per sorvegliare la riva del Reno.
A ciò si unisce, inoltre, il quarto libro degli Annales di Tacito, nel quale vengono elencate
tutte le forze armate nel 23 d.C.137, ma deliberatamente tralasciando i Vigiles, considerati
una forza militare, dalle fonti letterarie, solo in età traianea. In questo caso, è probabile
che l’autore riferisca il punto di vista, non del suo tempo138, ma dell’inizio del primo
secolo d.C., parlando appunto del principato di Tiberio, quando le cohortes vigilum erano
ancora un corpo paramilitare, ma tale giustificazione non può essere supportata
dall’assenza di riferimenti alle stesse nel resoconto dell’incendio neroniano del 64 d.C. 139.
La cattiva valutazione dell’operato dei Vigiles, durante l’episodio appena citato, è
annunciata da Dione Cassio, il quale riporta l’inoperatività degli stessi per fermare il
disastro causato dalle fiamme e la priorità addirittura data agli atti di saccheggio da loro
compiuti140 nell’occasione.
Accade spesso che i testi letterari141 rendano noti molteplici interventi per falsi allarmi,
causati, per esempio, dai fumi delle cucine per la preparazione di importanti banchetti, in
una mole tale da venire facilmente confusi con vere e proprie combustioni in atto.
Nel procedere dei secoli, l’appellativo popolare affibbiato ai Vigiles, venne riportato
anche nei testi142: lo scherno scaturiva proprio dal riscatto sociale palese, di cui potevano
beneficiare questi uomini nell’adesione al modello romano, in particolare dalla condizione
di ambiguità del corpo delle origini. Tale riabilitazione permase invisa ancora nella tarda
Antichità, nonostante che le connotazioni tecnico-operative delle coorti dei Vigili fossero
notevolmente mutate.
Eppure, nonostante la derisione, o meglio la reputazione comica, che traspare da tale
atteggiamento letterario, è possibile ritrovare labili tracce dell’importanza rivestita dalle
coorti dei Vigili in particolari occasioni: in effetti, alcune citazioni degli storici romani
137
SOUTHERN 2007, p. 120.
Gli Annales sono scritti da Tacito attorno al 115 d.C.
139
Tacito non menziona i Vigiles nemmeno parlando di remedia per domare il fuoco. Nell’intera opera degli
Annales, se si eccettua un accenno ad un praefectus vigilum, non esiste menzione alcuna dell’attività di
questo corpo.
140
E’ bene evidenziare la faziosità della letteratura: Dione Cassio nel suo racconto, ritiene Nerone
completamente responsabile dell’incendio del 64 d.C. e, di conseguenza, nessuna azione delle truppe
imperiali può essere incoerente con la sua narrazione. Sicuramente l’autore scriveva dopo un’esperienza
non positiva nell’ambito dell’esercito romano, che lo portava a vedere tutte le unità da un’angolazione
probabilmente distorta.
141
PETRONIO, Satyricon 78.
142
Ibidem; GIOVENALE, Satire (Schol.) XIV, 305; TERTULLIANO, Apologeticum 39.
138
162
riguardano più propriamente l’uso delle stesse come forza militare, spesso congiunta alle
coorti urbane.
In particolare, sempre Dione Cassio, rievoca l’avvenimento della caduta di Lucio Elio
Seiano, prefetto del pretorio che tentò di succedere all’imperatore Tiberio, e che venne
arrestato proprio dai Vigiles, comandati dal praefectus vigilum Grecinio Lacone, nel 31
d.C.; anche Tacito, nelle Historie, riferisce del ruolo militare delle cohortes vigilum durante
il periodo della guerra civile per la successione imperiale, nel 69 d.C. e, soprattutto,
appare evidente come i Vigiles e il praefectus vigilum fossero subordinati agli ordini del
praefectus urbi, già in età flavia (“omnis miles urbanus et Vigiles domum Flavii
complevere”), verosimilmente in relazione alle mansioni di polizia, che esulavano dai
compiti specifici antincendio del corpo.
E’ indubbio che, nel tempo, l’attività diurna di tali uomini andrà assumendo un peso
sempre maggiore, sia nelle pratiche di mero antincendio che nelle funzioni proprie di
sicurezza urbana, andando inevitabilmente ad integrare un settore già occupato in modo
rilevante dalle cohortes urbanae143.
La complementarietà delle due guarnigioni nella prospettiva della safety & security della
capitale, non poteva esimersi da una sicura cooperazione o da una eventuale
interscambiabilità operativa; definire con assoluta certezza le competenze e le soggezioni
nell’ambito della gestione della sicurezza della Roma imperiale, sulla sola base di quanto
riportato nei testi scritti antichi, non è sempre sufficiente.
L’ulteriore, seppur scarsa, letteratura antica che menziona il corpo dei Vigiles è quella dei
giuristi del terzo secolo d.C., mentre gli storici successivi ignorano completamente la
portata dei cambiamenti sia nelle mansioni, che nello status sociale tra l’originale
istituzione augustea e l’apoteosi manifestata in età severiana, resa nello specifico dalle
fonti epigrafiche, in tal caso abbondanti.
Nella produzione tardo antica, la fonte letteraria basilare di indagine storica sui Vigiles è il
Liber singularis de officio praefecti vigilum scritto dal giurista Paolo, e conservato per
brevi estratti nel Digestum, il quale origina però una serie di questioni circa l’attendibilità.
Testo fondamentale per lo studio dei poteri del prefetto dei Vigili, venne redatto all’inizio
143
Il praefectus urbi nella letteratura (Digestum I, 12, I) è designato come garante dell’ordine pubblico,
aveva il compito di assicurare la tranquillità della popolazione, la sorveglianza dei luoghi pubblici, degli
spettacoli, il controllo delle cambiavalute, dei prezzi delle carni, la vigilanza dei mercati, la competenza a
procedere contro le associazioni proibite ed il controllo delle associazioni in genere.
163
del terzo secolo d.C., presentando l’istituzione come risultato di molteplici riforme negli
oltre due secoli di esistenza. E’ altamente probabile che i succinti frammenti, inseriti poi
nel sesto secolo dai compilatori nel Digestum, possano avere subito ulteriori corruttele
durante la tarda Antichità144.
Grazie ad una raccolta di notizie topografiche risalenti al quarto secolo, si hanno riscontri
circa l’acquartieramento delle coorti nelle regiones: come già discusso precedentemente,
sono i Cataloghi Regionari, ossia due redazioni leggermente diverse tra loro, pervenute da
un originario catalogo delle quattordici suddivisioni della Roma augustea.
Anche la Notitia Dignitatum recupera informazioni sui Vigiles del periodo finale
nell’Impero postdioclezianeo. Il documento non è altro che una lista di ufficiali civili e
militari delle due parti dell’impero, occidentale ed orientale, comprendente i rispettivi
staff, unità e comandanti nei vari forti, e le guarnigioni stazionate in entrambe le metà145;
in sostanza una specie di annuario o organigramma. Tramandato in un manoscritto
riccamente illustrato, noto sin dal quindicesimo secolo, il testo presenta non pochi
problemi di datazione146, dato che la sua compilazione originale non fu unitaria: come
ogni documento di questo tipo, è stato soggetto a continui aggiornamenti, probabilmente
eseguiti per sezioni.
Sui Vigiles a Ravenna, durante il tardo Impero, se ne ha comunicazione esclusivamente
dalla letteratura cioè da Cassiodoro147, il quale li reputa un’organizzazione separata,
distanti dalle antiche cohortes vigilum romane, paragonabili piuttosto alle associazioni
delle città provinciali per l’anticendio, per esempio Nemausus o Lugdunum148.
Il maggiore spazio offerto ai documenti scritti è riservato quindi al praefectus vigilum, il
cui officium, seppure molto importante, rimane pur sempre inferiore rispetto a quello
esercitato
dagli
altri
alti
funzionari
di
nomina
imperiale;
sull’istituzione
e
sull’organizzazione della prefettura si trovano testimonianze già in Strabone149, poi in
144
Ad esempio, nel Digestum, non sono definiti i limiti di potere sia del prefetto della Città che di quello dei
Vigiles, sia in materia militare che giudiziaria.
145
SOUTHERN 2007, p. 255, The Notitia Dignitatum.
146
La datazione è controversa: secondo alcuni la Notitia Dignitatum sarebbe nata sotto Teodosio, alla fine
del quarto secolo, per altri risalirebbe al 428-430 d.C.; gli studiosi concordano nel ritenere che in alcuni casi
esso riprenda testi precedenti senza aggiornarli, specie per l’organizzazione militare, che rispecchierebbe
una situazione della fine del quarto secolo per l’Oriente e di inizio del quinto per l’Occidente.
147
CASSIODORO, Variae VII, 8.
148
BAILLIE REYNOLDS 1926, p. 114. Le testimonianze della presenza di Vigiles nelle città della Gallia sono date
da epigrafi.
149
STRABONE, Geographia V, 3, 7.
164
Svetonio150, in Dione Cassio151, e, come già detto, nel Digestum, tra i frammenti oltre che
di Paolo152 anche di Pomponio (Liber singularis enchiridii)153 ed, infine, nelle Variae154 di
Cassiodoro.
In sintesi, dalla breve analisi dei cenni letterari che parlano della militia dei Vigiles da
parte degli autori coevi, senza alcuna pretesa di completezza dell’argomento, si può
concludere che, nonostante il discredito significativo di queste unità, l’attività dei Vigiles
viene riferita perlopiù in relazione alla security di Roma imperiale, contesto nel quale pare
indubbio che tali uomini fossero armati, alla stregua degli altri milites, se non con quelle
armi che erano indispensabili all’esercizio delle loro funzioni.
150
SVETONIO, De Vita Caesarum I, 30, 1-2.
DIONE CASSIO, Historiae Romanae 55, 26, 4.
152
Digestum I, 15, 3, 3-4.
153
Digestum I, 2, 2, 33. Infatti, il giurista Paolo traccia un interessante excursus storico della praefectura
vigilum nel suo Liber singularis de officio praefectus vigilum (contenuto, appunto, nel Digestum I, 15, 1),
mentre Pomponio ricorda che il prefetto dei Vigili non è un magistrato, ed i suoi compiti si identificano non
solo con lo spegnimento degli incendi, di cui si è detto, ma con una attività di prevenzione, di vigilanza, di
controllo e di sicurezza.
154
Le Variae sono una raccolta di lettere e di documenti, redatti in nome dei sovrani o a firma dell’autore
stesso, in un periodo di tempo dal 507 d.C. al 537 d.C. (anno in cui si conclude la carica di prefetto del
pretorio di Cassiodoro), utili per conoscere istituzioni e condizioni politiche, morali e sociali dei Goti e dei
Romani dell’epoca.
151
165
8. CONCLUSIONI
8.1
La riconsiderazione della posizione dei Vigiles nell’ambito
dell’armata imperiale
In età imperiale, da Augusto a Diocleziano, l’esercito era formato da cinque elementi
differenti: le legioni, le truppe ausiliarie, le flotte, le truppe stazionate a Roma e le milizie
provinciali e municipali che presero parte, a loro modo, alla difesa dell’Impero.
I Vigiles, al pari delle altre unità afferenti alla guarnigione cittadina, non furono altro che
uno dei servizi creati a misura dalla riforma augustea, molto sensibile alla safety &
security della capitale, per ottimizzare l’efficienza della cura urbis, concetto traducibile
nell’odierna urban care.
In realtà le cohortes vigilum, nell’ottica di continuità delle precedenti istituzioni
repubblicane, sono state il risultato di una lenta maturazione e di uno sforzo prudente e
pragmatico che perdurò per più di un quarto di secolo, dal 21 a.C. all’anno 6 d.C.
Alla stregua di altri ambiti di intervento, il Princeps dotò l’Urbs di una struttura originale
ed adeguata, costituita non solo da pompieri ma, meglio da una milizia di guardie, che
ricoprirono una missione di prevenzione attraverso incessanti pattugliamenti notturni,
diventando, inevitabilmente, la principale forza di polizia ufficiale attiva dopo il tramonto.
Deliberatamente costituita da ex schiavi, perché per i cittadini romani l’estinzione degli
incendi era comunque una occupazione servile, la guarnigione urbana dei vigili, eliminò a
priori il rischio della creazione di corpi privati con competenze antincendio, contingenza
verificatasi ripetutamente nel corso dell’età repubblicana, per evidenti motivazioni
politiche.
Nei primi tempi, le funzioni del corpo paramilitare erano essenzialmente tecniche, ma la
loro rilevanza divenne ben presto paleste: a dispetto di diversi fattori, quali appunto
l’origine e la destinazione, una forza paramilitare di sette coorti con un contingente
effettivo elevato (almeno 500 elementi per divisione) non era certo un elemento
trascurabile.
166
La primigenia strutturazione augustea dei Vigiles subì nel corso della sua esistenza, una
profonda evoluzione: la riorganizzazione fece perdere di vista la logica delle origini, la
quale permase in modo latente sotto forma di ottimizzazione delle risorse (uomini e
mezzi), fino allo scioglimento delle coorti, avvenuto probabilmente verso la fine del
quarto secolo.
Una posizione enigmatica, quella di queste guardie, per così dire imperiali, perlomeno da
definire.
Un servizio lungo e difficile, senza i vantaggi giuridici e finanziari delle altre truppe della
guarnigione urbana, ma solo quelli materiali legati strettamente alla vita nella città di
Roma: sussistenza assicurata, accompagnata da limitati benefits, tra i quali non va
dimenticata la promozione sociale e culturale, aperta a tutti, sia che si trattasse di schiavi
manomessi, peregrini o addirittura di cittadini dell’Impero, romani, italici o provinciali.
Si può paragonare questa milizia ad un vero e proprio campo di addestramento, oltre che
ad un mezzo per l’ascesa sociale e la promozione militare.
Una concausa dell’affidamento originario di tale incombenza ai libertini milites fu
l’edificazione, da parte del pater patriae, Augusto, di un’apparenza di società ben
ordinata, in cui ciascuno aveva il proprio spazio e le proprie responsabilità nella capitale.
Essendo il grande impero territoriale un’organizzazione su base cittadina, il suo caput ne
rappresentava appunto il microcosmo: Roma era, ad esempio, fortemente sbilanciata
nelle sue relazioni sociali; e le istituzionalizzate partizioni di una società strutturata per
ordines, e non per classi, trovarono un’esemplare manifestazione nella separazione dei
posti nei luoghi di spettacolo tra i vari gruppi della società, ed un risvolto molto pratico e
concreto nel differenziato accesso all’utilizzazione di taluni servizi pur destinati all’intera
popolazione, come l’approvvigionamento idrico, ad esempio.
Allo stesso modo, l’esercito imperiale non poteva non apparire conformato a un tale
criterio: così il corpo dei Vigiles, perlomeno nel momento dello start-up, può intendersi
come una delle molteplici compagini del meccanismo di funzionamento dell’Impero, in
cui collocare quella parte di reclute con uno status sociale modesto, liberti della prima
generazione e peregrini, in vista di una futuro avanzamento nella società, determinato
dalla meritocrazia, senza alcuna distinzione di origine e di provenienza. Tutto ciò seguiva
un elemento fondamentale nell’implementazione della cultura romana e nella sua
diffusione, vale a dire il principio spesso materializzatasi, di servire un ideale comune che
167
era la prova dell’adesione al modello imperiale. I liberti, con questa possibilità di riscatto
sociale, ottennero due importanti opzioni di carriera, di divenire Vicomagistri e Vigiles.
La vita di caserma della milizia dei Vigili, era profondamente marcata dall’impronta
militare: la forma mentis degli arruolati divenne molto simile a quella degli appartenenti
agli altri corpi dell’esercito imperiale, come pure, nell’ambito religioso, i Vigiles
praticarono gli stessi culti ufficiali dei milites.
Le fonti, epigrafiche e letterarie, purtroppo non restituiscono chiaramente l’immagine di
questi uomini, che, originariamente, nel contesto della Roma antica, non incutevano
paura come i loro colleghi Pretoriani, ma piuttosto subirono derisione, perlomeno
popolare, a causa dell’ambiguità della loro situazione, né civile, né militare. La situazione
cambiò decisamete quando le cohortes divennero un elemento militare anche capace di
giocare il suo ruolo negli avvicendamenti al trono imperiale.
La gran parte degli studiosi è concorde nel fatto che, sebbene le competenze dei Vigiles
nel tempo si fossero estese ad altri settori, durante tutta l’Antichità essi furono prima di
tutto soldati del fuoco, dei pompieri: una circostanza che rese la Roma imperiale
privilegiata rispetto alle altre città del mondo antico o, addirittura, in rapporto a quelle
medievali e moderne, con l’eccezione di Costantinopoli; l’ingente quantitativo di uomini
suddivisi nelle cohortes vigilum (si parla di almeno 7.000 effettivi nel terzo secolo) diede
vita ad una misura potenziata di prevenzione degli incendi, pur nelle palesi difficoltà
create da una serie di fattori favorevoli all’espandersi del fuoco in una metropoli in
continua crescita.
Un’analisi secondo gli attuali standards vede la capitale antica possedente un peso
notevole di forze di polizia in termini di uomini, ma gran parte di questi soldati furono
occupati, appunto, nell’antincendio, mentre il nucleo principale (Urbaniciani e Pretoriani)
era impegnato nell’antisommossa, non nei pattugliamenti.
La singolarità dei Vigiles trapela anche nella loro organizzazione rigorosa: una truppa
ibrida con un mix di connotati civili e militari. Se da un lato, è vero che tribuni e centurioni
comandavano le cohortes, le vexillationes e le centurie, ed i soldati percepivano i loro
stipendia e, al termine del servizio, si congedavano con la honesta missio, taluni
contrassegni, puramente civili, permasero nell’intero arco di vita di questa frazione di
guarnigione cittadina, anche quando la dinastia dei Severi la equiparò del tutto agli altri
corpi dell’esercito.
168
L’indeterminatezza della condizione civile/militare era rimarcata, per esempio, dalla
ricompensa dopo tre anni di servizio, data dall’iscrizione nel registro del frumentum
publicum, peculiarità della plebe romana, oppure dagli aspetti architettonici di stampo
puramente civile degli edifici adibiti a caserme.
In realtà, l’ideologia politica, alla base della creazione di questo corpo, nell’ambito dei
giochi di potere, si rivelò pressoché deleteria nei secoli: nel cuore di Roma, i Vigiles
presero parte unitamente alle altre guarnigioni dell’urbe agli scontri civili tra l’una o l’altra
autorità dominante.
La principale problematica che si evince nella trattazione scaturisce dal comprovato
dualismo di funzioni: vigili del fuoco quindi ma anche guardie notturne, principale forza di
polizia, indubbiamente armata, nel buio della Roma antica, atta a contrastare
adeguatamente le azioni criminose.
Nonostante il raffronto tra alcune delle fonti a disposizione (cenni letterari, epigrafi,
vestigia archeologiche), dovuta alla obbligatoria complementarietà di analisi, la scarsità
degli indizi genera una serie di incertezze, che possono essere attenuate attraverso una
prudente similitudine con gli altri corpi militari dell’Impero, in particolare con le
coesistenti truppe urbane.
Nella safety & security della capitale imperiale, i Vigiles erano attori con un ruolo chiave, e
non marginale, come indicato in gran parte della ricerca storica su tale corpo, rientrando
in una antesignana formula di servizi consolidati di pubblica sicurezza (oggi si parla di
“consolidated public safety” che unisce servizi di polizia, antincendio e di emergenza
medica) e di polizia giudiziaria a competenza limitata.
L’oscurità favorisce il crimine e, appare irragionevole supporre manipoli di uomini che
perlustravano le vie dei quartieri dell’Urbe, senza portare con loro armi atte all’offesa,
oltre che alla difesa.
Il comandante supremo del corpo, il praefectus vigilum, funzionario imperiale
proveniente dall’ordo equestre, alla stregua del praefectus urbi, era garante della quies
popularium, cioè della tranquillità della popolazione di Roma, essendo un vero e proprio
prefetto di polizia, preparato a giudicare nelle materie attinenti alle proprie competenze.
Per quanto concerne un’ipotetica ricostruzione dell’acquartieramento dei Vigiles, le
testimonianze prodotte dall’archeologia urbana della capitale sono purtroppo
insufficienti: la datazione risulta incerta, le vestigia sono parziali e non permettono di
169
distinguere effettivamente tra castra ed excubitoria. Giungono quindi in aiuto i resti
monumentali della caserma della vexillatio di Ostia, seppure in un contesto di security di
un bacino portuale, elementi archeologici che consentono di definire quella che poteva
essere la struttura architettonica reale di una statio, a controllo di una delle due regiones
di competenza in cui era divisa l’Urbs da Augusto: un edificio rettangolare, su più piani,
con la presenza di un porticato. Una costruzione di chiara fattura militare che assimilava
numerose componenti urbane, di stampo civile, in grado di offrire uno stile di vita
comodo, seppure in una cornice spartana; in effetti, in essa si configuravano tutti i servizi
necessari alla vita quotidiana dei milites vigilum, quali magazzini, depositi delle
attrezzature individuali e collettive, bagni, dormitori, e così via.
Le testimonianze iconografiche dei Vigiles, purtroppo, sono pressoché nulle in quanto
l’epigrafe di Q. Iulius Galatus, che propone l’unica raffigurazione certa di un vigile, in
aggiunta al mosaico del Caesareum di Ostia, è troppo usurata nella raffigurazione a rilievo
del defunto per poter definire con sicurezza quali fossero le caratteristiche del corpo ivi
rappresentate.
Non è detto che la simbologia figurata negli epitaffi non possa avere un chiaro rimando al
mondo militare: la principale problematica che si rileva dallo studio della medesima è la
sua esiguità, frutto della casualità dei ritrovamenti nel record epigrafico, ma anche di un
generale trend dei Vigiles che non pare volessero preoccuparsi più di tanto di una
ostentata commemorazione funeraria.
Si auspica, nel futuro della ricerca archeologica, di implementare una panoramica più
completa dei contesti funerari relativi ai Vigiles, individuando tracce più eloquenti che
rivestano una decisiva valenza informativa, riflettendo le forme di pensiero ed i
comportamenti propri di questa categoria di militari.
Le funzioni di polizia attribuite a tale corpo, l’intervento frequente in operazioni
propriamente militari e, principalmente, l’esistenza di un optio armamentarii, assicurano
circa la dotazione di un armamento, che, a causa della mancanza di testimonianze
materiali, è impossibile da descrivere in modo preciso, se non attraverso varie congetture.
I membri erano inevitabilmente armati ed il corpo rimase paramilitare solo nella teoria,
poiché rigorosamente e militarmente organizzato a tutti gli effetti.
Al contempo, si può affermare con certezza, grazie agli autori di età imperiale, che i
Vigiles svolgessero alcune delle tipiche attività di polizia: raccolta delle prove,
170
accertamenti, ricostruzioni di fatti, non solo inerenti alla mera funzione antincendio, ma
anche a episodi criminali avvenuti durante la notte, o forse la giurisdizione di tale corpo
urbano poteva contemplare anche alcune categorie di misfatti compiuti durante il giorno.
I Vigiles erano dunque un corpo armato: un’altra prova che corrobora tale asserzione è
costituita dalla loro assenza nelle città delle province dell’Impero. Indicativo è il rescritto
imperiale in risposta alla richiesta di un governatore di costituire una brigata di 150
uomini per fare fronte agli incendi, in cui Traiano ammetteva che un accorpamento simile
avrebbe potuto dare luogo a rivolte locali, per sovvertire il potere imperiale (Plinio il
Giovane, Epistularum X, 33-34).
L’assenza delle unità di Vigiles fuori dall’hinterland della capitale dell’Impero era supplita
con una suddivisione di compiti confacente alle esigenze delle comunità locali, oltre che
opportuna alle esigenze della politica del governo centrale.
Corpo a parte sia per il reclutamento che per le funzioni, le coorti dei vigili sono
paragonabili, per il loro inquadramento, alle altre truppe della guarnigione urbana, sia che
si vogliano ascrivere alla fire investigation – prevention - fighting, sia che si vogliano
relazionare alla safety & security, in quanto svolgevano funzioni di sicurezza urbana.
Gli elementi erano inevitabilmente armati ed il corpo rimase paramilitare solo nella
teoria, poiché rigorosamente organizzato a tutti gli effetti.
La questione generatasi a livello di ricostruzione storica di tali truppe, è determinata dalla
comparazione inevitabile con le odierne forze dell’ordine, dove i pompieri non sono
armati, proprio a seguito delle funzioni ricoperte nell’articolazione del sistema statale
italiano; tuttavia, prima di sostenere un paragone con il mondo attuale, è imperativo
rammentare che l’ambito di azione e di contestualizzazione è profondamente mutato
sotto tutti gli aspetti (culturale, sociale, politico, economico), di conseguenza un
confronto appare pressoché fazioso, inutile e privo di senso, come è accaduto in molti
lavori di ricerca del passato.
A dispetto della condizione di inferiorità in cui i Vigiles erano indubbiamente relegati e
contemplati dalle fonti antiche, la visione ideologica di questa unità, deve essere rivista
alla luce della piena integrazione delle funzioni svolte da tali miliziani, che non rivelano
assolutamente professionalità di basso profilo.
Si può asserire che i Vigiles Urbani non fossero altro che il primo step di un processo che
poi continuerà per secoli in tutta Europa, fino a giungere ai nostri giorni, cioè quello della
171
public safety consolidation, in cui oltre duemila anni fa si combinarono, per l’appunto,
compiti di polizia, compresa quella giudiziaria, con responsabilità in materia di
antincendio.
Ad Augusto ed ai suoi successori, deve essere restituito il merito di avere strutturato una
integrazione di servizi combinati in un’ottica alquanto avveniristica nel microcosmo
dell’Urbs imperiale, pur con le dovute critiche.
Gli imperatori successivi perfezionarono e completarono la creazione del corpo urbano,
adattandolo a seconda delle necessità e delle opportunità all’evoluzione della capitale,
senza mai stravolgere completamente la ratio della sua origine.
Oggigiorno l’aggregazione di incarichi nell’ambito della safety & security implementa la
copertura del territorio, oltre a produrre un risparmio di risorse umane, tecniche e quindi
economiche ma, dall’altra parte, infierisce nella specializzazione delle competenze, oltre a
diminuire la sicurezza complessiva: aspetti positivi e negativi che il coordinamento
nell’Antichità è stato in grado, spesso, di eludere nonostante le difficoltà operative,
conformandosi alle circostanze.
Pare davvero difficile smentire il filosofo Brague nella sua opera “Il futuro dell’Occidente.
Nel modello romano la salvezza dell’Europa” (1992): il modello romano, ovviamente
adattato alla situazione contemporanea, è tuttora applicabile, perché l’amalgama di
elementi che allora lo hanno forgiato e, costantemente trasformato, sottintende ad una
logica, di efficienza ed efficacia, progredita e versatile, sempre viva ed attuale.
172
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