incontri di lettura federico bilò specie di spazi legge di georges perec INIZIATIVA DEI RICERCATORI DELLA SEZIONE ARCHITETTURA E URBANISTICA coordinamento operativo a cura di Antonio Alberto Clemente UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” - DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA VIALE PINDARO 42 65127 PESCARA - ITALIA www.dda.unich.it [email protected] Grafica Massimo Padrone, Raffaella Massacesi incontri di lettura letteral’mente: introduce Paola Misino scelta e lettura Federico Bilò Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989 (1974) incontro03.2014 4 AVVERTENZA L’oggetto di questo libro non è esattamente il vuoto, sarebbe piuttosto quello che vi è intorno, o dentro. All’inizio, insomma, non c’è un gran che: il nulla, l’impalpabile, il praticamente immateriale: c’è la distesa, l’esterno, quello che ci è esterno, ciò in mezzo a cui ci spostiamo, l’ambiente, lo spazio tutt’intorno. Lo spazio. Non tanto gli spazi infiniti, quelli in cui il mutismo, a forza di protrarsi, finisce con lo scatenare qualcosa che assomiglia alla paura, e neppure i già quasi addomesticati spazi interplanetari, intersiderali o intergalattici, ma degli spazi molto più vicini, almeno in teoria: le città, per esempio, o le campagne o i corridoi della metropolitana, o un giardino pubblico. Viviamo nello spazio, in questi spazi, in queste città, in queste campagne, in questi corridoi, in questi giardini. Ci sembra evidente. Forse dovrebbe essere effettivamente evidente. Ma non è evidente, non è scontato. È reale, evidentemente, e probabilmente razionale, quindi. Si può toccare. Ci si può perfino lasciare andare a sognare. 6 Niente, per esempio, ci impedisce di concepire qualcosa che non sia né città né campagna (né periferia), o dei corridoi di metropolitana che siano al tempo stesso giardini. Niente ci impedisce d’immaginare un metrò in aperta campagna (ho perfino già visto una pubblicità su questo tema, ma - come dire? - era una campagna pubblicitaria). In ogni caso, è certo che in un’epoca probabilmente troppo lontana perché qualcuno di noi ne abbia conservato un ricordo un minimo preciso, non c’era niente di tutto questo: né corridoi, né giardini, né città, né campagne. 7 Il problema non è tanto sapere come ci siamo arrivati, quanto semplicemente riconoscere che ci siamo arrivati, che ci siamo: non c’è uno spazio, un bello spazio, un bello spazio tutt’intorno, un bello spazio intorno a noi, c’è un mucchio di pezzetti di spazio, e uno di questi pezzi è un corridoio della metropolitana, e un altro di questi pezzi è un giardino pubblico; un altro (qui stiamo entrando in spazi molto più particolareggiati), originariamente di grandezza piuttosto modesta, ha raggiunto dimensioni piuttosto colossali ed è divenuto Parigi, mentre uno spazio vicino, non necessariamente meno dotato in partenza, si è accontentato di restare Pontoise. 8 Un altro ancora, molto più grosso, e vagamente esagonale, è stato circondato da una grossa linea punteggiata (innumerevoli avvenimenti, alcuni dei quali particolarmente gravi, hanno avuto come unica ragione d’essere il tracciato di questa linea) ed è stato deciso che tutto quello che si fosse trovato all’interno della linea punteggiata sarebbe stato colorato di viola e si sarebbe chiamato Francia, mentre tutto quello che si fosse trovato all’esterno della linea punteggiata sarebbe stato colorato in un modo diverso (ma all’esterno del suddetto esagono, non ci tenevano affatto a essere uniformemente colorati: un pezzo di spazio voleva il proprio colore e l’altro ne voleva un altro, donde consegue il famoso problema topologico dei quattro colori, non ancora risolto oggigiorno) e si sarebbe chiamato diversamente (in realtà, per parecchi anni, si è molto insistito per colorare di viola - e nello stesso tempo chiamare Francia - alcuni pezzi di spazio che non appartenevano al suddetto esagono e che ne erano spesso molto distanti, ma, in generale, la cosa ha retto meno bene). 9 Insomma, gli spazi si sono moltiplicati, spezzettati, diversificati. Ce ne sono oggi di ogni misura e di ogni specie, per ogni uso e per ogni funzione. Vivere, è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male. 10 IL LETTO Generalmente si utilizza la pagina nel senso della sua più grande dimensione. E così pure il letto. Il letto (o se si preferisce la pagina) è uno spazio rettangolare più lungo che largo, nel quale, o sul quale, ci si distende di solito nel senso della lunghezza […]. Il letto è lo spazio individuale per eccellenza, lo spazio elementare del corpo (il letto monade), quello che perfino l’uomo più oberato di debiti ha il diritto di salvare: gli ufficiali giudiziari non hanno il potere di pignorare il vostro letto […]. Si passa più d’un terzo della propria vita a letto. Il letto è uno dei rari posti dove si sta in posizione grosso modo orizzontale. Gli altri sono di uso molto più specializzato: tavolo operatorio, sedile di sauna, sedia a sdraio, spiaggia, divano di psicoanalista[…]. 11 LA CAMERA Abitare una camera che cos’è? Abitare un luogo, vuol dire impossessarsene? Che significa impossessarsi di un luogo? A partire da quando un luogo diventa veramente vostro? Quando si sono messe in ammollo tre paia di calzini in un catino di plastica rosa? Quando si fanno riscaldare degli spaghetti su un camping-gas? Quando sono state usate tutte le grucce spagliate nel guardaroba? Quando si è fissata alla parete con delle puntine una vecchia cartolina che raffigura il Sogno di Sant’Orsola del Carpaccio? Quando vi si sono provati i tormenti dell’attesa, o le esaltazioni della passione, o i supplizi del mal di denti? Quando si sono appese alle finestre le tende di proprio gusto, e tappezzati i muri, e levigati i parquet? 12 Su uno spazio inutile Più di una volta ho provato a pensare a un appartamento nel quale ci fosse una stanza inutile. Non sarebbe stato un ripostiglio, non sarebbe stata una camera da letto supplementare, né un corridoio, né uno sgabuzzino, né un angolino. Sarebbe stato uno spazio senza funzione. Non sarebbe servito a nulla, non avrebbe rinviato a nulla. Mi è stato impossibile, nonostante i molti sforzi, seguire fino in fondo questa idea, quest’immagine. Il linguaggio stesso, mi sembra, si è rivelato inadatto a descrivere questo nulla, questo vuoto, quasi si potesse parlare soltanto di quel che è pieno, utile e funzionale. 13 LA STRADA I palazzi sono gli uni accanto agli altri. Sono allineati. È previsto che siano allineati, ed è una mancanza grave quando non sono allineati: si dice allora che sono soggetti ad allineamento, e ciò vuol dire che si ha il diritto di demolirli, per ricostruirli nell’allineamento degli altri. L’allineamento parallelo di due serie di palazzi determina ciò che si chiama strada: la strada è uno spazio fiancheggiato, generalmente sui suoi due lati più lunghi, da case; la strada è ciò che separa le case le une dalle altre, ed è anche ciò che permette di andare da una casa all’altra, sia percorrendola che attraversandola […]. Al contrario dei palazzi che appartengono quasi sempre a qualcuno, le strade in linea di massima non appartengono a nessuno […]. 14 Esercitazione Osservare la strada, di tanto in tanto, magari con una cura un po’ sistematica. Applicarsi. Fare tutto con calma. Annotare il luogo: i tavolini di un caffè vicino all’incrocio BacSaint-Germain l’ora: le sette di sera la data: 15 Maggio 1973 il tempo: bello stabile Annotare quello che si vede. Quello che succede di notevole. Sappiamo vedere quello che è notevole? C’è qualcosa che ci colpisce? 15 Niente ci colpisce. Non sappiamo vedere. Bisogna procedere più lentamente, quasi stupidamente. Sforzarsi di scrivere cose prive di interesse, quelle più ovvie, più comuni, più scialbe. La strada: cercare di descrivere la strada, di cosa è fatta, a cosa serve. La gente nelle strade. Le macchine. Che tipo di macchine? I palazzi: notare che sono piuttosto confortevoli, piuttosto ricchi; distinguere i palazzi d’abitazione dagli edifici pubblici. I negozi. Cosa si vende nei negozi? Non ci sono negozi d’alimentari. Ah, si, c’è una panetteria. Chiedersi dove la gente del quartiere fa la spesa. I bar. Quanti bar ci sono? 16 IL QUARTIERE Il quartiere. Che cos’è un quartiere? Abiti nel quartiere? Sei del quartiere? Hai cambiato quartiere? In che quartiere stai? Ha veramente qualcosa d’amorfo, un quartiere: una specie di parrocchia o, a rigore, il quarto di un arrondissement, il pezzetto di città che dipende da un commissariato di pubblica sicurezza… Più in generale: la porzione di città nella quale ci si sposta facilmente a piedi o, per dire la stessa cosa sotto forma di verità lapalissiana, la parte di città nella quale non ci si deve recare, poiché per l’appunto ci si è già. Sembra che sia evidente, ma bisogna pur sempre precisare che, per la maggior parte degli abitanti di una città, tutto ciò ha come corollario che il quartiere è anche la porzione di città nella quale non si lavora: viene chiamato quartiere il posto dove si risiede e non quello in cui si lavora: e luoghi di residenza e luoghi di lavoro non coincidono quasi mai: anche questo è ovvio, ma innumerevoli ne sono le conseguenze. 17 La vita di un quartiere È un parolone. D’accordo, ci sono i vicini, c’è la gente del quartiere, i negozianti, la latteria, il negozio dei casalinghi, la tabaccheria che rimane aperta la domenica, la farmacia, la posta, il bar, di cui si è un habitué, almeno un cliente regolare (si da la mano al padrone o alla cameriera) […]. Ovviamente si potrebbe formare un’orchestra, o fare teatro per strada. Animare il quartiere, insomma. Unire la gente di una strada o di una serie di strade grazie a qualcosa di diverso dalla semplice convivenza: un’esigenza o una lotta. 18 LA CITTÀ Non cercare di trovare troppo rapidamente una definizione della città; non è cosa da poco, e ci sono molte probabilità di sbagliarsi. Innanzitutto, fare l’inventario di quanto si vede. Elencare ciò di cui si è sicuri. Stabilire distinzioni elementari; per esempio tra quello che è la città e quello che non è la città. Interessarsi a ciò che separa la città da ciò che non è la città. Osservare quello che succede quando finisce la città. Per esempio (ho già affrontato questo argomento a proposito delle strade), un metodo del tutto infallibile per sapere se ci si trova dentro Parigi o fuori Parigi consiste ne guardare il numero degli autobus: se hanno due cifre, si è dentro Parigi, se hanno tre cifre, si è fuori Parigi (purtroppo non è così infallibile; ma, in linea di massima, dovrebbe esserlo). 19 Riconoscere che le periferie hanno una forte tendenza a non restare periferie. Notare bene, che la città non è sempre stata quello che è. Metodo: bisognerebbe, o rinunciare a parlare della città, o costringersi a parlarne il più semplicemente possibile, a parlarne in modo ovvio, familiare. Scacciare ogni idea preconcetta. Smettere di pensare in termini bell’e fatti, dimenticando quanto è stato detto dagli urbanisti e dai sociologi. 20 C’è qualcosa di spaventoso nell’idea stessa di città; si ha come l’impressione che non si possa trovare un appiglio se non in immagini tragiche o disperate: Metropolis, l’universo minerale, il mondo pietrificato, e che non si possa far altro che accumulare senza tregua domande senza risposta. Mai potremo spiegare la città. La città è qui. È il nostro spazio e non ne possediamo un altro. Siamo nati in città. È in città che respiriamo. Quando prendiamo il treno, è per andare da una città all’altra. Non c’è niente d’inumano in una città tranne la nostra umanità. 21 LA CAMPAGNA Non ho molto da dire a proposito della campagna; la campagna non esiste, è un’illusione. Per la maggior parte dei miei simili, la campagna è uno spazio di svago che circonda la loro seconda casa e che fiancheggia un tratto delle autostrade che prendono il venerdì sera quando vi si recano, e di cui la domenica pomeriggio, se se la sentono, percorreranno qualche metro prima di ritornare in città dove, per il resto della settimana, saranno i cantori del ritorno alla natura. 22 L’INABITABILE L’inabitabile: il mare immondezzaio, le coste irte di filo spinato, la terra pelata, la terra carnaio, i mucchi di carcasse, i fiumi letamai, le città nauseabonde. L’inabitabile: l’architettura del disprezzo e della scena, la glorietta mediocre dei grattacieli e degli edifici moderni, le migliaia di sgabuzzini stipati gli uni sugli altri, la sbruffoneria micragnosa delle sedi sociali L’inabitabile: lo striminzito, l’irrespirabile, il piccolo, il meschino, il ristretto, il calcolato al centesimo L’inabitabile: il rinchiuso, il vietato, l’ingabbiato, l’inchiavistellato, i muri irti di cocci di bottiglia, gli spioncini, i blindaggi L’inabitabile: le bidonville, le città bidone 23 L’ostile, il grigio, l’anonimo, il brutto, i corridoi del metrò, i bagni pubblici, i capannoni, i parcheggi, i centri di smistamento, gli sportelli, le camere d’albergo le fabbriche, le caserme, le prigioni, i manicomi, gli ospizi, i licei, le corti d’assise, i cortili delle scuole lo spazio parsimonioso della proprietà privata, le soffitte arredate, le spendide garçonnières, i graziosi appartamentini nascosti nel verde, gli eleganti pied-à-terre, i tripli saloni, gli spaziosi soggiorni in pieno cielo, vista unica, doppia esposizione, alberi, travi, carattere, lussuosamente arredato da architetto, balcone, telefono, sole, disimpegni, vero caminetto, loggia, doppio lavello (inox), quiete, giardinetto privato, affare eccezionale Si prega di annunciare il proprio nome dopo le dieci di sera. 24 LO SPAZIO (SEGUITO E FINE) I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà: niente somiglierà più a quel che era, i miei ricordi mi tradiranno, l’oblio s’infiltrerà nella mia memoria, guarderò senza riconoscerle alcune foto ingiallite dal bordo tutto strappato. Non ci sarà più la scritta in lettere di porcellana bianca incollate ad arco sulla vetrina del piccolo caffé di rue Coquillière: “Qui si consulta l’elenco telefonico” e “Spuntini a tutte le ore”. Come la sabbia scorre tra le dita, così fonde lo spazio. Il tempo lo porta via con sé e non me ne lascia che brandelli informi. Note 25 26 Georges Perec (1936-1982) è stato uno scrittore francese, membro dell’OuLiPo. Di formazione sociologica e di personalità eclettica, fu saggista, drammaturgo, poeta, traduttore esperto di enigmistica e cruciverba. Tra le sue opere più vicine ai nostri in- teressi ricordiamo: Les Choses. Une histoire des années soixante (Julliard, 1965, Premio Renaudot), tr. Leonella Prato Caruso, Le cose, una storia degli anni sessanta ; Tentative d’épuisement d’un lieu parisien (UGE, 1975; Christian Bourgois, 1982), tr. Alberto Lecaldano,Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, Voland, Roma, 2011; Penser/Classer (Hachette, 1985), tr. Sergio Pau- tasso, Pensare/Classificare, Rizzoli, Milano, 1989; L’Infra-ordinaire (Éditions du Seuil, 1996), tr. Roberta Delbono, L’infra-ordinario, Bollati Boringhieri, Torino, 1994. Il libro più noto di Perec è, probabilmente, La vita, istruzioni per l’uso (La vie mode d’emploi - 1978) dedicato alla memoria di Raymond Queneau nel quale descrive in modo metodico la vita dei diversi abitanti di un immobile parigino. Federico Bilò (1965) è architetto e insegna progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura di Pescara. E’ interessato ad architetture non spettacolari e insiste nel pensare che l’architettura possa e debba migliorare l’ambiente nel quale si svolgono le vicende umane. Per questo, studia il Team 10, Giancarlo De Carlo, Adriano Olivetti e l’architettura brasiliana; e legge, oltre a Perec, Camus, Ballard e Pasolini. 1. Al centro del dibattito c’è il testo, i temi, i problemi e le considerazioni che propone 2. Il relatore presenta il testo commentandolo con l’obiettivo di mettere il pubblico in grado di discuterne 3. È compito del relatore formulare temi e problemi che vorrebbe affrontare durante la discussione 4. Gli interventi non devono superare i 3 minuti 5. Ognuno deve poter finire il proprio discorso senza essere interrotto 6. Un intervento non deve contenere attacchi personali 7. Il moderatore deve salvaguardare queste regole e, se necessario, interrompere chi interviene a sproposito LE REGOLE DI
© Copyright 2024 ExpyDoc