IL PICCOLO – martedì 1° aprile 2014 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli ECONOMIA (pag. 2) L’amaro destino dei tubi indiani in Europa (2 articoli) REGIONE (pag. 4) Fine vita, Crepaldi “scomunica” Debora TRIESTE (pag. 5) Panariti: «Iniziata anche a Trieste l’emorragia di posti di lavoro» «Cerchiamo anziani sani»: in 500 corrono all’ospedale ECONOMIA L’amaro destino dei tubi indiani in Europa di Christian Benna TRIESTE Una migliore gestione della rete idrica italiana farebbe risparmiare alle casse pubbliche 19,4 miliardi di euro in circa sei anni. La stima arriva da Althesis, società di consulenza aziendale, sulla base di dati Istat sugli sprechi dei nostri acquedotti, con perdite fino al 47% in Puglia, Sardegna e Sicilia. Se ci fosse un piano nazionale per rimettere a posto, almeno in parte, le falle del sistema idrico, Sertubi di Trieste sarebbe la regina del mercato, in quanto unico produttore italiano di tubi in ghisa sferoidale per il trasporto e la distribuzione d’acqua potabile e industriale. Eppure sotto i capannoni dell’azienda di via Von Bruck si respira aria di sconfitta. Dal 2011 l’azienda è in affitto, in prestito per 5 anni agli indiani di Jindal Saw, per un piano di sviluppo industriale, che è il caso di dirlo, fa acqua da tutte le parti. Nata sulle ceneri di Grandi Motori, Sertubi trascorre i suoi primi dieci anni di vita sotto l’ala del gruppo Duferco Italia Holding, che beneficia del sostegno pubblico per investire nell’area triestina. Terreni ceduti a prezzi vantaggiosi, a patto di assorbire l’emorragia occupazionale. La produzione arriva 75 mila tonnellate l’anno coinvolgendo 250 addetti. Ma l’investimento, secondo Antonio Gozzi, amministratore delegato di Duferco, si rivela tragico, con perdite in dieci anni pari a 8 milioni di euro, a causa del dimezzamento del mercato di tubi per acquedotti. E nel 2011 lo stabilimento viene ceduto in affitto agli indiani di Jindal Saw che prometto 5 milioni di euro per rimodernare gli impianti. L’idea è di conquistare un avamposto made in Italy per vendere tubi indiani in Europa. Sertubi cambia mestiere. E da produttore, diventa verniciatore e zincatore e centro logistico. A sfornare tubi ci pensano gli indiani, che spediscono il materiale in Italia. Il piano di Jindal Saw si scontra con il mercato. La qualità dei tubi indiani non è altissima, almeno lo è molto di meno rispetto a quelli tedeschi e francesi. Se grazie al timbro made in Italy l’azienda può presentarsi a buon diritto nelle gare d’appalto europee, non riesce quasi mai ad arrivare al traguardo. Da 75 mila tonnellate di produzione Sertubi precipita a quota 36 mila, meno della metà di queste effettivamente vendute. E cala la mannaia sui lavoratori, che da 250 si dimezzano a 140 fino alla settantina di oggi, in un percorso fatto di cassa integrazione e incentivi a lasciare. A meno di 18 mesi dalla fine del contratto di affitto, benché rinnovabile, in pochi credono che la società punterà ancora al sito italiano, tanto più che Jindal Saw ha avviato una produzione alternativa a Dubai. Sertubi, ormai ridotta a centro logistico, tornerà alla proprietà Duferco che ha già affermato di non essere interessata al ritorno alla produzione. Quindi l’azienda andrà all’asta, per un valore, di un euro. Lo spettro della chiusura è più che mai concreto. E resta ancora sullo sfondo, l’ipotesi di un’acquisizione da parte del gruppo dell’acciaio Arvedi, oggi interessata a rilevare la Ferriera di Servola. I lavoratori, pur spossati da anni di crisi e di false promesse, si stanno dando da fare. E hanno preparato un piano industriale alternativo che hanno presentato in un incontro alla regione Friuli Venezia Giulia. Dice Michele Pepe, rappresentante di fabbrica di Fim-Cisl: «Non vogliamo assistere impotenti alla desertificazione industriale. Soprattutto quando ci sono le condizioni di mercato per ripartire. Basterebbe un intervento su scala nazionale di rimessa a nuovo della rete idrica per garantirci ordini per diversi anni». I tecnici di Sertubi hanno elaborato un piano per integrare la produzione di tubi nell’area della Ferriera, utilizzando direttamente la ghisa prodotta con l’altoforno, con notevoli abbattimenti dei costi di trasformazione ed energetici, salvando l’azienda e posti di lavoro. «Sono convinto – continua Pepe - che la società possa andare avanti. Il piano messo a punto può funzionare, e a fronte di questi cambiamenti, non mancherà l’interesse di gruppi industriali come Arvedi». Nella fabbrica silenziosa sono rimasti solo in settanta di Giovanni Tomasin TRIESTE Il grande stabilimento ai confini del Porto nuovo è circondato da un silenzio poco acconcio a una fabbrica di quelle dimensioni. Dentro alla Sertubi di Trieste oggi lavorano soltanto una settantina di persone, 40 impiegati e 32 operai, e questi ultimi spesso si trovano ad aver poco da fare. Sono lontani i tempi in cui lì macinavano ore centinaia di persone e l'impianto affacciato sul golfo sfornava con orgoglio tubature che servivano a tutta Europa. Di quelli che se ne sono andati, raccontano i lavoratori, pochi sono riusciti a trovare un nuovo impiego: c'è chi ha aperto un bar, chi ha un contratto a tempo in Ferriera. Pochissimi vivono in una situazione migliore al periodo in cui lavoravano in Sertubi. Incontriamo Michele Pepe, rappresentante di fabbrica della Fim Cisl, alla fine di un turno di lavoro, alle porte dello stabilimento. «In partenza i lavoratori in cassa integrazione straordinaria erano 150 - spiega -, ora sono rimasti una quarantina». Tanti hanno preferito licenziarsi: nel primo anno di gestione Jindal il ricorso alla cassa integrazione era frequente e molte famiglie facevano fatica a tenere i bilanci in pari. «Visto che l'accordo con la Jindal prevedeva una buona uscita di tredici mensilità molti lavoratori hanno preso quei pochi soldi perché dovevano pagare mutui, bollette, ripagare dei prestiti», dice Pepe. Anche per chi sta ancora usufruendo della Cigs la prospettiva non è rosea: «A fine anno terminerà l'erogazione dell'ammortizzatore e la gente si ritroverà senza uno straccIo di stipendio. E l'unica certezza è che qui non ci saranno riassorbimenti». Anche l'assessore provinciale al Lavoro Adele Pino conferma il problema: «Favorire il ricollocamento delle persone espulse dai settori produttivi è nostro compito - dice -, ma non è facile: se un lavoratore ha operato a lungo in ambiti come quello di Sertubi o di fabbriche simili ha più difficoltà a trovare nuovi impieghi». La Provincia ha avviato un corso di formazione per saldatori: «Ma non tutti se la sono sentita di completarlo e anche chi è arrivato fino in fondo ha problemi a trovare sbocchi». Il fatto è che i potenziali datori di lavoro sono pochi e la tendenza è comunque di dare in subappalto: «Mancano proprio le realtà produttive», dice Pino. Anche dentro alla fabbrica la preoccupazione resta alta. Agli occhi dei lavoratori le intenzioni della proprietà restano oscure: «Compriamo tubi dall'India e li portiamo a Trieste - spiega Pepe -. Li rifiniamo quando c'è qualcosa da rifinire, a volte non ci resta che scaricarli dai container e sperare di venderli. L'assurdità risiede nel fatto che costerebbe meno produrre tubi qui con la ghisa di Servola, mentre rivendiamo tubi indiani a un prezzo inferiore a quello di acquisto». Inoltre il passaggio del prodotto da Trieste, che nelle intenzioni di Jindal serve ad apporre il marchio "made in Europe" sui tubi, pare non convincere gli acquirenti: «Il nostro prodotto di un tempo vendeva bene e la richiesta resta alta - spiega il lavoratore -, c'è sempre bisogno di tubi. Ma la qualità attuale non è all'altezza del mercato europeo». I trentadue operai operano su due turni - «due turni "fittizi", perché di fatto lavoriamo su una sola linea» -, ma a dispetto del poco lavoro le condizioni comunque non sono buone: «Siamo troppo pochi, se qualcuno si ammala tocca fare ore su ore». La loro speranza è che la politica si impegni per sbloccare la situazione: «Siamo l'unico impianto del genere in Italia, abbiamo un'ottima logistica e con una nuova gestione alla ferriera potremmo tornare a essere un fattore di sviluppo e lavoro». Anche il segretario provinciale della Fiom, Stefano Borini, esprime un giudizio duro sull'operato della politica: «Questa crisi rappresenta il fallimento della politica industriale - afferma -. Il territorio non è riuscito a chiedere alla multinazionale nient'altro che un incentivo per l'esodo dei lavoratori. La vecchia proprietà Duferco non ha ancora liberato le aree che, a distanza di un anno e mezzo, potrebbero essere destinate ad altre attività e quindi all'occupazione». Secondo il segretario provinciale della Fim Cisl Umberto Salvaneschi «siamo di fronte al caso classico di una multinazionale con bilanci da capogiro che arriva in Italia, usufruisce dei nostri ammortizzatori, e poi se ne va lasciandosi alle spalle un deserto industriale. Il tutto alle spese dei lavoratori e dei contribuenti». REGIONE Fine vita, Crepaldi “scomunica” Debora di Gianpaolo Sarti TRIESTE Debora Serracchiani finisce nel mirino della Curia di Trieste. L’ultimo numero di Vita Nuova, il settimanale della diocesi, dedica un duro articolo al provvedimento che la maggioranza, con l’appoggio di una parte del centrodestra, intende preparare per regolamentare le Dat, le Dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario. Secondo l’analisi del giornale «la Regione fa da battistrada all’eutanasia». Così, almeno, titola il direttore Stefano Fontana. Stando a quanto emerso nei giorni scorsi il centrosinistra intende far propria la petizione promossa dall’associazione “Per Eluana” sottoscritta da 5.503 cittadini e presentata all’amministrazione a febbraio. Il documento sollecita l’istituzione di un registro regionale delle Dat accessibile direttamente attraverso la tessera sanitaria. In questo modo si consentirebbe ai medici di conoscere la volontà dei pazienti che si trovano in gravi condizioni. Un provvedimento sul fine vita, dunque. Non è ancora chiara la cornice che il centrosinistra adotterà: una norma regionale, una mozione o una legge voto con cui aprire un percorso parlamentare? Se ne discute già oggi pomeriggio in Terza commissione consiliare, presieduta da Franco Rotelli del Pd, in un’audizione che vede la partecipazione di una rappresentanza dei firmatari della petizione. Intanto la Curia fa partite la “scomunica” nei confronti della governatrice, così come già aveva fatto con il sindaco Roberto Cosolini dopo la delibera sulle Dat varata dal Comune. «Serracchiani informa che la Regione studia una legge sul fine vita – scrive il direttore – di per sé non ci sarebbe niente di male, in quanto una legge regionale sul fine vita può anche non prevedere l’eutanasia. Però la nostra Debora dice di aver accolto e di appoggiare la petizione dell’associazione “Per Eluana”, sottoscritta da 5mila cittadini (cioè da quasi nessuno data la popolazione regionale). Ora - prosegue Fontana -, questa associazione è la stessa che si era battuta perché fosse applicata la sentenza di sospensione della idratazione e alimentazione ad Eluana. È una associazione pro-eutanasia, anche se si chiama “Per Eluana”. La maggioranza regionale è intenzionata a trasformare questa stessa petizione in una norma». E, annota Fontana, «non c’è una legge nazionale e quindi anche quella regionale può risultare inutile come le delibere comunali. La Regione stessa sta studiando la cosa e quindi non è in grado di dire se tale legge avrà efficacia o no. Ma si va avanti lo stesso perché lo scopo è fare da battistrada per una legge nazionale sull’eutanasia. Come il Comune di Trieste, anche la Regione si propone solo lo scopo di influire sul legislatore con una legge-propaganda, una legge-spot, una legge-siparietto». Le critiche sulle Dat, in seguito alla delibera del municipio, si prolungano da settimane nel settimanale cattolico. Posizioni che l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi approva. Sullo stesso numero, infatti, nella pagina delle lettere è pubblicato un intervento di Crepaldi sul tema e sulla campagna portata avanti da Fontana. «Egregio direttore – si legge – ho seguito fin dalle prima battute e continuo a seguire con crescente interesse l’impegno profuso da Vita Nuova, sul piano informativo e formativo, a proposito della delibera della giunta comunale di Trieste relativa all’istituzione di un deposito per le Dichiarazioni anticipate di trattamento. Ho apprezzato il modo serio e chiaro con cui Vita Nuova ha affrontato a più riprese l’argomento, fornendo ai suoi lettori su questa delicata questione illuminanti approfondimenti bioetici, giuridici, amministrativi. Il tutto – continua il vescovo di Trieste – è stato svolto con opportuno e doveroso riferimento al Magistero della Chiesa in materia. Ciò non ha impedito a Vita Nuova di usare un tono propriamente giornalistico, anche se sempre rispettoso del confronto democratico, come si addice a un settimanale. Colgo l’occasione per partecipare la mia gratitudine – conclude Crepaldi – e per incoraggiare a proseguire su questa strada perché le sfide, che in molti campi si profilano, sono assai impegnative». TRIESTE Panariti: «Iniziata anche a Trieste l’emorragia di posti di lavoro» di Gabriella Ziani Con la Wärtsilä che a Trieste ha annunciato 130 esuberi c’è stato solo un incontro interlocutorio in Regione per mettere a disposizione corsi di formazione per i lavoratori eventualmente espulsi, ma prima di ogni azione l’azienda deve presentare un piano industriale e confrontarlo con le parti sindacali. È stato uno dei pochi cenni a situazioni concrete dell’economia locale transitati per l’aula del Consiglio comunale di ieri pomeriggio che aveva un unico scopo, l’audizione dell’assessore regionale al Lavoro Loredana Panariti. L’esordio dell’aula triestina è stato il far mancare il numero legale all’ora giusta, e il presidente Iztok Furlanic non l’ha passata liscia: «Chi ha chiesto la convocazione dell’assessore regionale non è presente, ognuno si prende le responsabilità di ciò che fa». Dopo 5 minuti i presenti erano passati da 15 a 26 ed è toccato a Everest Bertoli (capogruppo Fi) definire “vergognoso” il comportamento dei colleghi. Il resto, sottolineatura di una crisi del lavoro sempre più preoccupante anche a Trieste «che sta morendo lentamente» con alcune domande in campo: i fondi che mancano per la Cig in deroga, il destino dei Centri per l’impiego (che più tardi Michele Lobianco di Impegno civico ha definito «ormai barocchi») quando spariranno le Province, se verranno rafforzate le risorse per i lavori socialmente utili e di pubblica utilità, se sarà varato il reddito minimo o di cittadinanza. Per il quale servirebbero 51 milioni al fabbisogno regionale. Panariti ha dato un quadro generale di enorme sofferenza in tutto il Fvg, gli occupati sono scesi a 500 mila, i disoccupati saliti a 42 mila, in cassa integrazione sono più di 25 mila persone. Dicendo del quadro triestino che registra «rallentamento nelle assunzioni, perdita di posti di lavoro, crisi del commercio, lavoro femminile e degli stranieri in difficoltà mentre finora aveva tenuto». Il principale tema: i nuovi strumenti per rilanciare ciò che è fermo, in primo luogo il Piano giovani dotato di 19 milioni di euro fatti slittare da quelli per i progetti europei Fesr, e gli altrettanti 19 milioni che verranno dal progetto Garanzia giovani del governo previsto a maggio. Quanto alla Cig in deroga, «la Regione è riuscita a pagare tutto il 2013, si attendono entro giugno le risorse nazionali per il 2014, salvo che non cambino le leggi». Altre prospettive di sostegno: progetto “Imprenderò” e progetto “Occupabilità”. E di concerto con lo Stato una nuova Agenzia del lavoro. «Non ho sentito parlare di progetti innovativi» ha detto Maurizio Bucci (Fi), secondo cui «non è l’assistenzialismo che crea sviluppo». Di Ferriera avviata a vendita nessuno ha parlato, Bertoli ha fatto un cenno («bene la Regione sulla Ferriera»), ma poi un attacco è venuto da Roberto Decarli (Trieste cambia): «Dal 2001 con Tondo in Regione e Dipiazza sindaco, insomma col centrodestra, Trieste ha disprezzato l’industria perché aveva puntato tutto sul rigassificatore, mentre per la città col turismo si sognava una nuova Montecarlo». Paolo Rovis (Pdl-Ncd) l’ha accusato di far comizio, e poi ha chiesto «fiscalità di vantaggio per attrarre imprese» definendo «un minimo sindacale» le azioni della Regione. Marino Sossi (Sel) ha invocato la “mano pubblica”, rimpiangendo i tempi delle (criticatissime) Partecipazioni statali. Panariti poi ha rispedito indietro certi accenni all’”innovazione”: «Se non si specifica quale, se non si va nella carne viva dei problemi, e non si pensa alle persone, parlarne non aiuta». E così l’assessore regionale ha aperto il capitolo dei rapporti con l’università, dei nuovi sbocchi per la formazione “concreta”, dei progetti per la ricerca che passano per una obbligatoria “rete” tra enti ma non possono escludere l’aggancio agli strumenti Ue. Vasti temi, e il Consiglio si è chiuso qui. «Cerchiamo anziani sani»: in 500 corrono all’ospedale di Gabriella Ziani Una vera corsa in ospedale. Centinaia di persone. Ma stavolta non per farsi curare con urgenza. Anzi, al contrario, per far quasi da “cavia” dimostrando la propria buona salute nonostante l’età. La Clinica medica di Cattinara cercava 160 persone dai 65 anni in su per “misurare” il buon grado di salute nell’invecchiamento e avere notizie sugli stili di vita dei più in gamba, da raccomandare poi a tutti. È lo scopo di un progetto europeo per la cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia 20072013, a più partner, chiamato Pangea. Ma che sorpresa: anziché doversi procurare a fatica i volontari, i medici si sono trovati sulla porta ben 500 triestini «pieni di spirito di collaborazione, contenti di mostrare il proprio benessere e un invecchiamento di successo». La folla dei candidati era composta da persone tra i 65 e gli 80 anni, maschi e femmine in parti più o meno uguali, e tutti evidentemente convinti di stare abbastanza bene da poterselo far certificare. I medici parlano di “entusiastica adesione”. «Ne abbiamo scelti 160 seguendo criteri statistici che assicuravano la rappresentatività del campione per la popolazione triestina - afferma Gianni Biolo, il docente direttore di Clinica medica a Cattinara ed esperto soprattutto di nutrizione che guida il progetto -, ma vogliamo ringraziarli molto tutti e 500, quando avremo completato le analisi e saremo in possesso di un quadro della situazione media vorrei poter affittare un teatro per presentare in pubblico i risultati, ma anche per invitare questi 500 cittadini generosi». I 160 prescelti si sono fatti analizzare, una cinquantina al giorno, tra il 27 e il 29 marzo all’ospedale Maggiore, «la prima cosa richiesta - prosegue Biolo - era di percorrere due chilometri a piedi. Abbiamo scoperto che alcune persone avevano anche malattie croniche, dai problemi respiratori a quelli metabolici o di cuore, eppure ugualmente sono in grado di vivere una vecchiaia attiva». I volontari sono stati poi interrogati sulle loro abitudini alimentari, hanno risposto a test cognitivi, e prove funzionali su flessibilità articolare, potenza muscolare, equilibrio, per misurare la “performance” complessiva. Loro diventeranno i modelli, dallo studio Pangea «discenderanno lineeguida d’intervento - ancora Biolo - per il mantenimento dello stato di benessere e di autonomia nell’invecchiamento in salute o in presenza delle principali malattie croniche». Il progetto europeo Pangea vede la partecipazione delle Università di Trieste, Ferrara, Udine, Padova, Capodistria e Lubiana, alla realizzazione hanno contribuito l’Azienda ospedaliera, il corso di laurea in Fisioterapia, le scuole di specializzazione in Geriatria e Medicina dello sport, l’Università della terza età “Danilo Dobrina”, il polo natatorio “Bianchi”, l’Università delle Liberetà-Auser, l’associazione Goffredo de Banfield, il Comune di Trieste che ha patrocinato l’evento. Nei prossimi mesi ciascuno dei volontari riceverà, individualmente, i risultati delle analisi cui si è sottoposto, «ma noi pubblicheremo un opuscolo divulgativo - continua il medico - che conterrà i dati di salute rilevati e i consigli per star bene a una certa età». La locandina di Pangea suggerisce molto già con le immagini: un “lui” in bicicletta, una “lei” che cammina di buona lena.
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