PAPER CISL FP Febbraio 2014 ENTI LOCALI UNA RIFORMA ATTESA 4 Enti locali. Una riforma attesa Enti locali. Una riforma attesa IL PERCORSO A OSTACOLI DI UN PROCESSO RIFORMATORE Il sistema istituzionale italiano si è accresciuto nel tempo in modo farraginoso, causando una irragionevole duplicazione di poteri, responsabilità e costi. Lo Stato, secondo il principio di sussidiarietà impresso nel Titolo V della Costituzione, avrebbe dovuto devolvere le competenze ai livelli di governo inferiori, più adatti per loro natura ad offrire risposte appropriate alle esigenze di uno specifico territorio. Al contrario, la tendenza ineluttabile a legiferare ampliando gli spazi di intervento statali, centralizzando la gestione delle risorse, tagliando, a colpi di decreti legge, i finanziamenti agli Enti locali, ha provocato una sostanziale paralisi del sistema delle autonomie. E’ per questo motivo che, ancora dopo tredici anni, sanare l’incompiutezza di quella riforma costituzionale (l. 3/2001), nata per regolare il coordinamento tra centro e periferia, continua ad essere una priorità nell’agenda politica del governo. In particolare, i tentativi di riordino istituzionale esperiti sino ad oggi devono la loro inefficacia alle falle di una logica emergenziale, inadatta a governare una materia tanto complessa. Gli enti territoriali, infatti, sono stati oggetto di interventi normativi finalizzati più alla riduzione dei costi degli apparati istituzionali che alla reale volontà di costruire e applicare un disegno riformatore organico e duraturo. Da anni, infatti, si registrano continue oscillazioni tra il dichiarato intento di ripensare un modello di governance multi-livello più efficiente e soluzioni di tipo ragionieristico, mosse unicamente dalla spasmodica ricerca di risparmio. La IL DDL DELRIO Nell’ultimo anno, il legislatore nazionale è intervenuto nuovamente con un disegno di legge (il ddl Delrio, n. 1212), recante “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni”. Finalizzato a contenere le spese e razionalizzare il sistema, il ddl in questione è in discussione alla I Commissione permanente (Affari Costituzionali) del Senato della Repubblica, dopo l’approvazione del 21 dicembre scorso alla Camera dei Deputati. Il disegno Delrio disciplina: -Città metropolitane, delle quali si prevede l’istituzione entro la fine del 2014; - Province; - commissari e sub-commissari delle Province; - la Città metropolitana di Roma capitale; - Unioni (e fusioni e incorporazioni) di comuni. Il ddl disegna, quindi, un sistema complessivo delle autonomie, in cui Comuni, Regioni e Stato restano enti territoriali, la cui rappresentatività rimane legata all’elezione diretta dei cittadini; mentre Città metropolitane, Unioni di comuni e Province diventano 3 CISL FP Gli Enti locali italiani si trovano al cuore di rilevanti trasformazioni. Nel prossimo futuro, saranno protagonisti istituzionali di primo piano nella ripresa di competitività, nel rilancio del Paese e nella rinnovata credibilità internazionale. Ma per il momento sono chiamati ad affrontare sfide congiunte e incrociate, che derivano da più parti: quella internazionale, dominata dalla necessità di stabilizzazione finanziaria, e quella nazionale, che richiede attori sempre più competenti in materia di politiche strategiche al risanamento della finanza pubblica e al riordino istituzionale. Quella degli Enti locali è una riforma più volte annunciata, ma mai completamente realizzata, ostacolata dai limiti e dalle debolezze strutturali del nostro Paese e, anche negli ultimi giorni, da un’ennesima crisi di governo, che pone molti interrogativi in merito all’attuazione dell’ultimo disegno di legge in materia. necessità di intervenire con misure incisive e definitive, peraltro, è stata condivisa anche dalle autorità europee. Sul punto, di particolare rilevanza è stata l’esplicita richiesta di un più forte impegno da parte del governo italiano ad abolire o fondere alcuni strati amministrativi intermedi. La risposta, prontamente giunta con il d.l. 95/2012 (c.d. decreto spending review) si è concentrata sulla soppressione e sull’accorpamento delle Province, sull’istituzione delle Città metropolitane, sulla ridefinizione degli ambiti ottimali per le unioni, le fusioni e la gestione associata di funzioni comunali. Ma anche questo decreto legge è incappato nei limiti degli interventi normativi precedenti: il ricorso alla decretazione d’urgenza, senza una previa concertazione con le parti sociali interessate, senza un chiaro quadro delle ricadute sul funzionamento degli altri livelli di governo e sul destino dei lavoratori. A dimostrazione del fatto che, anche in quella occasione, è mancata una visione unitaria di fondo rispetto all’obiettivo, condivisibile, di una semplificazione istituzionale. Questo errore di impostazione metodologica ha avuto riflessi anche su un piano strettamente giuridico. Il processo riformatore, infatti, ha subito una temporanea battuta d’arresto con la pronuncia di illegittimità costituzionale che ha colpito l’intera procedura di riordino territoriale disposta dal d.l. 95/2012. Procedura, peraltro, mai giunta a compimento per la mancata conversione in legge del d.l. 188/2012 che recava, nel dettaglio, il disegno di una nuova geografia provinciale. paper LA GRANDE INCOMPIUTA Enti locali. Una riforma attesa enti di secondo livello. Il sistema, a livello locale, sarà quindi articolato nel modo seguente: 1. Città metropolitane, quali enti territoriali di secondo livello con finalità istituzionali generali e funzioni specifiche; 2. Province, quali enti territoriali di secondo livello “fino alla data di entrata in vigore della riforma costituzionale ad esse relativa”; 3. Unioni di comuni, quali Enti locali costituiti da due o più comuni per l’esercizio associato di funzioni o servizi. Città metropolitane Entrando nel dettaglio, le Città metropolitane (già previste dal nostro ordinamento fin dalla l. 142/1990 e costituzionalizzate dalla riforma del Titolo V, ma ancora non concretamente attuate) troveranno ingresso nella compagine degli Enti locali quali enti di secondo livello, con la funzione di facilitare e rendere coerente e razionale l’azione degli enti territoriali di primo livello, ossia i comuni rientranti nel proprio ambito territoriale. Il ddl istituisce nove Città metropolitane, coincidenti con il territorio delle Province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria; apposita disciplina regola la Città metropolitana di Roma capitale, in sostituzione del Comune di Roma capitale. A queste si aggiungono le città capoluogo delle Regioni a statuto speciale (Trieste, Palermo, Cagliari) e quelle individuate come aree metropolitane dalle leggi regionali già vigenti (Catania, Messina) (Tab. 1). Tab. 1 - Città metropolitane (articolo 2, comma 1 del ddl) paper CISL FP 4 Provincia Popolazione censimento 2011 Numero di Comuni della Provincia Popolazione del capoluogo Napoli Milano Torino Bari Bologna Firenze Genova Venezia Reggio Calabria 3.054.956 3.038.420 2.247.780 1.247.303 976.243 973.145 855.834 846.962 550.967 92 134 315 41 60 44 67 44 97 962.003 1.242.123 872.367 315.933 371.337 358.079 586.180 261.362 180.817 Roma 3.997.465 121 2.617.175 Palermo Catania Messina Cagliari Trieste 1.243.585 1.078.766 649.824 550.580 232.601 82 58 108 71 6 657.561 293.902 243.262 149.883 202.123 Potranno costituire ulteriori Città metropolitane le province che, sulla base dell’ultimo censimento, hanno una popolazione residente superiore a 1 milione di abitanti, purché l’iniziativa sia assunta dal comune capoluogo della provincia e da altri comuni che complessivamente rappresentino almeno 500mila abitanti della provincia medesima (Tab. 2), o le province confinanti con almeno 1.500.000 di abitanti complessivi, nel caso di accordo dei due comuni capoluogo (Tab. 3). Tab. 2 - Città metropolitane eventuali (articolo 2, comma 2, primo periodo, del ddl) Provincia Bergamo Brescia Salerno Popolazione censimento 2011 1.086.277 1.238.044 1.092.876 Numero di comuni della Provincia 244 206 158 Popolazione del capoluogo 115.349 189.902 132.608 Enti locali. Una riforma attesa Tab. 3 - Province aggregabili in Città metropolitane eventuali (articolo 2, comma 2, secondo periodo, del ddl) Provincia Padova Verona Treviso Vicenza Varese Monza e Brianza Popolazione censimento 2011 Numero di comuni della Provincia 921.361 900.542 876.790 859.205 871.886 840.129 104 98 95 121 141 55 Popolazione del capoluogo 206.192 252.520 81.014 111.500 79.793 119.856 (Fonte: Dossier del Servizio Studi del Senato, n. 93, gennaio 2014) Province Quanto alle Province, le disposizioni in materia hanno un carattere transitorio, in attesa della loro abolizione prevista dal disegno di legge costituzionale (A.C. n.1453) presentato parallelamente al ddl. Quindi, stante la previsione che dal 2014 non vi saranno più elezioni provinciali, il progetto Delrio configura le nuove Province, definite “enti territoriali di area vasta”, quali amministrazioni di secondo 5 CISL FP livello, attribuendo loro le seguenti funzioni fondamentali (oggetto degli artt. 11 e 17): - pianificazione territoriale provinciale di coordinamento; tutela e valorizzazione dell’ambiente; - pianificazione del trasporto pubblico, autorizzazione e controllo di quello privato; costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione; - programmazione della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; - raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnico amministrativa agli Enti locali. La Provincia può, altresì, d’intesa con i Comuni, provvedere alla gestione dell’edilizia scolastica con riferimento alle scuole secondarie di secondo grado. Le funzioni amministrative conferite precedentemente alle Province dallo Stato o dalle Regioni sono trasferite ai Comuni o alle Unioni di comuni (che il disegno di legge intende incentivare) oppure alle Regioni medesime, qualora rispondano a riconosciute esigenze unitarie. Alle Province montane sono attribuite due funzioni fondamentali: - cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione in forma associata di servizi; - cura delle relazioni istituzionali con altri enti territoriali con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane. E’ utile a questo proposito un confronto tra le funzioni fondamentali delle Province previste dal Testo Unico degli Enti locali (dl n. 267/2000) e quelle presenti nel ddl 1212 (Tab. 4). Da esso si evince chiaramente come alcune funzioni oggi attribuite alle Province siano suscettibili di essere loro sottratte ed attribuite ad altri soggetti (Comuni, Regioni, altre soluzioni gestionali). Il disegno di legge prevede che entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, Stato e Regioni debbano individuare in maniera puntuale, mediante accordo in Conferenza unificata, e sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (su questo punto si tornerà in seguito), le funzioni oggetto del riordino e le relative competenze (comma 7). Entro il medesimo termine, con d.P.C.m., saranno individuati i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse paper Gli organi delle Città metropolitane (artt. 4,5,6 del ddl) saranno costituiti (senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica) dal sindaco metropolitano (che coinciderà con il sindaco del comune capoluogo), dal consiglio metropolitano (sindaco e alcuni consiglieri delle Città metropolitane, con un numero variabile da 10 a 60, in relazione alla popolazione residente) e dalla conferenza metropolitana (composta dal sindaco metropolitano e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana). Negli intenti del legislatore, esse dovranno svolgere un ruolo propulsivo nell’auspicata ripresa economica, ponendosi alla testa della ripresa della sviluppo – anche tenendo conto del fatto che in esse si troveranno concentrati oltre la metà della popolazione e del Pil del nostro Paese – e assolvendo a funzioni fondamentali (disciplinate dall’art. 8 del ddl), quali quelle delle attuali Province facenti parte del loro territorio, non appena gli organi di queste verranno a scadenza per fine mandato: - adozione e aggiornamento annuale del piano strategico del territorio metropolitano; - pianificazione territoriale generale, comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture; - strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; - mobilità e viabilità; - promozione dello sviluppo economico e sociale; - promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione. Enti locali. Una riforma attesa finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento, garantendo i rapporti di lavoro in corso (comma 8). Tra gli altri commi previsti dal ddl, e relativi al trasferimento di funzioni e competenze, di rilevante importanza il comma 12, lettera a, laddove si dice che “nei trasferimenti delle funzioni oggetto di riordino, il personale mantiene la posizione giuridica ed economica in essere” e “le corrispettive risorse provinciali sono traslate all’ente destinatario”. Tab. 4 Confronto TUEL ( DL 267/2000) - DDL 1212 TESTO UNICO ENTI LOCALI (art. 19) a) difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità; DDL 1212 a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; c) valorizzazione dei beni culturali; d) viabilità e trasporti; paper CISL FP 6 b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; e) protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali; f) caccia e pesca nelle acque interne; g) organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore; h) servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale; i) compiti connessi all'istruzione secondaria di secondo grado ed artistica e alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale; c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; l) raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnicoamministrativa agli enti locali; d) raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnicoamministrativa agli enti locali; Inoltre la Provincia, in collaborazione con i Comuni e sulla base di programmi da essa proposti promuove e coordina attività, nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale nei settori economico, produttivo, commerciale, turistico, sociale, culturale e sportivo. Unioni di comuni Sul tema delle Unioni di comuni, Il ddl in esame si è posto nel solco di un dibattito certo non nuovo, che ha trovato espressione in diversi interventi normativi strutturati (a partire dalla legge 142/90), che partono dal riconoscimento che le difficoltà organizzative e gestionali che incontrano i piccoli comuni non si riducono alla sola collettività locale, ma hanno ripercussioni sull’intero assetto istituzionale dello Stato. Più recentemente, l’Unione di comuni è diventata un ente locale sotto tutti gli aspetti, per effetto di manovre restrittive nate per rispondere maggiormente ai principi di economicità ed efficienza e nell’ottica di una gestione ottimale dei servizi. Dalla legge finanziaria del 2010 in poi (leggi 191/2009, 122/2010 e 148/2011), l’Unione (come organismo di secondo livello) gode di una propria personalità giuridica e detiene autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa e finanziaria, governata da appositi organi politici. Ad oggi risultano regolarmente costituite 307 Unioni di comuni che riuniscono 1.887 Comuni (su 8.071). Relativamente alle Unioni di comuni, ovvero “Enti locali costituiti da due o più comuni per l’esercizio associato di funzioni e servizi”, il ddl prevede l’unificazione e semplificazione della normativa, per ampliare il numero delle funzioni da esercitare in forma associata, estendendole a tutte le funzioni fondamentali. A queste Enti locali. Una riforma attesa si dovranno aggiungere anche quelle indicate nell’art. 23, relative a trasparenza, anticorruzione, revisione dei conti, controllo e valutazione. Per le Unioni di comuni sono previste tre tipologie: Unioni appositamente costituite per lo svolgimento di specifiche funzioni; Unioni obbligatorie per l’esercizio delle funzioni fondamentali; ed infine Unioni facoltative per l’esercizio di tutte le funzioni che possono essere costituite da tutti i Comuni fino a 5 mila abitanti (3 mila nelle comunità montane). LIVELLI DI GOVERNO: UN CONFRONTO EUROPEO Il dibattito sul peso da conferire alle autonomie locali, la loro suddivisione, il loro ruolo e funzioni è un elemento che caratterizza tutti gli Stati appartenenti all’ordinamento europeo. Tuttavia, gli enti di governo in questi Paesi non hanno una presenza uniforme su tutto il territorio dell’Unione. Circa il loro numero, la suddivisione e le funzioni a loro attribuite è utile un confronto. In 19 dei 28 Paesi dell’UE, il governo del territorio è affidato a tre livelli istituzionali, analoghi a Regioni, Province e Comuni italiani. Nove Stati (Cipro, Malta, Lussemburgo, Austria, Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Portogallo e Slovenia) hanno invece due livelli di Governo. Dei Paesi con tre livelli di governo, vediamo un raffronto tra Italia, Spagna, Francia e Germania (Tab. 5). In particolare, nei Paesi con tre livelli di governo, al livello intermedio (provinciale) è assegnato in genere un blocco di funzioni analogo, prevalentemente riguardanti l’ambiente (pianificazione, tutela, gestione dei rifiuti e delle acque), lo sviluppo economico (sostegno alle imprese e politiche per l’occupazione), i trasporti (viabilità, mobilità, infrastrutture) e la scuola (edilizia scolastica compresa), legate a diverse tipologie di tributi (Tab. 6). Tab. 5 7 II livello III livello 26 regioni 100 Dipartimenti 36.763 Comuni (Communes) CISL FP Francia I livello 16 Länder (di cui 3 città-Stato) 408 Distretti (Kreise) (301 distretti rurali + 107 città distretto) 12.302 Comuni (Gemeinde) paper Stato Superficie e abitanti 17 comunità autonome 50 Province 8.112 Comuni (Municipios) 20 Regioni 107 Province 8.092 Comuni 675.417 kmq 65.447.374 ab Germania Spagna Italia 357.023 kmq 81.772.000 ab 504.614 kmq 46.754.784 ab 301.340 kmq 60.776.531 ab (Fonte: www.indexmundi.com, relativo a dati 2011) Tab. 6 Stato Funzioni e competenze Entrate di bilancio Francia Assistenza sociale e prevenzione socio-sanitaria; scuola e trasporto scolastico; biblioteche centrali, musei e belle arti; infrastrutture; trasporti; assetto del territorio Tassa sulle abitazioni; tassa fondiaria sulle proprietà edili e non edili; tassa sulle professioni; trasferimenti statali Germania Coordinamento dei compiti dei comuni; funzioni e servizi che vanno oltre la capacità dei comuni; servizi sociali e sanitari; educazione ed edilizia scolastica; smaltimento rifiuti e ambiente; urbanistica; acquedotti Imposta locale sui redditi; imposta sugli immobili; trasferimenti statali Coordinamento dei servizi comunali; assistenza e sostegno ai comuni minori; adotta il Piano annuale di cooperazione alla prestazione delle opere e dei servizi comunali Entrate tributarie proprie; partecipazione ai tributi dello Stato; fondo di cooperazione economica dello Stato; fondo sanitario Coordinamento e programmazione territoriale, economica e ambientale; ambiente e smaltimento rifiuti; viabilità e trasporti; igiene pubblica; beni culturali; edilizia scolastica; formazione professionale Entrate tributarie; entrate extratributarie; trasferimenti statali e regionali Spagna Italia Enti locali. Una riforma attesa Anche il tema del governo delle aree metropolitane ha assunto, negli ultimi anni, in Europa, una grandissima rilevanza. Attualmente, il 68% circa della popolazione risiede in grandi agglomerati urbani che generano più di due terzi del Pil europeo: da qui la necessità di giungere ad una definizione e classificazione. Nell’esperienza europea, i singoli Paesi non hanno riorganizzato il proprio assetto amministrativo istituendo specifici “enti metropolitani”, piuttosto hanno assegnato degli specifici “status” a singoli territori (ad esempio le città-Laender tedesche o Londra), o li hanno legittimati ad associarsi per la gestione di problematiche comuni a carattere metropolitano (si pensi al caso di Barcellona, dove l’area metropolitana è un ambito territoriale di cooperazione funzionale tra soggetti amministrativi locali). L’OECD, in collaborazione con la Commissione europea e con Eurostat, ha sviluppato una definizione delle aree metropolitane, secondo cui un’area urbana è tale quando vi è un forte legame di mercato del lavoro tra il “nucleo urbano” centrale e l’hinterland: i comuni considerati hinterland sono quelli in cui almeno il 15% dei residenti è occupato nel centro urbano principale. Questa metodologia ha consentito di confrontare aree urbane funzionali di dimensioni simili in tutti i Paesi europei. Secondo tale classifica, in Italia solo Milano, Roma, Napoli e Torino rientrerebbero nel novero delle grandi aree metropolitane europee. paper CISL FP 8 (Fonte: Censis, Le Città metropolitane in Italia: confronto tra le maggiori forme di governo metropolitano in Europa, febbraio 2014) UN DIBATTITO ACCESO Il disegno di legge sul riordino delle autonomie locali ha suscitato, in ragione della ricchezza di implicazioni dei suoi contenuti, un acceso dibattito istituzionale e scientifico, con posizioni anche fortemente contrastanti. In generale, le ragioni del plauso indicano nelle finalità del ddl il primo e più generale segno positivo della riforma, ovvero l’aver posto al centro del progetto i temi della riduzione dei costi, della liberazione di risorse per migliorare l’efficienza, della diminuzione del peso fiscale, del miglioramento dei servizi (in particolare, si veda l’art. Enti locali. Una riforma attesa UN’INTESA DI AMPIO RESPIRO Quel che appare sempre più evidente è la necessità di una riforma globale e complessiva del sistema degli Enti locali, ora inceppato a causa delle storture impresse da una serie di riforme incompiute, oltreché dallo scarso coraggio di una politica costantemente arresa all’emergenza, che rischia di gettare al vento anche gli sforzi compiuti a causa della continua staffetta tra i governi. Di fronte all’obiettivo di un sistema moderno ed efficiente, in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini con un equilibrato disegno dei livelli di governance, l’Italia appare ancora ben lontana. Ciò nonostante, se il nostro Paese continua ad essere la terza economia dell’Eurozona, significa che non tutto è perduto. Ma è necessario imboccare quanto prima la strada del riordino istituzionale, snellendo la macchina burocratica e definendo funzioni e ambiti di competenza nei diversi livelli. Non è ancora possibile, allo stato attuale, ipotizzare i tempi del varo della legge sul sistema delle autonomie. 9 CISL FP Tuttavia è indubbio che l’insieme dei provvedimenti normativi oggetto della discussione cambieranno l’attuale sistema delle autonomie locali lungo una traiettoria che da tempo viene indicata come l’unica percorribile, ovvero l’attuazione di processi di aggregazione e semplificazione istituzionale meglio rispondenti ai principi fondamentali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Nel concreto questo significa incentivare le fusioni di comuni e la gestione associata di obiettivi, mezzi, professionalità e risorse, promuovendo economie di scala e incentivando la lotta agli sprechi; e creando ambiti di area vasta, che includano quelli derivanti dall’istituzione delle Città metropolitane, sulle quali ridisegnare il ruolo delle Province. Una tappa fondamentale di questo lungo cammino verso un riordino istituzionale è stato il Protocollo di Intesa, siglato lo scorso 19 novembre da Cisl FP, FP Cgil e Uil FPL, dagli ex ministri Delrio e D’Alia e dagli organismi di rappresentanza delle autonomie (Conferenza delle Regioni e ANCI), con esclusione dell’UPI. Tale Protocollo va inserito nel percorso di impegni che le Federazioni di categoria delle tre maggiori rappresentanze sindacali del pubblico impiego hanno affinato dopo l’Intesa dell’11 maggio 2012. Essa rappresenta l’opportunità concreta di costruire spazi nuovi di relazioni sindacali nell’ambito dei molteplici processi di riordino istituzionale che potrebbero realizzarsi a livello nazionale e regionale. Due sono i livelli di lettura fondamentali del Protocollo. Sul piano politico il Protocollo sancisce l’ingresso delle parti sociali e delle associazioni degli Enti locali nella compagine impegnata a dettare le regole future del riordino istituzionale. Questo elemento è in controtendenza rispetto alla logica, finora perseguita, delle riforme imposte dall’alto, senza il coinvolgimento delle parti sociali, e oltretutto giunge prima che il percorso normativo di revisione degli assetti territoriali sia entrato nelle strette conclusive. L’Intesa riafferma il valore strategico del lavoro pubblico in ordine al nuovo assetto, riconoscendo la necessità di tutelare i professionisti che vi operano e che garantiscono la funzionalità degli enti. Sul piano dei contenuti, esso detta dei principi inderogabili nella prospettiva della tutela del lavoro. Tre, infatti, sono i concetti strategici contenuti nell’Intesa. Qualora il ddl di riordino istituzionale procedesse, dovrà contenere tali nuovi punti sotto forma di emendamenti. Essi sono: - la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali quale obiettivo primario; -l’assicurazione che gli eventuali processi di trasferimento non incideranno sugli equilibri di bilancio, sugli attuali limiti di spesa e su quelli assunzionali delle amministrazioni riceventi; paper 17 del ddl, laddove prevede e disciplina tutto il sistema dei trasferimenti ai comuni di funzioni, patrimonio e risorse strumentali). D’altro canto, i detrattori del disegno di legge rilevano nella non piena abrogazione delle Province, nell’incertezza dei risparmi e nella confusa evoluzione futura del nuovo sistema i principali segni di debolezza del progetto di riordino. Infatti, poiché non è prevedibile un calcolo dei risparmi e una valutazione a priori del futuro assetto, e non essendoci allo stato attuale esperienze simili di riforma delle autonomie locali, non si escludono fenomeni di distorsione della stessa. Su questo aspetto è intervenuta nuovamente la Corte dei Conti che, nell’audizione sul ddl del 16 gennaio 2014, ha ribadito le valutazioni già manifestate in ordine ai risparmi attesi, che sarebbero di entità contenuta, a fronte di nuovi possibili aggravi dovuti ad una riorganizzazione di complessa portata. Pertanto, come afferma la Corte dei Conti, “appare decisiva la costante verifica dell’andamento dell’attuazione della riforma e dei risultati sotto il profilo del governo delle risorse impiegate e del rispetto del divieto di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Infine, il ddl sarebbe, secondi i più critici, una ennesima “legge ponte” in attesa di una riforma costituzionale; ovvero, una legge “tampone”, necessaria a far fronte, in qualche modo, ad una serie molto lunga di interventi o proposte di razionalizzazione dei livelli di governo; non certo un approccio sistematico, volto a realizzare, in base ad un Carta delle autonomie, un vero disegno di semplificazione amministrativa e di valorizzazione delle autonomie locali. Enti locali. Una riforma attesa paper CISL FP 10 - la formazione e la riqualificazione, considerati strumenti fondamentali da promuovere anche con misure straordinarie, per garantire il reimpiego funzionale dei lavoratori interessati dal processo di riassetto. La salvaguardia dei livelli occupazionali, sia per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, sia per quelli con contratto a termine, è senza dubbio la maggiore preoccupazione nel governo dei processi di riassetto. A questo proposito, l’accordo raggiunto impegna governo, Regioni ed Enti locali non solo a garantire i livelli occupazionali e la professionalità del personale, ma anche a proporre norme che consentano di introdurre deroghe ai vincoli di spesa per la gestione di eventuali processi di mobilità tra enti. Tutto ciò impegna il sindacato ad individuare e proporre la collocazione territoriale e professionale più idonea: di questo dovranno occuparsi i tavoli regionali e territoriali, previsti nel Protocollo, per giungere alla definizione di un assetto di amministrazioni coerente e funzionale al progetto. Analoga tutela è prevista a salvaguardia delle retribuzioni del personale trasferito, della sua posizione giuridica e dell’anzianità di servizio. Saranno garantite, per i lavoratori interessati dalle unioni o fusioni di comuni, le risorse destinate al salario accessorio, che confluiranno per l’intero importo nei fondi dei nuovi enti. Altro risultato importante dell’Intesa è la priorità accordata alla certificazione delle competenze della PROVINCE TOTALE LAVORATORI A TEMPO PIENO PART TIME ENTRO IL 50% PA, non solo quelle acquisite nelle sedi formali (titoli di studio e formazione permanente), ma anche quelle agite, ovvero apprese direttamente sul posto di lavoro, che finora, tranne in pochi casi, non hanno beneficiato della giusta attenzione. UN RIORDINO PARTECIPATO DEL TERRITORIO ll Protocollo d’Intesa pone in rilievo la caratteristica principale che dovrebbe avere una riforma delle istituzioni del territorio: quella cioè di essere non parcellizzata e settoriale, ma globale, inclusiva di tutti i processi di riorganizzazione in corso. Il riordino delle amministrazioni locali non riguarda il solo livello territoriale. Esso, al contrario, deve muoversi in un orizzonte di cambiamento molto più ampio e ricco di interconnessioni, comprendente anche le amministrazioni centrali, configurando un sistema integrato di livelli istituzionali in grado complessivamente di governare e indirizzare i processi sociali ed economici. Ma accordando sempre la priorità al cittadino, al territorio, all’efficienza dei servizi. Al tempo stesso, il riordino deve considerare le ricadute tangibili sui circa 52mila lavoratori che compongono il mondo delle province italiane. Un mondo ricco e articolato, così composto: PART TIME OLTRE IL 50% TOTALE Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne Totale 27.910 19.414 597 587 619 2.841 29.126 22.842 51.968 La riuscita di una partita così impegnativa richiede una gestione condivisa del processo e l’attivazione di spazi di confronto e partecipazione sulle problematiche legate ai processi di riorganizzazione e di mobilità. La priorità è necessariamente quella della salvaguardia dei livelli occupazionali e retributivi, utilizzando, ai fini contrattuali, le risorse finanziarie derivanti dai tagli di sprechi e dalla spesa improduttiva. Sul punto, merita una valutazione positiva il fatto che nell’ultimo testo del disegno di legge si formalizzi l’impegno sancito nel Protocollo di intesa, ovvero il diritto di informazione alle organizzazioni sindacali, a presidio di alcuni snodi fondamentali del processo di riordino (come già detto, l’art. 17, comma 5 prevede, infatti, che entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, Stato e Regioni individuino in modo puntuale, in sede di Conferenza unificata, le funzioni oggetto del riordino e le relative competenze, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative). La consultazione dei sindacati è prevista anche rispetto ai criteri per il trasferimento del personale. In particolare, il confronto preventivo con le OO.SS. è contemplato per fissare i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle province agli enti subentranti (art. 17, comma 8). Si tratta di spazi di agibilità strategici per due motivi: 1) In primo luogo, la revisione delle funzioni e la conseguente riprogettazione dei servizi, basata sulla nuova geometria istituzionale, implicano l’individuazione del necessario fabbisogno professionale, mediante percorsi mirati di riqualificazione e una redistribuzione del personale che ne valorizzi le competenze possedute. Vanno scongiurati, pertanto, Enti locali. Una riforma attesa L’Intesa del 19 novembre impegna governo, regioni ed Enti locali a costruire luoghi di confronto per garantire i livelli occupazionali e la professionalità del personale e proporre norme che consentano di introdurre deroghe ai vincoli di spesa di personale per la gestione di eventuali processi di mobilità tra enti. Il testo licenziato dal Senato accoglie e formalizza entrambi gli impegni. Ai sensi dell’art. 17, comma 12, il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, ovvero il trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all’atto del trasferimento, nonché l’anzianità di servizio maturata. Le risorse destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, sono versate in specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito. Anche il personale trasferito dalle province alle 11 CISL FP Città metropolitane mantiene il trattamento economico in godimento. Inoltre, al fine di tener conto degli effetti finanziari derivanti dal trasferimento dell’esercizio delle funzioni, si prevede che con il d.P.C.m., da adottare entro tre mesi dall’entrata in vigore delle legge, possano essere modificati gli obiettivi del patto di stabilità interno e la facoltà di assumere per le province e gli enti subentranti, fermo restando l’obiettivo complessivo. La centralità del dato finanziario, ribadita nel Protocollo per evitare che gli eventuali processi di trasferimento incidano sugli equilibri di bilancio, sugli attuali limiti di spesa e su quelli assunzionali delle amministrazioni riceventi, è confermata dalle vicende che hanno recentemente investito le amministrazioni locali. In molti comuni italiani, con il proliferare di vertenze sul salario accessorio dei dipendenti seguite all’attività ispettiva del Ministero dell'Economia, alcune amministrazioni ne hanno disposto il blocco e hanno avviato le procedure per il recupero di parte delle somme percepite nel corso degli anni sulla base dei contratti decentrati sottoscritti dagli Enti. A seguito di questi interventi unilaterali delle amministrazioni, una forte mobilitazione sindacale, nata allo scopo di tutelare salari già pesantemente colpiti dal blocco pluriennale della contrattazione, ha portato alla presentazione di un emendamento al decreto legge sugli Enti locali (d.l. 151/2013), attualmente in discussione alla Commissione bilancio. L'obiettivo è quello di risolvere il problema che ha investito la contrattazione integrativa nel comparto Regioni ed Enti locali. L’emendamento sancisce il divieto di procedere al recupero delle somme per quelle amministrazioni che, all’atto della sottoscrizione dei contratti collettivi decentrati integrativi, hanno rispettato i vincoli di bilancio annuali e pluriennali e i parametri di virtuosità per la spesa del personale. Tortuoso il suo cammino. Ma non senza speranza. Congelato dalla Presidenza del Senato nell’iter di conversione del d.l. 151/2013, l'emendamento verrà presentato, sempre grazie alla pressione esercitata dalle OO.SS. sul Governo, nell’ambito di un nuovo disegno di legge di prossima approvazione. E’ dunque un quadro denso di criticità quello in cui si sta facendo strada il disegno di legge Delrio. La strada tracciata dal Protocollo - concepire la partita del riordino territoriale come parte integrante di una sfida molto più ampia e complessa - è l'occasione per costruire un raccordo tra modello amministrativo e tessuto produttivo, per dare risposte concrete ai cittadini, alle famiglie, alle imprese, conferendo al lavoro pubblico, in questa partita, il ruolo di prim'ordine che gli spetta. E' il percorso impegnativo di una riforma lungamente attesa. paper tutti i tentativi di preventiva attribuzione del personale presso altri apparati dello Stato, in assenza di un disegno organico sulle funzioni e di un corpus normativo che regoli il passaggio del relativo personale ad enti terzi. La questione ha riguardato, nello specifico, i corpi e i servizi di Polizia Provinciale per i quali si è paventata l’ipotesi di un passaggio presso il Corpo forestale dello Stato, in assenza di proposte concrete. Il ruolo nevralgico dei servizi prestati dal personale di Polizia Provinciale richiede che la funzione di controllo e tutela dell’ambiente trovi proprio sul territorio la dimensione ottimale del suo esercizio, legandosi inscindibilmente alle funzioni che l’art. 17 comma 1 lettera a) del ddl pone in capo agli enti di area vasta. Qualsiasi tentativo di preventivo passaggio del personale avverrebbe in modo estemporaneo rispetto a quanto stabilito nel Protocollo d’intesa, che sancisce un governo partecipato dei processi a garanzia della salvaguardia dei posti di lavoro e delle tutele del personale interessato dal riordino. La cabina di regia stabilita dal Protocollo d’intesa dovrà essere la sede in cui definire il nuovo modello organizzativo degli Enti locali e, conseguentemente, quella più adatta per affrontare e risolvere le questioni aperte. 2) In secondo luogo, la definizione delle funzioni è un aspetto cruciale del processo di riordino perché da questo dipenderà la concreta definizione di un sistema di governance multilivello moderno, concepito in chiave di integrazione e non di sterile concorrenza tra gli enti. D’altronde non si può parlare in astratto di un “perimetro dello Stato”, da ridurre o allargare secondo un criterio contabile (o ideologico) prestabilito. Piuttosto, si deve riorganizzare la produzione dei servizi come farebbe un’impresa privata ben gestita: creando reti e filiere efficienti al posto della frammentazione, della sovrapposizione di competenze, della concorrenzialità fra poteri.
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