grand budapest hotel - Cineforum Sanbonifacio

FEDERAZIONE ITALIANA DEI CINEFORUM
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CINEFORUM DI
SAN BONIFACIO (VR)
GRAND BUDAPEST HOTEL (The Grand Budapest Hotel)
Sullo sfondo dell’omicidio di una nobile dama e del furto di un dipinto di inestimabile valore, si svolgono le
(dis)avventure di Gustav H, perfetto concierge dell’hotel “Gran Budapest”, un lussuoso albergo situato tra le Alpi
dello Stato di Zubrowka, e dell’amicizia che lo lega a Zero Moustafa, il giovane fattorino che diventerà suo protetto e
amico più fidato.
REGIA
Wes Anderson
SCENEGGIATURA
Wes Anderson
Ispirato alle opere di
Stefan Zweig
FOTOGRAFIA
Robert D.Yeoman
MONTAGGIO
Barney Pilling
MUSICA
Alexandre Desplat
INTERPRETI
Ralph Fiennes
Adrien Brody
Harvey Keitel
Jude Law
Bill Murray
Edward Norton
Tilda Swinton
F. Murray Abraham
Jude Law
Mathieu Amalric
Willem Dafoe
Bill Murray
Saoirse Ronan
Léa Seydoux
Tom Wilkinson
Owen Wilson
PRODUZIONE
Wes Anderson
DISTRIBUZIONE
20th Century Fox
PAESE
Gran Bretagna, 2014
DURATA
100’
FESTIVAL
BERLINO 2014
Orso d’argento
DAVID
DONATELLO 2014
Miglior film straniero
Con un giallo raccontato come una commedia (e un dramma raccontato come
una favola) Wes Anderson ha inaugurato con i suoi colori pastello questa
64esima Berlinale. Il suo The Grand Budapest Hotel sembra uno dei dolci che
prepara nel film la dolce Agatha dove panne, spumoni e variopinte meringhe si
impilano sostenuti da un miracoloso equilibrio. Anche il suo film mescola
elementi eterogenei, dai formati di proiezione-panoramico per le scene
ambientate oggi, wide screen (più stretto e lungo, tipo CinemaScope) per quelle
negli anni Sessanta e il classico Academy (quasi quadrato) per gli anni Venti e
Trenta — alle epoche temporali ai riferimenti storici, per costruire un mondo
che sappia coniugare il piacere della fantasia e l’ambizione del racconto morale
(ispirato agli scritti di Stefan Zweig)”
(Paolo Mereghetti, “Corriere della Sera”, 7 febbraio 2014)
“All'ottavo round, il 45enne Wes Anderson, uno dei pochi registi impossibili da
imprigionare in un aggettivo, firma il suo film più personale e fiabesco, colto e
snob, raffinato e ironico verso i generi stessi del cinema, dalla commedia
sofisticata di Lubitsch e soci (Wyler, Mamoulian, Bornage, Wilder...)
nell'ovattato clima di un grand hotel d'operetta fino alla spy story. Commedia di
un grand hotel d’operetta fino alla spy story . Commedia mitteleuropea,
ambientata nello stupore Art Nouveau anni 30, flash back biografico del
padrone d un hotel glorioso ora decaduto in quel crocevia di mondo al confine
di Germania, Austria e Polonia, tra le due guerre mondiali.”
(Maurizio Porro, “Corriere della Sera”, 10 aprile 2014)
"Piacerà agli ammiratori (da sempre) di Anderson ('Tenenbaum'). E dei suoi
personaggi spesso strampalati, tutti perdenti, tutti in ritardo (o in anticipo)
rispetto al tempo dove sono costretti a vivere. Ma anche chi non è sfegatato fan
di Wes, riconoscerà che qui ha fatto un gran bel lavoro di regia. 'Grand hotel' è
uno splendido commedione, dove tanti personaggi vanno e vengono, ma
nessuno è sciatto, nessuno è superfluo.”
(Giorgio Carbone, “Libero”, 10 aprile 2014)
"Ah, che bel film. Una commedia tra favola e operetta, scritta e diretta da un
Wes Anderson in gran forma, che viaggia a ritroso nel tempo, inventando
cinema a ogni cambio di scena. (...) la storia non ha importanza, di fronte al
fascino di colori, costumi e di un raffinatissimo umorismo."
(Massimo Bertarelli, “Il Giornale”, 10 aprile 2014)
Benvenuti nel grande film di Anderson!
L’ottava pellicola di Wes Anderson è una commedia eccentrica, veloce ed elegante; esempio di
grande cinema, fantasioso e inusuale, raffinato e intelligente; formalmente e stilisticamente curato
con rigorosa e geometrica precisione, energia e competenza. Quest’ultima sua fatica non è da meno
rispetto alle sue precedenti e mirabili opere: ogni elemento del film s’integra efficacemente, dando
vita ad un risultato brillante e affascinante. Vincitore del Gran Premio della Giuria a Berlino ’14,
“Grand Budapest Hotel” ha la sua forza e il suo motivo di interesse nel ritmo indiavolato, pieno di
gag surreali e omaggi ad un certo cinema d’epoca, dal Chaplin de “Il grande dittatore”, alle
sofisticate commedie di Lubitsch e Wilder, o ai film di Mamoulian e Goulding; oltre che a stilemi
tecnici tipici del passato (nonostante è ripreso in digitale celebra la pratica, anche datata,
dell’analogico: vedi i formati di ripresa dei film muti). Lo spettatore è continuamente coinvolto in
quest’universo tipicamente Andersiano, eccentrico e antinaturale (frontalità dei corpi
nell’inquadratura, traiettoria pulita delle carrellate, resa buffa delle azioni), oltre che travolto da una
vicenda intrigante e avvincente, colma di colpi di scena, inseguimenti e intrecci gialli, trovate
surreali e ironie venate di una certa crudeltà. Come nel piacevole inseguimento sugli sci, tutto è
felicemente sopra le righe e velocizzato in questo film: Anderson suddivide la narrazione in capitoli
e mette in scena un godibile spettacolo funambolico e delizioso, colmo di personaggi bizzarri ed
episodi grotteschi. L’opera è vicina alle vignette dei libri animati o ai fumetti d’avventura (vedi il
cartoon “The Fantastic Mr. Fox”), o a un sogno ad occhi aperti. In una vicenda apparentemente
semplice che gioca tutto sul ridicolizzare situazioni e interpreti, si scatenano una serie di
avvenimenti che fanno passare il film dal registro della commedia al noir, dal dramma all’avventura:
si attraversa cronologicamente cinquant’anni di Storia (pur soffermandosi maggiormente sugli anni
’30) e pur in un contesto dichiaratamente antinaturalistico e immaginario, la Storia assume una
grande rilevanza. In un mondo dai colori sgargianti e toni color pastello, una fetta di società europea
è vittima di frivolezze, vanità ed egoismo: l’irreale Repubblica di Zubrowka richiama alle dittature
dell'Est e al cieco fanatismo intollerante del Nazismo, da combattere continuamente. Attraverso il
filtro letterario di Stefan Zweig, apertamente omaggiato dal film, il passato non assume più i
contorni nostalgici del rimpianto del tempo che fu, bensì quelli utili per cercare un’altra strada nel
presente, una via di fuga salvifica. E in questo l’opera si fa anche “politica”: soltanto nuove aperture
esterne possono salvare un Europa preda dei suoi fantasmi, delle sue crisi, delle sue fragilità. L’hotel
del titolo e del plot diventa allora l’allegorico Grand Hotel del nostro mondo, quello consumista e
alto-borghese (soprattutto europeo), dove ogni stanza è abitata da personaggi strani o privi di
scrupoli che riflettono vizi e virtù dell’animo umano, ma dei quali alla fine non si può che provare
tenerezza o pietà. Enorme importanza assume quindi anche la variegata assurda galleria di
personaggi a cui ci si affeziona presto, e di un cast di interpreti eccezionali ben collocati. Insomma,
oltre che sorprendere e divertire, “Grand Budapest Hotel” emoziona, fa riflettere e offre uno
spettacolo a massimi livelli espressivi.
Antonio Montefalcone