grafica cinzia marotta Lo Spopolatore le dépeupleur Di Samuel Beckett una ricerca teatrale di Peter Brook collaborazione artistica Marie-Hélène Estienne Luci Philippe Vialatte con Miriam Goldschmidt elementi scenici Arthur Franc Suoni Francesco Agnello Assistenti Hendrik Mannes, Janos Tedeschi Tecnico Christophe Gorgé Amministrazione Eric Bart, Aldo Miguel Grompone sottotitoli basati sulla traduzione dal francese di Renato Oliva Con il patrocinio di Coproduzione Fondazione Campania dei Festival - Napoli Teatro Festival Italia, Ruhrfestspiele Recklinghausen con il sostegno di Centre International de Recherche Théâtrale, Nuovi Mecenati - Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea sponsor Si ringrazia maria amodio, michele bifari, daniela guida, enrico quagliozzi, marco spina, corrado verini partner In collaborazione con media coverage by LO SPOPOLATORE data 6, 7 giugno ore 20.00 - 8 giugno ore 21.30 9 giugno ore 19.00 luogo teatro sannazaro durata 1h lingua francese (con sottotitoli in italiano) prima mondiale Dopo il grande successo di The Suit, presentato al teatro Mercadante durante l’edizione 2012, Peter Brook porta a Napoli Lo spopolatore di Samuel Beckett. Interpretato da Miriam Goldschmidt, lo spettacolo è presentato, in prima mondiale, il 6 giugno, al Teatro Sannazaro dove Brook è al lavoro da metà maggio. Lo spopolatore è un breve racconto che Beckett scrisse in francese tra il 1965 e il 1970 e rappresenta uno dei vertici della sua produzione in prosa poiché vi si trovano molti elementi comuni ad altre sue opere: il gusto geometrico dell’ambientazione, l’attenzione ai dettagli di temperatura e luce, la presenza di personaggi allo stato terminale della loro esistenza. Il luogo immaginato dallo scrittore è un cilindro gommoso di 50 metri di circonferenza e di 16 metri di altezza. Lungo la parete circolare si stagliano delle nicchie, accessibili da vecchie scale a pioli, in cui abitano circa duecento esseri. Insomma… sembra l’inferno! E infatti Peter Brook, in un’intervista a “Il Mattino” lo conferma: «Proprio quello di Dante! “Mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita”. Un’umanità smarrita vaga in un cilindro di gomma. Guardando il mondo, Beckett vide l’Inferno. E lo ricreò in quel breve racconto, con le armi della letteratura e della poesia. Nacque un nuovo Dante. Altrettanto fece Sartre in A porte chiuse. Chi sta dentro al cilindro cerca di uscire. In tutte le sue opere, Beckett immagina gente che vuol fuggire dalla realtà. Scapoli e ammogliati, politici, economisti e filosofi, tutti – conclude Brook – credono di avere il segreto per scappare». Quello del regista inglese per Beckett è un interesse che si è sviluppato durante tutta la sua carriera, si ricordino Oh les beaux jours (1995) e Fragments (2008). Nel saggio Points de suspension (pubblicato in Francia nel 2004) scriveva: «Beckett infastidisce sempre per la sua onestà. Il pubblico arriva ancora a teatro con la pietosa speranza che prima della fine dello spettacolo, il drammaturgo gli avrà dato una risposta. Non accetteremmo mai la risposta che potrebbe proporci, e tuttavia, per un’illogicità incomprensibile, continuiamo ad attenderla. Quando si mette in scena un testo di Beckett, subito si dice: “i suoi testi sono così pessimistici…”. Questa è la parola che ritorna più spesso. Ed è proprio questa la parola che vorrei approfondire, non c’è niente di più positivo che le opere di Beckett. Quando accusiamo Beckett di pessimismo siamo veri personaggi beckettiani in una pièce beckettiana». Rispetto alla messinscena dello spettacolo, Brook afferma: «Immagini quel che avrebbe escogitato Fellini per rappresentare l’Inferno! Io mi servirò soltanto di quei pochi segni che aiutano l’immaginazione. Il teatro è suggestione. Se mostri troppo, non vedi niente!».
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