La questione etica in psicoterapia

La questione etica in psicoterapia
Erminio Gius, Romina Coin*
Studiare il rapporto tra etica e deontologia appare fondamentale per rintracciare le connessioni e le eventuali divergenze
tra questi due ambiti, per evidenziare se e in quali casi, nell’esperienza dello psicoterapeuta, viene a configurarsi una
situazione di conflitto tra scelte di azione individuali e ottemperanza alle regole prescritte
dalla deontologia e dal metodo clinico.
L’emergere di un tale conflitto viene considerato come indicatore della problematicità di alcuni aspetti della pratica
psicoterapeutica che, più che mettere in discussione la validità di una normativa, indicano la necessità di individuare
strumenti, ulteriori alla regolamentazione della condotta professionale, in grado di orientare e
fondare il giudizio e le decisioni individuali.
Crediamo che il nostro compito di psicologi, ora che ci siamo dati un codice deontologico, debba essere di occuparci,
sia a livello privato, come singoli, sia a livello di comunità professionale, dei vari risvolti del rapporto tra la persona in
quanto agente etico e l’insieme di regole e obblighi che delimitano i confini di un’azione corretta. In altri termini, si
tratta di tendere (asintoticamente, perché in questo caso l’obiettivo è un riferimento ideale, mai acquisito
definitivamente) verso un equilibrio che metta in contatto il sentire etico del soggetto con il sentire deontologico
della comunità nel suo insieme.
Nell’intento di portare il dibattito attuale sull’etica anche all’interno della psicologia e di riflettere scientificamente su
essa così da cominciare a gettare delle basi per un progetto di formazione, in questi ultimi anni abbiamo svolto alcune
ricerche (Coin, 1992; Coin, 1995,1996; Coin,1997; Gius, Coin, 1993), che avevano l’obiettivo di esplorare la
concezione e la modalità di assunzione dell’etica da parte dello psicologo e dello psicoterapeuta nell’ambito del proprio
esercizio professionale in riferimento all’assunzione dell’etica che apre uno spazio irriducibilmente soggettivo e
imponderabile, di cui è difficile parlare e ancor più far ricerca.
Nella seguente tabella sono riportati i dati sulle frequenze dei giudizi riguardanti l’efficacia di alcune risorse per la
formazione e l’orientamento etico dello psicoterapeuta.
TABELLA 1. FREQUENZE DEI GIUDIZI (%) SULL’EFFICACIA DI ALCUNE RISORSE PER LA
FORMAZIONE E L’ORIENTAMENTO ETICO DELLO PSICOTERAPEUTA
Non
efficace
Formazione universitaria
Scuola di specializzazione
Tirocinio
Istituzioni/ Enti presso cui opera
Codice civile e penale
Codice deontologico
Comitati etici istituiti
dall’Ordine professionale
Pubblicazioni sperimentali
Pubblicazioni teoriche e cliniche
Corsi di aggiornamento professionale
Scambio tra colleghi
Rapporto coi pazienti
Analisi personale
Mediamente
efficace
Efficace
Non risponde
41,6
5,9
8,6
28,0
42,2
11,7
29,6
15,1
22,8
28,9
31,1
19,2
28,2
78,4
68,0
42,1
25,4
68,2
0,7
0,5
0,7
0,9
1,3
0,9
25,8
38,2
24,2
10,8
7,2
8,8
7,0
26,7
34,2
33,7
23,6
21,4
16,2
9,3
45,9
26,3
40,8
64,7
70,7
74,0
83,4
1,6
1,3
1,3
0,9
0,7
0,8
0,3
In questa luce il lavoro di Gius e Coin (1999), presenta i risultati di una ricerca svolta a livello nazionale con gli
psicologi abilitati all’esercizio della psicoterapia portando l’attenzione oltre il dato concreto, obiettivo - l’azione
concreta o la norma oggettivata, che rappresentano i contenuti più immediatamente accessibili al dialogo e al confronto
- per risalire al senso, ai significati che soggettivamente diamo al dato concreto. Viene messo in evidenza come la
norma può essere una per tutti, ma le motivazioni, i presupposti, le finalità individuali in base a cui questa norma viene
applicata determinano differenze sostanziali negli effetti.
La fondazione scientifica dell’etica
L’etica si inquadra all’interno di tre grandi capitoli: l’etica come insieme di principi e valori umani; l’etica come
deontologia; l’etica scientifica, come “amore per la verità” - con il richiamo alla neutralità e all’oggettività
dell’osservatore. La ricerca diede modo di verificare l’esistenza di tre configurazioni generali entro cui lo psicoanalista
argomenta la questione etica che riproponiamo qui brevemente. La prima, come riferimento al dominio di valori umani
universali, vede l’etica problematizzata all’interno di una riflessione vasta e piuttosto indifferenziata, che ha a oggetto i
valori fondamentali che regolano la convivenza umana e la cui validità si estende, evidentemente, a ogni contesto socioprofessionale. Nei casi in cui l’universalità del discorso viene circoscritta e affrontata in relazione alla realtà della
professione dello psicoanalista, emerge come “specifico” dell’etica psicoanalitica il rispetto della deontologia medica.
La seconda categoria di interpretazione dell’etica si concentra sull’etica scientifica, come amore della verità
conoscitiva. L’idea di scienza, e di neutralità e obiettività intesi come suoi requisiti essenziali, pare poggiare su una
visione ancora fortemente influenzata dalla concezione freudiana, che identifica l’etica come ideologia, trasmissione di
contenuti morali che nulla hanno a che fare con la professione.
L’ultima definizione dell’etica permette di cogliere meglio lo specifico dell’atto analitico in quanto atto intrinsecamente
etico perché influenzante il modo di pensare, di agire e di relazionarsi dell’altro.
L’etica appare qui declinata nella prospettiva della “relazione con”, come riconoscimento dell’altro in quanto soggetto
etico.
Sulla scorta di questi risultati, abbiamo successivamente condotto una ricerca mediante interviste, il cui scopo è stato
quello di esplorare più a fondo il rapporto tra le rappresentazioni dell’etica e i modi di concepire la relazione
professionale di aiuto e cura (Coin,1997). Il campione di questa indagine era composto da psicologi,
psicoterapeuti, educatori, infermieri e assistenti sociali impegnati in servizi psico-sociali territoriali.
Un primo dato utile alla presente riflessione è la variabilità nell’interpretazione dello statuto dei principi e dei valori
etici rispetto alla pratica professionale. Vi è, da un lato, la tendenza ad accentuare le caratteristiche di oggettività e
universalità dell’etica, intesa come insieme di valori e norme ritenute socialmente valide, autoevidenti e, in quanto tali,
elette a fonte di autorità per la condotta del singolo. L’adesione agli imperativi non necessita di giustificazione
perché costituiscono essi stessi la giustificazione della posizione assunta. Dall’altro lato, l’etica viene inquadrata come
dimensione intenzionale del soggetto, come emanazione del suo modo di essere e di relazionarsi con sé e con il mondo.
Il discorso si precisa, in questo caso, in senso descrittivo più che prescrittivo per restituire spazio alla possibilità di
operare giudizi e valutazioni circostanziate e rispettose delle emergenze specifiche della relazione professionale.
La questione etica
La regolamentazione professionale della psicologia e della psicoterapia (legge 56/89), e la promulgazione di un codice
deontologico (referendum del 1997), hanno accentrato il discorso etico sugli aspetti legali e istituzionali di garanzia
della competenza professionale, lasciando in secondo piano le istanze, altrettanto imprescindibili ma più difficilmente
obiettivabili, che riguardano il versante soggettivo valoriale, come filosofia personale e convincimenti individuali che
intervengono e influenzano l’azione professionale dello psicologo e dello psicoterapeuta. È a tutti evidente che le azioni
umane possano e anche debbano essere sottoposte a una regolamentazione, da cui scaturisce anche l’essenza stessa
dell’atteggiamento morale; tuttavia ciò non implica che esse non possano necessariamente essere libere perchè solo in
virtù di tale libertà esse si costituiscono come specificamente “umane”.
Vedremo di seguito come sia l’etica sia i valori interagiscano tra di loro nella costituzione di una nuova definizione
epistemologica nella relazione terapeutica pur salvaguardando e i giudizi di fatto (conoscenza scientifica) e i giudizi di
valore (regole degli atteggiamenti e comportamenti umani).
TABELLA 2. GIUDIZI DI ACCORDO (%) PER LE AFFERMAZIONI SULLA PSICOTERAPIA
(Sono state individuate alcune affermazioni-chiave che riassumono delle tesi portanti, nel dibattito professionale,
circa il ruolo, le finalità e le responsabilità della psicoterapia nella società moderna)
1. Un modo per far fronte
alla sofferenza psicologica dell’uomo
2. Una terapia specifica che si applica
a particolari forme di patologia
3. Una professione che si fa portatrice
di modelli etici dell’uomo moderno
4. Una professione che ha un ruolo di alta
responsabilità nella società contemporanea
5. Una professione che presuppone
elevato impegno etico del terapeuta
6. Una professione di alta ricaduta sulla società
7. Una professione con responsabilità
pari a quelle di ogni altra professione
8. Una dimensione dell’esistenzà attraverso
cui lo psicoterapeuta esprime una propria
ricerca di senso e di valore
9. L’espressione culturale delle difficoltà
di relazione dell’uomo contemporaneo
Basso
Medio
Alto
Non risponde
3,8
7,5
88,4
0,3
19,3
16,1
64,1
0,5
49,9
19,9
29,5
0,6
12,1
17,1
70,3
0,5
2,6
22,1
5,8
23,8
91,2
52,9
0,4
1,2
37,5
13,0
48,3
1,2
45,8
14,7
38,2
1,3
39,7
17,8
42,0
0,5
Una nuova domanda di etica
Il momento storico che viviamo, di fronte ai cambiamenti epocali che contrassegnano il post-moderno, mettono sempre
di più in evidenza il fallimento storico dei modelli ideologici che hanno dominato il tempo della modernità, unitamente
al trionfo del “vuoto” e allo stato psicologico abbastanza generalizzato di rinuncia a motivazioni forti e di grandi
evidenze etiche quale esito di una filosofia nichilista prossima al declino e di una ebbrezza di un ottimismo ingenuo
verso le visioni totali di un mondo governato dalla scienza e dalla tecnica.
La potenza dello sviluppo scientifico più recente, infatti, pone tutti davanti a problemi e questioni di portata planetaria
fino ad ora ed in gran parte inediti, come quelli che attengono al rispetto della vita umana evidenziati dalla bioetica, la
globalizzazione dei centri di potere scientifico, economico e politico e dell’informazione,
le migrazioni dei popoli, ecc.
La situazione sopra appena accennata conferma non solo circa la sua complessità intrinseca, ma anche circa l’esigenza
della ricerca di un serio dibattito etico che investa non solo i rapporti fra etica e politica, economia, scienza, ma anche e
soprattutto i rapporti fra etica e le relazioni tra le persone a riguardo della salvaguardia della libertà e della dignità della
persona. La questione decisiva che emerge da ciò riguarda la fondazione delle scelte etiche-morali, insieme all’esigenza
di un nuovo consenso intorno alle evidenze etiche che riguardano il bene della persona.
Alla realizzazione di ciò concorre l’etica, sia che essa è fondata su un criterio assoluto e oggettivo in base al quale è
possibile discernere ciò che è bene e ciò che è male (etica oggettiva), sia che essa evidenzia la soggettività come
fondamento e criterio della relazione (etica soggettiva), sia che essa metta in risalto la dimensione operativa (etica
applicata).
Psicoterapia tra sviluppo delle conoscenze ed etica. Il tema
della neutralità
I temi fondamentali del dibattito sono dunque quelli della neutralità e dell’autonomia e, in sintesi, quello della libertà
della ricerca e del sapere all’interno, comunque, di una azione di promozione umana e quindi, in linea di principio,
intenzionalmente orientata e guidata. Ciò presuppone che il tema della neutralità e dell’autonomia del sapere scientifico
(della scienza, della tecnica, della professionalità, ecc.) rispetto ai valori, all’etica, alla morale, si fondi sulla
considerazione che quegli ambiti che si considerano “indipendenti dai valori” non siano di fatto essi stessi “ sprovvisti
di valori”. Ogni attività umana, infatti, è guidata da scelte ispirate da giudizi di valore, che debbono prendere in
considerazione la pluralità dei valori, perchè non è possibile pensare ad una azione che sia veramente umana che non sia
vissuta e agita per un scopo o fine, e questi rappresentano un valore (e talvolta un valore specifico) che ispira e orienta
l’azione stessa. È quindi rispetto ai fini e soprattutto all’interno della scienza applicata, che si colloca la presa di
posizione etica rispetto ai problemi umani legati agli scopi delle diverse applicazioni da essa innescati.
I veri problemi morali sorgono quindi quando il comportamento del professionista è basato su un’ipotesi di
comportamento autonomo sprovvisto di valori. In tal caso il principio etico generale che il fine non giustifica i mezzi
(ma anche “ il fine non giustifica le conseguenze”) verrebbe ad essere sconvolto.
Ai nostri scopi e, cioè, ai fini di una rappresentazione della relazione importante e imprescindibile che dovrebbe
sussistere nell’atto terapeutico fondata sul rapporto tra utilizzo ( non inquinato) della scienza e della tecnica e
dimensione della soggettività etica del terapeuta, potrebbe apparire superflua ogni divagazione sui temi sopra enunciati.
Eppure il tema della neutralità è di così elevata complessità, soprattutto nei casi di conflitti etici che si possono
presentare nella relazione terapeutica, che anche il dibattito circa la tematica che vede in gioco il rapporto tra
proposizioni fattuali e proposizioni normative, concorre ad arricchire il dibattito il quale
rimane tuttavia molto complesso.
Un primo interrogativo riguarda se sia ancora possibile sostenere la distinzione tra fatto e valore, dopo la ricca e
fondamentale discussione aperta dagli ampliati visti con l’avvento della post-modernità e della complessità.
Un secondo interrogativo, all’interno del rapporto tra fatto (proposizioni fattuali) e valore (proposizioni normative),
riguarda la sostenibilità del divieto cognitivo di confondere “é” con “deve”.
Tali interrogativi possono essere trasferiti e riferiti, ad esempio, alla relazione terapeutica qualora vi si introducesse
l’adesione ad un valore (in questo caso un valore soggettivo): una proposizione fattuale (“é”) potrebbe implicare, dal
punto di vista logico, una proposizione normativa (“deve”). Può succedere, infatti, che la stessa proposizione fattuale
contenga originariamente già in sé degli elementi normativi.
Il tema introdotto è molto complesso. Ai fini del nostro dibattito esso si pone come struttura logica fondamentale per la
comprensione dei complessi processi psicodinamici che sottendono l’interazione e la distinzione tra etica e deontologia.
Se non si può confondere “è” con “deve”, si deve comunque accettare che “è” è pur carico di valori che possono e
devono essere interrogati da un “deve” adattativo di quegli stessi valori rispetto ai valori intrinseci e ai contesti valoriali
socio-culturali di appartenenza. Il comportamento umano, in tal senso, non può che essere morale
e, quindi, necessariamente responsabile.
Il tema della neutralità all’interno dei rapporti di relazione e di autonomia tra deontologia ed etica, il quale presuppone
quello di responsabilità morale, come sopra accennato, interagisce con un altro tema che è quello dei conflitti di valore.
Essi ci sono proposti in modo sempre più accentuato in virtù del complesso rapporto tra sviluppo della scienza e della
tecnologia e la società dei valori: valori consolidati si modificano, oppure ne nascono di nuovi. Sia gli uni che gli altri
possono configgere tra di loro o tra loro e i valori intrinseci (ontologici) aprendosi al conflitto tra valori al momento
della scelta di ciò che è bene fare per il bene proprio o per il bene dell’altro.
La ricerca scientifica ha contribuito a mettere a fuoco la problematicità che pone il concetto di neutralità la quale deve
essere ricondotta soprattutto all’epistemologia relazionale da cui sorge e al potenziale di responsabilità morale che deve
essere dinamicamente ricercato e rinnovato nella visione della complessità.
Il tema della neutralità appare qui nella sua sostanziale evidenza ed è qui che si inserisce il tema dell’etica intesa come
espressione forte della salvaguardia della contemporanea oggettività e soggettività dei valori nel contratto terapeutico.
Cosa rende, quindi, professionale l’intervento dello psicologo?
Certamente la scientificità è garanzia qualificante l’intervento, in quanto ci offre strumenti conoscitivi e applicativi
validi, ma non fornisce il senso e la natura dell’azione in quanto esso non è dotato delle finalità dell’azione (Jonas,
1979), aspetti che dipendono necessariamente dalle intenzioni del soggetto.
Lo strumento può essere applicato correttamente rispetto alla sua specifica funzione, pur agendo in un contesto non
etico.
Di fronte a queste tematiche è’ chiaro che anche nel caso di un intervento appropriato alle finalità previste, lo
psicoterapeuta condiziona il paziente, al di là di ciò che tecnicamente fa, per il fatto stesso di avere una sua concezione,
una sua visione, una sua interpretazione della realtà del paziente e di ciò che necessario per migliorane le qualità. Tutti
questi momenti sono densi di implicazioni etiche che rimandano necessariamente ai propri personali valori e
convincimenti personali.
Relazione terapeutica, questione di metodo e assunzione di
responsabilità. Il tema dell’identità professionale
Un tema fondamentale che non può non richiamare la nostra attenzione è quello relativo alla conduzione del rapporto
professionale. Al suo interno si intrecciano altri temi come quello che si riferisce alla neutralità, alla dipendenza o
indipendenza da un metodo ( in parte già trattato) e quello che riguarda l’assunzione di responsabilità.
Tutto ciò ha un diretto riferimento anche con la auto rappresentazione della propria identità professionale.
I dati della ricerca, come già è stato affermato, indicano una tendenza di trasformazione della relazione terapeutica da
un modello altamente formalizzato ad uno più “ personalizzato” - motivato anche dalla trasformazione dei modelli
culturali e sociali di interazione materiale e simbolica- benché sussistano in modo consistente le incertezze circa la sua
validità etica: è il caso, ad esempio, dell’accettare regali di poco valore, manifestare posizioni personali come la
contrarietà, usare la formula confidenziale del tu, fornire informazioni sulla propria vita privata, sviluppare un rapporto
di amicizia dopo la terapia, ecc.
Molto più problematiche sono le situazioni che investono sia la sfera sessuale, sia l’obbligo del segreto professionale.
La prima situazione è condivisa da pochi psicoterapeuti.
Nel secondo caso la problematica si complica un po’. Il 51% degli psicoterapeuti della ricerca afferma di ritenere
eticamente corretto violare il segreto professionale in caso di un paziente ad elevato rischio suicidiario. La percentuale
scende di molto ( 23.4% e 19.3%) quando si è a conoscenza di violenze sessuali o omicidi commessi dal paziente.
Una situazione di altissima conflittualità si pone al riguardo di denunciare i colleghi per comportamenti obiettivamente
scorretti e lesivi per il paziente: il conflitto è generato dalla esigenza di difesa della categoria e la salvaguardia del
paziente.
I dati che provengono da varie ricerche condotte nell’ambito clinico dimostrano che vi e una incidenza significativa
delle variabili valoriali e culturali sul processo terapeutico. Già nel 1955 Rosenthal dimostrò che i pazienti con una
frequenza di miglioramento maggiore erano quelli che avevano adottato il sistema di valori del terapeuta, modificando
le proprie convinzioni nella direzione di quelle del professionista.
Successivamente è stato approfondito lo studio dell’interazione tra i valori del terapeuta e quelli del paziente.
Si è così confermato che esiste un processo di convergenza valoriale tra paziente e terapeuta e che questo ha una
correlazione positiva con la valutazione che il clinico fa circa gli esiti del trattamento.
Per quanto riguarda gli studi sull’efficacia della psicoterapia, l’unico fattore terapeutico finora dimostrato non è legato
al modello adottato ma alle qualità umane del terapeuta. D’altra parte, le statistiche ci dicono che la richiesta di aiuto
psicologico è in continuo aumento, e questo nonostante l’industria farmaceutica proponga soluzioni sempre più
specifiche, che al vantaggio di un minor dispendio di energie e messa in gioco di se stessi, unisce quello di benefici più
rapidi e immediati. Tra le molte ragioni, pare importante cogliere in questa richiesta proprio la ricerca di una
relazione interpersonale significativa, che possa alleviare i sintomi di una società sempre più sgretolata nella sua
struttura relazionale.
Il rapporto interpersonale è lo “specifico” dell’intervento psicologico, al di là di ogni differenza di approccio e di
metodo. Jaspers (1986) ha interpretato la nascita della psicoterapia come conseguenza della degenerazione della clinica
medica. La progressiva tecnologizzazione del rapporto medico-paziente, denunciava Jaspers, ha finito con lo
spersonalizzare la cura: il medico appare ormai come una figura anonima, efficiente ma non più visibile nella sua
umanità. L’etica medica sta oggi puntando a una ri-umanizzazione del rapporto terapeutico e, a questo fine, sta
dando dignità scientifica alle dimensioni essenziali della relazione di aiuto, quali la capacità di ascolto, dialogo,
comprensione e accoglimento, che Ippocrate aveva eletto a principi terapeutici fondamentali. L’evoluzione storica della
medicina può aiutare lo psicologo a evitarne gli errori: in quanto “esperto della relazione” lo psicologo dovrebbe tenere
questa in massimo conto, preoccupandosi di quale sorte ha e avrà nel tempo. La necessità di preservare la specificità
della sua competenza professionale da possibili confusioni di ruolo, ad esempio, lo potrebbe porre nella
necessità di attribuire più attenzione agli strumenti tecnici, e spesso vi è il timore che affermare l’importanza di aspetti
più “ineffabili” coincida con la perdita di dignità e spessore scientifico.
D’altra parte, si stanno sperimentando dei software capaci di sostituirsi allo psicoterapeuta, si diffondono terapie
telefoniche e via Internet. Questi segnali sono importanti nella misura in cui denunciano una tendenza diffusa a
sottovalutare il valore dell’intervento psicologico in quanto incontro anche umano.
Il problema che riguarda la possibilità che lo psicoterapeuta influenzi o interferisca nella vita del paziente ha
determinato anche il dubbio e la cautela se e come assumersi la responsabilità per l’altro. Di fronte a questa tematica è’
chiaro che è ormai a tutti noto che qualsiasi relazione implica influenza e che quindi anche nel caso di un intervento
appropriato alle finalità previste, lo psicoterapeuta condiziona il paziente, al di là di ciò che tecnicamente fa, per il fatto
stesso di avere una sua concezione, una sua visione, una sua interpretazione della realtà del paziente e di ciò che è
necessario per migliorane le qualità. Tutti questi momenti sono densi di implicazioni etiche che rimandano
necessariamente ai propri valori e convincimenti personali.
* Facoltà di Psicologia Università di Padova.
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