Lanusei - Teatro Tonio Dei GIÙ LA MASCHERA! stagione di prosa 2014/2015 13 gennaio 2015 23 febbraio 2015 6 marzo 2015 27 marzo 2015 12 aprile 2015 Bon Voyage produzioni e Civit’Arte 2013 Progetto URT srl Akròama / Teatro Stabile d’Innovazione Produzione Teatro7 e Teatro Golden International Music and Arts di Jean Baptiste Molière con Lello Arena e Fabrizio Vona, Francesco Di Trio e con Adriana Follieri, Chiara Degani, Eleonora Tiberia, Fabrizio Bordignon, Enzo Mirone musiche Paolo Vivaldi scenografie Luigi Ferrigno costumi Maria Freitas regia Claudio Di Palma di Niccolò Machiavelli con (in ordine di apparizione) Igor Chierici, Jurij Ferrini, Matteo Alì, Michele Schiano di Cola, Angelo Maria Tronca, Claudia Benzi, Cecilia Zingaro costumi Nuvia Valestri luci Lamberto Pirrone regia Jurij Ferrini di Lelio Lecis liberamente tratto da Quando noi morti ci destiamo di Henrik Ibsen con Lea Karen Gramsdorff, Simeone Latini, Rosalba Piras, Tiziano Polese voce fuori campo Rosario Morra spazio scenico e immagini Lelio Lecis costumi Marco Nateri musiche Amy MacDonald regia Lelio Lecis di Michele La Ginestra e Adriano Bennicelli con Michele La Ginestra e Beatrice Fazi e con Maria Chiara Centorami musiche Antonio Di Pofi scene Rossella Inzillo disegno luci Francesco Mischitelli regia Roberto Marafante Proviamo a fare un salto indietro nel tempo di quasi cinque secoli, ci troviamo nel pieno Rinascimento italiano, un’epoca in cui c’era di che esser fieri del nostro sventurato paese; eppure tra le più autorevoli figure artistiche che hanno lasciato il segno con le loro opere nella storia dell’umanità, da Raffaello al Brunelleschi, da Michelangelo a Leonardo da Vinci, ci si ritrova di fronte, dal punto di vista teatrale, al “caso unico” di un’opera straordinaria della drammaturgia di tutti i tempi, Mandragola di Niccolò Machiavelli. Il mio stupore s’accende già davanti al fatto che un genio come Machiavelli, l’autore de Il principe e delle Istorie fioren- La creatura indaga il rapporto tra l’artista e la sua opera. La pièce è liberamente ispirata a un dramma di Henrik Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, pubblicato nel 1899, e rappresentato per la prima volta a Stoccarda il 26 gennaio 1900. È l’ultima opera del drammaturgo ed è l’estrema meditazione su se stesso e sulla propria arte, attraverso il personaggio di un famoso scultore ormai anziano che scopre di aver sacrificato l’amore all’arte e l’arte stessa al successo in una catena di atti d’assoluto egoismo. Lo scultore è diventato famoso in tutto il mondo principalmente per una sua scultura sulla resurrezione. La scultura rappresenta una Un uomo e una donna, un marito e una moglie..vent’anni insieme, senza sbavature, senza incertezze…Certo, ogni tanto una piccola discussione, di quelle banali ma al contempo affascinanti, fatte con l’ironia sottile, tipica di una coppia ormai collaudata. Sembrerebbe filare tutto liscio tra i binari della consuetudine, di una monotona monogamia… fino a quando compare…un’altra donna!..ma non una qualsiasi…, una donna giovane, affascinante, straniera! …ma soprattutto compare all’improvviso, …nel loro letto matrimoniale! “Cara non è come credi… giuro, ti posso spiegare!” L’AVARO Quando ci si appresta a preparare l’ennesimo allestimento di una commedia classica è sempre lecito porsi una domanda: quale perdurante valore consente ad alcune scritture teatrali di attraversare i tempi incontrando e provocando in modo continuo e sempre nuovo l’interesse di pubblico ed artisti? Nel caso specifico de L’avaro di Molière ci si chiede anche cosa permetta all’aridità spirituale e materiale di Arpagone di essere ancora oggi tanto leggibile e fruibile; cosa le abbia consentito di attraversare tre secoli ed essere ancora attuale. È certo che l’artificio drammaturgico molieriano ha un’efficacia oggettiva. Esiste, però, un altro valore altrettanto incontrovertibile che fa da contrappunto alla meticolosa tecnica di punteggiatura teatrale di Molière. È quello eviden- ziato e rappresentato da un mondo intimamente corrotto di straordinaria e persistente contemporaneità. Un mondo che Molière anima di complottismi, di ipocrisie, di arrivismi, e che abita di fingitori, spreconi, faccendieri, di fronte ai quali l’avaro Arpagone si erge quasi come figura e sinceramente reo-confessa, pervasa, in fondo, da una profonda onestà intellettuale. Lui è naturalmente complementare a tutti gli altri, il suo vizio lo conduce ad una solitudine apparentemente compiaciuta e strafottente, ma che lo costringe a perdere poi quasi più di quanto abbia cercato di trattenere. È incapace di donare il suo tempo e se stesso, valuterebbe il dono come una perdita e la perdita è spreco e lui è un economo conservatore, non può sprecare. MANDRAGOLA tine, uomo politico, grande ed appassionato studioso e scrittore di filosofia, che ha in qualche modo inventato e contestato la “politica moderna” (la diatriba è aperta e non mi sento proprio di chiuderla io)… insomma sembra che questo insigne letterato non abbia mai fatto altro che scriver commedie, data la perfezione assoluta di questa partitura teatrale, un semplice e geniale meccanismo comico, allegorico, satirico e graffiante; e invece, a parte la meno fortunata Clizia, e la riscrittura dell’Andria di Terenzio non si ha notizia di alcuna altra commedia che possa essere a lui attribuita. Jurij Ferrini LA CREATURA giovane donna che si libra verso il cielo da un piedistallo che sembra la terra popolata da esseri umani simili a bestie. Proprio il piedistallo sarà il motivo del suo successo. Il piedistallo quindi e non la sua opera immortale. Il rapporto strano tra lo scultore e la modella porta quest’ultima ad una sorta di follia, che la farà fuggire in giro per il mondo finché avventure pericolose la porteranno alla morte. Tornerà da morta per trascinare con sé lo scultore che aveva tradito il suo spirito dando più importanza al piedistallo che alla sua figura. TI POSSO SPIEGARE... È da qui che comincia la nostra storia, fatta di un presente inspiegabile e di un passato prossimo abbastanza confuso, e tra un flash back illuminante e un “non ricordo” divertente, tra una risata e una riflessione, la matassa pian piano si dipana, lasciando agli spettatori la possibilità di valutare se è preferibile la cruda realtà o una magica illusione. L’intreccio individua il suo elemento di distinzione nel garbo e nella delicatezza di una scrittura drammaturgica efficace, che non presta mai il fianco alla volgarità... L’HO FATTO PER IL MIO PAESE di Francesco Freyrie e Andrea Zalone (scritto con Antonio Cornacchione) con Lucia Vasini e Antonio Cornacchione scenografia Leonardo Scarpa regia Daniele Sala Immaginatevi un uomo candido e incasinato, capace di sogni sconfinati, che parlano di libertà uguaglianza e felicità per tutti. Un donchisciotte sempre comicamente in lotta con gli spigoli della vita, senza soldi, con la disdetta dell’affitto in una tasca e la lettera di fine rapporto di lavoro nell’altra, artefice di un gesto folle e disperato: rapisce il Ministro che ha deciso il provvedimento e lo nasconde in cantina. Lo fa per sé, per la sua pensione ma soprattutto lo fa per il suo paese. Unite la tragicommedia di una donna Ministro, stimata docente universitaria, sposata con un finanziere ricchissimo, che vive in case raffinatissime secondo valori solidissimi e che è scesa in politica solo per fare un favore al suo paese… ma un po’ anche a se stessa, nella speranza di colmare una solitudine assai più rara di tutte le specie rare che popolano la foresta pluviale del Borneo... Immaginate ora l’urto di questi due mondi …e l’inferno terrestre che si scatena vi regalerà la commedia più appassionata, folle e contemporanea a cui abbiate mai assistito dai tempi dell’ultima crisi di Governo. Francesco Freyrie
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