Lo sport non è la vita, ma può rappresentarne una buona metafora; i valori e le strategie condivise nella pratica sportiva possono essere funzionali per affrontare le sconfitte, le difficoltà, i limiti che ognuno di noi ha e che cerca di superare di volta in volta, e per gioire delle vittorie, sviluppare i punti di forza e raggiungere gli obiettivi che ognuno di noi si pone. Per questo io Ale, lo staff e tutti gli allenatori del TorSapienza Volley Friends, ogni giorno, in palestra oltre a propinare esercitazioni da eseguire, trasmettiamo alcuni principi fondamentali per la crescita delle atlete anche come “donne”. Alcuni di questi principi sono relativi alle varie vittorie che dobbiamo ricercare nel nostro percorso: cronologicamente la prima vittoria è contro noi stessi; solo dopo di ciò si può cominciare ad avere una mentalità vincente, perché si sa oltrepassare i nostri difetti … ma ancora non abbiamo battuto nessuna squadra. La seconda vittoria è contro le difficoltà: che vuol dire superare i limiti “in generale” non i limiti personali come nel caso precedente. A tali difficoltà si aggiungono svariate problematiche da affrontare: palestre fredde, studiare la sera per allenarci il pomeriggio, allenamenti presto, studiare in macchina per ottimizzare i tempi, cose che non riescono con facilità, relazioni non sempre buone con tutte le atlete, momenti di difficoltà con/tra gli allenatori, giornate storte, etc… Velasco raccontava che la sua squadra era famosa a livello internazionale per un fatto che sembra banale ma non lo è: “ … siamo famosi perché non ci lamentiamo mai. Sembra poco, ma non è poco. Potete controllare tutti i giornali dall’89 a oggi, non è mai capitato che dopo una sconfitta noi dicessimo: “È stato il fuso orario, avevamo un giocatore con un’indigestione, abbiamo dormito male, l’arbitro”. Mai. Non l’ho detto mai. Perché ? Perché anche questo modo di comportarsi fa parte della mentalità Vincente. Tutti possono spiegare perché non si è riusciti a fare una cosa, pochi riescono a farla lo stesso. E per questo occorre vincere anche le piccole difficoltà …” La terza vittoria è contro gli avversari; basilare in questo livello è stabilire la qualità della nostra squadra e delle altre, di misurarla, al fine di capire di volta in volta quali sono le possibili aree di sviluppo … ma tale tema non rientra in questa mia esposizione, che ha come finalità unica, di poter essere un momento di condivisione e riflessione sulle difficoltà che si vivono e che si devono affrontare nello sport nei vari ruoli che si rappresentano “atleti, genitori, allenatori, dirigenti e simpatizzanti”, e sull’importanza di rispettare le competenze relative ai ruoli. Tra i diversi ruoli, spesso, le piccole differenze creano conflitti, anche se l’obiettivo principale è quello di garantire alle atlete il miglior percorso formativo possibile; non esistono però nemici da combattere, ma soltanto differenti idee, differenti visioni/interpretazioni di ciò che accade, che sono comunque protese verso la crescita per le atlete. Per comprendere meglio il mio messaggio è fondamentale che tutti siamo consapevoli che uno degli elementi/strumenti principali che gli allenatori utilizzano per la formazione delle atlete è quello metterle tutti i giorni, in tutti gli allenamenti di fronte a difficoltà di differente natura “tecnico/tattica, fisica, funzionale, emotiva, cognitiva, ecc …”, con le quali le atlete si devono confrontare, cercando soluzioni, sperimentando alternative, scoprendo quelle più o meno efficaci, vivendo di conseguenza vittorie e sconfitte, riuscendo a superare queste ultime a volte facilmente a volte con più difficoltà. Soltanto attraverso i feed back derivanti dalle esperienze vissute si concretizza il loro cambiamento, la crescita, l’apprendimento; di conseguenza, questa metodologia spinge verso l’AUTONOMIA delle atlete, in quanto devono risolvere le problematiche da sole, o eventualmente con l’aiuto delle compagne e/o dello staff; quindi soltanto con il supporto di qualche componente del microcosmo sportivo a cui appartengono. Chi “offre” aiuto dall’esterno del team può creare confusione, conflitto all’atleta stessa, disorientandola rispetto alla funzionalità del gruppo, della squadra, delle regole e, soprattutto, compromettendo l’autonomia acquistata. Si può affermare che ogni ruolo dovrebbe operare soltanto nella propria area di appartenenza ed interagire in relazione ai propri compiti: l’allenatore non è un genitore, la fidanzata non è la mamma, il genitore non è l’allenatore, ecc … Di conseguenza, ognuno, rispettando il proprio ruolo, contestualmente lo rafforza; perciò, quando il genitore rispetta il ruolo dell’allenatore rafforza il suo di genitore, ma se fa il contrario indebolisce entrambi. Prendendo ad esempio una problematica del tipo “non giocare o giocare poco ad una partita” la stessa fa parte di una delle difficoltà che le atlete devono affrontare; il fatto che le ragazze non condividano alcune scelte e che di conseguenza siano colpite emotivamente, non significa che non debbano rispettarle. Ci si può però mettere, in questa situazione, anche nei panni del genitore che vede la propria figlia emotivamente coinvolta, magari con qualche lacrima e triste per questa scelta non condivisa; naturalmente l’istinto o il senso di protezione subentra ed il genitore entra in azione consolando chi in quel momento ha bisogno di aiuto, proteggendola perché in difficoltà. Il fulcro sta proprio qui. Ci si deve chiedere: è con questa modalità di comportamento adottata dai genitori che si aiuta la figlia nel suo percorso di crescita? Cosa si produce realmente? Si rafforza o si indebolisce? Sicuramente consolano …; ma siamo certi che quando l’atleta non riesce a superare una difficoltà nel “SUO ambiente”, qualcuno al di fuori di questo deve aiutarla? se non ci fosse nessuno che la consolasse, come si comporterebbe? come reagirebbe? quanto si dispererebbe? Quanto e come invece reagirebbe? e quali alterative troverebbe per ridurre la propria frustrazione? Noi le vediamo tutti i giorni allenarsi con impegno, divertendosi seriamente: perché è così che loro vivono la pallavolo … facendo le cose seriamente. Per migliorare soffrono, stringono i denti, cadono, si procurano dei lividi ridendoci su. In tutto questo noi del team vediamo ogni giorno aumentare il loro senso di autoefficacia, di autostima e, soprattutto, la loro autonomia; sentono che sono brave, che sanno fare bene, che riescono in quello che fanno … a volte è più dura ma, comunque, sono sempre lì a lottare con il sorriso. Siamo orgogliosi di loro perché sono delle piccole-grandi atlete, più forti di quanto crede chi non vive con noi giornalmente in palestra. le atlete si stanno preparando, divertendosi, ad affrontare il loro futuro e tutti noi ne siamo in quota parte, responsabili. “ … lo sport … una metafora della vita …” Franco D’Alessio
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