Riflessioni di Franco D`Alessio e di tutto il Team di allenatori delle

Lo sport non è la vita, ma può rappresentarne una buona metafora; i valori e le strategie
condivise nella pratica sportiva possono essere funzionali per affrontare le sconfitte, le
difficoltà, i limiti che ognuno di noi ha e che cerca di superare di volta in volta, e per gioire
delle vittorie, sviluppare i punti di forza e raggiungere gli obiettivi che ognuno di noi si
pone.
Per questo io Ale, lo staff e tutti gli allenatori del TorSapienza Volley Friends, ogni giorno,
in palestra oltre a propinare esercitazioni da eseguire, trasmettiamo alcuni principi
fondamentali per la crescita delle atlete anche come “donne”. Alcuni di questi principi sono
relativi alle varie vittorie che dobbiamo ricercare nel nostro percorso: cronologicamente la
prima vittoria è contro noi stessi; solo dopo di ciò si può cominciare ad avere una mentalità
vincente, perché si sa oltrepassare i nostri difetti … ma ancora non abbiamo battuto nessuna
squadra.
La seconda vittoria è contro le difficoltà: che vuol dire superare i limiti “in generale” non i
limiti personali come nel caso precedente. A tali difficoltà si aggiungono svariate
problematiche da affrontare: palestre fredde, studiare la sera per allenarci il pomeriggio,
allenamenti presto, studiare in macchina per ottimizzare i tempi, cose che non riescono con
facilità, relazioni non sempre buone con tutte le atlete, momenti di difficoltà con/tra gli
allenatori, giornate storte, etc…
Velasco raccontava che la sua squadra era famosa a livello internazionale per un fatto che
sembra banale ma non lo è: “ … siamo famosi perché non ci lamentiamo mai. Sembra
poco, ma non è poco. Potete controllare tutti i giornali dall’89 a oggi, non è mai capitato
che dopo una sconfitta noi dicessimo: “È stato il fuso orario, avevamo un giocatore con
un’indigestione, abbiamo dormito male, l’arbitro”. Mai. Non l’ho detto mai. Perché ?
Perché anche questo modo di comportarsi fa parte della mentalità Vincente. Tutti
possono spiegare perché non si è riusciti a fare una cosa, pochi riescono a farla lo stesso.
E per questo occorre vincere anche le piccole difficoltà …”
La terza vittoria è contro gli avversari; basilare in questo livello è stabilire la qualità della
nostra squadra e delle altre, di misurarla, al fine di capire di volta in volta quali sono le
possibili aree di sviluppo … ma tale tema non rientra in questa mia esposizione, che ha
come finalità unica, di poter essere un momento di condivisione e riflessione sulle difficoltà
che si vivono e che si devono affrontare nello sport nei vari ruoli che si rappresentano
“atleti, genitori, allenatori, dirigenti e simpatizzanti”, e sull’importanza di rispettare le
competenze relative ai ruoli.
Tra i diversi ruoli, spesso, le piccole differenze creano conflitti, anche se l’obiettivo
principale è quello di garantire alle atlete il miglior percorso formativo possibile; non
esistono però nemici da combattere, ma soltanto differenti idee, differenti
visioni/interpretazioni di ciò che accade, che sono comunque protese verso la crescita per le
atlete.
Per comprendere meglio il mio messaggio è fondamentale che tutti siamo consapevoli che
uno degli elementi/strumenti principali che gli allenatori utilizzano per la formazione delle
atlete è quello metterle tutti i giorni, in tutti gli allenamenti di fronte a difficoltà di differente
natura “tecnico/tattica, fisica, funzionale, emotiva, cognitiva, ecc …”, con le quali le atlete
si devono confrontare, cercando soluzioni, sperimentando alternative, scoprendo quelle più
o meno efficaci, vivendo di conseguenza vittorie e sconfitte, riuscendo a superare queste
ultime a volte facilmente a volte con più difficoltà. Soltanto attraverso i feed back derivanti
dalle esperienze vissute si concretizza il loro cambiamento, la crescita, l’apprendimento; di
conseguenza, questa metodologia spinge verso l’AUTONOMIA delle atlete, in quanto
devono risolvere le problematiche da sole, o eventualmente con l’aiuto delle compagne e/o
dello staff; quindi soltanto con il supporto di qualche componente del microcosmo sportivo
a cui appartengono. Chi “offre” aiuto dall’esterno del team può creare confusione, conflitto
all’atleta stessa, disorientandola rispetto alla funzionalità del gruppo, della squadra, delle
regole e, soprattutto, compromettendo l’autonomia acquistata.
Si può affermare che ogni ruolo dovrebbe operare soltanto nella propria area di
appartenenza ed interagire in relazione ai propri compiti: l’allenatore non è un genitore, la
fidanzata non è la mamma, il genitore non è l’allenatore, ecc …
Di conseguenza, ognuno, rispettando il proprio ruolo, contestualmente lo rafforza; perciò,
quando il genitore rispetta il ruolo dell’allenatore rafforza il suo di genitore, ma se fa il
contrario indebolisce entrambi.
Prendendo ad esempio una problematica del tipo “non giocare o giocare poco ad una
partita” la stessa fa parte di una delle difficoltà che le atlete devono affrontare; il fatto che le
ragazze non condividano alcune scelte e che di conseguenza siano colpite emotivamente,
non significa che non debbano rispettarle.
Ci si può però mettere, in questa situazione, anche nei panni del genitore che vede la
propria figlia emotivamente coinvolta, magari con qualche lacrima e triste per questa scelta
non condivisa; naturalmente l’istinto o il senso di protezione subentra ed il genitore entra in
azione consolando chi in quel momento ha bisogno di aiuto, proteggendola perché in
difficoltà.
Il fulcro sta proprio qui.
Ci si deve chiedere: è con questa modalità di comportamento adottata dai genitori che si
aiuta la figlia nel suo percorso di crescita? Cosa si produce realmente? Si rafforza o si
indebolisce? Sicuramente consolano …; ma siamo certi che quando l’atleta non riesce a
superare una difficoltà nel “SUO ambiente”, qualcuno al di fuori di questo deve aiutarla? se
non ci fosse nessuno che la consolasse, come si comporterebbe? come reagirebbe? quanto si
dispererebbe? Quanto e come invece reagirebbe? e quali alterative troverebbe per ridurre la
propria frustrazione?
Noi le vediamo tutti i giorni allenarsi con impegno, divertendosi seriamente: perché è così
che loro vivono la pallavolo … facendo le cose seriamente. Per migliorare soffrono,
stringono i denti, cadono, si procurano dei lividi ridendoci su. In tutto questo noi del team
vediamo ogni giorno aumentare il loro senso di autoefficacia, di autostima e, soprattutto, la
loro autonomia; sentono che sono brave, che sanno fare bene, che riescono in quello che
fanno … a volte è più dura ma, comunque, sono sempre lì a lottare con il sorriso. Siamo
orgogliosi di loro perché sono delle piccole-grandi atlete, più forti di quanto crede chi non
vive con noi giornalmente in palestra.
le atlete si stanno preparando, divertendosi, ad affrontare il loro futuro e tutti noi ne siamo in
quota parte, responsabili.
“ … lo sport … una metafora della vita …”
Franco D’Alessio