clicca qui - Parrocchia di Rossano Veneto

18 Febbraio 2015
DELL’ESTREMISMO
Avvenire 18/02/2015
I 21 copti decapitati dall’Is
38% del 2014. Questo, spiegano gli esperti, in conseguenza
soprattutto del ritiro dall’Iraq e dall’Afghanistan. Gli Stati Uniti restano
comunque leader mondiale per budget di difesa, con 581 miliardi di
dollari. Ma sono altri Paesi ad aver accelerato la corsa agli armamenti.
Dallo studio emerge come a guidare gli investimenti siano Russia,
Medio Oriente e Asia, mentre l’Occidente tende a ridurli. La Cina è
seconda con 129 miliardi, l’Arabia Saudita terza con 81 miliardi,
seguita dalla Russia con 70 miliardi e la Gran Bretagna con 62
miliardi. L’Italia si trova al dodicesimo posto con 24 miliardi. Il
rapporto sottolinea come dal 2010 al 2014 le spese militari in Europa
siano scese dell’8%, in concomitanza con la crisi. Quanto ai venditori
di armi, secondo la classifica dei primi dieci nel mondo stilata dalla
rivista di settore Defense News, al primo posto c’è l’americana
Lockheed Martin, al decimo l’italiana Finmeccanica. (B.U.)
U
armi 6mila uomini del generale Haftar, fedeli al governo legittimo di Tobruk. Il Generale controlla
l’Aeronautica e la Marina libica. Ma se guardiamo
alle cifre si tratta di 15 aerei e 3 navi. Ha ereditato
dai lealisti postrivoluzionari una decina di carri armati, mezzi per la fanteria, veicoli tattici e missili
terra-aria (per ora inutili, vista l’assenza di aerei
nemici). Ma non ha certo il predominio terrestre
né, tanto meno, missilistico. La situazione è più
equilibrata di quanto si pensi. In Tripolitania, spadroneggiano le potenti brigate di Misurata, un
coacervo di 200 milizie e 20mila effettivi, vero
braccio armato del governo illegittimo stabilitosi a Tripoli.
Un “semi-Stato” con un arsenale allarmante: 800
blindati e corazzati, 30mila fucili d’assalto, centinaia di razzi a carica cava e 2mila technicals fittamente equipaggiate. Armi, armi e ancora armi,
saccheggiate nei depositi ex-gheddafiani di Tripoli e Sirte.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
e»
ristiani
covo copto cattolico di Giuzeh, Anntonios Aziz Mina, ha affermato: «Il
che ritrae la loro esecuzione è staostruito come un’agghiacciante
inscena cinematografica, con l’indi spargere terrore. Eppure, in
prodotto diabolico della finzione
l’orrore sanguinario, si vede che
ni dei martiri, nel momento della
barbara esecuzione, ripetono “Sie Gesù Cristo”».
que, «il nome di Gesù è stata l’ulparola affiorata sulle loro labbra.
e nella passione dei primi martiono affidati a Colui che poco doavrebbe accolti. E così hanno ceto la loro vittoria, la vittoria che
un carnefice potrà loro togliere.
nome sussurrato nell’ultimo i-
stante è stato come il sigillo del loro
martirio».
Anche padre Rafic Greiche, portavoce
della Chiesa cattolica in Egitto, afferma: «Quei 21 giovani copti decapitati
dai miliziani dell’Isis in Libia sono martiri della Patria e della fede. Barbaramente uccisi perché cristiani. Copti o
cattolici non fa differenza». Padre Rafic
fa notare al proposito che «finora nessuno degli ostaggi caduto in mano all’Is è riuscito a salvarsi, malgrado i negoziati». Quel che è certo è che l’avanzata degli estremisti va fermata. «L’Egitto non è in guerra con la Libia – conclude il religioso – ma con i terroristi
che ormai si trovano a circa 250 chilometri dal nostro confine».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
le a cielo aperto
a scarseggia di armaente carri, né blindati,
i controcarro, 4x4 muitragliatrici, pochi lane qualche mortaio. La
ha molte più opzioni:
anti, lanciarazzi Grad,
ontrocarro francesi, fuatili contraerei, bottino
e a Bengasi. Tutti si ana. A breve. Ci sono in
di Marina Corradi
n occidentale non esperto non avrebbe potuto accorgersene. Ma Antonios Aziz Mina,
vescovo copto di Giza, cittadina egiziana, nel
guardare il video della esecuzione dei ventuno
lavoratori cristiani copti uccisi dall’Is ha osservato le labbra dei condannati negli ultimi istanti, e dal labiale ha letto che invocavano il nome
di Gesù Cristo. Il vescovo lo ha dichiarato ieri
alla Agenzia Fides, ma forse, nell’incendio che
si va allargando sulla Libia, e nell’angoscia che
da quel Paese riverbera sul Mediterraneo e l’Europa, a qualcuno potrà apparire una notizia minore. Le “vere” notizie non sono forse i bombardamenti, le città conquistate e perdute, le cupe minacce lanciate dall’Is? E quel labiale invece, solo poche parole afone, subito travolte
nel torrente di sangue che sale dal povero corpo di un uomo trucidato.
Eppure a volte proprio nelle parole dette piano
sta qualcosa di molto grande. Non sarebbe stato umanamente più comprensibile, in quell’ultimo istante, supplicare pietà, o maledire gli
assassini? Per noi europei, nati in una Chiesa
non fisicamente minacciata, è ragione quasi
di uno sbalordimento quell’estremo invocare
Cristo, nell’ultimo istante. Noi, che, quanto alla morte, ci preoccupiamo che sia “dignitosa”
e “dolce”, e magari convocata quando noi riteniamo che sia l’ora.
Questa morte dei ventuno giovani copti, non “dignitosa” e atroce, ci colpisce per la statura che assumono le vittime, morendo nell’atto di domandare Cristo.
Statura, anche questo particolare era stato previsto dall’attento regista dell’Is, nel girare quel
video sulla riva del mare. Mentre carnefici e vittime camminano verso il luogo dell’esecuzione
infatti è evidente come i boia siano stati scelti fra
uomini molto alti, e come bassi, accanto a loro,
appaiano i prigionieri.
Quasi a evocare tacitamente l’idea che i terroristi siano “grandi”, e le vittime solo “piccoli” uomini; dentro a un mondo sconvolto, giacché non
è il nostro Mediterraneo solare, quella spiaggia
livida su cui si frangono onde arrossate dal sangue. Ogni dettaglio, quindi, era stato previsto dagli assassini per evocare un mondo “altro”, in cui
dominano i boia intabarrati di nero, a cancellarne perfino le umane sembianze. Ma quell’ultimo labiale non lo avevano previsto, e non sono
riusciti a censurarlo. Ostinato come il «no» di Asia Bibi all’abiura, fermo come il «no» di Meriam
Ibrahim, in Sudan, quando era in prigione, in catene, con un figlio in grembo, e la prospettiva
della impiccagione davanti a sé.
Noi cristiani del mondo finora in pace fatichiamo a capire. Ci paiono giganti quelli che muoiono, come ha detto il Papa dei ventuno copti, da
martiri. Eppure se guardiamo le facce di quegli
stessi prigionieri nel giorno della cattura, in fila,
i tratti mediterranei che li fanno non così diversi da molti ragazzi nel nostro Sud, ci paiono uomini come noi, con gli occhi sbarrati di paura. E
allora che cosa determina, nell’ultima ora, quella irriducibile fedeltà a Cristo?
Una grazia, forse, e insieme il riconoscere, con
assoluta evidenza, nell’ultimo istante, il nome in
cui, perfino nella morte, nulla è perduto: famiglia, figli, madri e padri e amori, non annientati
ma ritrovati e salvati. Pronunciano davanti alla
morte quel nome come un irriducibile «no» al
nulla, in cui i boia credono di averli cancellati.
mi
erra»
e britannici, passati coarrivati a Derna, e convia mare, su semplici
è cruciale nella stratepansione del Califfato
n Tripolitania, nel Manel Sahel, a discapito di
oi c’è Ansar al-Sharia,
a uomini fra Bengasi e
MORIRE
PREGANDO GESÙ