Locandina Raucci

Inaugurazione sabato 28 febbraio 2015, ore 17.00
La mostra rimarrà aperta fino al 28 marzo il lunedì e il martedì dalle ore 17.00 alle ore 19.00,
il venerdì dalle ore 10.30 alle ore 12.30 e su appuntamento.
ANTONIO RAUCCI
SIMUL/ACRI
di Stelio Maria Martini
Antonio Raucci è un frequentatore di depositi di manufatti in obliterazione reperiti in tutti i possibili angoli morti degli abitati (case contadine comprese) e da tali depositi, da tali angoli recupera
quei pezzi di vissuto che poi danno forma ai suoi lavori. È ciascun pezzo a indurgli, già all’atto
dell’elezione, lo stimolo al fare. È come se quel pezzo reclamasse una destinazione più autentica
del proprio aspetto originario, della propria valenza sensibile e immediata, e Raucci elabora tali
pezzi in forza della ormai canonica esemplificazione dell’ombrello che incontra il ferro da stiro su
una tavola operatoria (Lautréamont). In tal modo gli oggetti risultanti riassumono in maniera enigmatica ma avvincente la loro originaria fisicità, inenarrata e inenarrabile. Un rozzo disco con un
buco al centro, verosimilmente elemento superstite di un vecchio frantoio, è da Raucci riscattato
attraverso una elementare geometria di biacca e vermiglione che ne rivela la grezza, durissima
materia lignea, perfino intaccata dai vani colpi di un’ascia inspiegabile. Allo stesso modo egli glorifica vecchie scritture epistolari, patetiche foto istantanee di persone, gesti, volti già stati una volta,
e li recupera nella scanzonata fiducia di raccogliere il grido disperato del loro precipitare nel nulla:
Raucci invece li rende definitivi come idee platoniche. Qui penso però alla fulminante soluzione
che raffronta un ignoto giovane, ritagliato dal cartoncino della foto, con la sua vuota silhouette di
risulta posta al centro del quadretto. E se l’utilizzo di manufatti obliterati può rivelarsi esilarazione
di oggetti, le vuote sagome di vecchie foto struggenti assumono il senso della pungente riflessione
sulla labilità della figura umana nel tempo. Infine, mettendo da parte i (vecchi) modi delle mie impressioni, trovo tutto questo in linea con quella nuova poetica, detta post-colonialismo, consistente
nel recupero a fini estetici dei detriti e del vissuto residuo della (vecchia) civiltà, già ideologicamente fondata sull’imperialismo occidentale.
Dell’epigonismo
di Dario Giugliano
Uno storico dell’arte userebbe lo strumento concettuale dell’epigonismo, probabilmente, per avvicinarsi e avvicinarci all’opera di Antonio Raucci. “Epigonismo” indica un atteggiamento, che, in
particolare nelle cose dell’arte, viene considerato come assolutamente negativo. Le cose non
stanno in maniera così semplice. Occorre, quindi, qui, una problematizzazione delle categorie,
che opportunamente la storia dell’arte, quella manualistica, utilizza spesso in maniera superficiale. Nel poco spazio a disposizione, data la circostanza, cerchiamo di fare chiarezza. È evidente
che Raucci utilizzi stilemi, tecniche, e orientamenti poetici tipici della neoavanguardia del secondo Novecento. Questo già basterebbe a cucirgli addosso l’etichetta di epigono. Stando a questi
termini, quale sarebbe il suo torto maggiore? Evidentemente, quello di essere nato “dopo”, ma,
soprattutto, di subire il fascino di una determinata poetica, quella delle avanguardie, appunto.
L’epigono, infatti, letteralmente è colui che nasce dopo e, di conseguenza, non può che arrivare
“in ritardo”. Succube, sotto un profilo morale, ed effetto, da un punto di vista logico, di una concezione linearistica della temporalità storica, la categoria di epigonismo raccoglie senso sempre
e solo all’interno di un (sempre vano) tentativo di orientamento nel caos generale dell’umana
poiesis. Perché è evidente che solo a partire da una concezione della storia come storia del senso, con una precisa direzionalità e finalità degli eventi, si potrà giustificare una simile categoria.
Altrimenti, occorrerà riconsiderare la questione sotto altri aspetti. E questo senza voler far caso
a un altro dettaglio, tutto interno, stavolta, alla concezione linearistica della storia: le cosiddette
neoavanguardie si chiamavano così (neo, appunto) proprio perché non avevano inventato poi
molto di più rispetto a quelle storiche. Tutto questo mio breve discorso vorrebbe approdare a
una considerazione di fondo, elaborata proprio a partire da una particolare interpretazione del
fenomeno delle avanguardie. Uno dei tratti costitutivi del Futurismo, per esempio, è quello di una
certa “avversione” per la questione della storia. L’intuizione marinettina di trovarsi “sul promontorio estremo dei secoli” porta con sé l’idea inevitabile, assieme a una proiezione verso il futuro
come unica condizione temporale plausibile, di una chiusura della dimensione preterita della temporalità esistenziale (in senso storico). Questo avrà come conseguenza l’investimento esclusivo
nella dimensione della libertà, che poi è la precondizione essenziale della dimensione cosiddetta
estetica (come ci ha insegnato Kant). Bene, ma se le cose stanno così, allora perché Raucci non
dovrebbe fare quello che fa? Quale sarebbe la sua colpa? Quella di guardare a una poetica, egemone lungo il corso del secolo trascorso, il cui canone ancora oggi fa sentire il suo determinante
influsso? In fondo, come opportunamente sottolinea Martini, quello di Raucci è proprio un lavoro
sul tempo, sulla difficoltà, anche, di una gestione del meccanismo della temporalità che da storica, comunitaria e sociale (memoria condivisa) si fa individuale, personale – e sulla difficoltà di una
gestione del rapporto tra queste due declinazioni di articolazioni storiche. E nella caratteristica peluliare di questo lavoro estetico, come investimento nella problematizzazione della forma-tempo
(come ben evidenziato da Martini), condizione, questa, che è alla base di ogni processo artistico
(o estetico, in generale), sta la cifra del suo tributo nei confronti di una procedura poetica ormai
divenuta canonica.
Antonio Raucci
Nato nel 1959 a Caivano, (Na) dove vive e lavora. Mostre personali: 2014 - Bas/Alto, Castello
medioevale, Caivano, (Na); Trame, Tracce, Frammenti, Enea Art Café, Cardito (Na); La forma più
vera 2, Sala Goccioloni, Telese Terme, (BN); La forma più vera 1, Palazzo Mastrilli, Cardito.
Mostre collettive 2014 - Artistamps, Galleria il Gabbiano, La Spezia; 2013 - “(non)sono”, Studio
primo piano Caivano; 2012 - CAM ART WAR 2011, Il limite e la memoria, Caserta; 2010 - ARTE
INCONTRO, mostre dedicate ai bambini delle scuole elementari campane.