L’albero della Vita Come sapete, il tema dell’EXPO è “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita” e come simbolo, in corrispondenza del padiglione italiano, verrà costruita una struttura alta 35 m che riprende i disegni di Michelangelo per piazza del Campidoglio e rappresenta l’Albero della Vita, il tema di questo incontro. Perciò, come primo passo di un percorso verso l’EXPO, ci vogliamo soffermare su questa immagine dell’Albero della Vita, sui suoi rimandi simbolici e su cosa possa significare in relazione al tema della nutrizione e dell’energia. L’Albero della vita è un chiaro rimando al testo biblico della Genesi, in cui questo albero è collocato al centro della giardino dell’Eden piantato da Dio ad Oriente. In realtà il simbolo è più antico, lo si trova già preso i Babilonesi e gli Egiziani, però gli Scribi lo riprendono e rielaborano in base alla propria esperienza di fede e di relazione con Adonai, il Signore Dio d’Israele. Ogni volta che gli Autori ebraici della Bibbia hanno ripreso dei racconti, simboli o miti preesistenti, li hanno sempre rielaborati e ci hanno consegnato una nuova immagine di Dio e dell’Uomo rispetto a quella che c’era nei miti originari. Anche in questo caso lo fanno. Partiamo, allora, dalla lettura del testo. Genesi 2 Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, 5 nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata - perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo 6 e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo -; 7 allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. 8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. 9 Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. 10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. […] 15 Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. 16 Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17 ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Come vedete, il racconto della Genesi non è basato su una teoria, non nasce da una speculazione filosofica alla maniera greca, ma su un’esperienza concreta, a partire dai sensi: la vista, il gusto (e quindi il tatto), l’olfatto (il Narratore evoca il profumo dei fiori parlando di un Giardino). È questa la via della conoscenza secondo al Bibbia, un’esperienza pratica, legata al corpo, al contato fisico con la realtà, sulla quale poi si riflette e si può racconta ad altri. Oggi gli esperti c’insegnano che non conosciamo tanto o solo con la ragione, ma con il corpo, iniziando dalle prime esperienze sensoriali e di contatto fisico con il mondo. Questo principio di conoscenza non viene sostituito dalla ragione, noi siamo un corpo per tutta la durata della nostra vita, e quindi continua anche in età adulta, ma può essere affinato e potenziato con le risorse intellettive, la cui origine, tuttavia, è legata a quelle esperienze fisiche. Capiamo, quindi, fin d’ora che c’è una relazione fra mangiare e conoscere. In questo brano si può vedere sintetizzato tutto il cammino dell’Uomo nella sua evoluzione personale e storica e come Dio si pone in relazione con questo cammino di crescita. In un primo momento Dio fa crescere alberi e piante ed erbe per l’alimentazione dell’Uomo, cioè lo tratta come un bambino, al quale bisogna dare da mangiare per farlo vivere e crescere, perché non è in grado di alimentarsi da solo. Allora ci pensa Lui a rendere la terra un luogo fertile, abitabile, visto che non c’è ancora un uomo capace di costruire canali e coltivare la terra. Dio plasma l’Uomo con quel stesso terreno divenuto fertile grazie alla sua azione e per lui pianta un giardino pieno di ogni specie di alberi, belli, graditi alla vista, e dai frutti buoni da mangiare. Gli alberi: belli e buoni 1 Qui si compie un primo passaggio importante: mentre l’Uomo è ancora in una situazione di minorità, è come un bambino agli occhi di Dio, accanto alla dimensione materiale, utilitaristica del cibo – del nutrimento necessario alla vita, cioè del bisogno che va soddisfatto con il cibo materiale – Dio pone un’altra dimensione, quella estetica, della bellezza, che di per sé non sarebbe necessaria, alla vita materiale basterebbe il cibo solido. Invece in questo giardino la presenza di alberi non solo buoni, ma anche belli, offre all’Uomo la possibilità di fare un’altra esperienza accanto a quella del bisogno primordiale di cibo e di nutrimento: quella della bellezza, cioè del piacere. Ecco che la dimensione del mangiare, grazie alla bellezza che è inscritta da Dio nel cibo, assume una dimensione simbolica, cioè che va oltre la pura materialità: mangiare, nutrirsi, alimentarsi significa molto di più di un puro e semplice gesto materiale, diventa segno di qualcosa che è strettamente connesso alla dimensione della bontà, qui intesa nel senso dell’utilità materiale per la vita, la dimensione della necessità, e precisamente della bellezza, che si colloca su un piano di non necessità, non bisogno, ma desiderio, il di più. Da questo momento in poi, il Bisogno (cioè la dimensione materiale, la necessità), il Desiderio (cioè il di più, il non necessario, l’oltre) e il Mangiare (l’azione materiale, l’agire, la vita) sono strettamente legate fra loro attraverso l’articolazione di due livelli distinti, ma non separabili: Materia e Spirito di Vita, Sensibilità e Simbolismo, Bontà e Bellezza, Etica ed Estetica. L’Uomo: lavoro e contemplazione Poste le premesse, creata la struttura del giardino, cioè dell’ambiente vitale in cui l’Uomo può vivere pienamente secondo il progetto del Creatore, ecco che l’Uomo da bambino viene fatto crescere fino a diventare adulto: Dio lo pone come lavoratore e custode del giardino. Mentre da bambino l’Uomo deve avere qualcuno che si prende cura di lui e gli fornisce il cibo che lui non è in grado di procurarsi con le sue mani e questo compito lo svolge Dio, da questo momento l’Uomo cambia statuto, diventa adulto grazie al compito affidatogli, che è al contempo una Possibilità e una Responsabilità. Possibilità, perché col suo lavoro può procurarsi da solo il cibo che gli serve, non è più dipendente da chi lo sfama, non è più solo una bocca affamata come quella del bambino, e Responsabilità, perché dipenderà da lui se il giardino potrà funzionare secondo il progetto originario, che non è solo di dar da mangiare, utilitaristico, è anche un luogo in cui si può fare esperienza della bellezza, cioè di qualcosa che va oltre la dimensione strettamente materiale, anche se è connessa a quella, sta dentro e va oltre allo stesso tempo. Qui il “custodire” non va inteso nel senso di difendere, perché, a questo stadio della creazione, non c’è nessuna minaccia né per l’Uomo, né per il Giardino. I problemi nasceranno dalla trasgressione di Adamo ed Eva. Custodire va inteso piuttosto nel senso di “osservare”, come si osserva la legge, o anche “contemplare”. L’Uomo adulto, così come Dio, che alla fine della creazione, al 7° giorno, si ferma a contemplarne la bellezza, dovrà imparare ad alternare il lavoro, cioè il soddisfacimento delle sue necessità materiali, e la custodia, ovvero la contemplazione, il piacere di godere di tutta la bellezza inscritta da Dio nel creato. Non si tratta di due azioni disgiunte, separate, incompatibili, in alternativa l’una all’altra, ma due attività strettamente congiunte, se si vuole raggiungere l’obiettivo della vita piena. Se volete, l’ecologia – almeno secondo la concezione biblica delineata in questo testo della Genesi – nasce non tanto o solo per la necessità di preservare l’ambiente dalla distruzione, ma da questa esperienza della bellezza da custodire contemplandola, cioè godendone in pieno, secondo la giusta misura. Alberi speciali: Vita, Bene e Male Tra tutti gli alberi, ce ne sono due speciali: quello della Vita e quello della conoscenza del Bene e del Male. Questi due spiccano sugli altri, hanno uno statuto speciale e dei frutti particolari. Con la creazione di questi due alberi speciali si compie una svolta. Infatti, di questi due il secondo non si può mangiare, perché mangiare quel frutto per l’Uomo significherebbe morire. Dopo aver fatto esperienza di tanta bellezza, ci siamo inebriati di questi alberi e dei loro frutti, come mai questo limite, questa proibizione? Che senso ha? Un primo aspetto è proprio questo, la domanda che nasce: che senso ha? Perché è stato creato tutto così bello e rigoglioso, fantastico, e poi non se ne può godere a piacimento, perché non si può usufruire di tutto? 2 Il comando per prima cosa rimanda a una domanda di senso: perché? E questo mette in relazione con Colui che dà quel comando: Chi è? Perché ha tirato su un Uomo dalla vita infantile, dandogli tutto ciò di cui ha bisogno, alla vita adulta, mettendolo in grado di produrre da sé ciò di cui ha bisogno e adesso mette un limite, pone uno stop al cammino? Che tipo sarà? È geloso? Con una mano dà e con l’altra riprende? Cerchiamo di capire cos’è e cosa vuol dire questo comando. Innanzitutto notiamo che Dio non proibisce all’Uomo di mangiare il frutto dell’Albero della Vita, ma quello dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male. Solo dopo la trasgressione di Adamo ed Eva Dio pone i Cherubini a guardia del giardino per evitare che Adamo ed Eva possano stendere la mano e prendere anche dell’Albero della Vita. Pertanto, non è intenzione di Dio precludere all’Uomo l’acceso alla Vita, la Vita piena, di cui l’Albero è simbolo come Fonte della Vita, è da lì che l’Uomo la riceve. Quindi quest’Albero è un po’ il simbolo stesso di Dio (Dio non si pone mai in modo diretto, immediato, ma usa sempre della mediazioni): Dio non preclude all’Uomo di accedere a Lui stesso (i Padri della Chiesa, come Atanasio di Alessandria, dicevano: “Dio si è fatto Uomo perché l’Uomo diventi Dio”). Il problema è come arrivare fino a Dio. Lui sa qual è la Via, il problema è che l’Uomo deve impararlo in un percorso storico. Dio, invece, preclude l’accesso all’Albero della conoscenza del Bene e del Male. Cosa vuol dire? Possiamo già intuire che questo divieto di mangiare ha a che fare con la possibilità di accesso all’altro Albero e quindi al cammino di divinizzazione dell’Uomo. Per prima cosa vuol dire che mediante quell’Albero, usato male da parte dell’Uomo, può entrare nel mondo una realtà che non appartiene al progetto originario, perché Dio ha creato tutto buono e lo aveva detto in precedenza: “E vide che era cosa buona” (Gen 1,4.10.12.18.21.25!) e, dopo aver creato l’umanità come Maschio e Femmina e avergli dato il potere su tutto il resto, si dice che “Vide che era cosa molto buona” (Gen 1,31). Mangiare di quell’Albero significherebbe introdurre il male nella creazione buona, come avverrà dopo. In questo momento, invece, il Male è solo una possibilità legata alla libertà dell’Uomo. Unico limite: la Parola Infatti bisogna notare che Dio pone un limite, ma non un ostacolo, non mette il filo spinato attorno all’Albero, o un sistema d’allarme, come facciamo noi per evitare che ci rubino i nostri beni. Dio pone un limite, ma non una barriera. Tutto è affidato solo alla sua Parola e alla capacità dell’Uomo di ascoltarla e farla propria. Allora questo dice ancora una volta quale immagine Dio ha dell’Uomo: un Partner, uno che è responsabile, che può collaborare con Lui, non un bambino da tutelare paternalisticamente, ma un Alleato, un collaboratore della sua opera nella Libertà. E questo è un grande salto rispetto alla concezione dell’uomo e della divinità degli altri popoli da cui Israele ha preso questi miti. Tra l’altro c’è da sottolineare che Dio proibisce l’accesso a un solo albero, mentre permette (nel testo ebraico quasi impone) di mangiare di tutti gli altri: uno solo su migliaia! Ma, si sa, il proibito ha un fascino tutto particolare! Ci colpisce di più non poter mangiare di uno che poter mangiare di tutto il resto. Mangiare o non Mangiare, questo è il Problema! Da questo momento accanto al mangiare viene posto anche il non mangiare come possibilità di vita per l’Uomo. Parafrasando l’Amleto di Shakespeare si potrebbe dire: “Mangiare o non mangiare, questo è il problema!”. Con questo comando (che non è un tabù, cioè pre-personale, né una legge, cioè super-personale, istituzionale, ma una relazione personale che fa appello a un Tu e infatti è espresso alla seconda persona), Dio crea un legame fra essere e mangiare, ma anche qui oltre il puro livello materiale, nel senso che mangiare non è più soltanto un’azione necessaria a restare in vita, per conservare l’esistenza, ma è un’azione collegata ciò che l’Uomo è in se stesso: relazione. Se l’Uomo impara a dosare il mangiare col non mangiare arriva alla pienezza del suo essere, altrimenti fallisce il bersaglio (cioè pecca). E il legame che viene istituito con questo comando è fra mangiare (quindi lavorare come mezzo per procurarsi il cibo, come sopra: lavorare e custodire) e conoscere. “Bene e Male” è un endiadi, cioè un modo era dire tutto, per comprendere tutto quello che sta in mezzo a due estremi, in questo caso bene e male, cioè, appunto, tutto. L’Uomo non può conoscere tutto. Sappiamo che anche la conoscenza ha una sua dimensione di voracità, vorremmo sapere tutto, perché così avremmo potere su 3 tutto e pensiamo che questa conoscenza di tutto ci renderebbe come Dio (cosa che il serpente fa credere dopo ad Adamo ed Eva). Così conoscere bene e male, cioè tutto, equivale a voler mangiare tutto. Rinunciare a mangiare tutto significa accettare il limite costitutivo nel quale siamo stati posti, perché questo ci tiene in una relazione vitale con Dio e con l’altro, mondo e uomini. Mangiare tutto significa che, alla fine, non c’è più alcuna distinzione fra l’uno e l’altro, cioè si ritorna allo stato del caos primordiale, proprio quella situazione a partire dalla quale Dio ha creato invece un mondo ordinato, distinguendo una cosa dall’altra e mettendole in relazione fra loro. Mangiare tutto è un’opera di decreazione. A quel punto anche l’Uomo muore, perché non c’è più nulla da desiderare: il limite, invece, è essenziale al desiderio (cfr M. RECALCATI, Cosa resta del padre?), motiva la vita nel suo andare oltre di sé. Una volta mangiato tutto, l’Uomo resta da solo, si isola da tutto il resto, perché non c’è più nulla intorno a sé al di fuori di lui. Non è un caso, infatti, che subito dopo si parli della creazione della donna perché “non è bene che l’uomo sia solo”. Dio, che aveva benedetto tutto e visto che tutto era bene, adesso vede che c’è una cosa non buona: l’uomo è da solo, non può vivere isolato, perché è a sua immagine e somiglianza e quindi deve essere relazione con qualcun altro simile a lui. Il comando di non mangiare serve a preservare l’Uomo nella sua alterità rispetto a Dio, serve a mantenerlo in relazione con Lui, così come la donna serve a mantenere l’uomo nella relazione con un altro simile a lui, che di quella relazione con Dio è segno e rimando. La madre del bene e del male: l’educazione alimentare Se volete, questo è il punto fondamentale della situazione dell’Umanità oggi: tutto è diventato possibile. Abbiamo visto che Dio non interviene a fermare l’Uomo quando commette il male, quando mangia dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male. Dio si aspetta dall’Uomo l’ascolto e che questo si trasformi in un autolimitazione della propria libertà, o, meglio, uso corretto della libertà creata limitata in quanto relazione, perché non tutto ciò che è possibile è buono: «Tutto mi è lecito!». Ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Ma io non mi lascerò dominare da nulla» (1Cor 6,12). Oggi l’uomo deve decidere di fare o non fare cose che sono diventate possibili, cioè si pone una questione etica fondamentale, che rimanda all’origine stessa dell’Uomo. Il legame fra conoscere e mangiare ci permette di configurare un precorso di crescita umana attraverso l’educazione, perché la possibilità d ascolto è legata alla libertà e quindi ci vuole educazione. Uno dei temi dell’EXPO è anche l’educazione alimentare. Leggendo questa pagina della Bibbia ci possiamo rendere conto di come l’educazione alimentare, la capacità di dosare il mangiare e il non mangiare ha un significato molto più profondo del semplice gesto materiale, della mortificazione, penitenza ecc.: è legato alla conoscenza del Bene e del Male, alla capacità di ascolto dell’altro, alla possibilità di farlo vivere. Non mangiare di quell’Albero, in ultima analisi, significa rinunciare a mangiare l’Altro, astenersi dal fagocitarlo, impedendosi, così, l’accesso all’Albero della Vita, perché, rimasto solo, isolato dall’altro, l’uomo si colloca in quella zona di “non-bene” alla quale Dio mette rimedio creando un aiuto che stia di fronte all’uomo (in particolare con cui possa parlare, a differenza degli animali, a cui dà il nome, ma con i quali non può dialogare). Per questo le religioni hanno sempre visto nel digiuno una delle pratiche fondamentali per curare la relazione con Dio e quindi con gli altri, amore di Dio e amore del prossimo, che devono sempre andare insieme. L’educazione alimentare, praticata a partire da quando si è bambini, può essere una via di conoscenza del mondo basata sul corpo e la dimensione sensoriale fondamentale per l’apprendimento, in modo da formare naturalmente, quasi spontaneamente, un modo di mettersi in relazione con l’altro-da-sé che permetta a tutti di accedere alla Vita. Ma non si tratta solo di una dimensione etica, di necessità o utilità. È anche un modo per preservare la dimensione estetica. Non a caso gli eccessi della bulimia e dell’anoressia sfigurano il corpo, lo colpiscono nella sua armonia e bellezza. La dimensione estetica è coessenziale a quella etica. Se nella nostra cultura non passerà il concetto che dar da mangiare, astenersi dal cibo non è una penitenza, ma è bello, perché fa vivere l’altro (e quindi anche me) in un modo migliore, conforme al progetto originario, in quella bellezza di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, non ci sarà una sufficiente spinta motivazionale per mettere in pratica la Parola. Ci sono delle condizioni che favoriscono l’ascolto: l’educazione alimentare può essere una di queste. 4
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