Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 45 (46.883) Città del Vaticano mercoledì 25 febbraio 2015 . Sanguinoso attacco dell’Is a località caldee in Siria In un libro intervista al patriarca Louis Raphaël Sako Cristiani in ostaggio Grido d’aiuto Incendiata una delle più antiche chiese del Paese di ALBERTO FABIO AMBROSIO DAMASCO, 24. Numerose località siriane abitate da cristiani caldei sono state occupate nell’est della Siria dai miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is), che avrebbero ucciso decine di persone e dato alle fiamme una delle più antiche chiese cattoliche del Paese, quella della cittadina di Tal Hermez. Secondo fonti citate Sospesi i colloqui tra le diverse fazioni libiche TRIPOLI, 24. In Libia è a rischio il dialogo, mediato dall’Onu, tra le diverse fazioni in lotta, precondizione perché la comunità internazionale possa decidere se e come intervenire per scongiurare il baratro e arginare la minaccia jihadista. Il Governo del premier libico, Abdullah Al Thani, riconosciuto internazionalmente e costretto a riunirsi a Tobruk, ha annunciato di aver sospeso, con un voto in Parlamento, la propria partecipazione ai colloqui, che prevedevano una nuova tornata giovedì prossimo in Marocco. E ha deciso di «rivedere tutti i contratti con le aziende straniere e di escludere le compagnie turche dalla possibilità di operare in Libia». Il governo di Tobruk accusa infatti la Turchia di sostenere le milizie filoislamiche che a Tripoli hanno “imposto” il Governo parallelo di Omar Al Hassi. dalla rivista «Newsweek», centinaia di bambini, donne e uomini sono in ostaggio dei jihadisti, che per rilasciarli chiedono la liberazione di loro esponenti catturati. Le donne e i bambini sarebbero stati radunati in una zona della città presidiata dai miliziani, mentre gli uomini sarebbero stati trasferiti nelle montagne di Abd Al Aziz. Da parte sua, l’agenzia di stampa ufficiale siriana Sana, riferisce che gli attacchi, oltre che a Tal Hermez, sono stati sferrati a Tal Shamiram, Tal Riman, Tal Nasra, Al Agibash, Toma Yalda e Al Haooz. Secondo la Sana, che cita fonti locali, l’obiettivo dell’Is sarebbe di aprirsi un passaggio, facendo terra bruciata di questi villaggi, per arrivare al confine con la Turchia e facilitare il passaggio di armi e mercenari. Proprio nell’est della Siria, oltre che su alcuni fronti iracheni, si sono concentrati ieri i raid aerei della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Secondo il comando americano, undici attacchi sono stati compiuti contro postazioni dell’Is nell’area di Kobane, la città al confine con la Turchia dove il 26 gennaio scorso, dopo quattro mesi di combattimenti, i peshmerga curdi hanno respinto un’offensiva del gruppo jihadista. Da allora a Kobane sono tornati circa quattromila degli abitanti fuggiti, ma la situazione resta di estrema insicurezza. Tra l’altro, secondo fonti ufficiali, in questo periodo almeno quindici persone sono morte per l’esplosione di mine e ordigni nascosti. Altri sei raid aerei hanno colpito Hasaka, il capoluogo dell’omonima provincia nordorientale siriana al confine con l’Iraq e la Turchia, dove nella notte tra sabato e domenica è incominciata una nuova offensiva dei peshrmega contro le postazioni jihadiste. N Piccoli cristiani iracheni fuggiti dai loro villaggi (Ap) Di contro, i comandanti statunitensi incontrati ieri in Kuwait dal segretario alla Difesa, Ashton Carter, hanno assicurato che non è in atto alcuna controffensiva dell’Is. Questo mantiene comunque alta la sua pericolosità sul piano sia militare sia dell’azione terroristica. In questo senso, tra l’altro, nuove minacce all’Italia sono apparse su siti internet riconducibili al gruppo terrorista. In Francia, intanto, oltre a intensificare la partecipazione all’intervento militare, con l’invio nel Golfo Persico della portaerei De Gaulle, si stanno varando nuove misure di sicurezza. Per la prima volta è stata applicata ieri a sei persone sospettate di legami con il terrorismo la sospensione cautelare del passaporto. Il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, ha detto che nelle prossime settimane si applicheranno altre quaranta disposizioni analoghe. Vertice a Parigi per il rispetto degli impegni concordati a Minsk il 12 febbraio Si cerca una soluzione al conflitto in Ucraina y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!?!$!,! KIEV, 24. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, incontrando ieri al Palazzo di vetro il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, ha auspicato che «tutte le parti interessate dal conflitto nell’est dell’Ucraina rispettino gli impegni concordati a Minsk il 12 febbraio». Ma il ritiro delle armi pesanti dal fronte ucraino resta per ora una promessa non mantenuta. Kiev non ha ancora cominciato ad arretrare la propria artiglieria accusando le milizie filorusse di continuare a bombardare le sue posizioni, mentre da parte loro i ribelli separatisti hanno annunciato questa mattina di aver iniziato il ritiro delle armi pesanti dalle zone più tranquille sotto il loro controllo. Ma resta da vedere se dalle parole si passerà ai fatti. on si può leggere l’intervista al patriarca caldeo Louis Raphaël Sako senza essere commossi (Ne nous oubliez pas! Le Sos du patriarche des chrétiens d’Irak. Entretien avec Laurence Desjoyaux, Paris, Bayard, 2015). Ho dovuto trattenermi più volte per non cedere a un pianto a dirotto, quasi infantile. La testimonianza che il patriarca offre è quanto mai toccante, intensa, pura e, per dirla con un solo aggettivo, evangelica. Avevo incontrato Louis Sako, una prima volta alcuni anni fa — quando ancora era vescovo di Kirkuk — in occasione di un convegno sulla storia di Antiochia organizzato dalla Fondazione ambrosiana Paolo VI a Villa Cagnola presso Varese. Sapendo che vivevo a Istanbul, la conversazione è stata intensa, sempre attento a intessere vere relazioni umane e ascoltare l’altrui esperienza. Poi l’ho rivisto a Istanbul nel mese di giugno 2014, quando la tempesta della ferocia umana iniziava a imperversare nel suo paese d’origine, l’Iraq. Ogni volta che l’ho sentito parlare ho avuto conferma di quanto già percepito vivendo con la piccola comunità caldea della parrocchia di Nostra Signora del Santo Rosario a Istanbul. I caldei sembrano avere ereditato una dolcezza e una tenerezza tutte particolari, che provengono probabilmente dal fatto che parlano la lingua più vicina a Gesù che sia ancora oggi utilizzata, il suret, parente strettissimo dell’aramaico. Viene dal fatto che questo popolo, cristianizzato nel corso della storia millenaria, ha sofferto in silenzio e pazientemente tutte le persecuzioni a cui è stato sottoposto. Raphaël Louis Sako testimonia della sensibilità di questi fedeli dal particolare rito cattolico orientale. L’intervista è percorsa da un capo all’altro da un sentimento di sofferenza subita durante il corso dei secoli. L’attuale patriarca ha da sempre dovuto convivere con il conflitto e superare una guerra dopo l’altra: quella tra Iran e Iraq, poi quella tra Iraq e Kuwait, poi l’embargo, i bombardamenti degli alleati, la caduta di Saddam Hussein, infine la lotta fratricida e oggi la barbarie del sedicente Stato islamico (Is). Il racconto delle conquiste dell’Is a partire dal 10 giugno scorso è quello di un’escalation di violenza. Difficile capacitarsene, benché le sue analisi siano perti- Il termine previsto dalle intese di Minsk-2 per cominciare ad allontanare le artiglierie dalla linea di fuoco è in ogni modo scaduto fin da martedì scorso. E l’obiettivo di creare in 14 giorni una zona cuscinetto larga da 50 a 140 chilometri (a seconda della gittata) continua a essere messo in dubbio dal mancato rispetto della tregua in alcune aree del Donbass, fra recriminazioni reciproche. Per cercare una soluzione a questo conflitto in cui — secondo l’Onu — hanno finora perso la vita a causa del fuoco di entrambi i fronti circa 5.700 persone, i ministri degli Esteri di Francia, Russia, Ucraina e Germania si incontreranno oggi a Parigi per un nuovo vertice nel cosiddetto “formato di Normandia”. Al centro dei colloqui vi sarà anche la messa in atto degli accordi di Minsk-2, che il portavoce del cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha definito finora “insoddisfacente” chiedendo a Mosca di fare “pressione sui separatisti” per il rispetto pieno della tregua. Intanto, in un’intervista televisiva, Vladimir Putin prova ad abbassare i toni. Insistendo sul rispetto degli accordi di Minsk, il leader del Cremlino ha liquidato come «un improbabile scenario apocalittico» quello di una guerra aperta con l’Ucraina. Inoltre, Putin smentisce le accuse di un ipotetico coinvolgimento di cecchini manovrati dalla Russia nella strage di Maidan di un anno fa avanzate dal presidente ucraino, Petro Poroshenko, dopo che un documentario della Bbc aveva rilanciato sospetti su alcuni insorti che avrebbero sparato sulla polizia dal Conservatorio la mattina del 20 febbraio, riaccendendo le violenze che avrebbero poi insanguinato la piazza cuore della protesta. Registrata nella centrale nucleare giapponese una perdita di acqua altamente contaminata Ancora paura a Fukushima La rivoluzione comunicativa di Papa Francesco Parole piccole per dire cose grandi Una donna nel centro di Debaltseve (Ap) BRUNO FORTE A PAGINA 5 nenti e permettano di capire tra le linee i fattori, le cause e gli obiettivi di un tale caos. Il suo è un Sos accorato che scaturisce dalla sua sensibilità pastorale e da un’acuta intelligenza messa a profitto dell’azione. Si ha voglia di piangere leggendo queste righe perché, dietro alle parole di Sako, si legge il Vangelo, l’umanità rinnovata dall’amore e dalla bontà di Cristo. Da quando è stato ordinato vescovo, il suo stile non è stato quello di rifugiarsi nel recinto delle proprie pecore, ma quello di annunciarsi come pastore per tutti, musulmani compresi. Il sacerdozio è per tutti, non per una fascia sola, queste parole dovrebbero essere meditate a lungo, come antidoto alla tentazione di trincerarsi in ristrette comunità di vita. Il patriarca caldeo ha vissuto e continua a vivere una forma di amicizia allargata, formando le nuove generazioni a degli atteggiamenti altrettanto profondi. Quando è stato direttore in seminario, a Mosul, non ha atteso molto tempo per riformarlo da cima a fondo, puntando sulla formazione vera del cuore e della persona. Per il patriarca, l’amicizia è il fondamento del dialogo. Ma non si tratta di un’amicizia solo teorizzata, bensì di relazioni umane con i suoi fedeli e con tutti i musulmani, sunniti e sciiti. Infatti, si può anche arrivare a parlare ed essere specialista di dialogo, senza mai incontrare le persone in carne e ossa. L’amicizia, invece, fa sì che nel momento di emergenza, il fratello musulmano possa proteggere e aiutare il fratello cristiano, proprio come è capitato in talune occasioni da quando lo Stato islamico ha fatto la sua apparizione. Le parole di Sako infondono la gioia di essere cristiani, di testimoniare fino in fondo e non a metà soltanto come talvolta capita tra i cristiani dell’occidente. Il patriarca caldeo lo dice a chiare lettere: i cristiani d’oriente possono aiutare da un lato una certa debolezza di testimonianza dei cristiani in occidente e dall’altro l’islam diviso in numerose tendenze. I caldei come il patriarca e i fedeli della sua comunità ormai sparsa in tutta la terra, rendono l’incarnazione di Cristo sempre operante e ben visibile e rendono viva la tenerezza di Dio per i suoi figli. Al grido del patriarca, se non possiamo fare altro, si può almeno rispondere con la preghiera semplice e costante. Controlli sulla popolazione di Fukushima dopo l’incidente nucleare del 2011 (Reuters) TOKYO, 24. Allarme nella disastrata centrale nucleare giapponese di Fukushima, dove è stata registrata una perdita di acqua altamente contaminata. Il gestore dell’impianto, la società Tepco, ha riferito che sono ancora incerte cause e quantità riversatasi nella baia. Secondo la Tepco, la radioattività rilevata è stata superiore di settanta volte alla norma. Gli alti valori hanno così spinto la Tepco a chiudere i canali di scolo dell’acqua piovana, che verranno riaperti solo in presenza di valori tornati alla normalità. Il problema della gestione dell’accumulo di acqua radioattiva resta la sfida più urgente a quasi quattro anni dal devastante terremoto e dal successivo tsunami che distrussero quasi completamente la centrale, innescando il più grave disastro nucleare dopo Chernobyl (Ucraina, 1987). A dicembre scorso, la Tepco ha affermato che circa sei tonnellate di acqua radioattiva sono finite nel sottosuolo a causa di una lunga serie di incidenti. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 25 febbraio 2015 Intervento di Mattarella Il compito del magistrato L’Eurogruppo valuta il piano presentato da Tsipras Esame di greco Riduzione della spesa ma anche misure sociali FIRENZE, 24. Il compito «né di protagonista assoluto del processo, né di burocratico amministratore della giustizia» al quale la Costituzione italiana chiama il magistrato è stato sottolineato dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, intervenuto questa mattina all’inaugurazione annuale dei corsi della Scuola superiore di magistratura a Scandicci, nei pressi di Firenze. Quella del magistrato, ha affermato Mattarella, è una sfida «tanto più impegnativa in un contesto di crescenti attese da parte dei cittadini, sempre più esigenti verso un servizio essenziale come la giustizia, chiamata a definire, ogni giorno, l’equilibrio tra diritti e doveri applicando le regole dettate dalla legge». Il presidente della Repubblica ha spiegato poi che «un esercizio responsabile dei poteri dei magistrati in nome del popolo vede nei percorsi formativi un passaggio rilevante per raggiungere, e mantenere, il difficile equilibrio tra garanzia, discrezionalità del giudice e risposta al diffuso sentimento di legalità che si avverte sempre più nel Paese». Al tempo stesso il capo dello Stato ha auspicato un recupero di efficienza. Mattarella ha usato il treno per raggiungere Firenze e successivamente il tram che collega la stazione di Santa Maria Novella a Scandicci. Accordo bancario tra Italia e Svizzera ROMA, 24. Cade il segreto bancario tra Italia e Svizzera grazie allo scambio di informazioni. L’intesa è stata siglata ieri a Milano tra il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, e il capo del dipartimento federale delle Finanze svizzere, Eveline WidmerSchulumpf. Soddisfatto il presidente del consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, che su twitter ha scritto: «Miliardi di euro che ritornano allo Stato». Di fatto migliorano, dopo tre anni di negoziati, le relazioni in ambito finanziario e fiscale tra Berna e Roma. Secondo Widmer Schulumpf, «si pongono delle nuove basi che permetteranno di rafforzare la cooperazione, migliorare le relazioni tra i due Stati e sviluppare le relazioni economiche in un clima costruttivo». La Confederazione elvetica esce così dalla black list dei paradisi fiscali, permettendo a chi intende avvalersi della regolarizzazione spontanea dei capitali tenuti illegalmente in Svizzera di beneficiare di condizioni migliori in termini di sanatorie e oneri da sostenere. L’accordo si compone di un documento giuridico, che modifica la Convenzione del marzo 1976 e dovrà essere ratificato dai due Parlamenti e di un altro politico. Quest’ultimo indica una road map da seguire anche per definire due ulteriori questioni. La prima è quella dei lavoratori transfrontalieri, da risolvere entro la metà del 2015. L’altra è l’individuazione delle migliori soluzioni per Campione d’Italia, enclave italiana in territorio svizzero. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va ATENE, 24. Alla fine è arrivato. Il piano del primo ministro greco, Alexis Tsipras, con cui Atene chiede all’Eurogruppo il prolungamento dei prestiti di altri quattro mesi, è all’esame di Bruxelles da questa notte, e viene valutato dai creditori internazionali (di trojka non si parla più, ma sempre di Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Commissione europea si tratta) come un buon punto di partenza, anche se la chiave per un giudizio positivo sarà la pronta applicazione degli impegni. Questi, peraltro, prevedono solo due delle misure sociali annunciate in campagna elettorale da Tsipras: la possibile estensione del salario minimo — ma dopo una consultazione con l’Unione europea — e buoni pasto-energia per i poveri. Atene si impegna ad andare avanti con le privatizzazioni già avviate, con la revisione dell’iva e con la lotta all’evasione fiscale. Parte poi la spending review: meno ministeri, consulenti e benefit politici. La sanità sarà comunque garantita per tutti. Riguardo ai salari, il Governo greco — si legge nella lista consegnata a Bruxelles — si consulterà con le istituzioni creditrici per quanto riguarda «l’ammontare e i tempi» dell’annunciato aumento. L’Esecutivo Tsipras, prosegue la nota, «metterà a punto un nuovo approccio alla negoziazione collettiva dei salari che includa l’obiettivo di innalzare nel tempo il salario minimo». Secondo l’ufficio del primo ministro greco, la lista contiene, oltre alle misure suddette, riforme della sicurezza sociale e provvedimenti contro la “crisi umanitaria” (così definita da Atene) provocata dall’austerità. La Grecia si impegna inoltre a far sì che gli interventi a contrasto della crisi non abbiano «effetti fiscali negativi e ad avere banche che siano gestite sulla base di solidi principi bancari e commerciali». Il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, non si è espresso sulla lista di riforme presentata dalla Grecia, sottolineando solo che si tratta di un primo passo. «Spetta alle istituzioni ora pronunciarsi. Se tutte e tre esprimeranno un’opinione positiva, ci sarà una teleconferenza dell’Eurogruppo nella serata di oggi», ha detto Dijsselbloem durante un’audizione al Parlamento europeo. Anche se rimane ancora molto da fare, ha aggiunto il presidente dell’Eurogruppo, «le istituzioni resteranno comunque coinvolte» nel monitoraggio della stabilità finanziaria della Grecia». Se l’Eurogruppo darà il via libera, i diciannove Paesi membri dell’eurozona dovranno approvare entro la fine della settimana l’estensione del piano di salvataggio. Alcuni di loro, fra cui Germania e Finlandia, dovranno riferire al Parlamento. A Berlino, ha fatto sapere oggi il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, il voto dovrebbe esserci venerdì prossimo. Dijsselbloem ha però precisato che «anche senza un nuovo programma, ci sarebbe comunque un monitoraggio successivo all’attuale programma a causa dell’esposizione al debito greco» delle istituzioni che rappresentano i creditori. Le bandiere greca e dell’Ue all’esterno dell’ambasciata di Atene a Bruxelles (Reuters) Freddo eccezionale in molte zone degli Stati Uniti Obama nomina un inviato speciale ai negoziati tra Governo di Bogotá e Farc Stretti nella morsa del gelo Impegno di Washington nel processo di pace colombiano WASHINGTON, 24. Gli Stati Uniti restano stretti nella morsa del gelo, dalla costa nord-orientale fino al Texas. All’aeroporto internazionale Fort Worth di Dallas, uno dei più trafficati del Paese, un aereo della American Airlines ha sbandato ed è finito fuori pista a causa del ghiaccio. Illesi i sessantatré passeggeri e i cinque membri dell’equipaggio. Solo nello scalo di Dallas sono stati cancellati più di 1.100 voli. Forti venti e piogge gelate hanno investito il New Mexico, il Colorado, l’Utah e il nord dell’Arizona, provocando ventidue vittime nel Tennessee e undici nel Kentucky. Il nord è alle prese con un’ondata di gelo proveniente dall’Artico canadese, con intense nevicate che hanno ammantato di neve fresca gli Stati che si affacciano sull’area dei Grandi Laghi e il New England. Situazione pesante soprattutto a Boston, dove a causa della neve stratificata il traffico ferroviario non si normalizzerà prima della prossima settimana. A New York, la colonnina di mercurio ha toccato i meno venti. Proprio nella Grande Mela si sono gelate le acque del fiume Hudson, che si è trasformato in una distesa di ghiaccio. BO GOTÁ, 24. Bernard Aronson, un diplomatico statunitense con una vasta esperienza in America latina, è stato scelto dal presidente Barack Obama come inviato al processo di pace in corso da poco più di due anni a Cuba fra il Governo di Bogotá e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). L’iniziativa di Obama di assumere un ruolo ufficiale nello storico negoziato è stata annunciata dal presidente colombiano, Juan Manuel Santos, che l’ha definita un segnale importantissimo. Santos ha salutato la nomina di Aronson con soddisfazione, ricordando il suo passato incarico di sottosegretario di Stato per gli affari latinoamericani e la sua partecipazione nei negoziati di pace in Salvador all’inizio degli anni Novanta. Il ruolo di Aronson, ha specificato Santos, «sarà di appoggiare il negoziato, il che non implica la sua partecipazione diretta al tavolo del dialogo». Del compito di mediatori, come noto, sono incaricate Norvegia e Cuba. Il presidente colombiano ha dichiarato inoltre che la settimana scorsa anche il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha espresso la volontà del Governo di Berlino di sostenere attivamente il processo di pace. Anche le Farc hanno espresso soddisfazione per la nomina di un inviato speciale da parte della Casa Bianca. Il negoziato a Cuba appare ormai in dirittura d’arrivo, ma manca ancora l’intesa su aspetti cruciali, primo fra tutti quello della smobilitazione, del disarmo e della reintegrazione dei guerriglieri delle Farc, cioè la fine effettiva del conflitto, ma anche la valutazione di quelli che Santos nelle ultime settimane è più volte tornato a definire crimini contemplati dal diritto nazionale e internazionale. Secondo il presidente, «il Paese non può semplicemente, come nel passato, fare tabula rasa» e la ricerca di un consenso su questi punti resta la grande sfida del negoziato. Lo scandalo Petrobras frena gli investimenti in Brasile BRASILIA, 24. L’inchiesta su una vasta rete di corruzione all’interno della società petrolifera statale brasilana Petrobras ha frenato gli investimenti per oltre quattro miliardi di dollari in quella che è la prima azienda del Paese, al cui prodotto interno lordo contribuisce per il 12 per cento. Secondo quanto riferito dalla stampa brasiliana, sono stati paralizzati numerosi progetti. Fra questi c’erano la costruzione di due piattaforme petrolifere per le operazioni marittime e la messa in cantiere di imbarcazioni per trasportare a terra petrolio e gas estratti. Si è bloccata anche la seconda fase della realizzazione della raffineria Abreu e Lima, completa al 90 per cento, e di altre strutture di trasfor- Si allarga il fronte di opposizione venezuelano Una statua ricoperta di ghiaccio nei pressi delle cascate del Niagara (Epa) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va CARACAS, 24. Prove di unità per l’opposizione venezuelana: dopo l’arresto del sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, il leader del partito socialcristiano Copei, Roberto Henríquez, ha sottoscritto pubblicamente il cosiddetto Accordo Nazionale per la Transizione, un documento che chiede tra l’altro le dimissioni del presidente chavista Nicolás Maduro e che — pubblicato per prima volta lo scorso 11 febbraio — è già stato denunciato dallo stes- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale so Maduro come parte di un presunto piano “golpista”. La moglie del sindaco di Caracas, Mitzy Capriles, quella dell’altro leader antichavista Leopoldo López — in carcere da oltre un anno — Lilian Tintori, e l’ex deputata María Corina Machado si sono presentate con Henríquez in una conferenza stampa per annunciare l’allargamento del fronte di opposizione. Presente anche Henry Ramos Allup, leader di Azione Democratica. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 mazione del greggio previste dall’agenda di Petrobras. Secondo gli inquirenti, Petrobras avrebbe subito il dirottamento di miliardi di dollari a causa di un complesso incrocio di attività illecite a partire dalla metà degli anni Novanta. La procura generale ha annunciato che chiederà a breve il rinvio a giudizio di una serie di esponenti politici, di cui non sono finora filtrati i nomi. La presidente Dilma Rousseff, finora risparmiata personalmente da uno scandalo che vede fra i protagonisti il suo Partito dei lavoratori, ha ribadito nel fine settimana che i responsabili pagheranno. Parlando con la stampa, Rousseff ha comunque rivolto accuse anche ai suoi avversari del Partito della Socialdemocrazia brasiliana (Psdb), seconda formazione politica del Paese. «Se nel 1996 o nel 1997 si fosse indagato e fossero stati puniti i colpevoli non saremmo arrivati a questa situazione», ha detto, alludendo ad anni in cui era alla presidenza Fernando Henrique Cardoso, oggi fra i leader del Psdb all’opposizione. Nel frattempo, il ministro delle Finanze, Joaquim Levy, ha assicurato che l’economia brasiliana «non ha niente di problematico» e la ripresa «potrà avvenire senza grandi difficoltà». «L’anno passato il Governo ha fatto alcuni aggiustamenti e ha aggredito le distorsioni che si erano create per garantire alla popolazione i benefici delle proprie politiche», ha assicurato il ministro. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 25 febbraio 2015 pagina 3 Soccorsi della Croce Rossa a feriti negli scontri in Myanmar (Ap) Riescono a evadere venticinque camerunensi Fuga da un carcere di Boko Haram ABUJA, 24. Venticinque ostaggi, donne e bambini, rapiti il 29 gennaio dal gruppo jihadista Boko Haram da un villaggio del Camerun e portati in una prigione in Nigeria, sono riusciti a fuggire dopo aver fatto, di notte, un buco in uno dei muri della loro cella ed essersi allontanati approfittando del buio. Gli ostaggi dopo essere stati rapiti nel villaggio camerunense di Ngnam-Ngnam, nel dipartimento frontaliero di Logone-et-Chari, erano stati condotti nella prigione di Koumché. Lo riferisce il sito Koaci, citando il quotidiano «Oeil du Sahel». I miliziani erano arrivati nel villaggio la mattina del 29 gennaio, bruciando alcune abitazioni e uccidendo tre persone. Quando gli abitanti si erano riuniti, ore dopo, per le cerimonie funebri delle vittime, i terroristi erano tornati e avevano rapito quindici donne e dieci bambini di età tra i cinque e i tredici anni. Dopo essere riusciti a scappare dalla prigione, i camerunensi hanno camminato per tutta la notte, raggiungendo prima il villaggio di Kangaleri per poi proseguire sino a Kinguerwa, dove hanno avuto assistenza. Attualmente sono un centinaio i camerunensi sequestrati da Boko Haram ancora nelle mani del gruppo jihadista. Incostituzionale la legge kenyana sulla sicurezza NAIROBI, 24. L’Alta Corte del Kenya ha confermato l’incostituzionalità di alcune parti della nuova legge sulla sicurezza messa a punto dal Governo del presidente Uhuru Kenyatta e approvata dalla sua maggioranza parlamentare. Gli articoli della legge definitivamente bocciati sono otto. In particolare vengono cancellate le restrizioni alla libertà di stampa che erano già state temporaneamente sospese dal tribunale a gennaio, dopo un ricorso dei partiti d’opposizione. Secondo i giudici, la parte della legge che proibisce ai giornalisti di riferire su operazioni di sicurezza in corso viola il diritto alla libertà d’espressione ed è in contrasto con la Costituzione. Cancellati anche l’ampliamento dei poteri discrezionali degli inquirenti nei confronti dei presunti terroristi e un articolo che limitava a 150.000 il numero di rifugiati e richiedenti asilo da ospitare nel Paese. La legge era stata promulgata a dicembre dopo un acceso dibattito parlamentare all’indomani di alcuni sanguinosi attentati rivendicati dalle milizie radicali islamiche somale di Al Shabaab. L’opposizione aveva sostenuto che la lotta al terrorismo fosse usata come pretesto per ridurre le libertà fondamentali. Una donna e un bambino di un villaggio attaccato da Boko Haram (Afp) Le violenze di Boko Haram, comunque, non si fermano. Almeno diciotto persone sono morte oggi in un attentato, attribuito al gruppo jihadista che ha fatto esplodere una bomba su un autobus a Potiskum, la capitale dello Stato nordorientale dello Yobe. Il conflitto contro Boko Haram, che vede da alcune settimane impegnate, oltre a quelle nigeriane, le forze di Camerun, Niger, Ciad e Benin, ha portato al rinvio delle elezioni presidenziali e parlamentari in Nigeria, previste lo scorso 14 febbraio e ora fissate al 28 marzo. Il presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, ha escluso sia ulteriori rinvii del voto sia l’ipotesi di un Governo di transizione finché non sia risolta la crisi provocata da Boko Haram nel nord-est del Paese. Secondo Jonathan, infatti, «l’unico Governo di transizione possibile sarebbe un Governo militare, che certamente nessuno accetterebbe». Per quanto riguarda il voto per la presidenza la questione di Boko Haram sembra determinante. La sfida che l’ex generale Muhammadu Buhari, a suo tempo alla guida della giunta militare dittatoriale, pone al presidente Jonathan, che si ricandida, punta proprio sulla lotta al gruppo islamista. Buhari, che è musulmano, ha impostato l’intera campagna elettorale sulla promessa di una lotta senza quartiere a Boko Haram accusando il rivale di aver svolto un’azione inefficace. Da parte sua, dopo sistematiche sconfitte, Jonathan ha potuto registrare nelle ultime settimane alcuni successi militari, grazie all’azione congiunta con le forze dei Paesi confinanti. E su tali sviluppi sembra puntare in prospettiva elettorale Cinque anni a un blogger Nuove condanne in Egitto IL CAIRO, 24. Il blogger e attivista egiziano Alaa Abdel Fattah è stato condannato ieri a cinque anni di carcere nel nuovo processo a suo carico che lo ha visto accusato di vari reati, tra cui la partecipazione a manifestazioni non autorizzate nel novembre del 2013. Gli altri 24 coimputati sono invece stati condannati a tre anni di carcere. In primo grado Alaa Abdel Fattah, simbolo della rivolta del 25 gennaio 2011 contro l’ex presidente Hosni Mubarak, e gli altri 24 imputati erano stati condannati in contumacia a 15 anni di carcere e al pagamento di una multa di 13.000 dollari. La magistratura egiziana ha emesso la sentenza in base alla nuova legge voluta dall’Amministrazione del presidente Al Sissi che limita il diritto di manifestazione nel Paese per evitare violenze. Alaa Abdel Fattah era già stato arrestato nel 2006, sotto Mubarak, e poi nel 2011 ai tempi della Giunta militare che aveva gestito la prima parte della transizione egiziana che sfociò nell’anno di Governo dei Fratelli musulmani, poi destituiti nel luglio 2013 da un movimento popolare. Proprio dopo la rimozione del presidente Mohammed Mursi, e sullo sfondo delle sanguinose proteste che ne sono seguite, è stata varata la cosiddetta Qanun at-tazahor: la legge varata dal Governo per ricondurre alla normalità la situazione dell’ordine pubblico. Proprio in base a questa normativa è stato ieri condannato il blogger. Nei pressi di Kasserine al confine con l’Algeria Arrestati in Tunisia tredici terroristi Controlli di polizia all’aeroporto di Djerba (Afp) TUNISI, 24. Almeno 13 persone, tra cui quattro donne, sono state arrestate domenica dalla Guardia nazionale tunisina nel governatorato di Kasserine con l’accusa di terrorismo. Secondo le prime informazioni, i 13 sospetti apparterrebbero alla brigata Okba Ibn Nafaa, ramo del gruppo jihadista Ansar Al Sharia di base sul Monte Chaambi, al confine con l’Algeria. Nel frattempo, centinaia di persone hanno manifestato domenica a Tunisi contro il terrorismo dopo un attacco che nella scorsa settimana ha provocato la morte di quattro poliziotti. L’assalto compiuto da venti combattenti jihadisti legati ad Al Qaeda nel Maghreb islamico è stato compiuto nei pressi di Kasserine. In Tunisia, dopo la rivolta del 2011, si sono registrate una serie di violenze da parte di terroristi jihadisti. Attaccati convogli della Croce rossa Violenze nel Myanmar NAYPYIDAW, 24. Non si fermano gli attacchi contro i convogli della Croce rossa internazionale nelle regioni del Myanmar al confine con la Cina, teatro da settimane di violenti scontri tra esercito governativo e milizie etniche. Ieri, presso la città di Laukkaing, sono state ferite sei persone, compreso appunto un volontario dell’organizzazione umanitaria. Fonti locali parlano in totale di almeno centottanta vittime civili, di sessantatré morti tra i militari e di settantadue tra i ribelli. Il protrarsi delle violenze sta facendo aumentare il numero dei fuggiaschi verso aree più sicure. Oltre tren- tamila persone hanno trovato rifugio nella provincia meridionale cinese dello Yunnan. Altri profughi stanno cercando rifugio al di fuori delle aree di conflitto, negli Stati di Kachin e di Shan. Il conflitto, mai del tutto cessato, era stato ridotto d’intensità negli ultimi anni grazie a tregue separate sottoscritte dal Governo con diverse milizie. La sua recrudescenza rappresenta un forte ostacolo al processo di normalizzazione che il Governo sta cercando di perseguire, sia con riforme, sia con ulteriori pressioni economiche e militari sulle etnie ribelli. Viaggiavano su un autobus tra Herat e Kabul Sequestrati trenta sciiti in Afghanistan KABUL, 24. Uomini armati, travestiti da soldati dell’esercito afghano, hanno sequestrato trenta sciiti che stavano viaggiando su un bus nel sud del Paese, sulla strada tra Herat e Kabul. Le persone sequestrate, nella provincia di Zabul, appartengono all’etnia hazara, spesso presa di mira dagli estremisti sunniti in Pakistan e Afghanistan. Un funzionario locale, Nasir Ahmad, ha raccontato che l’autista del bus «ha visto un gruppo di uomini in uniforme dell’esercito afghano, ha pensato che fossero soldati e si è fermato». I sequestratori hanno catturato solo gli uomini e hanno risparmiato donne e bambini. Il rapimento non è stato ancora rivendicato, ma spesso i sequestri sono opera di banditi locali in cerca di soldi o dei talebani. Il portavoce del ministero dell’Interno di Kabul, Sediq Sediqqi, ha assicurato che la polizia «sta facendo tutto il possibile per assicurare il loro rilascio». Proprio a causa dell’instabilità nel Paese e delle difficoltà dell’esercito nel far fronte alle minacce dei talebani, gli Stati Uniti stanno valutando di ritardare il ritiro delle truppe che entro la fine dell’anno dovrebbero essere dimezzate, da diecimila a cinquemila unità. E mentre non mancano le difficoltà per avviare un processo di ri- conciliazione in Afghanistan, per quanto concerne la sicurezza anche il vicino Pakistan si trova ad affrontare una serie di violenze. Un bambino è stato ucciso e altre nove persone ferite in una esplosione nella provincia del Baluchistan, nel sudovest del Paese. Lo ha riferito una fonte della polizia. La deflagrazione è avvenuta nella cittadina di frontiera di Chama (distretto di Qillah Abdullah) e sarebbe stata causata da una bomba nascosta in un’auto parcheggiata in una strada. Diversi edifici sono stati danneggiati dal forte scoppio. La località, che è uno dei punti di ingresso in Afghanistan (confina con Spin Bolkak della turbolenta provincia di Kandahar) è stata spesso colpita in passato da attacchi di gruppi estremisti islamici attivi lungo la frontiera. Inoltre, la responsabile dell’ufficio dell’agenzia di stampa Reuters a Islamabad, Maria Golovnina, è stata trovata uccisa nella sua abitazione nella capitale pakistana. Lo rende noto l’emittente radiofonica statale Radio Pakistan, precisando che la giornalista era responsabile dell’agenzia di stampa per il Pakistan e l’Afghanistan. Di nazionalità russa, Golovnina aveva iniziato a lavorare per la Reuters nel 2009. La polizia ha aperto un’inchiesta per accertare le cause della morte. Tamil delusi dal rinvio del rapporto Onu sullo Sri Lanka COLOMBO, 24. Il principale partito di etnia tamil dello Sri Lanka si è detto deluso per la recente decisione delle Nazioni Unite di ritardare di sei mesi la relazione sulla situazione dei diritti umani nel Paese del sud-est asiatico. M.K. Shivajilingam, leader del Tamil national alliance (Cdu), ha detto alla stampa che questo inatteso ritardo ha causato nuove, gravi preoccupazioni per i familiari delle vittime. «Essi credono fermamente che la giustizia ritardata è giustizia negata», ha sottolineato Shivajilingam, esprimendo la speranza che la relazione sarà debitamente rilasciata a settembre e che il procedimento giudiziario dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) non subirà ulteriori ritardi. Il Consiglio provinciale del nord dello Sri Lanka ha recentemente adottato una risoluzione per chie- dere una accurata inchiesta sulle gravi violenze contro i tamil durante il trentennale e sanguinoso conflitto civile, che si è concluso nel maggio del 2009 con la pesante sconfitta dei guerriglieri secessionisti del gruppo estremista delle Tigri per la liberazione dell’Eelam tamil. Parlando in un incontro pubblico, il nuovo primo ministro, Ranil Wickremesinghe, il cui programma di Governo prevede di adottare nei primi cento giorni reali misure di riconciliazione verso i tamil, ha detto che la decisione dell’Unhcr di ritardare la relazione è stata una risposta al tentativo del Consiglio del nord di sollevare ulteriori divisioni etniche. Quelle stesse all’origine del lungo e doloroso conflitto civile, che ha provocato nel Paese quarantamila morti e decine di migliaia di profughi. Passi avanti nel dialogo sul nucleare iraniano GINEVRA, 24. Le due parti hanno fatto passi avanti su alcune questioni, ma c’è ancora una lunga strada per giungere a un accordo finale. Lo ha detto il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, al termine del round negoziale sul nucleare conclusosi ieri sera a Ginevra, e al quale ha partecipato anche il segretario di Stato americano, John Kerry. Zarif ha detto che l’Iran e i rappresentanti del gruppo cinque più uno (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza, più la Germania) hanno avuto colloqui seri e costruttivi. Da parte iraniana è stato ribadito più volte, nelle ultime settimane, che tale accordo dovrà essere onnicomprensivo e non rinviare a ulteriori scadenze. Il prossimo incontro sul nucleare iraniano si svolgerà a Ginevra il 2 marzo. Violenti cicloni in Australia CANBERRA, 24. Massima allerta nell’Australia nord-orientale per due potenti cicloni tropicali che nelle ultime ore si sono abbattuti con estrema violenza sulle zone settentrionali del Paese, tranciando linee elettriche, sradicando alberi e causando alluvioni. Ingenti i danni, precisano fonti locali. Nel Queensland il ciclone Marcia — di livello cinque, il più alto — ha seriamente danneggiato oltre millecinquecento abitazioni, costringendo per ore migliaia di persone senza energia elettrica. Il ciclone — con raffiche di vento fino a trecento chilometri all’ora — ha investito in pieno la città di Yeppoon, seicentosettanta chilometri a nord di Brisbane, prima di deviare verso sud, su Rockhampton. A Yeppoon ha scoperchiato numerose case, senza provocare vittime o feriti gravi. Poche ore prima, un altro ciclone, denominato Lam, aveva investito le comunità aborigene più remote del Northern Territory, vicino all’isola di Elcho, cinquecento chilometri a est di Darwin. Il piccolo aeroporto di Elcho Island ha subito gravi danni. È previsto che nel corso della giornata il ciclone Lam venga declassato. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 25 febbraio 2015 Uno scorcio della casa a Isla Negra A Isla Negra l’appuntamento era ogni 18 settembre in occasione delle Fiestas Patrias Anche nell’anno funesto della storia cilena invitò gli amici Ma quanti giunsero in quel 1973 portarono notizie terribili dalla capitale Le tre case di Pablo Neruda in Cile Frammenti cresciuti nel tempo dalla nostra inviata a Santiago GIULIA GALEOTTI li abitanti di questa terra prendono il nome dal vento freddo, anche se non violento, che viene dalle Ande». Così, con un clamoroso errore che collegava il nome dei cileni all’inglese chilly, una cartina del globo datata 1698 a firma di monsignor Ledaghin spiegava l’origine del nome di questo popolo. La mappa — affascinante nei suoi tanti errori — domina lo studio di Pablo Neruda a Valparaíso, cittadina della costa cilena, effettivamente celebre per il vento che implacabilmente la sferza. «G Il cavallo al centro della sala de «La Sebastiana» La stanza è all’ultimo piano di una delle tre case cilene del poeta, divenute musei gestiti dalla fondazione omonima, che recentemente, revisionando gli archivi del premio Nobel per la letteratura 1971, ha ritrovato in alcune scatole ventuno poemi inediti, da poco pubblicati. Visitare le case è prezioso per chi voglia entrare ancor più nella produzione poetica di Pablo Neruda. Ciascuna con il suo tratto, infatti, le abitazioni trasmettono il profondo attaccamento del poeta per la quotidianità spicciola, quell’attenzione per i dettagli che trabocca nella poesia di un autore divenuto celebre anche per la sua capacità di mettere in versi il popolare e l’umile, esaltando i segreti della semplicità. Perché la vita è questo: mutevole, cresce nel tempo e dal tempo è cambiata. Così le tre case di Neruda — Isla Negra, Santiago e Valparaíso — sono abitazioni, non finite perché continuamente rimaneggiate, in grado di crescere nel tempo. In orizzontale o in verticale, si sono espanse negli anni come avviene alla marea e alle esistenze di persone e popoli. Per Neruda, l’arte del costruire non è legata a un progetto, ma alle immagini indotte da ciò che le pareti si trovano attorno: una luce, uno scorcio, un oggetto “necessitanti” il supporto di un ambiente. Se è soprattutto il mare a farla da padrone — anche nella casa di Santiago, la sola a non trovarsi sull’Oceano — è attorno all’enorme cavallo di legno che viene costruita una stanza nell’abitazione di Isla Negra. Lo spazio è manipolabile e inventabile a piacimento: la casa non si modifica all’interno, ma si estende man mano che crescono esigenze e bisogni. La prima a essere acquistata e “convertita” fu quella a Isla Negra, su un promontorio spazzato dal vento a picco sul Pacifico. È il 1937 quando, appena tornato dall’Europa, Neruda inizia a cercare un posto in cui scrivere quello che sarebbe diventato il suo Canto General, grande libro sulla storia e sulla natura americana. «Il vento selvaggio di Isla Negra insieme con i tumultuosi movimenti dell’Oceano mi ha permesso di ce- Mostra fotografica a Lugano dere all’avventura di questa nuova opera» pitale. Il giorno dopo il poeta, gravemente malato, fu trasportato in ambulanza dirà poi. Rispondendo all’annuncio su un quoti- all’ospedale Santa María di Santiago. Triste diano, Neruda scopre questa piccola casa, rituale che si sarebbe propagato come circondata da un terreno di più di 5000 un’onda, la casa fu subito devastata dai mimetri quadrati, in una caletta di pescatori litari. Stessa sorte per la casa di Santiago, la quasi deserta, rimanendo folgorato dalla spettacolare vista sul mare. Acquistatala dal Cascona, costruita ai piedi del Cerro San marinaio spagnolo Eladio Sobrino nell’in- Cristóbal, che prende il nome dai capelli verno del 1943, il poeta comincia ad appor- ricci e ribelli della moglie del poeta, Matilvi la prima serie di aggiunte, proseguite nel de. Anch’essa, infatti, a seguito del colpo di tempo fino al 1965, con l’aiuto dell’architet- Stato, fu preda di vandali: il 23 settembre to catalano Germán Rodriguez Arias prima 1973, mentre il poeta stava morendo, fu sace poi con quello dell’architetto, e amico, cheggiata e inondata con l’acqua del canale Sergio Soza. Nei continui raccordi tra le che scorreva in giardino. Esattamente vent’anni prima, la costruvarie parti, in orizzontale «la casa stava crescendo, esattamente come le persone, come zione della casa era stata affidata all’archigli alberi». L’abitazione non si distingue fa- tetto Germán Rodríguez Arias, che inizialcilmente dalle altre che affacciano sul mare. mente la progettò orientandola verso il soPer trovarla occorre domandarne l’ubicazio- le, in direzione della città: Neruda però ne, non ci sono indicazioni stradali che ne preferiva l’affaccio sulle Ande, e così il prosegnalino la presenza: i cileni non ne han- getto venne girato. Sarà solo una tra le mille variazioni volute dal poeta, che cercò no bisogno, tutti sanno dov’è. Costruita con legno e pietra intervallati da grandi finestre rettangolari che si affacciano Per il poeta l’arte del costruire sul Pacifico, la casa ha un interno organizzato linearmente non è legata a un progetto in compartimenti a cui si acceMa alle immagini de passando da una stanza all’altra. L’acustica della cameindotte da ciò che le pareti ra da letto culla il visitatore si trovano attorno con il mormorio della risacca delle onde che s’infrangono contro le rocce, mentre lo studio amplifica il rumore della pioggia, rac- personalmente i materiali, definì i dettagli e colta sul tetto. Come nelle altre abitazioni, discusse ogni particolare — la sala da prangli spazi custodiscono frammenti raccolti zo somiglia alla cabina di una nave, mentre nel tempo: vetrerie, piatti, calici, orci, velie- entrando in soggiorno sembra di essere in ri in bottiglia, fotografie di Baudelaire, Ma- un faro — al punto che Arias finirà con jakovsky e García Lorca, una sterminata l’ammettere che l’opera non è in realtà collezione di conchiglie, un’enorme cannoc- ascrivibile a lui. Anche in questo caso, sechiale newtoniano, un mappamondo del guendo le vicende personali di Neruda, la Settecento, mentre numerose polene di navi casa crebbe e dall’iniziale semplice soggiorvolteggiano sospese al soffitto o appese alle no e camera da letto, assunse le dimensioni pareti. Una appartenuta al veliero di Fran- che ha oggi. Pendenze, terrazze e scale congiungono cis Drake. Amava avere ospiti, Pablo Neruda, eredi- tre grandi blocchi separati, il tutto amalgatà della sua infanzia. E tutte le sue case lo mato da una folta vegetazione e una varietà dimostrano. A Isla Negra l’appuntamento di oggetti, tutti diversi e tutti simili. Dipinti era per le Fiestas Patrias ogni 18 settembre. (compreso il famoso quadro che Diego RiAnche nel 1973, anno terribile della storia vera aveva dipinto per Matilde in cui, nacilena, invitò gli amici, ma quanti lo rag- scosto tra i capelli, si scorge il profilo di giunsero portarono notizie terribili dalla ca- Neruda), vecchie botti, bottiglie di ogni forma e colore, pezzi di antichi barconi, figure pittoresche, scarpe giganti, i premi ricevuti da Neruda, compreso il Nobel. «Sento la stanchezza di Santiago — scrive Neruda a un’amica —. Voglio trovare a Valparaíso una casetta per vivere e scrivere tranquillo. Deve avere alcune condizioni. Non può stare né troppo sopra né troppo sotto. Deve essere solitaria ma non eccessivamente. (…) Originale ma non scomoda. Molto alata ma ferma. (…) Credi che potrò trovare una casa così a Valparaíso?». Questa la richiesta che il poeta fece nel 1959 a Sara Vial e Marie Martner, che riuscirono a scovare questa grande casa di proprietà dell’architetto Sébastián Collado, che aveva iniziato a costruirla ma era morto prima di finirla nel 1949. Neruda la vide: a colpirlo furono soprattutto la posizione e il modo quasi folle in cui era stata progettata. Nasce così La Sebastiana, terza e ultima abitazione, in cima alla collina nel cerro Bellavista, a Valparaíso, da dove Neruda guardava i fuochi d’artificio di Capodanno. La casa venne inaugurata con una festa memorabile il 18 settembre 1961. Per quella occasione Neruda scrisse la poesia La Sebastiana, inclusa nella raccolta Plenos Podres. Le salite e le discese, così tipiche della cittadina, continuano anche all’interno della struttura: salendo per le scale interne, è un po’ come salire per le salite di Valparaíso, un accumulo di case in lamiera, coloratissime e arroccate sul monte che scende a picco sul mare. E come per la cittadina, man mano che si sale nella casa si è ricompensati dalla vista, sempre più ampia, sul porto. È stretta su quattro livelli La Sebastiana, tra angoli e oggetti che rapiscono con le loro storie, lucernai su pareti azzurre, gialle, rosa, verdi, e le grandi finestre rendono il porto di Valparaíso e il mare un elemento architettonico. Dettagli e mare: è la poesia di Neruda, e l’anima delle sue case. «Serbai la tua voce infuriata — scrive in Canto General (nella traduzione italiana di Salvatore Quasimodo) — O mare del Cile, o acqua alta e stretta come acuto falò, impulso e tuono e unghie di zaffiro, o terremoto di sale e di leoni! Declivio, origine, costa del pianeta, le tue palpebre aprono il mezzogiorno della terra assalendo l’azzurro delle stelle». Una raccolta con tutte le opere agiografiche su Bernardino da Siena Il santo che non voleva essere vescovo di FELICE ACCRO CCA La crisi della cristianità appariva indubbiamente profonda all’alba del XV secolo. In quel contesto, l’Osservanza francescana finì per affermarsi definitivamente grazie al contributo dato dai suoi predicatori. Su tutti, la figura di Bernardino dominò incontrastata: «Principe dei predicatori del nostro tempo» lo definì Roberto Caracciolo da Lecce, e fra’ Sante Boncor — certo con qualche esagerazione — affermò che egli era venuto «como novo Elia Da grande comunicatore s’informava su usi e fatti di cronaca accaduti nei luoghi dove avrebbe dovuto predicare e Moisè resusitato, e uno novello Battista e uno altro Paulo». Oltre alla fama di santità che lo precedeva ovunque, alla foga oratoria e al linguaggio disinvolto con cui ammaliava le folle, nell’amplificarne la popolarità ebbe buon gioco anche l’eccezionale preparazione e la cura con cui Bernardino s’informava su usi, costumi e perfino fatti di cronaca occorsi nei luoghi dove avrebbe dovuto predicare. Bernardino, in definitiva, fu maestro di retorica, grande divulgatore, organizzatore di consenso: non cercò di salvaguardare il suo interesse personale, né mostrò mai di mirare alla carriera. In più occasioni, infatti, rifiutò la nomina a vescovo, anche della sua stessa città. Ai senesi, tra i quali era giunto pochi mesi dopo aver respinto quell’incarico, spiegò i motivi del suo rifiuto: nella XVIII predica tra quelle tenute a Siena tra il 15 agosto e il 5 ottobre 1427, non esitò a rivelare che la carica episcopale non gli avrebbe consentito di parlare chiaramente e senza riguardi come poteva invece permettersi di fare da predicatore. Parte di un progetto più ampio che prevede la pubblicazione di tutte le vite quattrocentesche di Bernardino da Siena, L’agiografia su Bernardino santo (14501460), curata da Daniele Solvi (Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, 2014, pagine XIV-374, euro 52) raccoglie ora in un’unica sede le opere agiografiche sul senese scritte nel decennio successivo alla canonizzazione: opere non facili da reperire, in quanto pubblicate in sedi diverse e spesso anche con discordanti criteri editoriali, peraltro non sempre ineccepibili. Ecco spiegata la ragione per cui, nel presentare i motivi ai quali s’ispira l’ope- ra, Alessandra Bartolomei Romagnoli e Daniele Solvi, coordinatori del progetto, avvertono di non essersi rassegnati a riprodurre le corruttele manifeste, ma di aver «provveduto generalmente a correggere», avanzando «proposte con gradi variabili di sicurezza, che nella peggiore delle ipotesi intendono almeno di evidenziare, tramite l’apparato, i luoghi critici del testo». Attorno a Bernardino (1380-1444), morto all’Aquila e canonizzato durante l’anno santo 1450, si sviluppò un’agiografia precoce. Già tra il 1450 e il 1451 Sante Boncor ne scrisse una vita il cui titolo (Fior novello) traeva ispirazione da un inno dell’ufficiatura liturgica di san Francesco. L’opera fornisce informazioni che l’autore acquisì per conoscenza diretta o per il tramite di testimoni autorevoli. Anche la vita cosiddetta Clementissimus (una ricostruzione della sua vita pubblica), scritta poco dopo il 1450 da un frate (Paolo di Assisi, con molta probabilità) che fu più volte compagno di Bernardino, offre elementi originali. Lo stesso può dirsi per la vita scritta da Maffeo Vegio, amico del Valla e del Piccolomini (poi Pio II), che mescola notizie attinte dai processi a informazioni originali. Seguono altri testi, di minore importanza, ma non privi d’interesse. Le croci degli armeni È sempre verde il fascino del bianco e nero. Ne è conferma la mostra Gli adoratori della croce allestita dal 4 marzo al 10 maggio all’Heleneum di Lugano. Saranno esposte 76 fotografie realizzate in Armenia da Elio Ciol che da sessant’anni indaga paesaggi e architetture. La mostra intende raccontare l’affascinante cultura degli armeni attraverso le croci che hanno scolpito nella pietra per secoli, nel segno di una sorta di ossessione per il dettaglio e la ripetizione. Le fotografie furono scattate da Ciol nell’autunno del 2005 durante un viaggio che lo portò a confrontarsi con una cultura antica: gli “adoratori della croce” sono i testimoni “invisibili” della storia millenaria di una comunità che ha inciso la propria identità nel cristianesimo, nella pietra grigia scolpita. Quando Manet attraversò la Manica Quando Manet attraversò la Manica, la storia dell’arte britannica non fu più la stessa. È questo assunto a fare da filo conduttore alla mostra Homage to Manet allestita al Norwich Castle (fino al 19 aprile). E il cambio di rotta impresso dal pittore parigino si riscontrò anzitutto nei ritratti di donne. Prima di lui, gli artisti britannici tendevano a conferire alla figura femminile una posa passiva o idealizzata, in un contesto tra lo statico e lo stucchevole. Poi con l’Olympia lo scenario muta. La donna diventa la vera protagonista del quadro, coinvolge lo spettatore: non solo ne attira lo sguardo, ma lo guida e lo domina. Insomma Manet sfida le convenzioni, suscita scandalo: e con ciò, fa la storia dell’arte. Édouard Manet, «Mademoiselle Claus» (1868) Anche quella britannica. Tra i dipinti esposti, Mademoiselle Claus, che conquistò il cuore del pittore John Singer Sargent, e un ritratto di Eva Gonzalès, discepola di Manet che, come il maestro, si rifiutò di esporre le proprie opere insieme agli artisti legati all’impressionismo: movimento nel quale entrambi, nonostante le affinità, non si riconoscevano. (gabriele nicolò) L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 25 febbraio 2015 pagina 5 La rivoluzione comunicativa di Papa Francesco Parole piccole per dire cose grandi Meditazioni di un monaco di Tibhirine Il frate che curava tutti di FERDINAND O CANCELLI io Dio, che hai permesso che io sia un medico, ti prego per tutti coloro che, per stanchezza, egoismo o vigliaccheria, non ho aiutato», annotava Fratel Luc a Tibhirine. Eppure, arrivando in certe giornate a fare anche più di cento visite nel suo piccolo ambulatorio sorto accanto al monastero di Notre Dame de l’Atlas, di corpi e di anime fratel Luc ne ha curati tanti, di ogni razza e credo religioso. Il ritratto che François Buet ci offre nel piccolo ma prezioso Fratel Luc, Monaco e medico di Tibhirine. 15 meditazioni (Milano, Gribaudi editore, 2015, pagine 112, euro 7) è quello di un monaco e di un uomo. Solo un monaco, un innamorato di Dio, poteva trarre da oltre quarant’anni trascorsi nel monastero di Tibhirine la forza per affrontare la fatica, la solitudine, a volte l’incomprensione di una vita completamente spesa per i fratelli. «Il più delle volte il medico è solo — scriveva fratel Luc — ha la certezza che resterà solo con il paziente che cura, solo con se stesso». Eppure da ogni pagina delle quindici meditazioni che il libro ci offre, l’impressione che si ricava è quella di un uomo che dalla vicinanza con il Signore ha saputo trarre tutta l’energia per farsi «orante tra gli oranti» fino al completo dono di sé in quella «duplice prosternazione», come la definiva Christian de Chergé, della preghiera e del servizio ai fratelli. «Che Allah ti guarisca», «che Allah versi sul tuo capo le sue benedizioni»: questo è stato ritrovato scritto in segno di riconoscenza sulle pareti di quel dispensario, questo è il frutto di quello «scavare il loro pozzo» per trovarvi «l’acqua di Dio» pur nella fatica di ogni giorno. «Aspettare, che cos’è? — annotava fratel Luc — Ciò che facciamo esiste per sempre. Dedicarsi ai nostri compiti umani come a compiti eterni. Aspettare è questo. Fare ciò che dobbiamo fare da uomini già risorti». E senza dubbio non è stata passiva l’attesa del martirio suo e degli altri sei confratelli rapiti il 27 marzo 1996 e uccisi in circostanze misteriose e da mani ancora ignote nelle settimane successive. Fratel Luc curava tutti: i fratelli della montagna, così i monaci chia- «M mavano i combattenti islamisti, i contadini e allevatori islamici dei paesi vicini e naturalmente i propri confratelli. Quando il 24 dicembre 1993 un gruppo del Gruppo islamico armato fece irruzione in monastero per beneficiare delle sue cure mediche, padre Christian «fece notare loro che era la notte di Natale, la festa del Principe della pace». Il capo rispose: «Ci scusi, non lo sapevamo» e se andò dopo avergli stretto la mano. Come non vedere in questo evento un frutto miracoloso di quella civiltà dell’amore che sgorgava come una sorgente anche dall’ambulatorio di Tibhirine? Come non vedere un segno delle tante ore passate davanti a Gesù eucaristia prima di curarlo nei fratelli? E nemmeno di fronte alla morte, tante volte incontrata come medico, fratel Luc ha esitato. «Ci si rimette senza apprensione nelle mani di un chirurgo — scriveva in un suo diario — e non ci si affiderebbe con una fiducia assoluta nelle mani di Dio?». François Buet riporta a questo proposito le parole di padre Christian de Chergé il quale raccontava che fratel Luc «contemplava ogni sera il tramonto del sole sull’Atlante e diceva, una volta tramontato il sole: “In fin dei conti aspetterò domani per partire”». È in una fedeltà giorno dopo giorno, scrive ancora Buet, che fratel Luc «si è preparato al suo tramonto personale», una fedeltà tutta monastica, «una promessa tranquilla del giorno a venire — per citare ancora padre Christian — e il segno vivo che esso è già iniziato nel dono di un bel tramonto». Il memoriale di Tibhirine di BRUNO FORTE onda di simpatia, suscitata da Papa Francesco nella Chiesa e nel mondo, è stata ed è oggetto di valutazioni diverse, perfino di un conflitto delle interpretazioni: c’è chi coglie nel messaggio di questo Papa e nell’entusiasmo che accende i segni di una rinnovata primavera della fede; c’è chi vede emergere nostalgie ingenue e rischiose di pauperismo evangelico; c’è chi riconosce L’ Una raccolta L’editrice La Scuola pubblica Buon pranzo! (Brescia, 2015, pagine 211, euro 12,50) raccolta ragionata delle riflessioni pronunciate da Papa Francesco durante gli Angelus domenicali. Pubblichiamo stralci dall’introduzione. nel consenso che diversi manifestano i rigurgiti di un mai sopito affetto antiromano, pronto a identificare nel vescovo di Roma, «venuto quasi dalla fine del mondo», soprattutto il promotore di una riforma radicale della macchina curiale. Personalmente mi sento in sintonia con chi legge nel pontificato di Francesco uno straordinario tempo di grazia e di speranza per tutti, in continuità con ciò che era stato preparato dalla riforma spirituale voluta da Benedetto XVI, anche se con caratteristiche differenti. Tre elementi mi sembrano entrare in gioco nel modo di essere e di comunicare di Papa Francesco, tali da fargli raggiungere ampiamente e in profondità il cuore di tutti: il linguaggio del suo stile di vita; la forza di un vocabolario nuovo; e la capacità di sorprendere. Papa Francesco parla anzitutto con la sincerità, la semplicità e la sobrietà del suo stile di vita. La sincerità di questo gesuita argentino, divenuto vescovo della Chiesa “che presiede nell’amore”, è per alcuni addirittura spiazzante: le sue dichiarazioni spontanee su temi delicati che riguardano la morale personale e sociale o il bisogno di riforma della Chiesa, non sono certamente frutto di calcolo interessato, e nemmeno di una strategia pastorale. Papa Francesco si mostra per quello che è e sempre è stato, senza star a misurare gli effetti di ciò che dice sul possibile ritorno d’immagine per sé o per la comunità cattolica. Non per questo, però, il suo agire e i suoi pronunciamenti possono considerarsi avventati: chi come lui da una vita si esercita nella disciplina spirituale e nel- sue omelie, specie quelle fatte a braccio, fossero state capaci di raggiungere le menti e i cuori, unendo la verità e l’amore, la chiarezza e la profondità dei contenuti. La sua risposta fu al tempo stesso disarmante e rivelatrice della sua umiltà: «Parlando in una lingua non mia, non avevo alcun merito a essere semplice, perché usavo le uniche parole che conosco: quelle semplici!». Per l’italiano di Francesco non è certo così, perché la nostra lingua è stata sua sin dall’infanzia (la lingua della nonna), insieme con l’amatissimo spagnolo porteño: il risultato, però, è analogo, perché — abituato da sempre a stare vicino ai poveri, spesso indifesi perché privi del prezioso possesso della parola — egli si è allenato a dire le cose grandi in modo umile e comprensibile a tutti. Va sottolineato che la semplicità comunicativa di Papa Francesco non avrebbe la forza che ha se non fosse abitata da quella sincerità e trasparenza di cui s’è detto prima: solo chi ama la verità e al tempo stesso ama la gente cui proporla è capace di coniugare i due amori in una comunicazione vera, illuminante e contagiosa. Proprio così, la semplicità di Bergoglio diventa un esempio e una scuola per tutti, specialmente per chi è abituato a parlare il “politichese”, capace di moltiplicare parole in maniera inversamente proporSi mostra per quello che è zionale ai contenuti di verità trasmessi. e che sempre è stato Infine, a colpire tutti Senza star a misurare gli effetti è la sobrietà di questo Papa: egli non solo non sul possibile ritorno d’immagine ha bisogno di grandi per sé o per la comunità cattolica mezzi e di forme appariscenti, ma rifugge con convinzione da tutto to il Papa argentino è la semplici- ciò che sembra esaltare il potere tà del suo comunicare: la prefe- secondo la logica di questo monrenza per il parlare a braccio, da do, per privilegiare ciò che dice lui tanto spesso dimostrata, non è carità, prossimità e servizio. Se la semplicismo, ma espressione del- decisione di vivere con altri nella la volontà di raggiungere coloro Domus Sanctae Marthae esprime cui si dirige in maniera al tempo per sua stessa ammissione il bisostesso diretta, essenziale e profon- gno di fraternità condivisa, l’uso da. Cor ad cor loquitur: questa di auto semplici, di stili di commassima, tanto cara al grande portamento “normali”, mette in teologo e cardinale inglese John luce la sua volontà di essere senHenry Newman, esprime bene tito come uno di noi, un compal’arco di fiamma che questo Papa gno di strada e un fratello in riesce a stabilire fra sé e chi lo umanità. Ciò nulla toglie al suo ascolta, facendo avvertire la vici- ruolo di paternità universale, ma nanza dei cuori nell’accoglienza e dà a questo un tocco di accessibinell’ascolto reciproci. Peraltro, la lità e di familiarità, che lo rende semplicità unita alla profondità vicino al cuore di tanti. Più in geera anche un grande merito della nerale, il suo desiderio di una comunicazione spirituale di Bene- Chiesa povera e amica dei poveri detto XVI: una volta ebbi modo non è solo voce della storia eccledi dire al Papa emerito quanto le siale di un intero continente, la meditazione della Parola di Dio e dei testi dei grandi Maestri della fede, non dice mai cose leggere o che non siano state a lungo “ruminate”, anche se sul momento possono apparire di sorprendente novità. La sincerità di Francesco è come la punta di un “iceberg”, che affiora rimandando a una profondità tutta da scandagliare. Così, ad esempio, la sua insistenza sullo sguardo di misericordia da avere verso tutti, anche e particolarmente verso chi è in situazioni problematiche rispetto alle norme canoniche o alla legge morale, non è che la traduzione del convincimento che lo sguardo di Dio si posa con tenerezza su queste persone e quello della Chiesa e dei suoi pastori non può né deve fare diversamente. Quel «chi sono io per giudicare?», da lui pronunciato in varie occasioni, non indebolisce la legge morale, ma la propone nell’unica ottica secondo cui essa risulta vera, efficace e credibile alla luce del Vangelo: quella dell’amore e della compassione misericordiosa e umile, due parole non a caso centrali in questa raccolta ragionata dei suoi discorsi pronunciati in occasione dell’Angelus. Proprio così, Papa Francesco ci interpella tutti sulla nostra sincerità, invitandoci a fidarci della promessa di Gesù, di cui lui tanto si fida: «La verità vi farà liberi» (Giovanni, 8, 32). E questo bisogno di verità, a giudicare dall’attenzione che suscita questo Papa, è evidentemente ben più vasto di quanto possa apparire a molti. Un secondo tratto che rende particolarmente accessibile e ama- quello latino-americano, dove il bisogno di giustizia sociale e di liberazione integrale della persona umana è vasto e profondo, ma è anche invito a tutti i fedeli a seguire e imitare il Figlio di Dio fatto uomo, che da ricco che era ha scelto di essere povero per dare a tutti la ricchezza della sua condizione divina. Anche la sobrietà è insomma un linguaggio, una via per farsi prossimo a tutti e abbattere le distanze che così facilmente le nostre paure creano verso chi ha responsabilità così grandi. E riscoprire la sobrietà è riserva preziosa in un tempo di crisi e di difficoltà economiche per tanti. Papa Francesco ama essere il parroco del mondo, non per smania di originalità, ma per amore del suo popolo e in obbedienza allo stile di vita e di azione del Maestro e Signore cui ha consegnato il cuore e la vita, il Signore Gesù. Proprio così, ciò che fa e dice ha sapore di Vangelo e fa intuire il potere di trasformazione e di salvezza per tutti delle parole pronunciate e vissute in prima persona dal Nazareno: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Luca, 6, 20). Ci vuole uniti Un nuovo titolo si aggiunge alla collana «Le parole di Papa Francesco», pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana: Gesù ci vuole uniti (Città del Vaticano, 2015, pagine 120, euro 8). Il volume contiene tra l’altro gli interventi del Pontefice dall’udienza generale del 3 dicembre 2014 (dedicata al viaggio apostolico in Turchia) e l’Angelus del 15 febbraio, pronunciato al termine della messa a San Pietro celebrata assieme ai nuovi cardinali e al Collegio cardinalizio. In un’opera di Giovanni Reale e Dario Antiseri Il secolo lungo (della filosofia) Se è vero che «tutti gli uomini e tutte le donne vivono immersi dentro idee e concezioni filosofiche» pur non essendo tutti filosofi, urgente è allora «venire a conoscenza di autori e movimenti di pensiero che rappresentano le fondamentali stazioni di arrivo e di nuove partenze che segnano il cammino della filosofia occidentale». Con un’attenzione particolare a «quella “storia degli effetti” consistente nelle idee di fondo, nei risultati e nelle controversie che innervano le correnti del pensiero filosofico contemporaneo» e nella certezza che la filosofia aiuta «gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno e non, paurosamente, nell’ombra», come ha scritto Isaiah Berlin. È da questa convinzione che muove un’opera appena uscita, al tempo stesso imponente e accessibile, che si propone di riassumere un secolo di pensiero (Giovanni Reale - Dario Antiseri, Cento anni di filosofia. Da Nietzsche ai nostri giorni, Brescia, Editrice La Scuola, 2015, Biblioteca 8, pagine 1518, con 100 figure fuori testo, euro 65). Scritta da due studiosi italiani che per lunghi anni hanno accompagnato il rigore speculativo a una non comune capacità divulgativa, l’opera è frutto postumo dell’infaticabile attività di Giovanni Reale. Allo storico della filosofia morto lo scorso 15 ottobre e che ha studiato soprattutto il pensiero antico — da Platone ad Aristotele, con importanti contributi generali pubblicati da Vita e Pensiero, Rusconi, Bompiani — proprio il 23 febbraio, a Milano la Scuola della Cattedrale ha dedicato un incontro, moderato da Armando Torno, a cui ha preso parte il più stretto collaboratore di Reale, Roberto Radice, con Mario Andreose ed Elisabetta Sgarbi. I cento anni condensati da Reale e Antiseri con efficace scorrevolezza — illustrati da cento immagini spesso originali (e il cui merito principale non è certo l’understatement degli autori, che vi ricorrono sette volte, peraltro quasi sempre in compagnia di altri filosofi) — sono in realtà un secolo lunghissimo, che si estende con intelligenza alle radici settecentesche e ottocentesche del pensiero contemporaneo. E la larghezza di concezione dell’opera si apprezza sin dall’inizio, dedicato al decisivo sviluppo delle scienze nell’O ttocen- Sigmund Freud, il primo in basso da sinistra, e Carl Gustav Jung, il terzo in basso, in una foto del 1909 to, e comprende, nei 54 fittissimi capitoli, economisti, biologi, fisici, linguisti e, ovviamente, teologi. Senza note, ma con un originale uso di sintesi a margine, un’ampia bibliografia (in italiano) e utili indici. (g.m.v.) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 25 febbraio 2015 Conclusa a Chambésy la seconda riunione della Commissione speciale interortodossa A piccoli passi verso il grande concilio L’imam di Al Azhar chiede di riformare i programmi educativi Fuori l’estremismo dalle scuole musulmane LA MECCA, 24. Riformare i programmi scolastici per contenere l’estremismo religioso: lo ha chiesto domenica scorsa l’imam di Al Azhar, Ahmad Al Tayyib, all’apertura di un seminario su islam e lotta al terrorismo in corso di svolgimento a La Mecca, in Arabia Saudita. Rivolgendosi ai rappresentanti dei Paesi musulmani, il responsabile della prestigiosa università sunnita (che ha sede al Cairo) ha sottolineato che l’estremismo religioso, favorito da povertà ed emarginazione, è il risultato di «un’accumulazione storica di tendenze fanatiche inerenti il patrimonio islamico, basate su interpretazioni erronee del Corano e della Sunna», ovvero delle parole e delle azioni del profeta Maometto. Secondo Al Tayyib, «fino a quando non riusciremo a dominare, nelle nostre scuole e università, questa tendenza ad accusare i musulmani di miscredenza, non ci sarà alcuna speranza per la nazione musulmana di riprendersi e ritrovare la sua unità, la sua fraternità e la capacità di svilupparsi in maniera civile». L’imam di Al Azhar ha poi denunciato «i gruppi terroristici che hanno scelto pratiche selvagge e barbare», facendo allusione al cosiddetto Stato islamico e alle violenze in Iraq, Siria e Libia. E ha inoltre legato l’estremismo a un complotto del «nuovo colonialismo mondiale» i cui autori si approfitterebbero delle tensioni confessionali che scuotono il mondo musulmano. Di qui la necessità — ha detto Al Tayyib — di un «controllo pedagogico» sui centri educativi delle nazioni a maggioranza musulmana proprio per contrastare il terrorismo e l’estremismo esercitati da alcuni gruppi radicali. I motivi che conducono questi ultimi a scegliere le vittime dei propri attentati sono diversi ma il primo, ha spiegato l’imam, è perché esse vengono considerate “eretiche” semplicemente per il fatto di aiutare i non musulmani a governare con norme che non derivano dalla sharia o dalla legge islamica. A La Mecca è intervenuto anche il re saudita Salman, il quale ha auspicato la creazione di «una strategia efficace che ci impegni a combattere il terrorismo, flagello che è il prodotto dell’ideologia estremista» dei gruppi islamici radicali. Questa ideologia — ha aggiunto — «rappresenta una minaccia per la nostra nazione islamica e per il mondo intero». Al seminario, che si conclude domani, partecipano ulema e rappresentanti religiosi. Al centro dell’incontro, le strategie per combattere l’ideologia degli islamici radicali. Non è certo la prima volta che l’imam di Al Azhar interviene pubblicamente per criticare con forza le violenze compiute in nome dell’islam. L’anno scorso, il 3 e 4 dicembre, l’università ha ospitato un’importante conferenza internazionale su estremismo e terrorismo. La dichiarazione finale è stata letta come un importante segnale di condanna delle violenze. «Assalire i cristiani e i credenti di altre fedi per falsa religiosità rappresenta un tradimento degli autentici insegnamenti dell’islam», si legge fra l’altro nel documento, articolato in dieci punti. Molteplici i riferimenti specifici ai cristiani del Vicino oriente e alle sofferenze a loro inflitte dai gruppi jihadisti. Condannata come criminale ogni azione te- sa a costringere all’esodo forzato i cristiani che vivono nelle aree controllate da gruppi di militanti islamisti. «Incoraggiamo i cristiani a rimanere radicati nelle loro terre d’origine, e a resistere a questa ondata di terrorismo che tutti noi stiamo soffrendo». Stato islamico e Al Nusra vengono definiti realtà «che non hanno nulla a che fare con l’islam», perché «terrorizzare chi è inerme, uccidere l’innocente, assaltare le proprietà e i luoghi sacri sono crimini contro l’umanità che l’islam condanna senza eccezioni». Antiochia, Patriarcato di Gerusalemme, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Georgia, Patriarcato di Serbia, Patriarcato di Romania, Patriarcato di Bulgaria, Chiesa ortodossa di Cipro, Chiesa ortodossa di Grecia, Chiesa ortodossa di Albania, Chiesa ortodossa di Polonia, Chiesa ortodossa delle Terre ceche e di Slovacchia. Il segretariato della commissione è costituito dal metropolita della Svizzera, Jeremia, dall’arcidiacono Ioannes Chrissavgis e da Blasius Fidas, del Patriarcato di Costantinopoli. L’organismo è stato creato su decisione dell’assemblea dei primati delle Chiese ortodosse locali svoltasi dal 6 al 9 marzo 2014 a Istanbul. Una prima riunione si è tenuta, sempre a Chambésy, vicino a Ginevra, dal 30 settembre al 3 ottobre 2014. Anche in quell’occasione la commissione ha riveduto le bozze di documenti del concilio che erano state stese nel 1986 dalla terza riunione preconciliare panortodossa, riguardanti le relazioni intercristiane, tenendo conto dei significativi cambiamenti che hanno avuto luogo negli ultimi decenni in un certo numero di denominazioni protestanti. Recentemente, durante un viaggio in Belgio, il patriarca ecumenico Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, ha confermato lo svol- gimento del grande concilio panortodosso per la Pentecoste del 2016 a Istanbul. Vi parteciperanno le quattordici Chiese ortodosse autocefale che si riconoscono fra loro come tali. Dovrebbero essere affrontati temi importanti quali l’autocefalia, il futuro della diaspora ortodossa, le relazioni con le altre Chiese cristiane, le questioni etiche e sociali, il calendario liturgico e il primato di Costantinopoli. Sarà un evento di portata storica. Fu l’allora patriarca di Costantinopoli, Atenagora, nel 1961, ad auspicare lo svolgimento di un grande concilio che riunisse tutto il mondo ortodosso. Nella sinassi dei primati tenutasi nel marzo dell’anno scorso al Phanar, è stato deciso di intensificare i lavori preparatori. «Una speciale Commissione interortodossa — si legge al punto 6 del documento finale — inizierà i suoi lavori dal settembre 2014 e li completerà per la Pasqua 2015. Seguirà una Conferenza panortodossa preconciliare per la prima metà del 2015. Tutte le decisioni sia durante il concilio, quanto nelle fasi preparatorie a esso, saranno prese per consenso». Il concilio «verrà convocato dal Patriarca ecumenico a Costantinopoli nell’anno 2016, a meno che non si verifichi qualcosa di imprevisto», e sarà presieduto dallo stesso Bartolomeo. Attivato dalla polizia a New Delhi un numero di emergenza contro gli attacchi anticristiani Migliora la sicurezza ma sui dalit è ancora buio NEW DELHI, 24. La polizia di New Delhi ha assicurato le autorità ecclesiastiche in India che è tutto pronto per il lancio di un numero telefonico di emergenza, operativo ventiquattr’ore su ventiquattro, e di una pagina di Facebook e di Twitter, dal titolo «Fratelli delle minoranze», per garantire la sicurezza delle istituzioni cristiane e di singoli individui in seguito a una serie di attacchi avvenuti di recente contro le istituzioni cristiane nella capitale. La decisione — riferisce l’agenzia Misna — arriva subito dopo che il capo della polizia della capitale indiana, Bhim Sain Bassi, è stato convocato dal primo ministro e dal Per la prima volta nella Repubblica islamica Tassate in Iran le fondazioni religiose TEHERAN, 24. Il Parlamento iraniano ha approvato nei giorni scorsi un articolo della legge finanziaria che tassa, per la prima volta nella Repubblica islamica, i redditi delle principali fondazioni religiose, cosiddette “Bonyads”, oltre a quelli prodotti dalle società legate alle forze armate. Lo ha annunciato l’agenzia di stampa ufficiale Irna. Il Governo iraniano conta così di aumentare una parte di imposte e di tasse nella finanziaria per CHAMBÉSY, 24. Si è conclusa nei giorni scorsi al Centro ortodosso del Patriarcato di Costantinopoli a Chambésy, in Svizzera, la seconda seduta della Commissione speciale interortodossa per la preparazione del «santo e grande concilio» della Chiesa ortodossa, previsto per la Pentecoste del 2016 a Istanbul. La commissione — riferisce un comunicato diffuso sul sito in rete del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca — ha completato fra l’altro la stesura della parte essenziale del documento intitolato «Il contributo della Chiesa ortodossa al trionfo della pace, della giustizia, della libertà, della fratellanza e dell’amore tra i popoli e all’eliminazione di discriminazioni razziali e altre». È stata inoltre stabilita la procedura del lavoro ancora necessario per la revisione di tale documento (adottato nel 1986 dalla terza conferenza preconciliare panortodossa) e la redazione degli altri progetti delle decisioni conciliari. La Commissione speciale interortodossa tornerà a riunirsi fra marzo e aprile. All’incontro, svoltosi sotto la presidenza del metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, hanno partecipato le delegazioni di quattordici Chiese locali ortodosse: Patriarcato di Costantinopoli, Patriarcato di Alessandria, Patriarcato di il prossimo anno fiscale (21 marzo 2015 — 20 marzo 2016) a compensazione dei proventi legati ai redditi petroliferi, visto che il prezzo del greggio è crollato dal giugno scorso. Il testo, che deve ancora ricevere l’avallo della guida suprema e massima autorità dello Stato iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, obbliga tutte le fondazioni religiose e le società legate al settore militare a pagare le tasse già da quest’anno. Alla tassazione delle fondazioni religiose, che sono finanziate attraverso le donazioni fatte dai privati, si era cominciato a pensare già nel 2002, quando lo stesso ayatollah Khamenei, a sorpresa, si era detto d’accordo con la proposta avanzata da alcuni riformatori, ma a condizione che le maggiori risorse a disposizione dell’erario fossero utilizzate per erogare i servizi, soprattutto nei settori educativo e dell’assistenza medico-sanitaria, nel caso in cui le stesse organizzazioni religiose non fossero più in grado di fornirli. Se dovesse essere approvato il testo, quindi, i proventi delle attività di migliaia di organismi e di associazioni religiose saranno sottoposti a tassazione ordinaria, applicando in pratica la stessa aliquota, variabile dal 15 al 25 per cento, che grava sulle altre imprese e sulle aziende. La fondazione Astan Qods Razavi e quella dedicata all’«Esecuzione degli ordini dell’imam Khomeiny» (Eiko) sono le due maggiormente colpite da questo nuovo articolo di legge. La prima, in particolare, gestisce il mausoleo dell’imam Reza, l’ottavo imam sciita della città santa di Machhad, nel nord-est del Paese, dove milioni di fedeli si recano ogni anno in pellegrinaggio. Le tasse prelevate potrebbero rappresentare ogni anno circa diecimila miliardi di reali (più di trecentocinquanta milioni di dollari statunitensi), come aveva evidenziato lo scorso dicembre Mousalreza Servati, membro della commissione parlamentare per il Bilancio. ministro dell’interno. I membri della comunità cristiana hanno accolto con favore gli ultimi sforzi compiuti dalla polizia, ma allo stesso tempo chiedono che le forze dell’ordine siano più sensibili alle denunce presentate dalle comunità minoritarie. «Mentre accogliamo con favore le misure proposte per impedire il ripetersi di attacchi contro chiese e istituzioni cristiane — ha dichiarato Jenis V. Francis, presidente della Federazione delle associazioni cattoliche in India — ciò che è davvero preoccupante sono i dati resi noti dal capo della polizia di New Delhi. Bassi ha detto che, nel 2014, oltre ai casi riguardanti chiese e scuole cristiane, ben 206 templi indù, trenta templi sikh e quattordici moschee sono state attaccate e sottoposte a furti o vandalismi. Tutto questo — ha aggiunto — porta a pensare che siamo davanti a una questione seria di diritti violati e di comunità ferite nei loro sentimenti religiosi. Speriamo sinceramente che nessuna comunità debba in futuro subire attacchi del genere e ottenga la sicurezza e la libertà di poter praticare la propria fede in pace». Nei giorni scorsi, la Chiesa cattolica ha anche chiesto al Governo di eliminare le discriminazioni legalizzate ancora esistenti a carico dei dalit cristiani. Secondo l’arcivescovo di Delhi, monsignor Anil Joseph Thomas Couto, è giunto il momento di «reintrodurre a beneficio dei dalit cristiani le disposizioni negate per sei decenni, di cui invece godono i dalit indù. Si tratta — ha spiegato il presule — di un chiaro caso di ingiusta discriminazione, e su base religiosa, che non può esistere in una nazione laica». L’arcivescovo si riferisce in particolare all’Ordine presidenziale del 1950, che dispone speciali garanzie nel campo dell’istruzione, del lavoro e dei servizi sociali per promuovere l’emancipazione e lo sviluppo dei dalit, ma riservandole solo ai dalit di religione indù. La richiesta — riferisce l’agenzia Fides — è stata ribadita dal cardinale George Alencherry, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi. Da diversi decenni, gruppi cristiani hanno condotto una campagna per porre fine a questa “discriminazione di Stato”, ma fino a oggi i Governi indiani che si sono susseguiti non hanno adottato alcun provvedimento. In diverse occasioni, i presuli indiani si sono spesso focalizzati sull’accesso ai diritti e sulla pari dignità per le minoranze religiose e sui dalit. Secondo la tradizione induista, i dalit sono coloro che “non nacquero da Dio” e sono fuori dal sistema castale, che include invece bramini, guerrieri, mercanti, contadini. Molti dalit si convertono alla fede cristiana anche perché nell’annuncio del Vangelo ritrovano la loro dignità di figli di Dio. I dalit cattolici in India costituiscono oltre il sessanta per cento della comunità dei cattolici, circa diciassette milioni di fedeli in tutto. † La Segreteria di Stato comunica che è deceduta la Signora TERESA MONTANI madre di P. Luigi Martignani, Officiale della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. I Superiori e i Colleghi partecipano al suo dolore e a quello dei suoi Familiari, assicurando loro vicinanza spirituale e ricordo nella preghiera. † Grazia e Roberto Rizzo, con Giuseppe Mauro, Adele Marina e Maria Cristina partecipano con fraterno affetto al dolore di S. E. Mons. Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia, per la dipartita dell’amato padre Signor ALBERT GÄNSWEIN Si uniscono nella preghiera a tutta la Sua cara famiglia. Torre del Greco, 23 febbraio 2015 L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 25 febbraio 2015 pagina 7 Documento dell’Assemblea dell’episcopato cattolico del Québec Coraggio contro la corruzione QUÉBEC, 24. «Qualunque siano i regolamenti e le leggi che verranno stabiliti, la corruzione resterà sempre una minaccia per il tessuto sociale e una tentazione per ciascuno di noi». Lo scrive il consiglio «Chiesa e società» dell’Assemblea dei vescovi cattolici del Québec in un documento intitolato Une réflexion sur la corruption. Dans l’attente du rapport de la Commission Charbonneau. Il documento è stato diffuso mentre nella provincia canadese del Québec si attende la pubblicazione del rapporto finale di una speciale commissione d’inchiesta istituita dal Governo locale nel novembre 2011 per fare luce su episodi di corruzione e sulla presunta collusione nel settore delle costruzioni fra criminalità organizzata e partiti politici. I vescovi scrivono che la commissione Charbonneau fornirà, sulla base del lavoro compiuto, «un certo numero di raccomandazioni che verranno sottoposte al Governo. Il modo peggiore di riceverle sarebbe considerare come d’ora in poi regolato il problema della corruzione e di voltare pagina». Invece «l’indi- gnazione da noi provata di fronte ad alcune pratiche di corruzione deve stimolare il nostro senso di responsabilità e chiarire i nostri comportamenti». In proposito l’organismo episcopale cita il discorso pronunciato da Papa Francesco il 21 marzo 2014 nella parrocchia romana di San Gregorio VII, davanti ai partecipanti all’incontro promosso dall’associazione Libera: «Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza, ed è questa: che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione, in ogni parte del mondo. E questo deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare, risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi, e prenda il posto dell’inequità». Tutti — concludono i vescovi cattolici del Québec — «dobbiamo fare la nostra parte nella costruzione di una società solidale dove gli interessi particolari non attentino al bene di tutti e dove la ricerca del profitto personale non indebolisca il nostro senso di responsabilità». Per resistere alla corruzione, il senso di giustizia e di condivisione non bastano. «Occorre coraggio — si legge — soprattutto quando ci si trova in una situazione corruttrice come quella» affrontata dalla commissione Charbonneau. «Denunciare un comportamento quando tutti gli altri lo considerano ammissibile, rompere il silenzio complice, tutto questo non è facile perché sono possibili ritorsioni. È per questo che ammiriamo tanto quelle persone che nel mondo politico o nei centri di affari hanno denunciato situazioni di corruzione o che hanno trascorso la propria vita senza lasciarsi corrompere da una bustarella. Si loda la loro integrità e si ha spontaneamente fiducia in loro. Bisognerebbe ricordarle l’un l’altro per riaffermare le nostre convinzioni». Il documento — firmato tra gli altri dal presidente del consiglio «Chiesa e società», Pierre Morissette, vescovo di Saint-Jérôme — si conclude con un questionario di approfondimento sulla corruzione sul quale riflettere nelle parrocchie e nelle comunità religiose. Messaggio del cardinale panamense Lacunza Maestrojuán Di più per i poveri ATALAYA, 24. «C’è una realtà che nuoce, che fa male: la corruzione, il furto. Non possiamo accettare di vedere derubati i più poveri, coloro che non hanno niente. Il 30 per cento della nostra popolazione vive in condizioni di estrema povertà; non solo, molti cittadini sono anche privati della pubblica istruzione, non hanno accesso ai servizi sanitari. Questo non si può accettare». Si è rivolto a tutta la popolazione panamense il neo cardinale José Luis Lacunza Maestrojuán, vescovo di David, partecipando, domenica scorsa, alla festa del Nazareno di Atalaya, forse la più sentita festa cattolica del Paese (si calcola che solo domenica circa 500.000 fedeli si siano recati a venerare la sacra immagine). Il porporato, su richiesta del vescovo di Santiago de Veraguas, Audilio Aguilar Aguilar, ha presieduto la concelebrazione eucaristica nella basilica di San Michele Arcangelo. «La responsabilità è grande, devo essere un canale fra il popolo e il cuore della Chiesa», ha detto all’inizio della messa. Come riferisce l’agenzia Fides, durante l’omelia un bambino ha gridato: «Non c’è l’acqua». Lacunza Maestrojuán, guardandolo, ha domandato: «E perché non c’è l’acqua?». Quindi una signora anziana ha aggiunto: «Non ci sono medicine». E il cardinale, volgendo lo sguardo verso la prima fila dei presenti, ha commentato: «Allora vuol dire che tutti dobbiamo lavorare sul serio qui». In prima fila si trovava anche il presidente della Repubblica e capo del Governo, Juan Carlos Varela, insieme ad altre autorità del Paese. Il porporato ha concelebrato assieme, fra gli altri, al nunzio apostolico in Panamá, arcivescovo Andrés Carrascosa Coso, e al presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo di Panamá, José Domingo Ulloa Mendieta. «Questa è una festa di figli e figlie di Dio, per rinnovare il nostro impegno a essere fratelli e sorelle», ha affermato il neo cardinale, esortando la gente a essere di aiuto, soprattutto con i poveri. «La corruzione, la frode, la malversazione, l’uso improprio dei beni dello Stato sono un modo per rubare ai più diseredati. Se siete venuti ad Atalaya per vedere un cardinale, avete sprecato il vostro tempo», ha poi aggiunto Lacunza Maestrojuán ricordando che l’importanza di quel giorno, prima do- In Zimbabwe Lettera pastorale del vescovo di Port-Louis La Chiesa accanto a malati e deboli Sostegno e maggiore tutela economica alle famiglie HARARE, 24. Una Quaresima all’insegna di una speciale attenzione ai malati e alle persone più deboli. È quanto chiede monsignor Robert Christopher Ndlovu, arcivescovo di Harare, in una lettera pastorale ai fedeli dello Zimbabwe in occasione della Quaresima. «La situazione dei malati nel nostro Paese — scrive il presule — è ben conosciuta, e la loro condizione è sentita personalmente da tutti noi». Monsignor Ndlovu — riferisce Fides — ricorda come per la Chiesa fin dall’inizio dell’attività missionaria, la cura della salute è stato un aspetto importante e una preoccupazione speciale della sua attività pastorale. «In ogni missione c’era una farmacia, un dispensario, una clinica o un ospedale. I nostri sacerdoti, religiosi e religiose, si sono prodigati instancabilmente nel fondare, costruire, gestire e sviluppare questi centri sanitari. La Chiesa — aggiunge — eccelle nell’educare, formare e sostenere il personale sanitario. La nostra risposta alla pandemia dell’Hiv/Aids, nel prendersi cura dei malati e dei sieropositivi, nell’aiutare gli orfani e i bambini vulnerabili, nelle attività di prevenzione, nel contributo alla ricerca, non è seconda a nessuna. Gli ospedali missionari sono un faro luminoso, e il nostro personale e gli operatori pastorali sono il volto umano della compassione di Dio, tanto necessaria ai malati». Per questo il presule ha invitato i fedeli a una colletta quaresimale a favore del sistema sanitario della Chiesa. PORT LOUIS, 24. La pace sociale dipende dalla buona salute delle nostre famiglie: questo il messaggio centrale della lettera pastorale di monsignor Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, nelle Isole Mauritius, diffusa in occasione della Quaresima. Intitolato «Famiglie, Dio vi ama», il documento — riferisce Radio vaticana — si sofferma, nella prima parte, sulle diverse situazioni che indeboliscono la vita familiare, provocando numerose sofferenze sia a livello individuale che sociale. «La mancanza di attenzioni e di tempo per il coniuge e i figli — scrive il presule — causa grandi disagi che, spesso, rimangono nascosti». Allo stesso modo, continua monsignor Piat, «le tensioni tra genitori e figli provocano ferite difficili da sanare. E le separazioni, i divorzi, le seconde nozze lasciano molto spesso brucianti cicatrici sia nei coniugi che nei loro figli». Tutto questo, sottolinea il presule, porta a «situazioni dolorose come quelle delle donne abbandonate che restano da sole a portare il peso dell’educazione dei propri figli, o quelle degli uomini che rimangono smarriti di fronte al fallimento della vita. Non si possono poi ignorare — prosegue il vescovo di Port-Louis — tutti quei fattori esterni che influenzano molto spesso la vita familiare, come un contesto economico in cui si riscontrano carovita, precariato, orari di lavoro massacranti. In queste condizioni, dunque — è il richiamo del presule — alcune famiglie non riescono più a offrire ai loro figli la stabilità necessaria per uno sviluppo umano equilibrato». E guardando alle tante sofferenze non esternate dalle famiglie per paura di essere giudicate o anche respinte, monsignor Piat esorta tutti ad assumere «un atteggiamento di ascolto e vicinanza, non di giudizio o di critica nei confronti di chi si trova in difficoltà. Ascolto e vicinanza, infatti — spiega il vescovo — pos- sono aprire le porte a un dialogo fiducioso, capace di portare le persone su un cammino di verità e di vita». Nella lettera, monsignor Piat ribadisce, inoltre, che «le parrocchie, i sacerdoti, i religiosi e i laici hanno un ruolo-chiave nel sostenere la famiglia. Per questo — insiste il presu- le — è necessario che la missione ecclesiale si concentri soprattutto sull’accompagnamento dei sofferenti, anche per chiarire quel “terribile malinteso” che porta molti fedeli a percepire la Chiesa solo come un insieme di regole e di divieti che, se non accettati, fanno sentire emarginati. È necessario, allora — suggerisce monsignor Piat — che la Chiesa rimetta in discussione il suo modo di presentare il Vangelo, la Buona Novella, alle famiglie, così da essere pronta a uscire da se stessa per raggiungere le persone nelle loro realtà concrete, facendosi prossima a esse, ascoltandole. Tanto più che — continua il vescovo di Port-Louis — il buon pastore non è là per giudicare e decretare chi è in regola e chi no». Nell’ultima parte, poi, la lettera pastorale di monsignor Piat si rivolge anche alle autorità civili dell’isola, chiedendo loro di «considerare la famiglia come la risorsa più preziosa del Paese, facendo del suo sviluppo umano integrale una priorità di ogni programma economico e sociale». Infatti, secondo il vescovo di Port-Louis, i valori fondamentali della società, come il rispetto della vita umana, il servizio verso gli altri, l’aiuto e l’accoglienza nei confronti di tutti i componenti della società si imparano innanzitutto in famiglia. «La pace sociale dipende dalla buona salute delle famiglie. Per questo motivo, spetta allo Stato — conclude la lettera del vescovo — formulare e attuare una politica di sostegno ai nuclei familiari, mentre la Chiesa cattolica farà la sua parte dialogando e collaborando con le istituzioni statali». menica di Quaresima, è «onorare il Nazareno» e «rinnovare il nostro impegno di vivere in fraternità, nella solidarietà, nella vicinanza e nell’unione». Da qui l’invito a non essere indifferenti, ad aprirsi ai bisogni degli altri, a «globalizzare la solidarietà» in direzione dei meno abbienti. Essere capaci di entrare in relazione con gli altri, di intessere veri rapporti umani, ha poi detto, «non significa uniformarsi. Abbiamo diritto alle differenze». Ma «in questo tempo di quaresima ci si chiede di esercitare un’opera di misericordia. Siamo quindi più generosi con i nostri fratelli». Campagna di Fraternità La missione di ogni cristiano BRASILIA, 24. Con l’intento di ricordare la vocazione e la missione di ogni cristiano e delle comunità di fede, caratterizzate dal dialogo, e la collaborazione tra Chiesa e società, indicata dal concilio Vaticano II, è iniziata, mercoledì scorso, in Brasile la campagna di Fraternità 2015 sul tema: «Fraternità: Chiesa e società» e lo slogan «Sono venuto per servire». La cerimonia di apertura è stata trasmessa da tutte le emittenti radio di ispirazione cattolica: Rede Vida, Nazaré, Aparecida, Evangelizar, Horizonte, Século 21 e Canção Nova. «La campagna — ha sottolineato il vescovo ausiliare di Brasília, monsignor Leonardo Ulrich Steiner — intende fare memoria del cammino percorso dalla Chiesa cattolica con la società per identificare e comprendere le principali sfide dell’attualità; illustrare i valori spirituali del Regno di Dio e la dottrina sociale della Chiesa; indicare le questioni difficili nell’evangelizzazione della società e stabilire parametri e indicatori per l’attività pastorale. Inoltre — ha aggiunto il presule — approfondire la comprensione della dignità umana, l’integrità della creazione, della cultura della pace, dello spirito e del dialogo interreligioso e interculturale, per superare i rapporti inumani e violenti». Durante la cerimonia di apertura è stato diffuso il messaggio inviato da Papa Francesco «La campagna — ha concluso il vescovo ausiliare — propone di cercare nuovi metodi, atteggiamenti e linguaggi nella missione della Chiesa e di portare la buona novella a ogni persona, ogni famiglia. Nonché, agire profeticamente, secondo l’opzione preferenziale evangelica per i poveri, per uno sviluppo umano integrale e la costruzione di una società giusta e solidale». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 25 febbraio 2015 «Il profeta Elia» (icona melchita del XVIII secolo, Libano) Gli esercizi spirituali della Curia romana Giù la maschera Per intraprendere un corretto cammino quaresimale di conversione occorre innanzitutto riscoprire la «verità più profonda di noi stessi, uscire allo scoperto» e «toglierci ogni maschera, ogni ambiguità». Con questo forte richiamo a riprendere con sincerità in mano la propria storia il carmelitano Bruno Secondin ha concluso, nella meditazione pomeridiana di lunedì 23 febbraio, la riflessione della seconda giornata degli esercizi spirituali quaresimali in corso ad Ariccia per il Papa e la Curia romana. Seguendo l’esperienza di Elia descritta dalle Scritture, il predicatore ha messo a confronto la «clandestinità» dalla quale il profeta venne chiamato dal Signore a uscire, con quella clandestinità nella quale spesso ci si nasconde e che molte volte viene mascherata da una religiosità solo esteriore, priva del coraggio della verità. Base della riflessione del predicatore è stato il capitolo 18 del primo libro dei Re, con il popolo d’Israele e il re Acab fiaccati dalla lunga carestia provocata dal culto idolatrico a Baal e con Elia chiamato dal Signore a presentarsi ad Acab per ricondurlo sulla retta via. Non è stata una lettura continuativa ma un richiamare scene, personaggi che possono illuminare la meditazione personale e diventare per ognuno provocazioni, richiami, suggerimenti. Filo conduttore è stato l’«uscire allo scoperto», il liberarsi dalle «ambiguità» e avere il «coraggio» di una vita autenticamente cristiana. Il primo a essere chiamato a uscire dalla clandestinità è proprio Elia: «Va’ a presentarti ad Acab» gli dice il Signore. Elia, l’inafferrabile, il mitico profeta che può sparire da un momento all’altro, deve rivelarsi e affrontare il rischio di incontrare il re che lo vede come un nemico. È una provocazione per quanti nella Chiesa invece fanno sempre i loro calcoli, rimandano continuamente, sono «vittime delle parole e delle diplomazie» e «si tirano indietro». Invece per il cristiano «ci sono sempre nuove avventure» alla quali non ci si può sottrarre «con la scusa delle minacce di un Acab di turno» o perché condizionati da miti, da pregiudizi sulle persone, dalle convenienze delle «amicizie e delle cordate». Un altro personaggio che viene chiamato a uscire allo scoperto è Abdia, il maggiordomo di Acab inviato dal re per contattare Elia. Abdia è il rappresentante di una coscienza lacerata che non dimentica di appartenere a una tradizione diversa ma, al tempo stesso, «non rinuncia ai vantaggi del potere». È come tanti anche oggi: impaurito nonostante la spinta interiore che lo richiama alla difesa della verità. Anche a lui, e non solo al popolo — ecco il successivo personaggio — Elia rivolge il forte richiamo: «Fino a quando salterete da una parte all’altra?». È come se, ha ricordato padre Secondin, a loro e a tutti anche oggi il profeta intimasse: «Finitela con questa sceneggiata!». E a questo punto appare una realtà molto dura: il popolo tace, non risponde: «il sistema ha ucciso la sua coscienza». Quante volte, ancora adesso, ha commentato il predicatore, «i regimi, i sistemi dissanguano i popoli»; quante volte restiamo «spettatori impauriti» davanti a guerre fatte per procura; e, per restare nell’ambito della vita religiosa, quante volte ci lasciamo affascinare da «apparati elefantiaci, mega cattedrali, mega complessi», da una metodologia che si lascia guidare dalla gloria e dimentica i poveri. Ecco allora che Elia convoca il popolo e lo provoca a un’ordalia, a una prova del fuoco che metta a confronto la presunta potenza di Baal con quella del Signore d’Israele. E il popolo viene attirato da questa forma di “religiosità spettacolare”, cosa che purtroppo accade anche oggi quando la fede «viene misurata con le statistiche» e si risolve in «manifestazioni in cui non si sa se si è di fronte a happening o a fede vera». Ma, ha fatto notare il carmelitano, è importante il gesto del profeta che «si avvicina al popolo per coinvolgerlo». Un concetto ripreso anche nella prima meditazione di martedì 24: «Abbiamo il coraggio di coinvolgere il popolo, o facciamo il giro delle sette chiese prima di interpellarlo?». È quindi uno spunto per riflettere su certe scelte della Chiesa del nostro tempo: «Trattiamo le cose importanti tra pochi intimi o sappiamo avere una strategia di visibilità che spiazza il sistema?». Quanta sofferenza, ad esempio, «ci hanno provocato certi temi sensibili», ha detto padre Secondin, che ha aggiunto: «Non dobbiamo nascondere i nostri scandali» ed è importante che «le vittime dell’ingiustizia siano portate a guarigione con la nostra umiltà di riconoscere gli errori». Il riconoscimento delle colpe della Chiesa è emerso anche in riferimento a un altro episodio. Prendendo spunto dal terribile gesto di Elia che fa giustiziare i profeti di Baal, il predicatore ha infatti invitato a ricordare come la Chiesa nella sua storia è stata capace di atti violenti. «Anche noi abbiamo bruciato persone, abbiamo ammazzato» ha detto. E ha sottolineato che oggi tanta violenza può esprimersi sotto altre forme, «anche senza la spada», utilizzando ad esempio la for- za dirompente della lingua e persino i nuovi mezzi di comunicazione: «A volte anche la tastiera ne uccide più della spada!». È questo uno degli aspetti che il carmelitano ha messo in evidenza nella giornata in cui, proseguendo nella lettura della vicenda di Elia, è passato ad analizzare un altro atteggiamento necessario alla conversione: dopo il coraggio di uscire allo scoperto, di dirsi la verità su se stessi, di gettare la maschera che anestetizza le nostre coscienze, viene la necessità di incamminarsi su «sentieri di libertà» e di eliminare quegli atteggiamenti che ci fanno «oscillare da una parte all’altra» e di lasciare spazio a Dio. Vedendo come Elia sbeffeggia la ritualità violenta e scenografica che il popolo d’Israele utilizza per invocare Baal, padre Secondin ha accennato a un certo culto «chiassoso, superstizioso» che ancora adesso si incontra e che «non edifica la vera fede». Quali sono — si è chiesto — i nostri idoli? L’elenco è lungo: «orgoglio, ambizione, cultura, carriera». Ma, e qui giunge il passo in avanti, non possiamo dubitare della misericordia di Dio. La risposta di Dio è il fuoco, «la misericordia che tutto prosciuga, tutto trasforma». Per questo Elia ricostruisce un altare con le dodici pietre che ricordano le dodici tribù d’Israele: vuole richiamare tutti a un’identità. E se anche il popolo è refrattario a tornare sui suoi passi, ciò non mette paura a Dio, perché egli «rimane fedele e disponibile». Dio è sempre «un abbraccio di misericordia». E allora, ha detto il predicatore, bisogna «prendere per mano il risveglio della coscienza della gente», utilizzare — come è stato capace di fare Elia — strategie intelligenti e la forza del linguaggio dei simboli. Per fare questo, però, occorre prima di tutto chiedersi: «Il nostro cuore appartiene realmente al Signore» o ci accontentiamo di atteggiamenti esteriori? «La nostra preghiera è audace e invoca il bene del popolo?». È «cadenzata da un senso ecclesiale?». Sentiamo l’urgenza di vivere esperienze forti, straordinarie, che lasciano il segno, o ci accontentiamo? di MANUEL NIN Il corpus innografico di sant’Efrem il Siro contiene numerose strofe con riferimenti al profeta Elia, a partire dalla sua vita e dagli eventi miracolosi che l’hanno segnata fino alla sua ascensione in cielo. Efrem presenta Elia come uomo dell’ascesi, del digiuno, della preghiera, profeta che prefigura Cristo stesso dalla sua incarnazione, e la sua ascensione in cielo. Lungo la sua vita Elia diventa il prototipo di Cristo: «Il Signore fece dell’aria come il proprio carro, e il suo corpo fu per esso come il cocchiere. Come un carro l’aria farà volare i giusti incontro al suo Signore. Discese un carro su Elia: si librava scendendo senza cocchiere. Cavalli di fuoco vi erano aggiogati, che erano a se stessi anche cocchieri. E anche di quel carro dei cherubini il cocchiere è il silenzio invisibile». Efrem collega il carro di Elia col carro dei cherubini della visione di Ezechiele, fino all’ascensione «silente» di Cristo in cielo. Con un’esegesi chiaramente cristologica, l’ascensione di Elia è vista da Efrem in rapporto all’incarnazione e ascensione di Cristo: «Elia fendette l’aria con il suo carro. I vigilanti gli si affrettarono incontro vedendo per la prima volta un corpo nelle loro dimore. E come il terrestre [Elia] salì con un carro, vestito di splendore, così il Signore discese con bontà, vestendo un corpo. Cavalcò le nubi e salì, avendo preso a regnare in alto e in basso». Elia inoltre è presentato da Efrem come modello di vita verginale. La sua verginità diventa la chiave di tutta la sua vita come profeta e taumaturgo, e anche la porta del suo ingresso in paradiso: «Poiché Elia aveva represso le passioni del corpo, poté togliere la pioggia agli adulteri. Poiché non lo dominava il fuoco segreto della passione corporale, gli obbedì il fuoco dall’alto. E poiché aveva vinto sulla terra la passione carnale, se ne salì là dove dimora in pace la santità». La tradizione monastica siriaca posteriore a Efrem, si servirà della figura di Elia come modello di verginità, di monaci e monache. In uno degli inni sulla città Nisibi, Efrem fa la lode dei diversi vescovi da lui conosciuti e, cantando la figura del ve- Elia nell’innografia quaresimale e pasquale di Efrem il Siro Per poter salire a vederlo in cielo scovo Abramo, presenta Elia ed Eliseo che diventano modelli per il vescovo stesso: «La tua castità, come quella di Eliseo; la tua verginità, quella di Elia; fedele al patto come Giobbe; compassionevole come Davide; la tua dolcezza, quella degli apostoli». La verginità di Elia lo porta corpo e anima in paradiso. Ancora in due strofe degli inni su Nisibi, troviamo riassunta tutta la sua antropologia: «L’ascensione di Elia istruisce i credenti: tutti e due, corpo e anima, sono saliti sul carro, verso la dimora di lassù. Elia non si è spogliato dal corpo gettandolo da qualche parte. È salito in alto anche col corpo che era stato santificato. Il mantello di Elia, invece, da cui si è separato ci mostra che era qualcosa di provvisorio. Rapito col corpo ci fa vedere che questa è la vera veste che accompagnerà coloro che ne sono rivestiti. Il mantello si stacca e cade, il corpo vola e si innalza». L’antropologia di Efrem in questi versetti presenta il corpo del profeta e dei battezzati come una realtà salvata e redenta da Cristo nella sua incarnazione. Elia inoltre precede Cristo nel suo innalzarsi in paradiso, ma sempre come suo modello (týpos) e figura: «Lode a te, che sei il primo, nella tua divinità e nella tua umanità! Benché Elia salì per primo, non era prima di colui da cui fu innalzato». Per Efrem il profeta Elia è la figura veterotestamentaria che più chiaramente è modello di Cristo nella sua risurrezione e ascensione al cielo; la sua stessa vita è presentata come una ricerca e un desiderio della visione del Figlio di Dio; la sua ascesa in cielo è un incontro col Signore: «Lui Elia bramava, e poiché non vide il Figlio sulla terra, credette e continuò a purificarsi per poter salire a vederlo in cielo. Essi rappresentarono il simbolo della sua venuta. Mosè fu tipo dei morti ed Elia tipo dei vivi, che voleranno incontro a lui nella sua venuta». E sempre prendendo Elia come tipo e modello, Efrem accosta il paradiso alla Chiesa dei redenti: «Elia è stato portato a questo giardino della vita e i perfetti hanno bisogno di questo giardino, dove si trova l’albero della vita, simbolo del Figlio di Do vivente. Elia doveva entrare in paradiso, lui che a misura che cresceva, si faceva umile». Il miracolo di Elia con la farina e l’olio della vedova diventa figura della misericordia del Signore verso la sua Chiesa: «L’olio che aveva moltiplicato Elia era nutrimento per la bocca; il corno della vedova, infatti, non era quello dell’unzione. L’olio del nostro Signore nel corno non è cibo per la bocca: del peccatore, esternamente lupo, fa un agnello del gregge. L’olio del mite e dell’umile trasforma i duri, facendoli simili al suo Signore. I popoli erano lupi e temevano il duro bastone di Mosè. Ecco, l’olio segna e fa dei lupi un regge di pecore». I riferimenti efremiani all’olio in questa e in altre strofe vanno visti chiaramente in un contesto battesimale. L’acqua e l’olio mescolati nel battesimo diventano per Efrem sacramento della misericordia di Dio: «La veemenza di Dio, che non potevano sostenere né Mosè né Elia né i cherubini che si nascondono il volto, l’ha mitigata la misericordia, mescolandosi con acqua e olio, affinché la debole umanità potesse stare di fronte a lui, avvoltasi con acqua e olio». L’esegesi in chiave simbolica e cristologica che Efrem fa dei testi profetici veterotestamentari è ben palese in diversi passi degli inni sulla Pasqua del poeta siriaco: «La pietra che Daniele aveva visto riempì di sé tutta la terra. La nube che Elia aveva visto si allargò e divenne modello del Vangelo che si dispiegò e si distese su tutti i popoli. Cosparse i suoi flutti copiosi e gocce capaci di placare la sete dei popoli. Benedetto colui che è servito in ogni luogo!». A colloquio con il patriarca di Lisbona Periferia d’occidente di ROSA BERNARD O DE PINHO «Un motivo per stare sempre più vicino a Francesco e al suo ministero»: così il cardinale patriarca di Lisbona, Manuel José Macário do Nascimento Clemente, legge il significato della porpora ricevuta dal Papa durante il concistoro del 14 febbraio scorso. Quarto cardinale portoghese del XXI secolo e quarantottesimo della storia, il patriarca confessa di aver accolto la nomina cardinalizia «con semplicità» ma anche «con qualche sorpresa». E si dice convinto che gli appelli alla solidarietà e alla misericordia contenuti nella Evangelii gaudium debbano orientare lo stile della Chiesa portoghese. Una convinzione espressa a più riprese nella veste di presidente della Conferenza episcopale e avvalorata dalla sua esperienza pastorale in un contesto urbano di antica tradizione cattolica bisognoso di una nuova evangelizzazione. Papa Francesco parla spesso di periferie umane ed esistenziali. Qual è la realtà del patriarcato di Lisbona? Ci troviamo nella periferia occidentale del continente europeo. Per questo Lisbona è stata una porta di uscita per il mondo e anche porta di entrata per molti. Nei dintorni della capitale portoghese esistono ampi spazi suburbani, dove a poco a poco le persone, provenienti da varie parti del mondo, si integrano nella città. D all’altro lato, esistono nel centro storico e in altri luoghi della città nuove “periferie” di isolamento e abbandono, specialmente gli anziani soli. Aggiungiamoci le periferie culturali poco integrate. Di fronte al crescente impoverimento delle persone dovuto alla crisi economica e alla disoccupazione, che tipo di risposta dà la Chiesa? Se la situazione non è peggiore, questo si deve in buona parte proprio alle istituzioni di solidarietà sociale legate in gran parte alla Chiesa o promosse da cattolici con altre persone di buona volontà. Il ministero episcopale passa anche attraverso lo stimolo e l’appoggio a que- sti organismi e alle rispettive attività. Questo è certamente uno degli aspetti peculiari del caso portoghese nell’attuale contesto di crisi economica e sociale in Europa. Cosa fanno i vescovi sul piano pastorale e dottrinale per sensibilizzare maggiormente la società portoghese su questi problemi? di riflessione e gruppi di lavoro a partire dai cinque capitoli dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che il Pontefice ha presentato come programma per tutta la Chiesa. È grande l’interesse e l’impegno dei cristiani in questo cammino, che ci conferma nella semplicità e nella misericordia attiva verso tutti, specialmente i più fragili. Vari pronunciamenti della Conferenza episcopale nazionale e dei presuli nelle rispettive diocesi ricordano la dottrina sociale della Chiesa e i suoi quattro principi permanenti: dignità della persona umana, bene comune, sussidiarietà e solidarietà. Ci sono differenti sensibilità politiche tra i cattolici portoghesi, ma quei principi non possono essere dimenticati da nessun discepolo di Cristo. E i pastori lo ricordano ripetutamente. Nel Paese cresce la disperazione, come mostra anche l’aumento del tasso di suicidi connesso al perdurare della crisi. Qual è la posizione dei vescovi? Pensando a queste situazioni tanto tragiche, i vescovi portoghesi seguono la dottrina evangelica e riprendono i richiami di Papa Francesco, ricordando che una economia dell’esclusione, prima o poi, “uccide” anche a causa della disperazione che provoca. Che impatto ha lo stile e l’esempio di Francesco nella Chiesa in Portogallo? Il Papa è per tutti noi, pastori e fedeli, un appello permanente alla semplicità e alla solidarietà evangeliche, in relazione a tutto e a tutti. Quali le strade per realizzare i suoi richiami alla coerenza evangelica, all’umiltà, alla misericordia? Nel patriarcato di Lisbona stiamo preparando il sinodo diocesano del 2016. Abbiamo coinvolto più di mille gruppi «Sant’Antonio e il miracolo della mula» (1620, Lisbona)
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