L’EDITORIALE In questi primi mesi del 2015 molte utilities italiane stanno predisponendo piani strategici per disegnare il loro futuro in un contesto complesso. Enel, A2A, IREN e altre indicheranno dove intendono andare e come; HERA lo ha già fatto come abbiamo visto nel numero scorso della Rivista1. Ma il compito non è semplice: i debiti sono elevati e danno pochi margini di manovra, la redditività è modesta e destinata non certo a crescere significativamente. Alcune aziende devono ringraziare i settori che una volta erano le cenerentole (idrico e rifiuti) e che invece stanno offrendo importanti aiuti al riequilibrio economico mentre l’energia, se non disastrosa, certamente non ha aiutato. Forti anche gli impairment dovuti a investimenti imprudenti negli scorsi anni e alla situazione di sovraccapacità che porta al mancato utilizzo di una serie di impianti anche di recente costruzione. Si vedano al proposito i rapporti 2015 dell’Osservatorio delle Utilities (publishing.agici.it). Insomma, il quadro prospettico non è certamente favorevole. Enel, in queste circostanze, ha dichiarato che fonderà il piano strategico su una assunzione di “morte” del modello energetico storico che prevedeva una crescita lenta ma continua della domanda; l’idea è che la domanda sarà sostanzialmente stabile ed eventuali riprese costituiranno solo un upside, ovviamente benvenuto. Va detto, a migliorare le prospettive, che la recente svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro, del franco svizzero e pure del renminbi cinese potrebbe avere impatti positivi. Anche il crollo del prezzo del petrolio, pure attenuato dalla rivalutazione del dollaro, costituisce un fattore di cambiamento per certi aspetti positivo (calo del costo dell’energia e possibile aumento dei consumi) ma anche negativo, ad esempio nel ridurre la spinta agli investimenti in efficienza energetica. Non irrilevanti, crediamo, anche le riforme del Governo Renzi che stanno modificando la percezione all’estero del nostro Paese e potrebbero rilanciare gli investimenti in Italia. Tuttavia, l’eventuale e auspicata ripresa dell’economia difficilmente provocherà forti rimbalzi nei consumi energetici. In termini di strategie di impresa, forse l’elemento più importante di fine 2014 è la annunciata decisione di E.ON di dividersi in due. Come discusso in questo numero della Rivista2, la scelta si basa su una visione dicotomica dell’energia: un “mondo nuovo”, emergente, che richiede imprenditorialità, nuove tecnologie, investimenti e un “mondo tradizionale”, cioè fondato sul vecchio modello di generazione-distribuzione che comunque sarà necessario ancora nei prossimi lustri. Ciò significa riconoscere definitivamente una dinamica oramai in atto da alcuni anni che sembra imporre anche soluzioni organizzative e societarie distinte. È una mossa ardita ma l’impressione è che in questo contesto storico sia necessario avere coraggio o, in alternativa, andare a una progressiva emarginazione. Si potrebbe sostenere che i settori regolati costituiscano dei porti sicuri, con redditività garantite, e molte imprese stanno pensando di focalizzarsi su quelli (vedi ad esempio RWE); la forte crescita della profittabilità del settore idrico potrebbe essere una indicazione significativa. Non va tuttavia sottovalutato che l’Autorità è oggi consapevole che la remunerazione dei business regolati dovrà contrarsi e in tal senso, ad esempio, Terna sta attivamente studiando come integrare un paio di centinaia di milioni di euro che dal 2016 verranno meno. Come dunque affrontare il tema della costruzione di un piano strategico vincente? Vi è una questione di metodo e una di merito. Circa la questione di metodo, appare necessario studiare con crudezza e realismo la situazione dei vari settori. Ad esempio, nella vendita di energia e gas le ex municipalizzate (con eccezioni) mostrano di non sapere gestire efficacemente, da un lato, la concorrenza dei trader, come Gala o Greenetwork, e, dall’altro, quella dei grandi operatori – come Enel, Edison o anche Eni – che hanno avviato politiche aggressive di estensione dell’offering e di nuove offerte ai clienti. Tale ritardo richiede interventi radicali e veloci, oltre che risorse finanziarie e soprattutto gestionali; paradossalmente, circola l’idea che le imprese che non sono in grado di operare efficacemente sul mercato forse è meglio che vendano il portafoglio clienti focalizzandosi su altre fasi della attività (anche se ciò può dare l’idea di tradire l’origine storica delle aziende in esame); oppure si alleino con altri operatori deboli, sebbene di rado la somma di due debolezze genera una situazione forte. Ciascuna delle fasi delle filiere produttive va considerato – almeno in prima istanza – come un business a sé: vi sono regole, fattori critici di successo, necessità di investimenti, profili di rischio-ritorno che sono anche fortemente differenziati. Così come per avere successo è spesso necessario essere veramente bravi nella gestione (first in the class direbbero taluni): approssimazione, logiche politiche di nomina del management intermedio, appesantimenti organizzativi possono (1) Si veda: A. Gilardoni, “Hera: 1 miliardo di euro di MOL al 2018” Management delle Utilities e delle Infrastrutture, 04-2014, AGICI Publishing. (2) Si veda: A. Gilardoni, “La nuova strategia del Gruppo E.ON. Riconoscere la diversità tra mondo convenzionale e mondo nuovo dell’energia”, Management delle Utilities e delle Infrastrutture, 01-2015, AGICI Publishing. Come rilanciare le utilities italiane di Andrea Gilardoni 9 essere letali. Insomma, appare necessario ragionare in una ottica di portafoglio di business elaborando chiare analisi strategiche che conducano a dire con precisione in che fasi della filiera ha senso stare, quali ha senso vendere e in quali potrebbe essere possibile aggregarsi con altri operatori per raggiungere una massa critica e capacità adeguate3. Ovviamente, rileva il profilo di rischio-ritorno ritenuto congruo. I settori e le fasi regolate presentano un minore rischio, sono porti più sicuri, certamente molto più coerenti con la storia e le caratteristiche delle ex municipalizzate. Laddove invece vi è forte concorrenza abbiamo detto che sono necessarie specifiche capacità e profili culturali decisamente nuovi. Anche i vincoli finanziari hanno un peso rilevante. Il forte indebitamento di molte di queste imprese non consente grandi margini di manovra se non attraverso dismissioni o significativi aumenti di capitale. Qui si apre il tema della maggioranza pubblica: è evidente che le amministrazioni pubblico proprietarie ben difficilmente hanno le risorse finanziarie per seguire aumenti di capitale; la scelta è se scendere sotto il controllo del 51% mantenendo una posizione comunque rilevante (30 o 35%, ad esempio). Due i temi al proposito: 1. Le PA sono pronte a perdere il controllo assoluto? Io credo di sì, sia perché la tutela del pubblico nei settori energetici e anche nell’idrico può essere bene conseguita attraverso la AEEGSI (almeno in teoria viene meno l’esigenza del controllo pubblico diretto), sia perché si può ritenere preferibile investire le risorse in altri comparti più sensibili dal punto di vista politico e dell’utilitità sociale. 2. Un altro aspetto concerne una adeguata valorizzazione dell’azienda, atteso che l’eventuale sottoscrittore dell’aumento di capitale richiede un chiaro disegno di crescita del valore. Ma per bene valorizzare è necessario che le utilities predispongano piani di sviluppo credibili e realizzabili e ciò non è sempre facile. Sempre riguardo al merito, si deve poi passare dalla strategia di portafoglio a quella di business. Non vi è qui spazio per affrontare il tema, che deve articolarsi caso per caso, con un occhio particolare sulla redditività. Aumentare l’efficienza, ridurre i costi, migliorare i livelli di servizio sono alcuni dei temi fondamentali su cui vi sono certamente ampi spazi di miglioramento. Va ribadito che, se non ci si ritiene in grado di raggiungere livelli adeguati di capacità gestionale, è meglio cedere o allearsi. Qui le PA, come azionisti, devono sviluppare una capacità critica di cui spesso non dispongono. In ultimo, vi è il rilevante tema dei nuovi business, cioè estendere l’attività a nuovi servizi (anche se spesso il confine tra (3) Si veda al proposito: a cura di A. Gilardoni “Public Utilities e Infrastrutture. Profili economici e Gestionali”, AGICI Publishing, Milano, 2015 10 diversificazione ed estensione dell’esistente è relativamente labile). È qui fondamentale rispettare l’equilibrio tra pubblica utilità ed economicità, anche se ogni processo di cambiamento ha insiti rischi e incertezze. Vi sono due profili di rilievo. In primo luogo, la funzionalità per lo sviluppo del territorio. Cambiamenti e opportunità tecnologiche, nuovi modelli di consumo e nuovi stili di vita, crisi economica, avvio delle Città Metropolitane stanno spingendo a un profondo ripensamento sulle esigenze dei territori per gli anni a venire. In tema è ampio: è necessario ragionare in termini strategici sulle direttrici di crescita dei territori anche per delineare il futuro ruolo delle utilities e i nuovi servizi che esse possono sviluppare. L’idea di fondo è che queste devono operare per innalzare la attrattività dei territori operando sui fattori sociali, economici e anche ambientali. Il secondo aspetto attiene al profilo imprenditoriale delle nuove attività. Rileva cioè cogliere: 1. Il grado di sinergia con le attività tipiche; 2. Il grado di attrattività del nuovo bene/servizio inteso nella duplice prospettiva di economicità e di utilità per i territori. Il grado di sinergia riguarda il cambiamento organizzativo necessario per estendere l’offerta di nuovi beni o servizi; ampia è la sinergia se l’azienda sviluppa l’attività all’interno dell’organizzazione. Spesso è anche possibile esternalizzare le nuove attività o comprarle sul mercato. Il grado di attrattività si riferisce alle caratteristiche del mercato del bene/servizio in esame: 1. Dimensioni della domanda; 2. Barriere all’ingresso (che dipendono a loro volta dalla presenza di player consolidati o meno e dalla dimensione degli investimenti da realizzare); 3. Redditività attuale e prospettica. Vari sono gli esempi già sperimentati o in via di studio: dall’auto elettrica, alla illuminazione pubblica con i led; dall’efficienza energetica negli edifici, per le famiglie o nelle attività produttive, allo sviluppo della generazione distribuita e delle relative reti locali. Potrebbe anche avere senso rivalutare un ruolo nella realizzazione della rete a banda larga e ultralarga. In ogni caso, nei processi di diversificazione è bene valutare attentamente le esigenze finanziarie, culturali e organizzative necessarie per avere successo. Ad esempio, l’efficienza energetica, che sembra essere una delle attività diversificate con un elevato grado di sinergia, richiede competenze che di rado sono presenti nelle imprese tradizionali, non fosse altro perché assai diverse sono le problematiche nell’immobiliare piuttosto che nell’industriale. Insomma, le sfide sono numerose e rilevanti. Noi crediamo che i cambiamenti che saranno proposti e introdotti nei prossimi mesi avranno un impatto significativo sullo sviluppo del Paese e sulle logiche di competizione nel settore.
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