RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 9 marzo 2015 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli REGIONE (pag. 2) La nuova "disfida" degli esami in sanità (Piccolo) Dal credito facile alla crisi. Mediocredito in mezzo al guado (M. Veneto) CRONACHE LOCALI (pag. 5) La lunga lotta tra padri e figli dal dopoguerra al Pd di Renzi (Piccolo Trieste) Lauri sconfessa Sossi: «Fiducia in Arvedi» (Piccolo Trieste) Welfare a casa, arriva il nuovo gestore (Piccolo Trieste) Provincia, schedate 130 scuole. Un disastro (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Infortunio, lavoratori in assemblea (Gazzettino Udine) REGIONE La nuova "disfida" degli esami in sanità (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE Con 10 euro di superticket in meno, anche se non per tutti, la sanità pubblica rafforza la sua economicità rispetto a quella privata. Ma, sull’altro fronte, le strutture convenzionate ribattono con alcune prestazioni in tariffa agevolata, come fossero “sconti”, e soprattutto con tempi di attesa ridotti. Un mix che punta ad attirare soprattutto l’utenza intermedia, quella non esente dal pagamento del ticket, ma che non dispone di redditi alti. Il confronto su alcune prestazioni molto comuni va fatto distinguendo la situazione attuale da quella della prossima primavera. Da inizio maggio, così ha definitivamente deciso la giunta regionale, partirà la stagione senza il superticket per i contribuenti sotto i 15mila euro di Isee e con la rimodulazione del balzello per chi invece supera quella soglia. Fermo restando che per la partita ticket devono comunque entrare in cassa 13 milioni di euro all’anno, la Regione ha concordato con il ministero dell’Economia e delle Finanze nuove quote a salire a seconda del costo della prestazione. Per esami di valore inferiore ai 5 euro non si pagherà alcun ticket al servizio pubblico, mentre si dovrà mettere mano al portafogli per 1,5 euro per prestazioni tra i 5 e i 10 euro, 3 euro per quelle tra i 10 e i 15 euro, 4,5 euro tra i 15 e i 20 euro, e così via fino a superare gli attuali 10 euro nel caso in cui le prestazioni costino oltre i 35 euro, con il massimo di 20 euro per quelle sopra i 70 euro. Ecco allora che per l’esame completo delle urine si passerà in ogni caso da 13 a 3 euro e per il prelievo di sangue venoso da 13,4 a 3,4 euro, mentre per l’emocromo senza formula leucocitaria i cittadini pagheranno o 5,3 o 6,8 euro a seconda che il loro Isee sia sotto o sopra i 15mila euro. Il confronto con il privato? Stando alla tariffe medie previste nelle diverse strutture regionali, nel caso di prestazioni di basso costo non si registra alcuna differenza. Il privato risulta inoltre competitivo anche su altri esami come Rx torace (35 euro contro i 35,4 del pubblico), elettrocardiogramma (20 euro contro 18) e Pap test (24 euro contro 22,1), sempre nel caso di Isee sopra i 15mila euro. Più alte le differenze su ecocardiogramma, ecodoppler tronchi sovraortici, visite generali, oculistiche, ginecologiche e neurologiche, mammografie. Ma nel caso appunto di tariffe agevolate si può scendere dai 120 euro della libera professione a 50 euro, sempre una quindicina in più delle strutture del Ssr, ma con tempi di attesa più brevi. Il pubblico si fa invece nettamente preferire, parliamo sempre di costi, su esami più complessi come colonscopia, gastroscopia, tac e risonanze magnetiche dove nel privato si viaggia tra i 150 e i 275 euro contro 46. Trattandosi peraltro di prestazioni di costo superiore ai 70 euro, da maggio nel Ssr il ticket sarà di 20 euro e si salirà dunque a un totale di 56 euro (sempre per chi ha Isee sopra i 15mila euro). Pubblico o privato dunque? Il pubblico, con l’operazione taglia-ticket, ha sicuramente ridotto alcune tariffe. Ma il privato per talune prestazione mette generalmente a disposizione tariffe competitive e tempi ridotti rispetto a quelli per l’accesso in convenzione. Per la libera professione, dove i costi si alzano, i tempi sono ancora più brevi e vi è la possibilità di scegliere il professionista cui affidarsi. Va anche ricordato che i tempi lunghi per l’accesso in convenzione dipendono dal fatto che i budget assegnati dalla Regione si sono ridotti in tempi di decreto Balduzzi, e devono essere suddivisi in modo tale da coprire i 12 mesi dell’anno. Ciò impone alle strutture accreditate un severo contingentamento delle prestazioni erogate, e di conseguenza la creazione di liste di attesa. La scelta di proporre il privato a tariffe scontate intende favorire anche l’utenza intermedia, non esente dal ticket, per la quale l’accesso in libera professione tradizionale potrebbe essere oneroso. Dal credito facile alla crisi. Mediocredito in mezzo al guado (M. Veneto) di FULVIO MATTIONI Gli ingredienti per una autonomia regionale di nuovo utile ed attraente? Lettura onesta della realtà, trasparenza e condivisione, capacità di visione strategica. Le dosi? Megadosi, per compensare le più che decennali carenze. Da dove cominciare? Dal banco di prova che attende Giunta e Consiglio regionale nel 2015: dare un governo e una missione alle società partecipate dalla Regione e ai vari enti e agenzie regionali. A vantaggio di chi? Di imprese, lavoratori e cittadini, lasciando soddisfatti anche i contribuenti. Stop, dunque, al “ronf ronf” della politica regionale perché l’occasione per il risveglio è imminente: l’approvazione del bilancio 2015 di Mediocredito Fvg, una carissima partecipata regionale. Le origini I mediocrediti regionali erano enti di diritto pubblico attivi in Italia nel quarantennio 1950-1990 specializzati nel credito a medio e lungo termine, quello che finanzia gli investimenti delle imprese. Strumenti indispensabili perché la legge bancaria del 1936 limitava l’operatività delle banche al breve periodo con obiettivi fissati da una legge nazionale del 1950 che aveva altresì autorizzato la costituzione di 13 istituti regionali mentre altri 5 (tra cui quello del Trentino Alto Adige e del Fvg) erano stati istituiti con leggi speciali. Nel 1952 nasce il Mediocredito centrale il cui compito originario era il finanziamento, a tasso agevolato, degli istituti regionali. Con una legge del 1990 gli istituti regionali vengono trasformati in spa e la nuova legge bancaria del 1993 rende ineluttabile la loro privatizzazione. Solo il Mediocredito del Fvg e quello del Trentino sono sopravvissuti all’estinzione originata dal fatto che il credito a medio e lungo termine - con il passaggio alla banca universale del 1993 - è divenuto un tipo di finanziamento ordinario ben presente all'interno di tutti i gruppi bancari nazionali. Il ruolo in Fvg Mediocredito ha alimentato lo sviluppo industriale degli anni ’60 e ’70 ed è stato partner prezioso dell’amministrazione regionale nel realizzare la ricostruzione industriale del Friuli terremotato. Suoi punti di forza sono stati l’ampia platea di aziende finanziate, la quota esigua di sofferenze bancarie incorporate e il costo di gestione molto contenuto. Nel 1993 amplia la sua attività al credito fondiario e, due anni dopo, al leasing finanziario. Nel 2003 il ministero del Tesoro dismette la sua partecipazione di minoranza nella banca che viene rilevata dalla Fondazione Cr Trieste. Nel 2012 la giunta Tondo “regionalizza” Mediocredito Fvg acquisendo la maggioranza assoluta delle azioni, contrariamente all’impegno assunto di privatizzarlo alleggerendo di molto la quota regionale. Due ricapitalizzazioni successive - nel 2013 e nel 2014 - accentuano la regionalizzazione della banca. Gli anni di gloria Dal 2005 alla fine del 2013 sono stati presidenti di Mediocredito Flavio Pressacco (dal 2005 al 2007, con vice-presidente Massimo Paniccia, presidente della Fondazione Cr Trieste dal 2002), Massimo Paniccia (2008-2012) e Gianni Ravidà (nel 2013, presente nel cda della banca già nel 2005). Il quadriennio 2005-2008 merita la nostra attenzione perché in esso si compie la gloria di Mediocredito Fvg e trovano origine (a detta degli amministratori dell’istituto) le sue attuali disgrazie. La gloria? Si, perchè si realizza - sotto la spinta di una compagine societaria a maggioranza privata - il flusso di erogazioni più consistente della sua ultracinquantennale attività. Le erogazioni del periodo, infatti, ammontano a oltre 2,2 miliardi di euro (554 milioni di media all’anno) e prende altresì corpo l’assalto alle imprese di fuori regione. Dei circa 1,7 miliardi erogati nel quadriennio con fondi Propri, ben 845,2 milioni raggiungono imprese localizzate fuori regione mentre i prestiti alimentati con fondi di terzi (Frie e Regione) debbono rimanere, per legge, entro i confini regionali. Il portafoglio degli impieghi complessivi, pertanto, balza a 2,4 miliardi nel 2008 (erano 1,8 nel 2005 e 2,1 miliardi nel 2007). Un balzo da gigante, miracoloso, sorretto da un utile di bilancio robusto (43,6 milioni complessivi, pari a 10,9 milioni annui nella media del quadriennio) che non viene, però, utilizzato per raggiungere un grado di capitalizzazione significativamente superiore al minimo; da un aumento dei crediti in anomalia assai modesto (pari a 59,2 milioni nel 2008 rispetto ai 32,7 milioni del 2005) e da una crescita delle sofferenze bancarie ancor più modesta (da 30,6 a 43,9 milioni). Un miracolo percepito come tale sia nel 2010 (nel bilancio si ribadisce la solidità dell’istituto) che nel 2011, allorché il presidente di Mediocredito Fvg in carica chiede una ricapitalizzazione di 50 milioni di euro motivandola con la necessità di essere in regola con i principi di Basilea 3. Le disgrazie L’essere un gigante con i piedi di argilla. L’aspetto fa capolino nel 2012 allorché il primo buco di bilancio e la lievitazione dei crediti in anomalia vengono imputati alle erogazioni poste in essere nel periodo dorato ed in particolare a quelle finite alle imprese di fuori regione. Strano, anzi, due volte strano! Strano perché gli anni in questione non sono anni di crisi e strano (bis) perché il rapporto ispettivo della Banca d’Italia (siamo alla metà del 2007) aveva fornito le contromisure da adottare in Mediocredito Fvg per un adeguato controllo dell’intero processo creditizio. Ovvero rafforzare le fasi dell’istruttoria e quella del monitoraggio così da superare un’impostazione del budget di tipo meramente commerciale e quantitativo. La crisi Soffermandoci sul periodo 2009-2013, emerge una prima flessione delle erogazioni nel 2009 seguita, nel 2010, da un’altra ancor più consistente dovuta al calo degli impieghi con fondi propri. Il volume dei crediti in anomalia (che segnala la difficoltà di recuperare i finanziamenti prestati), raddoppia in ciascuno dei due anni citati; quello delle sofferenze (che quantificano il “dolore” arrecato dai prestiti irrecuperabili) cresce considerevolmente passando dai 43,9 del 2008 agli 85,9 del 2009 e ai 130,8 del 2010. L’utile di esercizio precipita a poco più di 4 milioni di euro totali nel triennio 2009-2011. Alla fine del 2010 il rapporto ispettivo della Banca d’Italia, nel richiamare le protratte incertezze strategiche dell’azionista di riferimento (la Regione), rileva «che sono conseguiti ritardi nell’individuazione di precisi obiettivi di business e nell’adeguamento dell’impianto organizzativo, talché l’attività aziendale è stata indirizzata a meri target quantitativi, realizzati attraverso la concessione di consistenti facilitazioni a prenditori operanti anche al di fuori della regione e l’acritica partecipazione a operazioni in pool organizzate da altri intermediari». E continua sottolineando che «l’assenza di valide procedure di selezione e controllo ha concorso allo scadimento del portafoglio prestiti con ripercussioni sulla capacità di reddito e con sensibile erosione dei surplus patrimoniali». Ritardi, prestiti di importo faraonico, traino di altre banche, non utilizzo di strumenti e procedure adeguate: perché nessuno ha cercato un antidoto? Bilanci in rosso I crediti in anomalia salgono a 424,5 milioni nel 2012 e a 689,7 milioni nel 2013 (erano pari a 115,7 milioni nel 2009). Le sofferenze raggiungono i 315,9 milioni nel 2013 (erano 148,6 milioni nel 2011 e 210,4 milioni nel 2012). L’operatività di Mediocredito - misurata attraverso le sue erogazioni alle imprese - nel biennio 2012/2013 risulta più che dimezzata sia rispetto al quadriennio dorato (-59,2 per cento) sia al biennio 2009-2010 (-53,7 per cento). Il risultato d’esercizio si tinge di rosso nel 2012 (-7,2 milioni) e di rosso scarlatto nel 2013 (-62,5 milioni) mentre i costi operativi non si riducono. Tutt’altro, raddoppiano rispetto al 2008 salendo a 17,3 milioni nel 2013 (+15,8 per cento sul 2012). Sempre nel 2013, la spesa per l’acquisto di servizi professionali esterni, ad esempio, sfiora i 2,8 milioni moltiplicandosi di 2,3 volte rispetto al 2008 e di 4,2 volte nel confronto con il 2005. Parallelamente alla crescita del personale dipendente (salito dalle 79 unità del 2005 alle 85 del 2013), dunque, si è ampliato il ricorso alle esternalizzazioni. Più che dimezzata l’operatività di Mediocredito Fvg e più che raddoppiato il lavoro per i consulenti esterni. Il patrimonio netto (la “dote” della banca, insomma) scende, nel 2013, a 179,8 milioni nonostante l’avvenuta ricapitalizzazione di 50 milioni sopportata dal socio pubblico. La Banca d’Italia Da segnalare la nuova ispezione della Banca d'Italia, che avviene a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 e che porta a decidere rettifiche di valore prossime a 100 milioni di euro, a chiudere il bilancio in perdita per 62,5 milioni e a richiedere una ricapitalizzazione di 100 milioni. In avvio di 2014 vi è un nuovo presidente di Mediocredito, a marzo un cda rinnovato e, in seguito, si portano a termine la ricapitalizzazione e l’aggiornamento del piano industriale. Le domande Poche, caste. La prima: perché si sono erogati finanziamenti plurimilionari a un gruppo limitato di aziende - l’1 per cento delle quasi 5 mila imprese clienti di Mediocredito, infatti, beneficia del 25 per cento del portafoglio impieghi complessivo e una sola di esse ha ricevuto più di 70 milioni di prestiti soprassedendo alla universale regola aurea della diversificazione del rischio? (Non a caso, infatti, lo stesso uno per cento di imprese alimenta circa un terzo del valore totale dei crediti in anomalia). La seconda: perché preferire pochi interventi a rischio severo alla missione di finanziare una moltitudine di piccole e medie imprese con rischi minimi? La terza: perché Mediocredito è andato all’assalto del Veneto prendendole di santa ragione? La quarta: perché tanta caparbia apatia rispetto ai reiterati inviti della Banca d’Italia a dotarsi di opportuni strumenti di selezione e monitoraggio del credito? La quinta: sono forse state due ricapitalizzazioni inutili? La sesta: è giusto e/o ragionevole tentare di sanare con fiumi di risorse pubbliche gli errori fatti da una proprietà allora a maggioranza privata? La settima: è davvero in grado la Regione di dare una prospettiva realistica alla banca? L’ultima: a chi giova un’autonomia pudibonda e silente che non si pone domande e, quindi, non cerca soluzioni adeguate? A questa è possibile dare una risposta immediata: non alle imprese, non ai lavoratori, non ai cittadini né ai contribuenti. CRONACHE LOCALI La lunga lotta tra padri e figli dal dopoguerra al Pd di Renzi (Piccolo Trieste) di Pietro Spirito «Ciò che mio padre non mi ha insegnato, ma che ha rappresentato per me una naturale predisposizione, è la convinzione che è importante trovare dentro noi stessi la capacità di cambiare, di lasciare i porti per il mare aperto, i rifugi alpini è per affrontare le pareti (...) Una strada che ho costantemente praticato nel mio “privato” (...) Ma è una strada che ho cercato, spesso istintivamente, di percorrere anche nella mia vita pubblica». Il privato è pubblico, si diceva negli anni Settanta, e Franco Belci, classe 1951, che in quel tempo è cresciuto e si è formato, fa di questo slogan il filo conduttore del suo libro “Tra padri e figli - Incontri e scontri di generazioni” (Lint, pagg. 214, Euro 15,00), racconto a mezzo fra autobiografia, pamphlet, saggio storico, che si presenta al lettore come formidabile testimonianza di quella che potremmo definire una coscienza di sinistra, nel momento in cui la sinistra italiana di conti aperti con la propria coscienza ne ha parecchi. Segretario generale della Cgil del Friuli Venezia Giulia, figlio di quel Corrado Belci - esule, giornalista, parlamentare della Democrazia cristiana per quattro legislature tra il 1963 e il ’79 - che ha lasciato un’impronta profonda nella storia recente di Trieste, Franco Belci rappresenta come pochi altri “quel che resta del padre”, per dirla con espressione rubata a Recalcati: un intellettuale di sinistra e di frontiera nato dal connubio fra i disastri del dopoguerra e i fasti e nefasti della Prima Repubblica, oggi impegnato in dura lotta per «non soccombere al rammarico di un tempo perso, sprecato, che non torna più», come nota Pino Roveredo nell’introduzione al volume. Parte dal privato più privato, Franco Belci, in questo racconto di vita in cui tanti si possono specchiare, perché, dice, «parlare di politica partendo dall’esperienza della mia famiglia è diventato in qualche modo naturale». Il rapporto con i suoi figli, Michele e Simone, dai quali ha presto imparato che l’educazione «non è un processo unidirezionale, ma biunivoco»; il fallimento del matrimonio, le gite e le escursioni in bici e in montagna, le difficoltà affrontate (e superate) di fronte alle cadute nel buio della depressione, l’alpinismo vissuto come scuola di vita e grande avventura. E poi il rapporto con il padre Corrado, le inevitabili lotte tra il genitore democristiano e cattolico e il figlio marxista e laico in un paradigma tanto diffuso nella storia d’Italia, un confronto in cui politica e affetti si intrecciano nel segno di comuni battaglie civili. Ed è un’eredità che si trasmette di padre in figlio, perché Franco Belci affronterà assieme a Michele e Simone le scelte dei nostri giorni, a cominciare dall’atteggiamento verso il Pd di Matteo Renzi, che «ha scavato un solco con la Cgil», dove «l’attualissimo scontro sulla riforma del Lavoro costituisce soltanto uno dei punti di contrasto, rischioso per entrambe le parti». Non manca in questo lungo racconto di generazioni a confronto il dato locale: Belci tocca tutti i nodi di una città, Trieste, sulla quale l’ombra del confine non si è mai dissolta. Dalla questione del Porto Vecchio alla Ferriera, dai fermenti del Tlt alla città della scienza, la riflessione dell’autore si accompagna alla cronaca per delineare una Trieste «rimasta a ferma a contemplare il proprio declino che avviene nonostante le molte potenzialità legate ad alcuni fattori che si sono trasformati da opportunità a occasioni mancate». Alla fine, cosa resta del padre (di sinistra)? Un «pensiero lungo», lo definisce Belci, affidandosi a una citazione di Vittorio Foa: «Essere a sinistra vuol dire essere qui e anche altrove, vivere oggi e contemporaneamente domani. Essere contemporaneamente noi stessi ma anche gli altri per vedere e capire le loro buone ragioni». Questo libro ne è la dimostrazione. Martedì 17 marzo al Revoltella la presentazione con Camusso Il libro di Franco Belci "Tra padri e figli. Incontri e scontri di generazioni" (Lint) sarà presentato martedì 17 marzo, alle 18, all'Auditorium del museo Revoltella di via Diaz 27. Dopo il saluto del sindaco Roberto Cosolini, interverranno il segretario nazionale della Cgil, Susanna Camusso, Beppino Englaro, il direttore de “Il Piccolo” Paolo Possamai e lo scrittore Pino Roveredo. Nato a Trieste nel 1951, laureato in lettere, Franco Belci è Segretario generale della Cgil regionale dal maggio 2008. Iscritto al sindacato sin dal 1981, si è occupato e si occupa di politiche generali, riforme istituzionali, autonomie locali, attività produttive e terziario, istruzione, trasporti, rapporti internazionali. La mia famiglia particella di una società di fronte alla crisi di FRANCO BELCI La mia non è una famiglia tradizionale. Da vent'anni mi sono separato dalla madre dei miei figli e in vent'anni ho incontrato donne che hanno lasciato tracce, leggere o profonde, nella mia esistenza. Che mi hanno aperto, ognuna a suo modo, terreni di relazione sconosciuti, e mi hanno indotto ad affinare (non sempre con successo) gli strumenti dell'empatia per capire il loro modo di essere e di sentire. Mi hanno costretto a guardarmi dentro, dando spazio e voce a quella parte del sentire e dell'irrazionale che ogni maschio rimuove, nasconde o rifugge. E mi hanno insegnato a guardare il mondo anche con i loro occhi: a ognuna di loro devo qualcosa, tanto o poco che sia. Ma la mia rimane una famiglia che, sia pure nella separazione dovuta alle scelte dei genitori e oggi nella distanza fisica dovuta a quelle dei figli, ha saputo sempre ritrovarsi e aiutarsi nei momenti di difficoltà; che ancora esprime, forse atipicamente, un senso della comunità e una grande solidarietà. E nella quale noi genitori abbiamo continuato a parlare dei figli e abbiamo affrontato assieme le loro e le nostre difficoltà. Mi è venuto quasi naturale mettere a confronto questa nostra esperienza con quella che oggi emerge da quanto si vede, si legge, si racconta a proposito del nucleo familiare inteso, prima che come comunità, come categoria sociologica. E vi ho visto una particella passiva e disorientata di una società giunta alla prova della crisi già stanca, logorata dall'egemonia di quella cultura che ha sostituito i valori con gli interessi, nella quale l'individuo si guarda troppo addosso e consuma spesso la propria socialità sui social network. È una cultura polare ai principi e ai valori nei quali credo, maturati nel mio lungo percorso di militanza nella sinistra e nel sindacato, iniziato ai tempi dell'università. Ma devo anche dire che le forze politiche che a essa si richiamano hanno saputo opporre troppo poco, preferendo inseguire in ordine sparso una "modernità" mai definita, ottenuta sempre per differenza e mai con un progetto complessivo. Lauri sconfessa Sossi: «Fiducia in Arvedi» (Piccolo Trieste) di Silvio Maranzana «Vogliamo buttare in strada in pochi mesi altri trecento operai? Sel alle ultime elezioni ha raccolto a Trieste 5mila voti, la sua linea non la decidono Marino Sossi e Valdi Catalano. Il partito crede nel risanamento ambientale che sarà operato a Servola dal Gruppo Arvedi e non ha la minima intenzione di uscire dalla maggioranza al Comune». Va giù durissimo Giulio Lauri, capogruppo di Sel in Consiglio regionale contro l’alzata di scudi riguardo alla Ferriera, del capogruppo in Comune Marino Sossi (affiancato dal consigliere Mario Reali) e dal responsabile politiche economiche Valdi Catalano che hanno paventato una possibile uscita dalla maggioranza se tra qualche giorno, allorché arriverà in Consiglio la petizione dei cittadini per la chiusura dell’area a caldo, il Pd non cambierà rotta. «C’è un imprenditore che fa investimenti ingentissimi, si prende responsabilità dinanzi al Consiglio, afferma che se il sistema di eliminazione delle emissioni non funzionerà dismetterà cokeria e altoforno, ha invitato la cittadinanza a verificare di persona i cambiamenti all’interno dello stabilimento - sottolinea Lauri - per cui con tutta la solidarietà e la comprensione possibili nei confronti degli abitanti, la posizione di Sossi e Catalano non è condivisibile. Vogliamo riportare la città a com’era fino a poco fa con la Ferriera prossima alla chiusura, il porto senza alcuna prospettiva di sviluppo, il Porto Vecchio imbalsamato nel degrado, le panchine segate per non far nemmeno riposare le persone e le vecchiette che non potevano nemmeno vendere i ciclamini? Se vogliamo tornare a quella situazione usciamo pure dalla maggioranza e magari rimettiamo Trieste in mano al centrodestra». Fortemente contraria a un’uscita di Sel dalla maggioranza, pur se con toni molto più sfumati, Sabrina Morena coordinatrice provinciale di Sel. «Non è stato discusso né deciso in alcuna assemblea provinciale di Sel - sottolinea Morena - l'uscita dalla maggioranza del Comune di Trieste. Le affermazioni del capogruppo in Comune Marino Sossi e di Valdi Catalano non sono state condivise né all'interno del coordinamento di Sel né in un'assemblea, organo preposto a decisioni così importanti. Anzi nell'ultimo coordinamento era stato deciso che «Sel Trieste non ha cambiato idea sulla Ferriera di Servola e sul positivo giudizio - già più volte espresso - sul relativo Accordo di programma» che però secondo Morena «non collide con la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento». «Sossi ritiene che uscendo dalla maggioranza l’aria di Trieste diventerà più pura - commenta ironinicamente Aureo Muzzik (Pd) - torna il vecchio vezzo autolesionista di una parte della sinistra: “non voglio il bene possibile, ma solo il bene perfetto; altrimenti tanto peggio, tanto meglio, potrò protestare all’infinito”». Stamattina intanto le questioni della Ferriera e dell’occupazione saranno di nuovo esaminate dalla Conferenza dei capigruppo. Welfare a casa, arriva il nuovo gestore (Piccolo Trieste) di Giovanni Tomasin Quasi 500 persone che godono dell’assistenza domiciliare comunale stanno assistendo in questi giorni al passaggio a una nuova società erogatrice del servizio. Il primo marzo, infatti, l’appalto quadriennale da due milioni e mezzo di euro per la gestione esterna dell’assistenza è passato in mano a una nuova Ati (associazione temporanea d’impresa), guidata dalla cooperativa sociale Elleuno di Casale Monferrato. Il Comune di Trieste assicura che per il momento il trasferimento non ha creato disguidi, ma si dice pronto ad applicare «in modo rigido il capitolato in caso di irregolarità». Da qui l’appello ai cittadini coinvolti a rivolgersi agli uffici comunali qualora il servizio dovesse risultare inadeguato. La sentenza del Tar Elleuno prende in mano l’assistenza domiciliare dopo una sentenza del Tar regionale, che nel gennaio scorso ha annullato il precedente affidamento al triestino Consorzio Interland. Quest’ultimo cede quindi la gestione del servizio dopo un anno di operatività in regime di proroga che l’assessore al welfare Laura Famulari definisce «di ottimo livello». Secondo quanto stabilito dal Tar il Comune, nell’affidare a Interland l’appalto, mancò di osservare le ultime indicazioni normative che invitano a guardare più alla sostanza di una proposta piuttosto che alla forma. Dal punto di vista dei lavoratori il passaggio a Elleuno non ha avuto riverberi negativi, visto che i contratti sono semplicemente stati spostati dal precedente gestore a quello nuovo. Un servizio complesso Certo è che la cooperativa prende in mano una realtà molto articolata. Spiega Famulari: «Gli utenti del servizio sono circa 500 ma sono suddivisi in diverse categorie. Certi ricevono un pasto al giorno, altri due, altri ancora uno alla settimana. Certi godono anche di servizi di pulizia e piccole manutenzioni». La grande maggioranza delle persone interessate sono anziani: «Si accede al beneficio attraverso le fasce Isee - spiega l’assessore -, che influiscono anche sull’entità del costo nei casi in cui il servizio è a pagamento». Attenzione alta Ora l’attenzione del Comune è concentrata sul garantire la continuità dell’assistenza: «I destinatari stanno ricevendo una lettera che annuncia il cambio dell’appalto - dice Famulari -, in cui si chiede all’utenza di avvisare i nostri uffici in caso di disservizio. In ogni caso stiamo monitorando la situazione per evitare che ciò avvenga». Elleuno in precedenza non svolgeva incarichi di questo genere, precisa l’assessore, quindi può essere che si richieda un periodo fisiologico di adattamento: «È chiaro che qualcosa può sempre succedere, un pasto che salta o qualcosa del genere. In quel caso lo si recupera la sera, si rimedia, si compensa. In sincerità, però, devo dire che in questi primi giorni non abbiamo avuto alcuna segnalazione di questo tipo di problemi». Obiettivo qualità Il modo in cui i tecnici hanno definito l’appalto, precisa sempre l’esponente della giunta, comporta l’obbligo di fornire un servizio di qualità: «Nell’ultimo anno abbiamo monitorato a fondo la società che ha preceduto Elleuno cercando di superare tutti i problemi che man mano potevano emergere. Abbiamo anche fatto una valutazione di qualità ricorrendo a una ditta esterna. Speriamo che il nuovo servizio di assistenza sia all’altezza di quello precedente, che era ottimo». Il margine di rischio c’è sempre in questi casi, conclude Famulari, «ma saremo molto rigidi nell’applicazione del capitolato nel caso in cui le regole non vengano rispettate». Un appalto corposo La sentenza del Tar sul caso Elleuno ha di fatto costituito un piccolo caso, perché il Tribunale ha “obbligato” il Comune a cambiare in corsa il gestore di un suo servizio esterno. Un servizio che, con due milioni e 460mila euro di appalto e centinaia di utenti, non si può certo considerare come un’appendice secondaria nel complesso sistema di assistenza sociale triestino. Negli anni scorsi il Comune era ricorso alla verifica dell’Istituto italiano di valutazione di Milano per monitorare il livello di gradimento del servizio da parte dei destinatari dell’assistenza. Provincia, schedate 130 scuole. Un disastro (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Francesco Fain Il Comune di Gorizia, da quando Romoli è sindaco, ha impiegato quasi 6 milioni di euro per l’edilizia scolastica (adeguamenti alle norme di sicurezza o di prevenzione anti-incendi, manutenzione straordinaria): 5.901.000 per la precisione. Ma resta ancora molto da fare in tutti e 25 i Comuni dell’Isontino. Il motivo? Gli edifici scolastici sono troppo vecchi. Ecco il motivo per cui i solai sono risultati essere nel recente passato a rischio-crollo in diverse scuole di Gorizia. «In questi anni, la Provincia - spiega il presidente Enrico Gherghetta - ha investito un sacco di soldi sulle scuole ma il problema vero è che l’indice di invecchiamento è molto alto, alla pari di quello di Trieste». I numeri sono preoccupanti: in provincia di Gorizia ben il 74,43% degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1974. I dati sulle certificazioni degli edifici presentano alti e bassi rispetto alla media nazionale: positivi quello di collaudo statico (73,12% contro il 50,42% nazionale) e degli impianti elettrici a norma (93,55% rispetto all'82,38 nazionale); negativi quello di agibilità (55,91% contro il 58,08 per cento), di prevenzione incendi (28,43% contro il 34,50 per cento nazionale), igienico-sanitario (63,44% contro il 71,98 del resto d'Italia). In tutti gli stabili, non solo della provincia ma dell'intera regione, sono stati effettuati i monitoraggi di amianto e radon. Solo il 2,45% delle scuole dell'intero Friuli Venezia Giulia sono situate in prossimità di emittenti radio televisive e il 16,67% vicino ad antenne di telefonia mobile: ad ogni modo, tutti questi siti vengono costantemente monitorati da Comune e Arpa. La Provincia, dal canto suo, ha effettuato qualche tempo fa grazie a un intenso lavoro di “schedatura” una raccolta certosina di dati relativi a tutte le scuole isontine di ogni ordine e grado: 130 istituti radiografati in quelle che sono le mancanze, le problematiche edilizie più stringenti, le priorità d'intervento. Protagonista di questo immane lavoro l’ente guidato da Gherghetta che si è preso la cabina di regia dell'edilizia scolastica di tutto l'Isontino. L'obiettivo? Farsi da tramite delle richieste del territorio nei confronti delle istituzioni regionali e nazionali che hanno in mano le casseforti dei finanziamenti. Ne è uscito un report di quasi 140 pagine in cui si evidenzia che, per mettere a posto le scuole isontine e renderle rispettose di tutte (anche le meno stringenti) normative di sicurezza ci vorrebbero qualcosa come 85 milioni. Di questi 63.707.580 euro riguardano i plessi scolastici comunali e i restanti 20 milioni 304mila euro si riferiscono a plessi scolastici provinciali. La fetta maggiore è riservata alle scuole primarie che esprimono un'esigenza d'intervento pari a 30.448.375 euro. Le situazioni più critiche riguardo gli impianti speciali si registrano a Mossa, San Pier d'Isonzo, Ronchi e Turriaco. Per quanto riguarda le strutture due Comuni (Mossa e Savogna), pur essendo sicure, hanno priorità massima nel senso che gli edifici scolastici presentano diverse anomalie. Infortunio, lavoratori in assemblea (Gazzettino Udine) Paola Treppo Restano stazionarie le condizioni di Ivo Cargnelutti, l'operaio 57enne di Gemona che giovedì è caduto da una passerella nel reparto acciaieria delle Ferriere Nord di Osoppo mentre stava facendo il turno di notte. L'uomo, precipitato da un'altezza di 5 metri, ha riportato diverse fratture alle gambe e a un braccio, oltre a numerose lesioni interne. È stato sottoposto a tre interventi chirurgici all'ospedale di Udine e, sebbene si trovi in coma farmacologico, non sarebbe in pericolo di vita. Oggi Cgil, Cisl e Uil incontrano i lavoratori del Gruppo Pittini in azienda dalle 13 in poi, per i vari turni, fino a martedì; tra i punti che saranno presi in esame anche quello della sicurezza in azienda. Resta da chiarire, infatti, quali siano state le circostanze dell'infortunio occorso a Cargnelutti. Si parlerà probabilmente anche dei tempi nei quali è stato soccorso dal 118. Dopo il caso del ritardo dell'ambulanza a Ponteacco di San Pietro, infatti, pure l'incidente sul luogo di lavoro verificatosi a Rivoli ha sollevato nuove polemiche, legate al possibile ulteriore depotenziamento del servizio di soccorso ed emergenza nelle aree del Friuli più lontane dai nosocomi e meno servite da ambulanze medicalizzate. Sul tema, per l'area di Gemona sono intervenuti anche i comitati popolari nati a sostegno dell'ospedale: «Questi ultimi gravi fatti dimostrano a cosa hanno portato alcune scelte scellerate sostengono - di depotenziamento del servizio dell'emergenza avallate dalla giunta Serracchiani; le direzioni sanitarie hanno iniziato a smantellare i servizi ancora prima dell'entrata in vigore della riforma. Non osiamo immaginare cosa succederà quando sarà applicata, dal momento che per il pronto soccorso gemonese, ora funzionante sulle 24 ore, si prevede la trasformazione in punto di primo intervento, con medici di medicina generale».
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