Giovanni Solimine: «Il costo dell`ignoranza

L’intervista | Lo studioso del «mercato» culturale
Giovanni Solimine illustra il deficit dell’Italia
in campo formativo e culturale e le sue conseguenze
Il costo
dell’
ignoranza
Investire in istruzione è la chiave per tornare a crescere.
Infatti, il sistema produttivo ha bisogno di personale altamente preparato.
E invece le statistiche ci ricordano il basso livello
di competenze degli studenti e della popolazione adulta,
lo scarso numero di laureati e diplomati,
la debole partecipazione degli italiani
alla vita culturale
di Massimiliano Panarari
’economia della cultura costituisce uno dei temi di cui più
frequentemente si discorre e dibatte in Italia da qualche
tempo a questa parte, e un tema sul quale si ritorna spesso
anche all’interno delle pagine di Modena Mondo Outlook. Il nostro Paese, per tante ragioni, non riesce a effettuare nella misura
dovuta il salto verso quello status di «potenza culturale» che gli
spetterebbe e che, declinato anche in termini economici, potrebbe
offrire alle giovani generazioni svariate occasioni di occupazione
qualificata. E tali occasioni vengono sprecate anche a causa dell’eccessiva fragilità dei «fondamentali» e dei nostri cronici ritardi
rispetto alle altre nazioni avanzate nel campo dell’istruzione,
nonché a causa dell’incapacità di costruire un rapporto virtuoso
L
tra titoli di studio e competenze detenuti dal capitale umano di cittadini e lavoratori italiani e il nostro indebolito e infragilito sistema produttivo.
Ne abbiamo discusso con il professor Giovanni Solimine, uno
dei massimi esperti italiani e internazionali di beni librari ed economia della cultura, autore di un volume che ha fatto aperto un
vivace dibattito in Italia nel corso degli ultimi mesi, emblematicamente intitolato «Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia»
(edito da Laterza). Solimine è inoltre conoscitore della realtà
modenese, in quanto responsabile del progetto biblioteconomico
del Polo culturale Sant’Agostino, insieme a Sandro Bertoni.
Professor Solimine, ci spiega in cosa il sistema di istruzione italia-
«In Italia la dispersione scolastica è sempre più allarmante. Nel 2013 i giovani
fra i 18 e i 24 anni ancora fermi al diploma di scuola media sono il 17% del totale.
Siamo in fondo alla classifica europea, seguiti soltanto da Turchia, Spagna, Malta, Islanda,
Portogallo e Romania. E invece che correre ai ripari, i fondi per arginare e combattere
questo fenomeno sono stati ridotti di circa due terzi in appena 5 anni»
32 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2015
Giovanni
Solimine
visto
da Guido
Rosa
L’intervista | Lo studioso del «mercato» culturale
Il profilo | Giovanni Solimine,
un libro è più di un libro
Giovanni Solimine, classe 1951, è professore ordinario di Biblioteconomia e di culture
del libro, dell’editoria e della lettura presso l’Università di Roma La Sapienza, dove ha
diretto dal 2008 al 2010 il Dipartimento di Scienze del libro e del documento, ora confluito nel Dipartimento di Scienze documentarie, linguistico-filologiche e librarie e
geografiche e, dal 2011 al 2014, la Scuola di specializzazione in beni archivistici e librari. È senior research fellow della Scuola superiore di studi avanzati per l’Area accademica degli Studi umanistici. È delegato del Rettore con la funzione di presidente del
Sistema bibliotecario Sapienza e componente del Comitato tecnico-scientifico per i
beni librari del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici. Ha presieduto
l’Associazione italiana biblioteche ed è presidente del Forum del libro.
no non riesce a essere efficace ed efficiente come dolungo l’arco complessivo della vita professionale i
vrebbe, e come avviene in altri Paesi?
laureati possono contare su un tasso di occupazione
«Bisogna partire dal contesto socioeconomico di
maggiormente elevato rispetto ai diplomati (13 punprovenienza, che si rivela determinante e condiziona
ti di differenza), risulta inoppugnabile il fatto che nel
in maniera significativa percorsi e risultati scolastici,
nostro Paese i laureati della fascia compresa tra i 25
come evidenziano i dati sulla dispersione di questi
e i 34 anni guadagnano solamente il 22 per cento in
anni. Gli stimoli ricevuti all’interno della famiglia
più dei diplomati, mentre nelle nazioni dell’area OcIn alto: Giovanni
risultano più forti della funzione di perequazione e
se il differenziale retributivo si attesta mediamente
Solimine;
riequilibrio che la scuola riesce a svolgere nei riguardi
intorno al 40 per cento. I numeri dell’indagine Euuna sala
dei ragazzi che vengono da nuclei familiari svantagrostat sulle forze di lavoro dimostrano che studiare
della Biblioteca
giati. Statistiche e serie storiche evidenziano nitidaall’estero rende decisamente più che da noi: nel 2011
Casanatese.
mente come la condizione sociale di provenienza, il
nell’Unione europea lavorava l’86 per cento dei lauA pagina 37,
tipo di scuola frequentata e l’area geografica di origine
reati di età ricompresa tra i 25 e i 39 anni, contro il 77
Adriano Olivetti
giocano un ruolo decisivo. Cosa che ci deve portare a
per cento di coloro che avevano conseguito un diplosottolineare il deficit, se non l’autentico fallimento,
ma di istruzione secondaria superiore e il 60 per cendelle politiche pubbliche, in particolare di quelle scoto di quelli in possesso di qualifiche inferiori. In Italastiche. L’esito dell’apprendimento, dunque, risulta inferiore a lia, invece, studiare si rivela meno conveniente: nella medesima
quello di altre nazioni avanzate, con le quali si svolge la competi- fascia anagrafica tra i 25 e i 39, la probabilità per i laureati di trozione economica. E anche quando ci si approccia ai livelli più ele- vare occupazione era pari a quella dei diplomati (73 per cento) e
vati dell’istruzione si registrano segnali contraddittori riguardo superiore di soli 13 punti percentuali a quella di coloro che possegl’effettivo rendimento di un titolo di studio. Se infatti è vero che gono esclusivamente la licenza media. Va un poco meglio tra neo-
È ormai dimostrato che il benessere di una comunità dipende dal suo grado
di conoscenza e di sapere, ma se perfino nella scelta delle nostre classi dirigenti la cultura non è una priorità
non ci si può meravigliare che la spesa per questo settore incida solo per lo 0,6%
del bilancio statale ed equivalga a meno dell’1% del Pil.
Siamo al 30° posto in Europa. In Italia tra il 2008 e il 2012 gli investimenti
nell’istruzione superiore sono diminuiti del 14%.
Intanto Germania, Svezia e Norvegia li hanno aumentati del 25%
34 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2015
I laureati
della fascia
compresa
tra i 25 e i 34
anni guadagnano
solo il 22%
in più
dei diplomati.
Nelle nazioni
dell’area Ocse
il differenziale
retributivo
è mediamente
del 40%
laureati e neodiplomati, presso i quali nel 2013 il differenziale si è incrementato, a beneficio di chi ha una
laurea».
Possiamo dire dunque che esiste un problema serio di
inceppamento della mobilità sociale?
«Nella percezione generale che, quanto meno in parte, rispecchia anche la realtà delle cose, l’istruzione e il
successo a scuola non identificano più lo strumento principale per migliorare la propria condizione. Università
e scuola stanno perdendo il ruolo (e la missione) di
motore della mobilità sociale che hanno sempre svolto;
basti pensare al fatto che la metà dei laureati nati negli
anni Trenta e Quaranta del XX secolo, a distanza di un
decennio dal conseguimento della laurea e dal primo
lavoro, si ritrovava pienamente inserita all’interno del
ceto borghese. Il possesso di un titolo di studio aveva
un rendimento elevato dal momento che si trattava di un fattore
relativamente scarso. Oggi non accade più così per una pluralità
di fattori e ragioni, ma non perché vi sia “troppa istruzione” o perché i titoli di studio risultino inflazionati. Anzi, in Italia occorrerebbero più laureati e diplomati, e maggiori competenze. Il nostro
sistema produttivo non sembra capace di orientarsi
in maniera adeguata verso nuovi beni e servizi, in
grado di generare occupazione basata su profili di
professionalità più elevati. Si è costruita una sorta
di interazione perversa tra domanda e offerta di capitale umano: ci sono studi della Banca d’Italia che
attestano il fatto che l’inclinazione delle imprese a
investire in nuove tecnologie risulta ridotta dalle difficoltà nel reperire sul mercato del lavoro le opportune competenze, da cui deriva una retribuzione
ridotta per gli studi e una minore remunerazione
dell’autoinvestimento in capitale umano e, quindi,
una minore offerta, che intensifica le difficoltà delle
imprese e ne frena ulteriormente la domanda. La
stima è che circa la metà del divario nella quota di
laureati tra Italia e Germania possa venire attribuito a questo tipo di dinamiche.
La situazione tende a peggiorare col tempo, rendendo le imprese italiane via via meno competitive: dal 2004, all’interno delle
nostre aziende si è andata riducendo costantemente la quota di
nuovi assunti con un livello alto di specializzazione, in controten-
Se vogliamo che la cultura costituisca un motore di sviluppo sociale e di crescita economica,
dobbiamo investire adeguatamente su di essa. E gli investimenti in campo culturale
non devono avere solo natura pubblica. Dal punto di vista strettamente economico,
ovvero della qualificazione professionale, il punto debole coincide
in particolare con la popolazione adulta. La costruzione di competenze
avviene anche attraverso le biblioteche e gli istituti culturali, che si rivelano preziosi elementi
di infrastruttura sociale e della conoscenza
MARZO/APRILE 2015 - OUTLOOK 35
L’intervista
«Il paradigma
dell’imprenditore
illuminato
non vale più
come in passato.
E, peraltro,
a ben pensarci,
anche figure come
Adriano Olivetti
avevano quale fine
fondamentale
il benessere
della propria
comunità»
denza rispetto a quanto accadeva in tutte le altre nazioni del Continente. Le persone impiegate nei settori a elevata specializzazione (manager, dirigenti, professioni intellettuali dotate di speciale
qualificazione) in Italia rappresentano il 16,9 per cento del totale
rispetto a una media europea del 23,9 per cento e al 34,4 per cento
della Gran Bretagna. Ancora, da noi appena il 3,3 per cento degli
occupati lavora nei settori a elevata densità di conoscenza (quelli,
chiaramente, maggiormente innovativi), al di sotto della media
Ue; e mentre in Europa tale percentuale cresce annualmente in
media dello 0,9 per cento, in Italia scende dello 0,3 per cento».
Cosa si deve dunque fare per attivare pienamente il circuito virtuoso tra cultura ed economia?
«Per cominciare, se vogliamo che la cultura costituisca un motore di sviluppo sociale e di crescita economica, dobbiamo comprendere appieno che è importante investire adeguatamente su di
essa. E gli investimenti in campo culturale non devono avere solo
natura pubblica. Un input economico significativo riguarda il fatto che una maggiore vivacità delle istituzioni culturali permetterebbe alla totalità della cittadinanza, e non solo a chi è già inserito all’interno di un percorso formativo (come gli studenti), di beneficiare delle ricadute positive, a partire dall’incremento della coe-
Un’esperienza consolidata nel campo dei servizi alle imprese con particolare riguardo
all’elaborazione delle buste paga e all’amministrazione del personale.
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sione sociale. Dal punto di vista strettamente economico, ovvero
della qualificazione professionale, il punto debole coincide in particolare con la popolazione adulta. La costruzione di competenze
avviene anche attraverso le biblioteche e gli istituti culturali, che
si rivelano preziosi elementi di infrastruttura sociale e della conoscenza. Piuttosto che seminare unicamente dal basso, dunque, oppure, in maniera speculare, puntare esclusivamente sulle eccellenze, occorre adoperarsi per elevare la media del livello culturale
della popolazione. Se scatta una forma di senso di appartenenza
alla comunità si consegue un risultato di enorme importanza e un
vero e proprio traguardo. I privati hanno il desiderio e il diritto di
vivere in un contesto prospero anziché in quello, in via di progressiva desertificazione culturale, in cui siamo stati immersi da qualche tempo. Se luoghi e istituzioni culturali si mettono a fare
accountability, allora anche i privati si sentiranno maggiormente
coinvolti e attenti. Non funziona, e non va bene, la concezione di
un’attività di fundraising presso i privati “con il cappello in mano”, perché, invece, deve scattare la formula del “matrimonio di
interessi”. I privati, in buona sostanza, sono pronti ad associarsi
soltanto a progetti funzionanti e sorretti da una ragione sociale
chiara per la comunità nella quale essi vivono o dimorano. Il para-
Secondo ricerche della Banca d’Italia l’inclinazione delle imprese a investire
in nuove tecnologie risulta ridotta dalle difficoltà nel reperire sul mercato del lavoro
le opportune competenze, da cui deriva una retribuzione ridotta per gli studi
e una minore remunerazione dell’autoinvestimento in capitale umano.
La stima è che circa la metà del divario nella quota di laureati tra Italia e Germania
possa essere attribuito a queste dinamiche
MARZO/APRILE 2015 - OUTLOOK 37
L’intervista
digma dell’imprenditore illuminato non
vale più come in passato. E, peraltro, a ben
pensarci, anche figure come Adriano Olivetti avevano quale fine fondamentale il
benessere della propria comunità.
A Modena, con il Polo culturale di Sant’Agostino si sta dando vita a un’esperienza per
certi versi pilota e pionieristica, che la vede
direttamente coinvolto.
«Tutti i dati ci dicono che c’è una scarsissima partecipazione dei cittadini alla vita
culturale. In questo senso viene messa in
discussione anche l’idea di patrimonio culturale come patrimonio condiviso e di tutti.
Penso che al riguardo sarebbe utile, in maniera particolare, investire negli istituti di
accesso alla conoscenza. In Italia in questa
fase tutte le tipologie di biblioteca si ritrovano in difficoltà, sempre più pesanti per
effetto del perdurare della crisi economica.
Le biblioteche nel nostro Paese hanno sempre avuto una vita un po’ marginale, e sono
frequentate da non più del 10 per cento della popolazione. Ecco perché in un luogo che
può contare su un tessuto bibliotecario forte come Modena (e, più in generale, come
l’Emilia-Romagna), si può puntare sulle biblioteche proprio per potenziare gli strumenti di accesso alla conoscenza. In questo
senso, mi sembra decisamente da apprezzare il coraggio della Fondazione Cassa di
Risparmio di Modena nell’investire somme
considerevoli nell’intervento di riqualificazione dell’ex Ospedale Sant’Agostino per dare vita a un importante polo culturale per la
città. Ovvero una dimostrazione della piena consapevolezza del fatto che le fondazioni hanno anche un dovere nei confronti
delle loro comunità, che hanno consentito alle banche di crescere. La Biblioteca Estense e la Biblioteca Poletti, coinvolte dal progetto e ciascuna delle quali, all’insegna di
caratteristiche specifiche, con una relazione molte intensa con la vita della città, una
volta trasferite all’interno di una sede molto più aperta e accogliente, e dove potranno
operare insieme ad altre istituzioni culturali ed espositive, acquisteranno sicuramente anche nuova vita. Perché, solamente se
sono vive, certe biblioteche possono tenere
fede alla loro vocazione storica».
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