RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 17 marzo 2015 (Gli articoli della presente rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli REGIONE (pag. 2) Coopca, la vendita "a pezzi" terrorizza la Carnia (M. Veneto) Giovani, poco pagati e senza ferie. Ora Cipputi lavora al supermercato (M. Veneto) Cgil, Belci annuncia il ritiro: «Non intendo ricandidarmi» (M. Veneto, 2 articoli) Sì dello Spi-Cgil alle Unioni dei Comuni (Piccolo) L’Inail inagura lo sportello virtuale per i lavoratori (Piccolo) Unioni comunali: funzioni a regime non prima del 2018 (Gazzettino, 2 articoli) Scatta il codice del “regionale perfetto” (Piccolo) CRONACHE LOCALI (pag. 9) Scontro in aula sull’emergenza lavoro (Piccolo Trieste, 2 articoli) «I soldi di Arvedi risaneranno la Ferriera» (Piccolo Trieste) Il ritorno di Godina in formato “mini” (Piccolo Trieste) Trieste Trasporti, il Cda anticipa al personale seicento euro in busta paga (Piccolo Trieste) Si allunga la cassa integrazione alla Burgo (Piccolo Trieste) In 600 sotto controllo per le placche pleuriche (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Liva (Cgil): «I diritti non sono in appalto» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Grado, man bassa di seggi delle Rsu per il Sindacato autonomo (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Romanello, via alla liquidazione (M. Veneto Udine, 2 articoli) «Italricambi, da Faber per ora c’è solo una proposta» (M. Veneto Udine) Coopca, nella cordata Coop Nordest (Gazzettino Udine) La Maschio Gaspardo apre al secondo anno di solidarietà (M. Veneto Pordenone) Il direttore di fabbrica lavorerà gratis (M. Veneto Pordenone) REGIONE Coopca, la vendita "a pezzi" terrorizza la Carnia (M. Veneto) di Domenico Pecile TOLMEZZO Sono trascorsi centoventi giorni da quel 18 novembre in cui il Tribunale di Udine aveva concesso i primi 60 giorni di tempo - poi prorogati il 21 gennaio - per la presentazione di un piano di ristrutturazione e rilancio di CoopCa. Questa mattina, dunque, sarà presentato al Tribunale di Udine il documento per l’ammissione al concordato preventivo e scongiurare così il fallimento. Ieri pomeriggio, intanto, c’è stata l’ennesima riunione fiume del cda. «Ne facciamo una la settimana - taglia corto il presidente Ermano Collinassi – stiamo lavorando sodo. E presto. Ma ci vorrà ancora tempo». Dove rimane sottintesa la soluzione della crisi. Quella, appunto, contenuta nel piano che sarà esaminato dai giudici per scongiurare il fallimento. Nei giorni scorsi era emersa una maxi-cordata, poi sfumata, per l’acquisizione in blocco della cooperativa, per cui restano le manifestazioni di interesse su singoli negozi (oltre una decina le aziende interessate). Tra i nomi Coop Nordest, Conad e singoli imprenditori veneti. «Speriamo semplicemente nel risultato migliore - afferma il sindaco di Tolmezzo Francesco Brollo - perché qui non c’è in gioco soltanto CoopCa e un modello di sviluppo, ma un’intera fetta del territorio friulano». E proprio il primo cittadino di Tolmezzo ha organizzato ieri mattina un appuntamnento alla CoopCa di Tolmezzo, dopo aver invitato i rappresentanti sindacali, i risparmiatori, i dipendenti e i sindaci dei Comuni dove sono presenti filiali CoopCa. La “filosofia” dell’iniziativa che, tuttavia, ha spiccato per la scarsa partecipazione è stata spiegata dall stesso Brollo. «Nessun piano di risanamento può avere un senso - ha dichiarato - se la gente non va a fare la spesa alla CoopCa. Quindi questo incontro è un modo semplice per dire andiamo lì, acquistiamo qualche cosa da mangiare, dimostriamo che possiamo essere comunità in queste momento difficile e poi condividiamo il cibo come condividiamo le sorti di questa congiuntura». A margine il sindaco ha aggiunto che non si può difendere un territorio se poi la gente non fa la spesa in loco. Così, in questi mesi è accaduto che nel mentre cda ed esperti sondavano tute le ipotesi per presentare un piano credibile e concreto, CoopCa si è trovata a fare i conti oltre che con il debito di circa 83 milioni di euro, di cui 26,5 concernenti il prestito sociale ora “congelato” e altri 8 di certificati azionari, anche con la necessità di garantire la quotidiana efficienza ai vari negozi, tutti alle prese con un calo di vendite causato anche da problemi di offerta della merce. Anche il presidente del cda Collinassi era presente all’incontro conviviale di ieri, snobbato invece dal Comitato dei soci risparmiatori la cui presidente Donatella Iob si è trincerata dietro il più classico impegno improrogabile. Non c’era lei, ma non c’era traccia delle circa mille persone che hanno aderito al Comitato. Collinassi non ha parlato. Si riserva di farlo in modo compiuto nei prossimi giorni. E si è limitato a un lapidario «serve ancora un po’ di tempo, poi saprete tutto». Sta di fatto che, sfumata la maxi-cordata, non resta che la soluzione “spezzatino” che prevede la vendita di singoli negozi o gruppi di negozi in Friuli e in Veneto in base alle offerte. Ipotesi questa “scomunicata” dai sindacati. Che ieri, per bocca di Paolo Duriavig della Cisl, hanno ribadito che l’ipotesi “spezzatino” «significa svendita al ribasso e dunque penalizzazione per i dipendenti e per i soci che difficilmente rivedrebbero i loro risparmi». Il problema è che, nei colloqui con gli interlocutori presenti ieri a Tolmezzo, Collinassi ha precisato che lo “spezzatino” non è possibilità da bocciare a priori. Alessandro Foraboschi della Cgil esclude invece un atteggiamento morbido e poco incisivo rispetto a questa vertenza. Ma esclude anche che si sia trattato di un calcolo per evitare il cosiddetto “fuoco amico”. «Fosse stata la Conad – precisa meglio - ci saremmo comportati precisamente allo stesso modo». Insomma, secondo i sindacati non c’è stata nessuna indulgenza nell’affrontare questa difficilissima vertenza. «Noi - dice ancora Foraboschi abbiamo sempre sostenuto che vanno accertate le responsabilità. E di responsabilità oggettive sicuramente ce ne sono perché siamo arrivati a questa situazione sicuramente per una serie di negligenze». Il sindacato ribadisce poi che non va confuso il loro atteggiamento di cautela con la necessità di «mantenere un comportamento responsabile per garantire la continuità produttiva della CoopCa». Il sindacato ha sempre affermato poi di avere auspicato un intervento deciso della Regione. E qui si apre un altro capitolo di questa story. Ieri, alla richiesta di un commento sul deposito del piano, l’assessore alle Attività produttive e vice presidente della Regione, Sergio Bolzonello, si è limitato a demandare ogni commento direttamente alla presidente Debora Serracchiani. Uno strano rimpallo che palesa se non difficoltà, perlomeno un certo imbarazzo anche da parte della politica regionale che per adesso si è “limitata” a fornire i due “saggi” che assieme agli advisor, in primis il commercialista Variola, sono intervenuti per la predisposizone del piano di ristrutturazione. Le associazioni di rappresentanza del mondo cooperativo lamentano infine di essere state a lungo messe all’angolo e di essere state impossibilitate a mettere mano per tempo ai conti della CoopCa quando questa cominciava a palesare le prime, pericolose falle sotto il profilo della tenuta finanziaria, prima del tonfo finale. Culminate lo scorso 18 novembre quando i soci prestatori si sono recati agli sportelli per ritirare i loro rispami, trovandoli però bloccati. La giornata precedente, infatti (era il 17 novembre dello scorso anno), il consiglio di amministrazione di CoopCa aveva presentato in tribunale a Udine l’istanza di concordato a fronte delle difficoltà in cui versava la società. Oggi si torna in tribunale alla ricerca di una soluzione che, per quanto possibile, possa garantire occupati e il rimborso dei soldi prestati dai risparmiatori. Obiettivi tutt’altro che facili da conseguire vista la situzione in cui versa la storica azienda carnica. Giovani, poco pagati e senza ferie. Ora Cipputi lavora al supermercato (M. Veneto) UDINE Precarietà e incertezza. Così vivono i lavoratori del commercio. Anche in Friuli Venezia Giulia. Anzi. Specie in questa regione che si distingue in Italia per il maggior numero di superfici commerciali in rapporto alla popolazione. Il triste primato, complice il drastico calo dei consumi, ha condannato molti negozi ad abbassare le serrande, ha messo in ginocchio diversi centri commerciali e in parte decretato la “fortuna” dei discount. Questione di prezzo (inferiore), ma non più solo di quello. Rispetto all’origine, i discount si sono infatti evoluti e oggi dicono la loro pure in fatto di qualità. E di tempo: per parcheggiare la macchina, girare l’intero negozio e passare dalla cassa ce ne vuole senz’altro meno di quanto ne vada investito per fare la spesa in un grande supermercato. Nel mix dei tre fattori sta il segreto della crescente popolarità di questa formula tra i consumatori. In coda al discount Non c’è ormai paese di media dimensione che sia sprovvisto di un discount sul suo territorio. Magari aperto a pochi metri di distanza dal punto vendita di una catena “ordinaria”. Il boom è figlio della crisi, ma anche di un progressivo disamore verso i grandi centri commerciali che produce a cascata un riavvicinamento ai negozi di prossimità. Più piccoli, a “portata di casa”. Se in una pentola a pressione com’è quella del commercio i discount mettono a segno un timido risultato positivo, non tutto è oro. Leggendo il fenomeno, i sindacati frenano infatti l’ottimismo passando sotto la lente d’ingrandimento gli inquadramenti contrattuali dei lavoratori. Precari per lo più e costretti a un vorticoso turnover. «Nei discount non vi è presenza di stabile di lavoratori, il ricambio è veloce, non c’è la contrattazione di secondo livello che invece è presente nella Gdo», spiega il segretario regionale di Fisascat Cisl, Paolo Duriavig che riguardo al successo della proposta puntualizza: «Centri commerciali e grandi ipermercati non sono più attrattivi come un tempo e dinanzi ai costi eccessivi la gente, che deve fare i conti con un potere d’acquisto calato vertiginosamente e con una crisi di cui non si vede la fine, preferisce i discount». «Rinuncia al servizio diretto, ma ci guadagna sul conto finale», spiega Susanna Pellegrini, leader di Filcams Cgil Fvg. Giro di vite sul personale E’ evidente che ogni situazione è diversa, ma il dato generalizzato è che le catene low cost hanno meno personale. «Nei discount gli organici sono all’osso - continua la sindacalista -, in genere poco più di una cassiera e un addetto che si occupa del negozio. Il cliente fa dunque la spesa senza alcun tipo di assistenza e poi si mette in coda alla cassa, dando per scontato di stare un po’ in fila, conscio che sarà ripagato dal risparmio sullo scontrino». Alla concorrenzialità dei discount contribuiscono ovviamente le minori garanzie contrattuali e il numero ridotto degli addetti, che si vanno ad aggiungere alla minore ricercatezza dei locali di vendita, in qualche caso alla minore illuminazione e pubblicità. «Pur essendo inquadrati nel contratto nazionale di lavoro - continua Pellegrini -, i lavoratori nella maggior parte dei casi non possono contare su integrativi aziendali nonostante, il fatto di esser pochi, li costringa a lavorare di più, a coprire più d’una mansione all’interno del negozio rispetto ai colleghi della grande distribuzione organizzata». Dinanzi a un’attesa talvolta un po’ più lunga alle casse, i consumatori però non demordono. E i discount proliferano. Continuano ad aprire bilanciando almeno in parte la tendenza contraria in atto internamente ai grandi centri commerciali dove sempre più sono le serrande abbassate. Troppi negozi Che l’offerta sia sovradimensionata rispetto alla domanda il sindacato di categoria lo va dicendo da tempo. Da prima che la crisi iniziasse. Eppure le richieste di frenare la concessione di nuove licenze e di limitare le aperture domenicali e festive sono rimaste in gran parte inascoltate. Ora? «Diciamolo cos’ha prodotto la liberalizzazione del mercato: da un lato il territorio è stato divorato dal cemento, dall’altro sono drammaticamente peggiorate le condizioni di lavoro - denuncia la segretaria regionale di Filcams -. Con forme contrattuali al ribasso, lavoro sempre più precario, a chiamata, caratterizzato da flessibilità estrema e redditi ridotti. Si è fatto abuso di part time, precarizzato al limite della sostenibilità il lavoro che in questo settore coinvolge per lo più donne». E ancora: «La crisi poi non giustifica tutto. Se pensiamo alle vertenze di CoopCa, Coop operaie e Mercatone Uno c’è stata e c’è anche tanta incapacità di stare sul mercato e inadeguatezza dei gruppi manageriali, oltre a investimenti sbagliati o quantomeno discutibili». Le parti sociali chiedono norme capaci di reindirizzare il commercio, «salvaguardando il territorio, ma anche la qualità del lavoro». Pellegrini invoca «un commercio alternativo e sostenibile. Anche quando saremo fuori dalla crisi i consumi non torneranno ad essere quelli di prima - afferma -, il commercio sarà l’ultimo a riprendere. Bisogna che ci inventiamo un’offerta diversa, che valorizziamo la filiera corta ad esempio, incentivando gli imprenditori a proporre un modello alternativo, e che torniamo ad investire sul lavoro, ma su un lavoro con diritti e dignità. Questo la Regione può farlo». Non può, invece, limitare le aperture festive che sono viste come fumo negli occhi sia dal sindacato che dai lavoratori. Stop alle domeniche «Oggi non sono nemmeno remunerative perché grazie alla liberalizzazione chi lavora la domenica poi spesso la recupera durante la settimana - denuncia Duriavig -, costretto a farlo dall’impresa che così abbassa il costo del lavoro». La partita è difficile, «ma sono convinto che vada giocata fino in fondo», continua il sindacalista che invita a scendere in campo direttamente gli imprenditori: «Se non possiamo intervenire con una norma siano le associazioni di categoria, il sindacato e gli stessi negozianti a cercare di autoregolamentarsi, decidendo quante e quali domeniche tenere aperto». Una sfida ambiziosa rispetto alla quale non si sottraggono le parti sociali che al contempo richiamano però anche la Regione ai suoi doveri. Sia Filcams che Fisascat promuovono infatti l’intenzione annunciata dall’assessore regionale all’Urbanistica, Mariagrazia Santoro, di cercare di reindirizzare le future aperture commerciali all’interno di spazi esistenti così da limitare il consumo di suolo. In quest’indirizzo, che dovrebbe trovare sostanza nel prossimo piano urbanistico regionale, Duriavig vede una via d’uscita. «Abbiamo tanti centri commerciali ridotti allo stremo, si pensi a Valli di Carnia, all’Alpe Adria, al Friuli, bisogna che obblighiamo quanti in futuro vorranno avere una nuova licenza a intervenire sul vecchio andando a riempire gli spazi rimasti vuoti, a ristrutturarli, a ridargli vita. Solo così - conclude - potremo far rivivere i tanti, troppi centri commerciali che oggi sono a corto di ossigeno». Maura Delle Case Cgil, Belci annuncia il ritiro: «Non intendo ricandidarmi» (M. Veneto) di Luciano Santin UDINE «Quella di Landini è una scelta legittima, che non corrisponde a quello che quasi unanimemente si era convenuto in una riunione dei segretari generali convocata per discutere sul rapporto della Cgil con la politica. Non rammento un intervento contrario di Landini. Il suo “polo di aggregazione sociale” è comunque una cosa molto diversa da Officina 2.0, il laboratorio messo in piedi in questa regione, che intende essere solo un luogo di riflessioni e idee». Lo dice Franco Belci, segretario generale Cgil del Friuli Venezia Giulia, aggiungendo che il prossimo anno, quando il suo mandato scadrà, non proseguirà l’esperienza sindacale. L’impegno nella politica e nel sociale non verrà meno, ma solo sotto il profilo propositivo. Oggi alle 18, all’auditorium del museo Revoltella di Trieste, Belci presenterà il suo “Tra padri e figli”, edito da Lint, assieme a Susanna Camusso, a Beppino Englaro, al direttore de Il Piccolo Paolo Possamai, e al sindaco di Trieste Roberto Cosolini. Domani il libro verrà presentato a Pasian di Prato alle 17 con l’intervento del sindaco di Udine Furio Honsell, e un dibattito tra Pier Luigi Di Piazza, Beppino Englaro, Pino Roveredo, moderato da Walter Tomada. Belci, perché raccontarsi adesso? In genere le autobiografie segnano momenti di bilancio conclusivo... «L’occasione, lo spiego in premessa, nasce da un dialogo con Simone, il minore dei miei figli. In un rapporto momentaneamente rovesciato: il padre che confida i propri problemi sentimentali, trovando una sensibilità e un’empatia che non avrebbe mai immaginato. Lo spunto è quello: poi, nel fabulieren è emersa anche la consapevolezza del fatto che tra poco più di un anno si conclude definitivamente la mia esperienza attiva nella Cgil». Definitivamente? «Non ho mai rivendicato il diritto a una continuazione dell’esperienza sindacale, che pure mi era stata prospettata. Anche per dare coerenza alle mie scelte, perché credo che le stagioni vadano chiuse. Ho un posto in Regione, dove dovrò lavorare sino ai settant’anni. E poi ho l’intenzione di trovare un po’ più di tempo libero per andare ad arrampicare». E’ una scelta che ricorda un po’ quella di papà Corrado Belci, quando scelse di chiudere con la politica. «Lui apparteneva ad un mondo che non esiste più, nel quale c’erano passione e ambizione, che si tenevano con il senso del bene pubblico e lo spirito di servizio. La decisione di abbandonare la politica, allora poteva essere anche essere non traumatica. Oggi non si riesce a immaginare un personaggio capace di lasciare. Nella politica, ma anche nel sindacato, a volte». Lei è impegnato in Officina 2.0 Che sembra assomigliare alla proposta di Landini. O averla anticipata. E’ così? «Proprio no. Ho un ottimo rapporto con lui e certo non verrà meno per questa scelta. Ma non credo al suo rassemblement. In un seminario tra segretari generali, a gennaio, era opinione quasi unanime - non mi ricordo che Landini non avevo espresso idee diverse - che la Cgil non si potesse configurare come polo di aggregazione sociale. La Cgil fa il sindacato, e basta. E la Fiom fa parte della Cgil». Nel libro si accenna, ironicamente, al “Landini del Friuli Venezia Giulia”... «Sì, perché c’è stato, qui, chi mi ha dipinto come un pericoloso estremista, molto più spinto di Landini. Ne abbiamo riso, con Susanna Camusso». Officina 2.0, ad ogni modo, come va? Nel libro si dice che la teoria discende dalla prassi... «Non proprio meccanicisticamente e automaticamente, ma in sostanza è così. Anche Syriza, in Grecia, è nata dalla mutualistica. Officina intende ragionare su piccola scala, elaborando una riflessione. E’ animata da un gruppo di persone che lavora in modo totalmente volontaristico, quindi nei ritagli di tempo. Il prossimo passo sarà quello di un blog, per far uscire allo scoperto il pensiero politico che si elabora. Dopo questa fase maieutica, occorrerà darle i connotati di associazione organizzata. E spero che altri possano assumerne la responsabilità». Volete essere il lievito della sinistra. «Vorremmo. Ma la sinistra oggi non esiste. Inizialmente Renzi ha rappresentato una speranza, perché sanciva una cesura con la vecchia classe dirigente, cosa che doveva esserci. Poi però ha deluso quando ha rinunciato a un patrimonio di pensiero, del quale adesso si avverte la mancanza». Il papà Corrado e il regalo rifiutato Anni ’70, l’auto è ancora uno status symbol. E c’è un parlamentare che gira in 650 multipla di seconda mano. E’ triestino, si chiama Belci. Poi, diventato sottosegretario, passa a una 850 familiare «compromesso perfetto tra i numeri della nostra famiglia, le nostre disponibilità economiche», racconta il figlio Franco. Un giorno la famiglia va in montagna: «Mentre scaricavamo i bagagli, la mamma si recò alla reception per prendere possesso delle nostre tre stanze (genitori, maschi e femmine). L’addetta rispose che erano al completo, suscitando la sorpresa e l’irritazione dei miei che protestarono vivacemente. Non ci fu nulla da fare. L'addetta spiegò serenamente che le ultime tre stanze erano state prenotate da un “pezzo grosso” romano». Cui non poteva evidentemente associare la figura di quell’ospite in calzoni corti e sandali, sceso da un’utilitaria malmessa. “Tra padri e figli” è tramato di aneddoti. Che sbalzano anche, felicemente, la figura di Corrado Belci, leader moroteo, tra i principali protagonisti del dopoguerra politico, non solo in Fvg. Un episodio la dice lunga sulla necessità di difendersi non tanto dalla corruzione, quanto dalla gratitudine, che può costituire un precedente scivoloso. A metà anni ’60 arriva a casa Belci un tv color che scatena l’entusiasmo dei figli. «La mamma fermò l’assalto al cartone e ci disse che avremmo dovuto aspettare il rientro del papà per poterla provare. Attendemmo quel ritorno con ansia. I genitori si appartarono con fare misterioso. Poi ci convocarono con un atteggiamento grave del quale non riuscivamo a capire la ragione e alla fine arrivò il verdetto: il televisore doveva essere restituito. Papà ci spiegò che non si poteva tenere perché si trattava di un regalo che l’Associazione degli industriali gli aveva fatto in quanto, nel suo ruolo di parlamentare, aveva promosso una proposta di legge, poi approvata, che apriva nuove prospettive di sviluppo imprenditoriale per la città. Lui quella proposta l’aveva fatta per il bene della città stessa e quindi non aveva bisogno di altri riconoscimenti». Franco Belci spiega che l’episodio ha contribuito fortemente e precocemente alla sua formazione civica, e anche politica. Ma la storia ha un lieto fine: «Papà seppe darci una seconda lezione. Il giorno dopo, vigilia di Natale, il campanello suonò nuovamente e arrivò un altro scatolone. Stavolta era quello giusto: il televisore lo aveva comperato lui per ricompensarci della delusione della sera prima». Talvolta, volente o nolente, il ragazzo finiva per essere coinvolto nei rapporti umano-politici del padre. E in una memorabile cena, finì con il rimbeccare nientemeno che un logorroico Francesco Cossiga, all’epoca presidente del Senato. «Dopo un primo momento di smarrimento colsi nello sguardo di papà piena solidarietà. Ma la prese bene anche Cossiga, commentando che se i giovani non erano più quelli di una volta, avevano certamente minori timori reverenziali». Corrado Belci vivrà come un fallimento personale il matrimonio civile del primogenito: «Aveva formato in me la convinzione che l’onestà, l’etica, la passione civile, la trasparenza, la sincerità, il rispetto e la comprensione per gli altri costituissero i binari principali su cui costruire la propria strada. Lo consolai ma non lo convinsi». Ci riuscì, in seguito, Benigno Zaccagnini: «L’importante non è dove si sposano, ma come si sposano». (l.s.) Sì dello Spi-Cgil alle Unioni dei Comuni (Piccolo) Sì al nuovo modello di organizzazione delle autonomie locali, basato sulle unioni dei comuni. E sì anche alla proposta di revisione dello Statuto, elaborata dalla Commissione paritetica Stato-Regione, che attribuisce al Fvg competenza legislativa primaria in materia di organizzazione del fisco locale. A promuovere le due riforme è Gino Dorigo, responsabile welfare della segreteria regionale Spi-Cgil. «Il modello basato sulle Unioni, in particolare – ha detto Dorigo –può generare risparmi per 100 milioni in cinque anni, consentendo pertanto di aumentare la capacità di spesa dei Comuni». L’Inail inagura lo sportello virtuale per i lavoratori (Piccolo) È attivo da ieri sul portale Inail il nuovo servizio online dedicato a utenti infortunati e tecnopatici, uno strumento che consentirà di ottenere informazioni sullo stato delle pratiche avviate Trieste. Nel dettaglio, per i lavoratori titolari di rendita, sarà possibile accedere online alla propria posizione tramite il nuovo “Sportello virtuale lavoratori” sul portale www.inail.it , che in questa prima versione consentirà di consultare in tempo reale i dati anagrafici, lo stato della pratica, le modalità di pagamento, i pagamenti e il Cud. Unioni comunali: funzioni a regime non prima del 2018 (Gazzettino) Maurizio Bait TRIESTE - Rullano i tamburi dei ricorsi al Tar contro la riforma delle Unioni comunali. Dalla montagna al mare dubbi, perplessità e atteggiamenti apertamente ostili infittiscono l’orizzonte di una riforma che dovrà vedere la luce il prossimo gennaio. Non sono pochi i sindaci che temono - non senza ragione - di dover affrontare un destino penoso, di fatto, per le attuali realtà municipali: poco più che una bandierina privata di qualsiasi, effettiva capacità di decidere sui destini dele proprie comunità. Cosa farà la Regione? Paolo Panontin, l’assessore regionale alle Autonomie locali, non nega la possibilità di misure correttive, tuttavia mette le mani avanti: «L’impianto e le sue articolazioni non cambieranno, questo è poco ma sicuro. Però alcune delle osservazioni che sono arrivate in questo periodo di 60 giorni previsto dalla nostra legge (scadrà a metà aprile, ndr) sono senz’altro meritevoli di riflessione». Non soltanto, dunque, la possibilità prevista dalla legge di passare da un’Unione, così come la Giunta regionale l’ha mappata, a un’altra aggregazione confinaria. Panontin altro per ora non intende farsi scucire, se non una risposta secca alla critica più bruciante. «Io non divido quattro province, aggrego 216 Comuni». Non è che per forza le intenzioni dell’Amministrazione del Friuli Venezia Giulia debbano restare segrete. Dalla maggioranza filtra un orientamento che tende una mano ai Comuni in difficoltà: rendere più graduale l’attuazione delle nuove regole. E in questo modo permettere a sindaci e Consigli comunali di entrare progressivamente nel ruolo "di squadra" fugando i timori, peraltro non infondati, che tali presidi istituzionali locali subiscano di fatto uno svuotamento di potere effettivo sulle scelte territoriali. Ebbene dopo la metà di aprile la Giunta Fvg avrà tempo fino alla fine di maggio per "rimappare" le Unioni comunali. Poi, dal primo gennaio, la "macchina" dovrà entrare in esercizio con le aggregazioni. Probabilmente, se oggi è previsto un primo pacchetto di funzioni condivise entro il 2016 e un altro, più denso e importante, entro il 2017, la cadenza sarà ammorbidita e portata alla fine del 18. Insomma dalla gestazione (’15) alla maggiore età della riforma (’18) ci passa il tempo della Grande guerra. Resta da vedere la decisione finale della Giunta Serracchiani: per ora la sensazione è che presidente e assessori non vogliano agitare questioni di principio. I pensionati Cgil: sì alle aggregazioni ma anche alle norme sull'autonomia fiscale Testo non disponibile per motivi tecnici Scatta il codice del “regionale perfetto” (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE Deve rifiutare regali di valore superiore ai 50 euro, comunicare tempestivamente l’adesione ad associazioni, fuggire i conflitti di interesse, astenersi dalle dichiarazioni pubbliche, elevare la privacy a pratica quotidiana. Per il dipendente di Palazzo, adesso, c’è un Codice di comportamento che regola ogni rapporto di lavoro interno e con l’esterno. Un iter normativo lunghissimo, come spesso in Italia. Si parte nel marzo 2001, decreto legislativo 165, “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, si passa attraverso il decreto del presidente della Repubblica 62 dell’aprile 2013 e si arriva al Codice di comportamento dei dipendenti della Regione Fvg, 19 articoli firmati da Debora Serracchiani. Il documento fissa innanzitutto l’ambito di applicazione e i principi generali. Gli interessati sono sia i tempi determinati che quelli determinati, i tempi pieni come i part-time, e pure i consulenti. Per tutti è previsto il rispetto della Costituzione e degli obblighi di onestà, integrità, correttezza, buona fede, obiettività, trasparenza, indipendenza e imparzialità. Il dipendente dovrà inoltre orientare la propria azione amministrativa «alla massima economicità, efficienza ed efficacia». Più concretamente, nella gestione delle risorse, dovrà «seguire una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati». Quanto al rapporto con l’utenza, «assicurerà la piena parità di trattamento astenendosi da azioni arbitrarie o che comportino discriminazioni». All’articolo 4 la questione regali. Il dipendente, si precisa, non li chiede né li sollecita. Nemmeno li offre a un proprio subordinato. Tanto meno li accetta per compiere un atto del suo ufficio, «salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia o delle consuetudini internazionali». Il Codice indica una cifra spartiacque: 50 euro. Omaggi di valore superiore vanno evitati. Premesso che «non possono essere accettati regali sotto forma di denaro, indipendentemente dal lavoro», la nuova normativa inserisce inoltre tra le «utilità» da non offrire o accettare «pranzi e cene con soggetti estranei all’amministrazione», oltre alla partecipazione gratuita a manifestazioni, «fatte salve le ragioni di lavoro». E se il regalo arriva lo stesso? Va consegnato all’ufficio del provveditorato per la restituzione o la beneficienza. Il dipendente pubblico viene quindi informato dei limiti di partecipazione ad associazioni e organizzazioni i cui interessi possano interferire con l’attività d’ufficio, ma anche dei paletti per eventuali attività commerciali, industriali o professionali con altri soggetti sia pubblici che privati (autorizzazioni possibili in caso di incarichi occasionali e non lucrativi). Capitolo a parte (articolo 8) quello del conflitto di interessi. Il dipendente, che dovrà sempre farsi riconoscere esponendo il badge identificativo, è chiamato ad astenersi «dal partecipare all’adozione di decisioni inerenti alle sue mansioni che possano coinvolgere interessi propri ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi». Nella seconda parte del Codice, che ospita anche una sezione specifica (articolo 14) per i dirigenti, si fissano regole precise sui comportamenti nei rapporti privati (segreto d’ufficio) e in servizio (movimenti da timbrare regolarmente, utilizzo di computer, telefoni e altre attrezzature, mezzi di trasporto compresi, solo per esigenze di lavoro). Ovviamente da bandire le assunzioni di sostanze alcoliche e stupefacenti, le condotte moleste e offensive. Avvertimento molto chiaro, infine, per i rapporti con i giornalisti. Il dipendente «dovrà astenersi da qualsiasi tipo di esternazione e informare immediatamente il responsabile sovraordinato per l’eventuale risposta dell’ufficio stampa dell’amministrazione». CRONACHE LOCALI Scontro in aula sull’emergenza lavoro (Piccolo Trieste) di Silvio Maranzana Tre scenari in Consiglio comunale della situazione dell’occupazione in città e delle prospettive di crescita economica. Il primo lo fa Marino Sossi (Sel) primo firmatario della richiesta che ha portato alla convocazione straordinaria di ieri, il secondo il presidente del Consiglio Iztok Furlanic e il terzo l’assessore all’attuazione del programma Roberto Treu entrambi sugli incontri avuti con associazioni di categoria e sindacati rispettivamente dai capigruppo e dalla giunta. Dalla relazione di Treu emergono presupposti positivi: sulla dimensione internazionale della città grazie a porto, ricerca, grandi industrie, assicurazioni; sulla crescita del turismo, del welfare innovativo, dell’off shore; sulla rimessa in moto dell’edilizia con i prossimi interventi al Silos, alla Maddalena, in via Rossetti, a Campo Marzio, a Palazzo Carciotti; sulla riconversione del Porto Vecchio; sul rilancio del commercio con la pedonalizzazione di via Mazzini. «Documento condiviso con tutte le categorie», precisa Treu. Ma tutto ciò non basta a soddisfare le opposizioni, anzi. Paolo Rovis (Ncd): «Non ci sono tagli alle imprese su Tari e Imu, la giunta non fa niente per ridurre la burocrazia, la Regione è ferma sulle bonifiche». Everest Bertoli (FI): «La situazione lavorativa in città è tragica per corresponsabilità del Comune. Le imprese non sono messe in condizioni di lavorare. La tassazione complessiva è passata da 93 a 140 milioni». Paolo Menis (Cinquestelle): «Documento della giunta poco concreto, un errore spostare il Punto Franco da Porto Vecchio». Ma è Claudio Giacomelli a scatenare poi la reazione più infuriata del sindaco Roberto Cosolini. «Il discorso di Treu pareva quello del primo giorno, non del quarto anno di giunta. Il trend della disoccupazione è in aumento: passato dal 4,4 al 6,6% secondo i dati Istat, la peggiore performamce riguardo al trend di tutto il Friuli Venezia Giulia». «Falso - ribatte il sindaco - ho letto anch’io i dati Istat, Udine sta peggio di noi. Tra il 2013 e il 2014 siamo invece l’unica città della regione in miglioramento. Perdersi dietro un decimale sbagliato anziché portare proposte è un pessimo atteggiamento. Chi pensa che quello di Treu sia un libro dei sogni, sappia che è un sogno condiviso da tutte le categorie economiche della città. Il fatto è che qui ci sono due visioni diverse per il futuro economico di Trieste:Quella che guarda all’indietro vuole soltanto assistenzialismo, quella proiettata in avanti vuole mettere in moto i processi che creano economia. Non si può in Consiglio comunale un giorno rinunciare aprioristicamente ad altri 300 posti di lavoro che possono essere creati nell’area di Servola e una settimana dopo lamentarsi perché l’occupazione aumenta. A Trieste gli investimenti privati si stanno concretizzando: non solo per la Ferriera, ma anche per il Silos, prossimamente per il Piano del commercio (con i monomarca, ndr.) e presto anche con la sdemanializzazione del Porto Vecchio». «Assorbire a Servola i disoccupati Sertubi». Il sindaco fa sua la mozione bipartisan Ieri sera il sindaco ha anche fatta propria una mozione bipartisan sulla Sertubi che aveva come primo firmatario Alessia Rosolen (in foto) che l’ha anche illustrata in aula. La mozione impegna il sindaco e gli assessori competenti a chiedere un incontro con la proprietà della Ferriera di Servola affinché si individui un percorso finalizzato all’assorbimento dei lavoratori in mobilità della Sertubi. Li impegna inoltre a chiedere al presidente della Regione di dare seguito al punto 7 del verbale di Accordo del 2012 per quanto riguarda i percorsi formativi e riqualificativi rivolti ai lavoratori della Sertubi in particolare e, in generale, a tutti i lavoratori inseriti nella crisi del settore siderurgico dell’area triestina». Una quindicina di ex dipendenti della Sertubi, che già nel dicembre scorso hanno esaurito la cassa integrazione, hanno assistito ai lavori del Consiglio assieme al segretario provinciale della Fiom Stefano Borini. (s.m.) «I soldi di Arvedi risaneranno la Ferriera» (Piccolo Trieste) Sulla questione dell' area a caldo della Ferriera di Servola, che ha reso incandescente la settimana scorsa il Consiglio comiunale in occasione di una petizione dei cittadini, interviene anche Confindustria Venezia Giulia sottolineando che «il progetto del Gruppo Arvedi ha da sempre previsto un significativo investimento finanziario per il ripristino manutentivo degli impianti e l'adeguamento dei presidi ambientali, con l'obiettivo di una drastica riduzione delle emissioni». Secondo l’associazione degli imprenditori un braccio di ferro sulla questione è dunque prematuro. «Prima di prendere posizione sulla opportunità o meno di chiedere la chiusura di tale sezione dell'insediamento - sottolinea infatti la nota bisognerebbe che tutti aspettassero il completamento delle opere di ammodernamento programmate e valutassero gli impatti che tali investimenti avranno sulle emissioni inquinanti». Confindustria Venezia Giulia rimarca anche che «il cavalier Arvedi ha sempre ribadito in tutti i tavoli con le varie istituzioni che qualora gli interventi previsti non portassero alla riduzione degli inquinanti prospettata, è disposto a riconsiderare il progetto e a chiudere la sezione cokeria. A ció va aggiunto che la serietà dell'interesse del Gruppo Arvedi per Trieste è stata in questi anni ampiamente dimostrata non solo dal lavoro necessario a poter acquisire l'impianto, ma anche ad esempio, nelle more del perfezionamento del contratto d'affitto, dall'aver anticipato ingenti risorse per l'approvvigionamento del materiale indispensabile per la prosecuzione dell'attività industriale». Più secche le considerazioni che gli industriali fanno riguardo al dibattito, a tratti anche violento che sta attraversando anche le forze politiche oltre che le associazioni ambientaliste e i movimenti sindacali. «Igiudizi preventivi su progetti non ancora completati rientrano in quell'atteggiamento tendenzialmente non favorevole nei confronti delle iniziative imprenditoriali, che purtroppo ultimamente si respira - fa rilevare il comunicato Un'atmosfera che certamente non aiuta chi, giorno dopo giorno, continua a credere nel futuro industriale dell'Italia e dell'area della Venezia Giulia sia decidendo di mantenere qui le proprie attività, combattendo al fianco dei propri dipendenti, sia scegliendo queste zone per nuovi investimenti e insediamenti. C'è chi dimentica che la presenza industriale è necessaria per la tenuta di tutto il sistema». Il riferimento è ad altre opposizioni che vengono fatte non solo a Trieste su una erie di progetti industriali, ma rimanda seppur maginalmente anche al caso del rigassificatore di Zaule impianto nei confronti del quale lo stesso presidente di Confindustria Venezia Giulia Sergio Razeto ha ribadito anche recentemente il suo convincimento riguardo alla sua strategicità per il sistema Italia e alle sua ricadute positive sull’economia cittadina. (s.m.) Il ritorno di Godina in formato “mini” (Piccolo Trieste) di Laura Tonero Il marchio Godina torna nel panorama del commercio triestino. Venerdì pomeriggio, negli spazi che lo storico Godina aveva già destinato ai bambini, verrà infatti inaugurato “Mini Godina”, un nuovo negozio che proporrà abbigliamento e calzature da 0 a 16 anni. A gestirlo sarà Annalisa Godina che, rilevato il marchio di famiglia, e con una nuova società dove il padre Sergio è presente con il 20% delle quote, ripropone così sulla piazza di Trieste un nome che fatto la storia del commercio cittadino e regionale. «Sarà un’inaugurazione all’insegna della sobrietà, - assicura Annalisa Godina - perché l’amarezza della chiusura è ancora presente, ma la famiglia ha fortemente voluto uno slancio per ripartire, in versione “mini”, con un locale molto più piccolo e proponendo, per il momento, solamente abbigliamento e scarpe per bambini». Un nuovo punto di partenza, un nuovo capitolo per la storia di Godina, «che non esclude - preannuncia - che in futuro si riprenda a trattare nuovamente abbigliamento per adulti. Abbiamo vestito adulti e bambini per molti anni e ora desideriamo continuare a farlo con gli adulti di domani. Farlo con il cuore è il nostro grande impegno, questo lavoro la mia famiglia c'è l'ha nel Dna». Per non interferire con il percorso di ricollocazione sul mercato dell'immobile di proprietà della famiglia Godina che fino allo scorso 29 novembre ospitavano lo storico negozio che si affacciava sulle vie Carducci, del Coroneo e San Francesco, il nuovo negozio aprirà al civico 12 di via Carducci, in un foro commerciale della Comunità ebraica di Trieste. Uno spazio già conosciuto dagli affezionati clienti Godina perché, proprio quell'area del negozio, era destinata al reparto bambino e a quello dedicato all'intimo femminile. «Utilizzare tutto lo spazio per la vendita avrebbe creato notevoli problemi di presidio, - spiega Annalisa Godina - quindi abbiamo deciso di completare l’offerta commerciale con un ventaglio di servizi in cui bambini e ragazzi e le loro famiglie saranno al centro dell’attenzione». Da Mini Godina sarà possibile anche tagliare i capelli ai più piccoli ma pure realizzare su prenotazione un servizio fotografico. «Nello spazio retrostante, - spiega - non appena saranno ultimati gli interventi di ristrutturazione saranno proposte attività, progetti, laboratori ed eventi, ad esempio feste di compleanno a tema. Daremo la possibilità ai bambini e alle bambine di sentirsi modelle e modelli per un giorno e di ricevere la stampa delle fotografie come ricordo. La stretta collaborazione con i nostri principali fornitori ci ha permesso di offrire la nostra collaborazione per i casting che periodicamente le aziende fanno per la stesura dei propri cataloghi». Con il consenso dei genitori, gli scatti dei piccoli clienti verrano spediti a chi seleziona modelle e modelli per campagne pubblicitarie. Sarà possibile inoltre effettuare acquisti on-line sul sito www.minigodina.it e sui profili social di Mini Godina. E mentre si scrive una nuova pagina del marchio Godina, prosegue il tentativo di ricollocazione sul mercato dell'immobile che fino allo scorso novembre ospitava lo storico negozio di abbigliamento. «Abbiamo registrato diverse manifestazioni di interesse - assicura la giovane imprenditrice - ma ad oggi si registra un nulla di fatto». Trieste Trasporti, il Cda anticipa al personale seicento euro in busta paga (Piccolo Trieste) Buone notizie per autisti e impiegati alle dipendente della Trieste Trasporti. L’azienda di trasporto pubblico locale, su input dei sindacati, in attesa della definizione degli accordi sul rinnovo del contratto nazionale, ha scelto di erogare un anticipo di seicento euro pro capite (calcolati a partire dal parametro 175) con la retribuzione di marzo. Una decisione, informa una nota della Trieste Trasporti, adottata dal presidente Giovanni Longo dopo aver colto il disagio dei propri lavoratori, manifestato da parte del sindacato a fronte di un contratto di categoria scaduto ormai da anni. Si tratta, prosegue l’azienda, della decisione più importante presa durante la seduta del Consiglio d’amministrazione dello scorso venerdì, con voto unanime del presidente e di tutti i consiglieri. «La delibera di Trieste Trasporti colloca la società triestina fra le prime in Italia a far proprie le istanze delle rappresentanze sindacali dei lavoratori, pur in un panorama ancora incerto quanto ai tempi di chiusura del rinnovo del contratto nazionale autoferrotranvieri». «La delibera del Consiglio di amministrazione è un forte segnale di apertura nei confronti dei nostri dipendenti - ha commentato la decisione dopo il via libera del cda il presidente Giovanni Longo - e siamo altresì certi che azioni concrete come questa possano influire positivamente anche su una chiusura rapida del contratto a livello nazionale». La decisione, conclude la nota dell’azienda di trasporto pubblico locale, rientra in un percorso avviato dalla spa per valorizzare il patrimonio interno rappresentato dalle risorse umane. «Questa iniziativa - si legge ancora nel testo - si pone come un ulteriore punto fermo nella costante attività di miglioramento del servizio di Trieste Trasporti. Un miglioramento che, da un lato, si concretizza nel gestire un servizio capillare ed efficace con una delle flotte di mezzi fra le più giovani - non solo in Italia ma a livello europeo - e, dall’altro, riconferma un rapporto di ascolto, apprezzamento e gratificazione dei dipendenti». Si allunga la cassa integrazione alla Burgo (Piccolo Trieste) di Tiziana Carpinelli TRIESTE Cartiera Burgo senza pace. L’emergenza lavoro resta alta allo stabilimento di San Giovanni di Duino. Si avvera infatti il peggiore dei pronostici ventilati: l’iniezione di cassa integrazione alla Linea 2 - già in corso - si prolungherà di un’ulteriore settimana, fino alle 6 del 25 marzo, arrivando a ridosso delle ferie pasquali, quando comunque è prevista una nuova fermata dell’impianto per cinque giorni. E stavolta i sindacati, che venerdì hanno siglato un comunicato unitario, non ingoiano il boccone amaro, ma denunciano una serie d’incontri “top secret” in fabbrica e manovre più finanziarie che industriali da parte dei vertici, altresì puntando il dito contro la difficoltà a comunicare coi quadri. Insomma, il clima in Cartiera - alle prese con 140 operai in Cigo dal 4 marzo si fa rovente. Per questo la Rappresentanza sindacale unitaria si riunirà venerdì e in programma, la settimana seguente, dovrebbe esserci un incontro con la dirigenza. L’azienda intanto ha comunicato alla Rsu che «per nuove contrazioni del mercato di riferimento della Linea 2», dove si produce il “patinatino” cioè la carta per riviste, viene prorogata la fermata «probabilmente fino al 25 marzo alle 6». «Il dubbio sulla data - spiegano i delegati Rsu - sta nel fatto che siamo prossimi alle festività pasquali, periodo in cui “Burgo”, stante il volume degli ordini, pensa di programmare una fermata produttiva di tutto lo stabilimento, coinvolgendo anche la Linea 3 per circa cinque giorni». Tra parentesi, pure la Linea 8 di Verzuolo (l’altro sito indicato a rischio) è stata interessata dalla cassa per i medesimi motivi, inoltre lì si prevede ad aprile una nuova fermata di circa 20 giorni. «L’informazione sottolineano Cgil, Cisl e Uil - si è svolta in un clima paradossale. Infatti, mentre allo stabilimento di Duino si teneva una riunione manageriale, presieduta da Alberto Marchi, massimo manager della nostra divisione Cwr (carte patinate con legno, ndr), noi tentavamo di strappare un incontro per ottenere maggiori delucidazioni su una Cigo che potrebbe durare un mese, dunque con pesanti ricadute economiche e psicologiche del personale coinvolto. Per tutta risposta l’azienda si è però limitata a fornire quelle scarne comunicazioni. Informandoci inoltre che le visite a livello manageriale di più soggetti con diverse funzioni ultimamente si stanno intensificando». «Ciò ci induce - ragionano le sigle - ad alcune riflessioni. La scorsa settimana si è infatti tenuto un altro vertice in Cda per chiudere sul nuovo assetto della governance. Il tutto si è svolto nel massimo riserbo. Non c’è straccio di notizia o comunicato, quindi noi ci chiediamo: a che punto siamo? Vicini a un nuovo sodalizio matrimoniale tra proprietà industriale e partecipazioni finanziarie o a un divorzio più o meno consensuale?». In 600 sotto controllo per le placche pleuriche (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Laura Borsani Il dato proviene dall’archivio del Centro regionale unico per l’amianto insediato al San Polo: 600 monfalconesi hanno sviluppato nell’arco di vent’anni le placche pleuriche per esposizione al minerale. Soggetti, dunque, sotto osservazione. I dati del Crua Monfalcone e il suo territorio hanno comunque scontato pesantemente il dramma dell’amianto. A fornire il quadro della situazione è stato l’assessore all’Ambiente, Gualtiero Pin, che, anche sulla scorta della recente delibera di giunta comunale con la quale si sollecita un ulteriore sviluppo e impulso per il Crua, è impegnato a studiare e approfondire questo delicato fronte che ha consegnato effetti inequivocabilin sulla realtà monfalconese, frutto di una “storicizzazione” del fenomeno-amianto, che fu bandito nel 1992. I decessi dal ’94 al 2013 I dati tratti dall’archivio e dal data-base del Crua, che raccolgono la “storia sanitaria” della popolazione isontina, e in particolare del Monfalconese, danno la misura sulla portata del drammatico fenomeno. I dati dunque sono riferiti agli ultimi vent’anni, ossia dal 1994 al 2013. Si parla di 533 morti per amianto nella provincia di Gorizia, di cui 323 solo a Monfalcone. Un’incidenza per la città equivalente al 66%. In particolare, nella provincia isontina sono stati registrati 221 decessi per mesotelioma, 268 per neoplasie polmonari e 44 per asbestosi. Da questi dati complessivi, si evince, quindi, che a Monfalcone nel periodo indicato sono stati rilevati 126 decessi per mesotelioma, 167 per tumore al polmone e trenta per asbestosi. Si tratta di persone decedute, che hanno avuto un contatto prolungato nel tempo con il minerale, sostanzialmente di età riconducibile a fine carriera lavorativa. Dal rapporto di archivio relativo ai decessi nell’Isontino del Crua, inoltre, risulta che, sempre nel lasso di tempo tra il 1994 e il 2013, nel Comune di Ronchi dei Legionari i casi di morte sono stati venti, mentre a Staranzano tredici. E ancora, c’è un ulteriore elemento relativo alle patologie neoplastiche: è stato rilevato, infatti, lo sviluppo di forme tumorali diverse da quelle polmonari, in particolare riguardanti il cancro al colon. La “fragilità” del territorio Sono dati che chiamano in causa la riflessione in relazione alla “fragilità” di un territorio che ha messo in fila numerose vittime dell’amianto. Una situazione, dunque, come ha spiegato l’assessore all’Ambiente, Gualtiero Pin, che deve tenere conto anche del contesto del territorio, caratterizzato dalla forte presenza di realtà industriali. L’assessore Pin ha definito le vittime dell’amianto «eroi silenziosi, al pari di quanti hanno combattuto sul fronte di guerra, e che, con il loro sacrificio e la loro dedizione professionale, hanno elevato il tessuto sociale del territorio, sostenendo con il loro lavoro le proprie famiglie, peraltro coscienti di cosa andavano incontro, di fronte allo sviluppo della ricerca clinico-medica che si è consolidata negli anni». L’assessore Pin: ridurre l’inquinamento Sulla scorta di questi elementi, quindi, l’assessore all’Ambiente ha osservato: «I dati ricavati dall’archivio del Centro regionale unico per l’amianto forniscono un quadro delicato e difficile di un drammatico fenomeno, che non può essere “isolato” dal contesto generale del territorio attuale. Ritengo, infatti, che il compito degli amministratori e delle istituzioni debba essere proprio quello di sviluppare ulteriormente e con determinazione un percorso strutturato di salvaguardia e tutela della salute della popolazione». L’assessore Pin ha conclusoi: «È necessario agire affinchè vengano progressivamente ridotte tutte le tipologie di agenti inquinanti, al fine di fornire concrete risposte sul futuro del nostro territorio, mettendo in campo le misure e le sinergie adeguate». Liva (Cgil): «I diritti non sono in appalto» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) È vero, gli appalti sono il pane quotidiano per i 4mila operai “esterni” occupati nella cantieristica. Ma i diritti non sono in appalto. Lo dice forte e chiaro la Cgil che ha avviato ieri alle 11, davanti all’ingresso della Fincantieri («Perché per noi è il problema dei Problemi», così il segretario provinciale Paolo Liva) una raccolta firme per sostenere la proposta di legge di iniziativa popolare avanzata proprio a garanzia dei trattamenti di chi opera nelle filiere degli appalti pubblici e privati. Tre obiettivi e almeno 300 sottoscrizioni da raccogliere sul territorio (ne servono 250mila in tutto): la tutela nei trattamenti economici e normativi, il contrasto alle pratiche di concorrenza sleale tra imprese e la salvaguardia dell’occupazione nei cambi d’appalto, perché spesso le unità vengono numericamente assorbite, ma altro discorso vale per le qualifiche. «Se la proposta di legge assume rilevanza nazionale - ha esordito Liva alla presentazione dell’iniziativa - a Monfalcone, per le caratteristiche del territorio, il tema ci vede particolarmente sensibili». Una delle “piaghe” di appalto & subappalto (anche se «la nuova frontiera è rappresentata dall’Ati») è sicuramente la concorrenza sleale. «Negli uffici vertenze - ha spiegato - assistiamo a situazioni paradossali: operai che lavorano dai 2,90 ai 4,90 euro all’ora, quando il minimo sindacale è di 7-8 euro. Altro che concorrenza sleale! A fronte di queste cifre nutro seri dubbi sul fatto che Bono onori l’impegno a ridurre il numero di appalti di cui Fincantieri si serve, come ventilato alla consegna della Britannia. E difatti il sindaco giustamente richiama l’azienda a fare la propria parte in una Provincia in cui i disoccupati toccano quota 15mila unità». «Non si può dire - ha osservato Liva - che Fincantieri sia direttamente responsabile, ma le attribuisco senz’altro una responsabilità morale: le inoltriamo ogni volta, per conoscenza, le informazioni su questi casi». Che l’appalto sia un nodo cruciale per lo dicono i numeri: «La cantieristica occupa 1.500 dipendenti diretti ha snocciolato il segretario - ma negli ultimi mesi la media degli addetti esterni si è attestata su 4mila lavoratori, il 75% del globale». Di qui la volontà d’esser presenti, per tre giornate di raccolta-firme su cinque, alla Fincantieri. Oggi a incentivare l’adesione, dalle 11 alle 14.30, ci sarà l’assessore Cristiana Morsolin. Il banchetto prosegue domani. Stesso orario. Sempre domani la petizione si sposterà anche alla Eaton (13.30-14.30), mentre giovedì alla Nidec (13-14.30), dove resterà pure venerdì (13-17.30). Non mancherà una tappa goriziana, il 19 dalle 9 alle 12, davanti all’ospedale, giacché l’appalto «investe ampiamente anche i settori pubblici, per il 30%, in ragione del blocco delle assunzioni». «Mentre nell’edilizia arriva addirittura all’80%, vedi Tiare», ha rilevato Enrico Coceani, responsabile della petizione nell’Isontino. Infine Liva si è lasciato andare a una battuta sulla vertenza integrativoFincantieri: «A ’sto punto ci aspettiamo di sentir riconfermata l’ipotesi del microchip sotto l’elmetto del lavoratore. Purtroppo le aziende stanno riversando sugli operai gli effetti di un’economia spregiudicata». (t.car.) Grado, man bassa di seggi delle Rsu per il Sindacato autonomo (Piccolo Gorizia-Monfalcone) GRADO Alla Rsu (Rappresentanza sindacale unitaria) del Comune di Grado trionfa il Sindacato autonomo gradese affiliato della Uil Fpl. Il Sag ha conquistato, infatti, il 68,03 per cento dei voti con la maggioranza assoluta dei seggi (6 su 9) conquistando 100 voti di lista sui 147 votanti (gli aventi diritto al voto erano 163). Per il Sag sono risultati eletti Maurizio Longo (il candidato in assoluto più votato con 53 preferenze), Alberto Cauterto, Maria Luisa Lepore, Elisa Menotti, Dorino Trovato e Sara Zerbin. Questi gli altri elettI: Giovanni Marchesan (Fp Cgil), Paolo Pozzetto (Cisl Fp) e Giuseppe Russo (Cisal EE. LL. Fvg ). Il segretario e anima del sindacato autonomo gradese che ha vinto il confronto, Maurizio Longo, oltre a esprimere soddisfazione per il risultato raggiunto che premia anni di continuo impegno, sottolinea come «nel momento in cui i lavoratori del pubblico impiego sono posti alla berlina, in sede locale vi sia stato invece un impegno a difesa dei lavoratori». Contestualmente gli stessi lavoratori hanno operato nei confronti dei cittadini «riconoscendo negli stessi – dice Longo - un cliente e un partner insostituibile nel corretto amministrare e non già una “istanza” cui prestare ascolto benevolo, come obbligo di un provvedimento amministrativo». Il sindacato cresce così in sintonia con la comunità locale forte del consenso ma «snobbato in talune occasioni dalla politica - aggiunge il Sag che non è ancora riuscita a comprendere che se la macchina comunale funziona bene è un riverbero positivo anche per loro». (an.bo.) Romanello, via alla liquidazione (M. Veneto Udine) CAMPOFORMIDO Il concordato della Cartiera verde Romanello è stato omologato, ultimo atto di una complessa vicenda che pare segnare un punto di non ritorno, aprendo alla vendita della fabbrica di Basaldella. Lo stabilimento, che con una macchina produceva carta da giornale e con una seconda ondulati da imballaggio e impiegava 150 addetti, è chiuso da tre anni. Forza lavoro ora in mobilità, in attesa di nuova occupazione, ovvero disoccupata, se non dispersa nei rivoli del lavoro precario. In arrivo, nominata dal tribunale, una professionista incaricata di espletare le operazioni relative alla liquidazione dei beni compresi nel concordato. È infatti scaduto l’incarico dei precedenti liquidatori Marson e Messuri. Gli scenari Dopo il pronunciamento del tribunale di Milano sull’omologa, si comincerà a pagare gli aventi diritto (ma i creditori ottengono briciole). Ciò potrebbe significare lo “spezzatino” dell’apparato produttivo per ricavare le risorse necessarie. Ma Rsu e lavoratori non hanno perso la speranza nell’interessamento di qualche imprenditore: a bocce ferme anziché con la procedura in corso potrebbe essere più agevole acquisire l’azienda o prenderne in affitto un ramo. Ipotesi remota, se si guarda al passato, costellato di vaghe proposte e aspettative deluse. Gruzzolo in arrivo Per gli ex dipendenti che hanno diritto a ricevere il Tfr accantonato in azienda sarà la manna. Sono infatti creditori privilegiati, da liquidare per primi. Si calcola in quasi 2 milioni di euro in totale il rimborso del Tfr agli ex lavoratori. Autentica boccata d’ossigeno per quelle famiglie, dopo mesi di cinghie tirate usufruendo degli ammortizzatori sociali. Il sindacato Paolo Morocutti, segretario provinciale Slc-Cgil, che ha affiancato i lavoratori della Romanello fin dal primo annuncio della crisi, osserva: «L’omologa è un esito che contiene aspetti di positività in confronto alla previsione di fallimento. I lavoratori avranno ora i loro diritti, l’incognita sono i tempi per l’erogazione del Tfr». Anche per Morocutti la speranza è una cordata che restituisca vita alla cartiera, almeno mettendo in produzione la meno obsoleta delle macchine, anche con parte degli addetti. Chiederà un incontro alle istituzioni, in particolare alla Regione, per valutare il da farsi alla luce dell’omologa. Gli ex dipendenti Spiega Morocutti che buona parte delle maestranze ha trovato occupazione nei Comuni attraverso i lavori socialmente utili, o con piccoli contratti a termine e in impieghi dove si usano voucher; 5-6 hanno trovato da ricollocarsi nello stesso settore, assunti dalla Cartiera di Cordenons. Una cinquantina si alternano al presidio dello stabilimento, remunerati dalla società di leasing che ha in carico le macchine, al fine di proteggere il sito dalle inevitabili incursioni di ladri e vandali. Incarico che viene rinnovato di mese in mese, ma che potrebbe avere fine con la vendita dei macchinari. I rimanenti 70 sono a casa. Paola Beltrame E il sindaco Bertolini promette: «Chiamerò la presidente Serracchiani» Il sindaco di Campoformido, Monica Bertolini (foto), segue da vicino le vicende della Cartiera verde Romanello, dispiaciuta, assieme all’amministrazione che guida, per il problema sociale rappresentato dalle famiglie lasciate sul lastrico dall’interruzione dell’attività lavorativa e preoccupata per il rischio di abbandono e degrado del vasto sito, in pieno abitato di Basaldella. «In questo delicato frangente non lascerò nulla di intentato – assicura – e immediatamente cercherò contatto con la presidente Debora Serracchiani, che è stata referente diretta e personalmente impegnata a seguire la vicenda della Romanello». Ancora, a proposito dell’amministrazione di Campoformido, alla stessa Bertolini si rivolge attraverso il nostro giornale, in rappresentanza dei lavoratori, Lino Callegaro, della Rsu, ringraziando la maggioranza per aver devoluto ancora una volta i gettoni di presenza dell’ultimo consiglio straordinario a favore delle maestranze impegnate nel presidio. (p.b.) «Italricambi, da Faber per ora c’è solo una proposta» (M. Veneto Udine) CIVIDALE Faber Industrie Spa ha «solo formulato una proposta d’acquisto dell’azienda Italricambi: proposta che è, naturalmente, la benvenuta, ma che risulta sottoposta ad alcune condizioni». Francesca Linda, curatrice fallimentare per Italricambi, appunto (sede principale a Cividale, filiale a Flagogna di Forgaria), chiarisce lo stato dell’arte di una vicenda che si trascina ormai da due anni. Attualmente, precisa, l’offerta avanzata dalla solida realtà industriale cividalese «è all’esame degli organi del fallimento e di quelli che si occupano della procedura collegata Tech-imm. Srl, proprietaria degli immobili della ditta attiva nella città ducale e a Flagogna»: le valutazioni in corso rappresenteranno la base per una gara pubblica «volta a provocare - sottolinea la curatrice - offerte economicamente più vantaggiose da parte di altri eventuali interessati». La gara, ricorda quindi Linda, è imposta dalla legge: considerare l’operazione della vendita cosa fatta potrebbe dunque «da un lato suscitare il sospetto che gli organi del fallimento abbiano violato le normative, aggiudicando l’impresa senza rispettare l’iter prescritto, dall’altro interferire indebitamente con la pubblicizzazione di quest’ultimo». «È ben comprensibile - conclude Francesca Linda - la preoccupazione sociale per i posti di lavoro in gioco: al riguardo va però precisato che il piano di Faber non prevede, in realtà, la riassunzione della stragrande maggioranza del personale (pari a 93 unità, attualmente in cassa integrazione) bensì soltanto di alcuni dipendenti. C’è l’impegno, poi, a porre in essere ulteriori riassunzioni nell’arco di un biennio, per un totale che a oggi si aggira sulle 35 unità complessive». Un po’ diverso il quadro prospettato, nei giorni scorsi, dalla Fim Cisl provinciale, che aveva invece annunciato imminenti contatti con la Faber per definire il piano industriale ma soprattutto per affrontare la questione del riassorbimento della forza lavoro: l’obiettivo, aveva anticipato il segretario Spelat, sarebbe quello di favorire un reinserimento in attività di un alto numero di persone (anche ai fini della continuità operativa). (l.a.) Coopca, nella cordata Coop Nordest (Gazzettino Udine) David Zanirato TOLMEZZO Oggi sottoposto ai giudici del tribunale di Udine il piano per ottenere il concordato Appurata ormai l'impraticabilità di una cessione globale dell'intera catena, Coopca avrebbe al momento trovato due formule utili a "piazzare" metà della sua rete di vendita composta da una quarantina di supermercati: da un lato otto negozi tra i più redditivi (5 in Friuli e 3 Veneto) hanno ricevuto una offerta vincolante d'acquisto (azienda, scorte ed immobili) da parte di una serie di soggetti (privati e marchi autonomi) che darebbe "fiato" alla sostenibilità iniziale del piano di risanamento; dall'altra si è palesata ieri - anche grazie all'interessamento diretto della presidente della Regione Serracchiani - la disponibilità da parte di Coop Nordest e mondo della cooperazione nazionale di far parte della cordata "friulana" che acquisirebbe altri 13 punti vendita, valutando poi l'opportunità o meno di mantenere il marchio della storica cooperativa carnica. Ulteriore contributo infine sarebbe stato manifestato per un paio di altri spacci da parte di un marchio internazionale. Questi due ultimi passaggi ancora in fieri potrebbero concretizzarsi come proposta migliorativa al piano, nel momento in cui i giudici del Tribunale di Udine, oggi chiamati a prendere in mano il documento elaborato dalla società e a valutarne le condizioni di ammissibilità, diano poi il là all'apertura della procedura di concordato preventivo che tutti auspicano. E sicuramente saranno indispensabili a limitare il più possibile la perdita di posti di lavoro. Nel mentre la procedura prevede la nomina di un commissario giudiziale e la fissazione entro trenta giorni dell'adunanza di tutti i creditori che dovranno poi votare il concordato a maggioranza se lo riterranno soddisfacente. «Con il piano elaborato che domani (oggi, ndr) depositeremo - specifica l'avvocato di Coopca Giuseppe Campeis - contiamo di riuscire a dare risposta a tutti i creditori privilegiati, permettendo nel contempo di tenere aperti i negozi. È certo invece che le quote sociali non verranno rimborsate perché pur non essendoci un bilancio chiuso al 31/12/2014, con il patrimonio netto in negativo, il capitale sociale se n'è andato». Spetterà successivamente al commissario liquidatore nella fase di esecuzione del concordato cercare di vendere tutto il rimanente patrimonio della società e gli avviamenti per provvedere il più possibile al rimborso "in quota" del prestito sociale ai 3 mila prestatori (26,5 milioni) che ricordiamo è stato congelato. La Maschio Gaspardo apre al secondo anno di solidarietà (M. Veneto Pordenone) La Maschio Gaspardo apre anche alla possibilità di un secondo anno di contratti di solidarietà per gestire i 78 esuberi, di cui 30 nello stabilimento di Morsano al Tagliamento. Nell’incontro di ieri con le organizzazioni sindacali, l’azienda ha dichiarato la disponibilità a prorogare l’ammortizzatore, nonché a ricollocare parte del personale all’interno del Gruppo, nel caso in cui vi fosse la possibilità. Su questi fronti, impresa e sindacati sono in linea. Da trovare, invece, un punto d’incontro sulla partita che interessa gli incentivi per quanti aderiranno alla mobilità volontaria. La proposta formulata dall’azienda, per il momento, non ha soddisfatto le forze sociali. Sarà necessario trattare ancora, per individuare una soluzione che possa soddisfare entrambe le parti. Si è iniziato a delineare, comunque, un quadro che porterà all’intesa finale. In assemblea, i sindacati illustreranno ai lavoratori l’esito dell’incontro e raccoglieranno istanze e osservazioni. Un nuovo tavolo di confronto con l’azienda è in programma la prossima settimana. (g.s.) Il direttore di fabbrica lavorerà gratis (M. Veneto Pordenone) Esperienza consolidata nel settore della ceramica sanitaria a livello internazionale, oltre vent’anni al servizio di Ideal Standard e oggi manager, a titolo gratuito, della coop Idealscala, di cui da ieri è diventato socio. Arnaldo Bravin, 62 anni, pensionato di Cordenons, ancora operativo come consulente, seguirà intanto l’avvio dell’attività produttiva nel sito di Orcenico. Un manager con le idee chiare: primi obiettivi puntare sull’alto di gamma, con sviluppo di nuovi prodotti, per sfondare sul mercato estero, e creare una rete di vendita solida. Oggi la prima uscita ufficiale al tavolo tecnico in Regione per discutere dei prossimi passi verso il piano industriale della coop. Bravin conosce bene la realtà di Orcenico e pure i lavoratori che hanno deciso di intraprendere questa avventura imprenditoriale: prima che lo stabilimento di Orcenico chiudesse, aveva dato disponibilità ad accompagnare i dipendenti in un eventuale percorso di workers buy out. Si può quindi dire che ha mantenuto la parola data. «Prima che Ideal Standard decidesse di alzare bandiera bianca a Orcenico – ha spiegato –, avevo fatto un anno e mezzo di consulenza nel sito e comunicato a Gian Mario Petozzi, presidente di Idealscala, che se i lavoratori avessero voluto creare una coop, avrei dato adesione come tecnologo a costo zero». Un incarico comunque a tempo: «Affiancherò gli addetti nella partenza, con una disponibilità al 70 per cento – ha chiarito –. Poi sarà necessario un direttore full time». Bravin ha già preso visione del progetto di massima elaborato da Bpi: una bozza che si può modificare e integrare, che rappresenta la base dei prossimi confronti. «Non è pensabile partire con prodotti vecchi di 20 anni: bisogna puntare su nuove linee e di alta gamma – ha rilevato –. Prioritario e indispensabile, inoltre, creare una rete di vendita blindata: procacciare clienti che assicurino l’acquisto di volumi. Ora abbiamo la manodopera, persone capaci e in grado in lavorare in team: un ottimo punto di partenza sì, ma per costruire il progetto finale servono garanzie sui volumi. Questo permetterà di ottenere guadagni certi e quindi di assorbire un numero consistente di addetti (per la fase di partenza ne sono previsti 50, ndr). Non dimentichiamoci che passiamo da una struttura industriale a una artigianale e che Ideal Standard ci toglie gli impianti migliori». I contatti commerciali, come aveva fatto sapere Petozzi nei mesi scorsi, ci sono, anche all’estero: in Sud America, ad esempio. «Bisogna mettere tutto nero su bianco – ha osservato Bravin –. L’obiettivo di Idealscala è farsi conoscere con marchio Senesi all’estero. Per ora, in Italia non c’è spazio. Ci sarà se l’edilizia dovesse ripartire». Non si rinuncia, comunque, al mercato interno, anche se Bravin punta a uno sguardo più internazionale, vista pure la sua esperienza. Nei sei anni precedenti alla pensione, ha anche ricoperto un incarico da dirigente in una multinazionale americana. «Un bagaglio ricco che metterà a disposizione di Idealscala – ha commentato Petozzi –. Bravin fa consulenze nel settore in tutto il mondo ed è il manager che fa al caso nostro». «Siamo soddisfatti – ha commentato Marco Bagnariol, direttore di Confcooperative Pordenone, la cui sede ieri ha ospitato il cda della coop –: i tasselli stanno andando a posto e Idealscala ha le carte in regola per operare con successo, in autonomia decisionale. Un plauso anche a Bravin che ha deciso di essere al fianco dei lavoratori». Giulia Sacchi
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