sInIstra lavoro settImanale anno II - numero 15 - 1 aprile 2015 www.sinistralavoro.it - [email protected] per la sinistra che vince Dopo l’importante manifestazione Di sabato scorso, i giornali e le tv si sono sprecati nei commenti, e, come è ormai D’uso per la pessima stampa italiana, a sproposito. la lagna è sempre la stessa: lanDini farà il partito? e se lo farà che spazio politico avrà? di Roberto Mapelli la risposta più o meno unamime è stata: certo che lo farà e avrà lo spazio al massimo della “migliore” rifondazione (quella di bertinotti), cioè il 7-8%. e questo perché la sinistra a cui allude landini è “vecchia” e quindi “antagonista” e “pura”, e quindi necessariamente minoritaria... analisi dei contenuti, ovviamente neanche a parlarne. ma si sa, le analisi e i contenuti, cioè la verità, non rispettano i tempi televisivi e di solito non fanno l’evento; quindi la notizia. ma sottraiamoci a questo gioco malevolo e proviamo a fare qualche ragionamento di analisi e contenuto dimostrando che è possibile farlo anche in breve spazio e senza troppo annoiare. la manifestazione di sabato scorso era contro le politiche economiche e sociali del governo renzi, in particolare contro il Jobs act. la proposta della coalizione sociale della fiom mette al centro il lavoro e da questo fulcro vuole agganciare i temi della politica economica e industriale, della solidarietà sociale, della lotta per la legalità, della questione ambientale, della qualità (e quantità) della democrazia. Quindi un grande tessuto associativo del nostro paese, che coinvolge milioni di persone attive, risponde positivamente a due cose: 1) dire no a renzi e al suo progetto per il paese; e 2) proporre una alternativa (di governo dei problemi del paese) a partire dalla centralità del lavoro. centralità del lavoro che significa in primo luogo restituire protagonismo sociale e politico alle lavo- ratrici e ai lavoratori del nostro paese in primis unendoli come parte sociale che si possa riconoscere nello sfruttamento e nell’ingiustizia che quotidianamente subiscono, contro tutte quelle politiche (come il Jobs act) che li separano e che li pongono in competizione (occupati contro disoccupati, garantiti contro non garantiti, giovani contro vecchi, ecc...). centralità del lavoro che in secondo luogo significa una scelta di campo (e di punto di vista), attraverso la quale giudicare ciò che c’è e guardare alle cose da fare facendo proposte concrete: no al jobs act, si ad un nuovo statuto dei lavoratori che garantisca tutti in egual misura; no alle politiche economiche liberiste e alle privatizzazioni, si a nuove politiche industriali stategiche con un ruolo centrale del pubblico per produrre buon lavoro senza precarietà; no alla “riforma” fornero e all’ulteriore tentativo di distruggere le pensioni italiane, si ad una vera riforma con la centro la dignità dei pensionati presenti e futuri; no ad una europa dei ricchi e della austerità (ovviamente solo per i po- 1 veri), si ad una europa dei popoli basata sulla crescita qualitativa e sulla solidarietà tra paesi e popolazioni; no ad una fiscalità al contrario, si al ripristino della progressività vera; no alla protezione dei potenti e dei mafiosi, si a politiche sociali e leggi adeguate per il ripristino della legalità comunque e dovunque; insomma no allo smantellamento della nostra costituzione, si alla sua applicazione reale. si dirà: un vero e proprio programma politico? appunto un programma non un partito... e un programma politico ha l’ambizione di diventare “il” programma politico del governo. per farlo non serve “la migliore” rifondazione, ma la convinzione della maggioranza degli italiani. a questo si punta: con la costruzione paziente della coalizione sociale, con la trasformazione e la messa a disposizione delle parti migliori della sinistra politica esistente (come dimostra, ad esempio, sel con la sua recente apertura), con la definizione sempre più condivisa di un programma di cambiamento in senso popolare e di classe, con la presa di coscienza della modificazione della funzione politica del sindacato, con l’assunzione di responsabilità politica della parte migliore e più avanzata dell’associazionismo italiano, con l’apertura, infine e quando servirà, di una discussione concreta sulle forme e sulle strutture che questo programma dovrà darsi, appunto per convincere la maggioranza degli italiani e quindi per vincere anche le elezioni. e questa sarà la “migliore” sinistra per il nostro paese. italia/politica claudio grassi Dentro la coalizione sociale per la sinistra la manifestazione Di sabato inDetta Dalla fiom contro il Jobs act e le politiche Del governo renzi è riuscita. le peggiori previsioni fatte Da chi auspicava un flop alla salvini con una piazza Del popolo semiDeserta, sono state smentite Dai fatti. erano anni che non si veDevano tante banDiere rosse, e così tante facce sorriDenti e combattive tutte assieme. non solo operai di vecchia generazione, ma anche giovani che hanno seguito il corteo e si sono trattenuti sotto il palco o seduti sui muraglioni del pincio per ascoltare il comizio del segretario, fino all’ultimo secondo, in silenzio, come è accaduto assai di rado nella storia recente delle manifestazioni sindacali. non è stata una manifestazione qualsiasi. Dove sta la differenza tra questa e le tante a cui negli ultimi hanno abbiamo partecipato, sia sindacali che politiche? la differenza è qualitativa per diverse ragioni. la cornice in cui si inscrive è quella di un radicale cambiamento del contesto generale precipitato sotto i nostri occhi negli ultimi 20 anni (e per responsabilità anche dei governi di centro sinistra). è il contesto di una crisi estrema che attraversa oggi il paese e che investe oramai ogni campo della vita collettiva, da quello economico a quello democratico e politico a quello culturale e antropologico, da quello pubblico a quello privato, e che colpisce senza soluzione di continuità tutte le generazioni. la crisi da una parte e, dentro questa, la polverizzazione della sinistra, la sua lenta agonia, fino all’ininfluenza e alla perdita di credibilità. ciò che resiste, seppur con le più nobili ragioni ed il massimo della buona volontà, non riesce a risalire, a recuperare terreno, perché la distanza oramai consumata tra politica organizzata e ceti sempre più in sofferenza è incolmabile, e perché tutti i tentativi, che pure abbiamo provato a mettere in campo in questi anni partendo dai soggetti esistenti, hanno mostrato limiti insa- nabili e sono falliti tutti, senza eccezione, producendo solo delusione crescente, senso di impotenza, perfino diffidenza. la manifestazione di sabato si colloca in questo quadro in cui la sinistra, per la gente, nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno, è assente, screditata, incapace di dire parole, e per gli innumerevoli fallimenti accumulati sulle spalle è solo la fotografia della sconfitta. oltre le rivendicazioni sindacali, la domanda è politica. la fiom quindi chiama il suo popolo a uscire allo scoperto, alla luce del sole. è una manifestazione indetta da un soggetto autorevole, il sindacato più combattivo del paese, e le parole d’ordine riguardano il lavoro, come è giusto che sia, preso a picconate dal governo renzi che opera l’ultimo giro di vite in obbedienza alla troika. ma le aspettative della piazza travalicano con ogni evidenza il 2 piano delle rivendicazioni sindacali. è questo un altro fondamentale elemento di differenza qualitativa, perché qui la domanda che preme forte investe la politica a tutto tondo e punta dritto in una direzione: dare a questo paese non solo un sindacato non consociativo e subalterno ai partiti di governo (lo dice il segretario della fiom dal palco senza mezzi termini provocando il nervosismo di camusso), ma anche una sinistra degna di questo nome. e da landini, che non è un leader di quelli usciti dalle televisioni o dalle copertine di carta patinata, ma dalle lotte dei metalmeccanici contro i padroni negli anni più duri che il paese ricordi dal dopoguerra ad oggi, quando interviene dal palco con indosso la felpa rossa della fiom, ci si aspetta anche un intervento politico, e che finalmente arrivi a parlare della coalizione sociale. italia/politica coalizione sociale e sinistra landini parla a lungo, più di un’ora, con la grande capacità di farsi comprendere e di connettersi ai problemi reali delle persone, che è la ragione principale della sua popolarità. per quasi tutto il tempo affronta temi sindacali, parla di lavoro e non lavoro, della battaglia per riprenderci lo statuto dei lavoratori, della battaglia per un reddito minimo: per certi versi “renzi è peggio di berlusconi”, dice, ricordando come i disastri che oggi raccogliamo sul terreno dei diritti e della democrazia vengono da lontano e riguardano anche un pezzo consistente di quella sinistra che ha dismesso da molto tempo le ragioni stesse della propria esistenza. e finalmente alla fine del suo intervento entra pienamente in connessione con la piazza che aspetta da lui “la risposta” politica. e’ il punto sulla coalizione sociale, il progetto cioè di un laboratorio da diffondere su tutti i territori che sappia coinvolgere, motivare e rimotivare i soggetti del conflitto, le realtà di lotta, le vertenze, chi produce pensiero e cultura, le associazioni, i movimenti. va ricostruita una massa critica, e questo può accadere solo attraverso la partecipazione, senza la quale la politica muore. e perché ciò sia possibile è necessario avviare un percorso in fieri, aperto, che si co- struirà a rete attraverso assemblee e iniziative, ovunque, e che sarà coordinato sia sui territori che centralmente a partire dalla fiom come forza trainante. e sarà un percorso politico a tutto tondo, cosa che landini rivendica con forza insistendo sul fatto che il sindacato deve fare politica eccome e deve farla a 360 gradi. ma non gli sfugge la crisi di rappresentanza che attraversano sia i sindacati che i partiti, crisi profondissima, che richiede coraggio di intervenire anche immaginando nuove forme dell’organizzazione. Questa è la strada che ci viene indicata: a monte c’è la consapevolezza di non poter proporre le solite ricette e i soliti schemi di mero assemblaggio dell’esistente, e la sua forza sta proprio nel costituirsi e definirsi processualmente. che faranno adesso le forze politiche a sinistra del pd? il sindacato dunque scende in campo su una vertigine di vuoto politico. le forze di sinistra adesso che fanno? raccoglieranno l’input lanciato dalla fiom o continueranno ciascuna a operare nel proprio ambito sempre più ristretto ed ininfluente per preservarsi? oppure, peggio, continueranno solo a parole a dirsi disposte a costruire processi unitari ma senza mai voler rinun- 3 ciare a piccole quote di visibilità? Qui sta il senso della sfida oggi sul tavolo. le forze politiche a sinistra del pd dovrebbero partire da un atto di coraggio anche intellettuale, mettersi in discussione veramente prendendo atto che il loro progetto strategico si è esaurito e, per fare una cosa utile, mettersi a disposizione e lavorare senza steccati per contribuire a costruire tutti insieme una forza unica, più grande e rappresentativa della sinistra, come è stato fatto in grecia. ciò renderebbe più agevole anche l’affermazione della coalizione sociale, che pur muovendosi su un altro terreno, ricaverebbe sicuramente vantaggio se a sinistra del pd vi fosse un’unica formazione politica. non un coordinamento di partiti, ma un solo soggetto di sinistra con un programma alternativo alle politiche che hanno messo in ginocchio il paese. o faremo questo, contribuendo a fare passi in avanti fino a costruire un unico percorso a sinistra intrecciando anche il progetto lanciato da landini, oppure avremo tutelato solo un po’ di ceto politico. nulla di più. occorrono generosità e coraggio. facciamo tutti un passo indietro per farne due in avanti. il tempo è ora! italia/politica matteo gaddi l’apeRtuRa di sel con altri, ho accolto, con immeDiata e piena Disponibilità, la proposta che ci ha avanzato sel Di entrare a far parte, come inDipenDenti, Dei suoi gruppi Dirigenti nazionali. si tratta Di una Decisione che, sulla scia Dell’esperienza Di human factor, ha portato sel aD avviare un processo Di allargamento a partire Dai suoi gruppi Dirigenti nazionali e, nelle prossime settimane, anche locali. le ragioni di questa operazione, che rappresenta un primo piccolo passo in direzione della costituzione di un soggetto politico della sinistra, sono ampiamente esposte nei documenti approvati dall’assemblea nazionale di sel, in occasione della quale sono stati votati gli ingressi di diversi indipendenti sia nell’assemblea nazionale che nell’ufficio di presidenza. ci concentreremo, quindi, sulle ragioni della nostra scelta. ci sembra assai rilevante che nell’ufficio di presidenza (cioè nella Direzione nazionale) di sel siano invitati permanenti tre dirigenti sindacali: due segretari nazionali di categoria come rosanna Dettori (funzione pubblica) e mimmo pantaleo (scuola), oltre al sottoscritto. interpretiamo questa scelta come un segnale di grande attenzione al mondo del lavoro, in questi anni rimasto drammaticamente senza rappresentanza politica. meglio: prima ancora che senza rappresentanza, i lavoratori sono rimasti privi di organizzazione politica. ce lo siamo ripetuti più volte: accanto allo strumento di organizzazioni sindacale, ai lavoratori in questi anni è mancato uno strumento di organizzazione politica da cui potessero nascere anche forme di rappresentanza istituzionale. non è un caso che alle varie forme di resistenza sindacale, in questi ultimi anni messe in campo purtroppo da un solo sindacato (la cgil) non sia corrisposta una adeguata sponda politica in grado di reggere agli attacchi della destra economica e politica sempre più compenetrate tra loro. l’attacco nei confronti del mondo del lavoro non è cominciato ieri; ma almeno dalla prima metà degli anni ottanta con gli interventi sulla scala mobile, per proseguire con i vari pacchetti su flessibilità e precarietà, controriforme pensionistiche, smantellamento dello statuto dei lavoratori ecc. spesso, questi provvedimenti sono stati sostenuti, se non addirittura proposti, da forze politiche che si definivano di sinistra ma che avevano da tempo rotto ogni legame sociale con la classe di riferimento; addirittura con cambi di campo tanto drastici quanto rapidi. la cosiddetta “sinistra radicale”, che a parole manifestava invece la propria vicinanza al mondo del lavoro e alle classi popolari, quasi mai è stata efficace sui temi sociali, ha portato a casa ben pochi risultati concreti, anche per una serie di vizi di fondo (totale confusione culturale, eclettismo più assoluto dei temi senza nessuna priorità per il lavoro e il sociali, gruppi dirigenti interessati alle proprie carriere personali ecc.). sono questi i ragionamenti che hanno portato diversi di noi, in questi anni, a lasciare rifondazione comunista (in balia sempre più di una linea settaria e minoritaria, lontana anni luce dai reali bisogni dei lavoratori in carne ed ossa) e a promuovere esperienze (movimento per il partito del lavoro, sinistra lavoro) che cominciassero a costruire forme di organizzazione e partecipazione 4 politica dei lavoratori. oltre all’impegno, da sempre, per la costruzione di una sinistra sindacale in cgil, così come di movimenti di delegati sindacali autoconvocati (sulle pensioni, sulla democrazia sindacale, ora sul Jobs act ecc.). a questo si aggiungono i lavori di inchiesta operaia, di cooperazione con centri culturali (punto rosso, fondazione claudio sabattini ecc.) impegnati nel lavoro di ricerca sui temi del lavoro, dell’industria, dell’economia. insomma, abbiamo costruito una rete ampia di relazioni, sul piano sindacale, politico, culturale, con al centro il tema del lavoro e con l’ambizione di contribuire a costruire forme di organizzazione e partecipazione dei lavoratori. Questo lavoro, concreto, visibile, sempre più riconosciuto in giro, ha suscitato l’interesse di sel, in obiettiva difficoltà soprattutto su questi temi. non è un caso che da tempo si siano avviate discussioni, forme di collaborazione, partecipazione intrecciata alle reciproche iniziative, tra le quali quella di human factor che ci ha visto impegnati nei tavoli sulle pensioni, le crisi industriali, il mercato del lavoro. e visto l’interesse che hanno suscitato questi temi stiamo ragionando sulla possibilità di organizzare una sorta di “human factor lavoro” proprio per rendere centrali questi temi nel soggetto politico ampio della sinistra che anche sel intende costruire. Questo è il contributo che intendiamo portare nel processo di costruzione del soggetto politico della sinistra nell’ambito del quale riteniamo che sel stia investendo in maniera sincera e generosa; anche da qui la nostra decisione di entrare sia in assemblea che in ufficio di presidenza. al centro il lavoro esseRe soggetto politico è nel dna del sindacato confedeRale la rappresentanza politica e sociale è in crisi Da molti anni. il pensiero neoliberista ha sconvolto tutti i vecchi moDi Di pensare la rappresentanza Degli interessi Diffusi, tranne Quelli Del capitalismo finanziario che governa , anche, Quello economico. di nicola nicolosi sul versante politico si è determinato uno sconvolgimento talmente grave che spesso si fa confusione su che cosa è di destra o di sinistra. basti pensare alla trasformazione del pD in italia o per le socialdemocrazie in europa. il caso francese, tedesco, inglese, spagnolo o greco, rappresentano il paradigma del pensiero debole e confuso in politica, il risultato è fallimentare! spesso in questi anni si è manifestata una vera e propria degenerazione della rappresentanza politica, i valori di riferimento sono stati modificati e hanno lasciato la parte più debole della società senza rappresentanza politica. e’ il caso del mondo del lavoro subordinato. circa 17 milioni di lavoratrici e lavoratori, uniti a oltre 16 milioni di pensionati non hanno una rappresentanza politica diretta. mentre il parlamento e’ pieno di avvocati, giornalisti e altre professioni! resta il quesito antico: "che fare?”. ricostruire la sinistra pone la domanda: da dove ripartire? negli ultimi 25 anni tutte le esperienze a carattere esclusivamente elettorali hanno fallito. il tutto mutuato da leggi elettorali che hanno cancellato il potere degli elettori nello scegliere il proprio candidato. ora con la proposta di coalizione sociale si inverte il modello di riferimento, si punta alla costruzione del “blocco sociale” bistrattato dalla politica. l’intuizione di maurizio landini, in questa fase storica, è la strada da percorrere. le polemiche den- tro la cgil e nel cosiddetto centrosinistra, dimostrano come sia importante aprire il confronto, vanno mandate al mittente le sparate, gli anatemi e la paura di nuove esperienze! il rapporto sindacato-partito è sempre stato un argomento sensibile nella cgil e nella sinistra politica. ma siamo tutti coscienti dell’ipocrisia che si sviluppa attorno a questo argomento, in modo particolare quando si parla di autonomia!? la storia ultra secolare della cgil è legata alla storia del movimento operaio ed è piena di eventi che hanno al centro questo dibattito. molto è legato al grado di libertà del gruppo dirigente quando non è cooptato. se facciamo qualche esempio recente la verità viene subito a galla! la riforma delle pensioni (vergognosa) della fornero-monti e la riforma del mercato del lavoro con annessa sterilizzazione dello statuto dei lavoratori, articolo 18 compreso e’ stato possibile per l’ assenza di autonomia del sindacato unitario e della maggioranza del gruppo dirigente della cgil troppo vicina al partito democratico di bersani che era impegnato a sorreggere il governo monti! la qualità del merito non fu sufficiente a richiamare, da noi con fiom e flc evocata, l’autonomia. ancora, nella storia della cgil, questo argomento e’ stato fonte di scontro politico tra le diverse anime e sensibilità, autonomia, indipendenza, cinghia di trasmissione….non ci siamo fatti mancare nulla. cgil è un acronimo significativo e ambizioso. confederazione generale del lavoro. confederazione in quanto soggetto capace di unifi5 care ” tutte le organizzazioni proletarie d’ italia “, generale perché costruisce attorno all’azione unitaria quella politicità per costruire un mondo migliore senza disuguaglianze, liberare il mondo del lavoro dalla schiavitù e farla diventare classe dirigente. in questo la rappresentanza confederale va oltre l’ azione sindacale di categoria, rivendicative e corporative. la confederazione si fa soggetto sociale e politico nel suo insieme. contro i provvedimenti del governo berlusconi, la cgil da sola ha indetto 7 sette scioperi generali, mentre per gli stessi provvedimenti dei governi sostenuti dal pD siamo stati fermi per tre lunghi anni. per tutto ciò è fuori luogo la polemica che la coalizione sociale fa politica! e’ giusto fare politica, quando attaccano i diritti dei lavoratori cosa fanno il girotondo? come si vuole rappresentare i lavoratori oggi colpiti nei diritti più elementari? la rottura epocale tra gli eredi politici della vecchia sinistra e il sindacato pone una questione altrettanto epocale. chi rappresenta il lavoro in politica? oggi nessuno! per tutto ciò la proposta della fiom cgil, a cui abbiamo dato adesione e sostegno, può essere la risposta politica, senza essere partito. le lotte sociali se non sono tradotte in provvedimenti legislativi rischiano di essere mera testimonianza, per questo serve la coalizione sociale per dare voce e senso a quei milioni di cittadini che sempre più sono sfiduciati dalla politica e che nessuno li rappresenta. al centro il lavoro se tRe-sei Milioni vi seMbRan pochi i libri Di storia commenteranno Questi giorni come l’abbaglio e l’eclissi Della ragione. ricorDate il film “orwel 1994”? Qualcosa Del genere sta accaDenDo. di Roberto Romano crescita economica, nuovo lavoro e consolidamento delle istituzioni sono riassumibili nello slogan “cambiare verso”. purtroppo dobbiamo vivere il nostro tempo, ed è un tempo durissimo. prima il presidente dell’inps boeri, poi il ministro poletti e da ultimo il presidente del consiglio renzi, come mancare alla prima, annunciano la creazione di nuovi 79.000 posti di lavoro a tempo indeterminato tra gennaio-febbraio 2015 e gennaiofebbraio 2014. a noi tocca ancora una volta scardinare il castello di solide e dure pietre di fandonie con fionde ed archi. Davide contro golia non è proprio una metafora. i consulenti del lavoro, persone un attimo più serie della compagine governativa, financo del presidente boeri, ricordano che nell’80% dei casi si tratta di regolarizzazioni di collaborazioni a progetto, partite iva ed altra inutile precarietà. Quindi solo il 20% è “nuovo lavoro”. se poi consideriamo il naturale tour over del mercato del lavoro, gli 8.060 euro di contributo pubblico per i nuovi assunti, a cui dovrebbero aggiungersi 1,5 mld di euro per il piano Youth guarantee, un insuccesso epocale, abbiamo un effetto nullo. alla fine il lavoro aggiuntivo è in realtà lavoro sostitutivo, pagato 6 con i soldi pubblici. alla faccia del rischio di “intrapresa”. Dare ragione a brunetta è umiliante: “i nuovi contratti non sono necessariamente posti in più ma trasformazione di vecchi rapporti di lavoro”. ma non è tutto. un lavoro di mediobanca esamina l’impatto del Jobs act e della legge di stabilità, sgravio irap e più, sul sistema delle imprese. nel documento si legge: quelle che più beneficeranno del Jobs act sono rcs, con un incremento atteso dell’utile per azione del 19,7% in tre anni, l’espresso (+17,8%) e mondadori (+13,5%) tra tlc, media e tecnologici. seguono finmeccanica (+7,7%) e italcementi (+5,5%) tra i ciclici, banco popolare (+6,5%) e bpm (+5%) tra le banche e hera (+9%) tra le utility. l’informazione è sostituita dalla notizia. i giornalisti hanno certamente delle colpe, mentre l’occhio vigile di chi vede la realtà è cambiato. il tasso di occupazione, già molto basso rispetto alla media europea, è calato del 5% dal 2008 al 2014, rispettivamente 58,6% e 55,7%; il tasso di disoccupazione dal 2008 al 2014 cresce dell’88,6%, rispettivamente 6,7% e 12,7%; il tasso di inattività rimane stabile al 36%. complessivamente abbiamo più di 6 mln di persone che non lavorano e ci accontentiamo di far pagare meno lo stesso lavoro alle imprese? sei milioni di senza lavoro vi sembrano pochi? Davide contro golia e la ragione contro la calunnia sono qualcosa di più di una semplice provocazione. europa/monDo alexis tsipras lo spazio Dei movimenti il messaggio Di tsipras al forum sociale monDiale Di tunisi cari amici e compagni, quattordici anni fa, agli inizi del nuovo millennio, il world social forum è comparso sulla scena come la risposta dei popoli alla globalizzazione dei mercati. era stato espressamente pensato come un luogo di incontro versatile per movimenti, sindacati, e associazioni provenienti da tutto il mondo e alla ricerca di soluzioni progressive ai problemi globali: povertà, disuguaglianze, assenza di democrazia, razzismo, devastazione ambientale, ingiustizia sociale ed economica. mediante il dialogo tra pari, così come attraverso dinamiche di relazione orizzontali, il forum ha dimostrato come forze sociali, provenienti da diverse parti del mondo e alle prese con vertenze differenti tra di loro, possano convergere su cause comuni riuscendo, in questo modo, a proporre una visione ed un progetto diversi per il pianeta. con valori di questo tipo, condensati in slogan come “le persone prima dei profitti” o “un altro mondo è possibile”, il world social forum è stato lo spazio in cui idee e modi di agire, in grado di mettere in discussione la supremazia neoliberista globale, sono nati e cresciuti. la nostra comune responsabilità rispetto alla necessità di costruire una prospettiva diversa per il mondo è ancora più grande in questi giorni, in un tempo in cui il fanatismo ideologico, la violenza e la regressione sociale vengono presentate come un’ alternativa alla forza minacciosa dei mercati. Queste sono le ‘ragioni’ che hanno spinto, solo pochi giorni fa, coloro che hanno sparso morte e terrore a tunisi. la strada di questi ultimi, tuttavia, deve essere risolutamente sbarrata dai movimenti, mediante la conquista dei cuori e delle menti dei poveri e degli oppressi. né la combinazione di fanatismo ed intolleranza né, tantomeno, quella di fascismo e razzismo possono rappresentare nuove vie per il futuro. il mondo potrà progredire solo grazie alla democrazia, al rispetto dei diritti, alla solidarietà ed alle battaglie collettive. cari amici, come sapete, la grecia è stata, nei tempi recenti, in costante rotta di collisione con i principi cardine del neoliberismo. investito dalle disastrose politiche di austerità e vittima di una vera e propria estorsione da parte dei mercati, il nostro popolo è determinato nel voler difendere la democrazia, lo stato sociale, i beni pubblici e il diritto ad un lavoro adeguatamente pagato. noi proponiamo di lottare per la vita, la dignità e la giustizia sociale, includendo tutto questo nell’ambito della battaglia per riportare l’economia verso i bisogni della società, invertendo l’attuale orientamento che vede la società al servizio delle economia e dei profitti finanziari. i nostri orizzonti non sono limitati dai confini del nostro paese. essi si estendono all’europa intera. sappiamo che sulle nostre orme altri stanno seguendo, determinati ad usare la forza della democrazia per costruire un modo più giusto ed un futuro luminoso. il fronte che si scontrerà con l’attuale equilibrio di poteri in europa si è già formato e sta diventando ogni giorno più forte. sappiamo che questi avvenimenti verranno discussi quest’anno durante il lavori del world social forum a tunisi. noi sappiamo che un elemento di discussione cruciale riguarderà il supporto generalizzato alla grecia, ma anche a tutti gli altri popoli che stanno lottando per un cambiamento storico in europa e nel mondo. Questa è la ragione per cui la grecia sta oggi inviando questo saluto colmo di ottimismo, forza e determinazione ai partecipanti al social forum. usando la solidarietà come arma i popoli vinceranno! Traduzione di Dario Guarascio 7 europa/economia gabriele pastrello la bce e l’europa sul finanziamento Del Deficit Di bilancia commerciale non esiste nessun problema nell’eurozona di ri-ciclo di eccedenze di bilancia commerciale, che si sarebbe interrotto, originando la crisi. Queste è una tesi legata all’interpretazione ortodossa (o meglio ingenuamente reale) dei deficit di bilancia commerciale (v. bernanke e il suo mito del “saving glut”). interpretazione che si direbbe ‘comune’ a ortodossi e eterodossi. pare che la sinistra non riesca a non pensare agli squilibri internazionali se non a partire dagli squilibri delle bilance commerciali. Da cui deriverebbero i movimenti di capitali (come era infatti ai tempi del funzionamento normale di bretton woods). esistono invece due problemi e il primo genera il secondo. primo, si è interrotto il flusso di capitali dal centro alla periferia europea che si era verificato nel periodo precrisi dopo l’entrata in vigore dell’euro e del sistema delle banche centrali europee (bce). capitali che esistono in forma monetaria in via previa rispetto alle transazioni commerciali e non hanno nulla a che vedere con ri-cicli di eccedenze ex-post (il ri-ciclo exante è un’assurdità teorica; perché per riciclare eccedenze bisogna che ci siano, quindi è un fenomeno necessariamente expost). però questi flussi indubbiamente servivano a compensare la ‘normale’ fuoriuscita ex-post di riserve dai sistemi bancari dei paesi in deficit commerciale. i flussi di capitali ‘autonomamente’ decisi si sono ridotti dopo la crisi, e inoltre si è generato - principalmente per l’incertezza generata dalla crisi dei debiti sovrani e dai “bailout” di vari paesi - un flusso inverso (fuga) di capitali monetari dalla periferia al centro. Questo flusso ha generato ma anche esacerbato il secondo problema: la perdita di riserve dei sistemi bancari periferici a favore di quelli centrali. (per- dita che è andata ben oltre quella ‘normale’ dei deficit commerciali). ma il sistema bancario europeo giá prima della crisi non era in grado, se non in piccola parte, di ri-ciclare autonomamente “money balances” in modo indipendente dai flussi di capitali, come puro movimento interno di riserve da una filiale all’altra. ri-ciclo attuato come movimento ‘monetario’ da parte delle banche ‘nazionali’ all’interno degli stati, e non come eccedenze trasferite ex-post da un’area all’altra. Questo infatti è il meccanismo che permette l’esistenza temporalmente ‘indefinita’ di “unbalances” commerciali all’interno di un paese: quando il sistema bancario è sufficientemente sviluppato i trasferimenti di riserve tra filiali della stessa banca nazionale (da quelle delle aree importatrici a quelle delle aree esportatrici, per liquidare le transazioni commerciali in deficit) sono regolati come partite contabili tra le filiali con controparte la sede centrale (ac- 8 creditata e addebitata; partite che si cancellano nel bilancio consolidato; come i saldi target2 nella bce). ma dopo la crisi il sistema bancario europeo si è dis-integrato (perdendo anche quei livelli di integrazione cross-country raggiunti). Quindi è ancor meno in grado di prima di effettuare il riciclo monetario (non quello reale). Questo ha enormemente accresciuto il ruolo della banca centrale nel mantenere l’equilibrio monetario tra le varie aree via “refinancing” diretto dei sistemi bancari dei paesi in deficit commerciale e di pagamenti (fuga di capitali). ovviamente il sistema bancario tedesco non usufruisce del refinancing della bce non perchè sia discriminato o perché finanzi gli altri paesi (v. la tesi di werner sinn, condivisa anche a sinistra; vs. v. bankit), ma perchè annega nella liquidità trasferita dagli altri paesi (quindi le banche tedesche non hanno alcun bisogno di “refinancing”, via operazioni delle banche centrali nazionali). Da tutto ci deriva anche il maggior peso della bce e la sua capacità di ‘imporre’ l’unione bancaria (nonostante la refrattarietà tedesca) i flussi monetari via bce (“refinancing”) sostituiscono flussi monetari via mercato (crediti e investimenti diretti), e questa differenza è cruciale. (e non flussi monetari sostituiscono flussi ‘reali’, le eccedenze ri-ciclate). la germania non ha avuto alcun bisogno di ‘incassare’ prima dalle esportazioni per poi concedere crediti. il mercato dei capitali monetari esiste con dimensioni tali da permettere tutte le operazioni qualsivoglia; e le banche tedesche creano crediti per i loro esportatori ben prima di ricevere riserve come pagamenti dalle banche dei paesi importatori). che poi le riserve ottenute da una banca tedesca possano essere utilizzate europa/economia la bce e l’europa anche per operazioni sui mercati creditizi dei paesi importatori grazie alle filiali in questi paesi è ovvio. ma il punto è che se pure questo fosse stato il meccanismo ordinario non ha nulla a che fare con il ri-ciclo delle eccedenze. sia l’esportatore che l’importatore sono stati messi in grado di effettuare le loro operazioni ben prima della liquidazione finale delle transazioni via i loro sistemi bancari nazionali. nessuno ri-ciclo è avvenuto, e soprattuto nessun riciclo è stato necessario per il funzionamento liscio del sistema. e in contemporanea sono avvenuti trasferimenti di riserve da un paese all’altro, in modo del tutto indipendente dalle operazioni di commercio intra-europeo. l’esistenza di filiali di banche di paesi esportori nei paesi importatori costituisce un meccanismo sostitutivo del ri-ciclo intra-bancario all’interno dei sistemi nazionali. meccanismo che rappresentava il grado di integrazione del sistema bancario europeo, e che è andato in crisi perché le filiali di banche straniere dopo la crisi hanno preferito re-importare la liquidità di banca centrale (comunque ottenuta) e non utilizzare quelle riserve (crediti sulle banche centrali dei paesi importatori) per operazioni creditizie nei paesi importatori; e le trasformano in riserve nazionali, cioè in crediti verso la propria banca centrale (via saldi target2; con la bce come controparte). tutti questi fattori hanno dato una centralità alla bce che nelle incarnazioni pre-Draghi (Duisemberg e trichet) non aveva. prima della crisi il mercato, per così dire, si arrangiava da solo (secondo la filosofia di maastricht). capitali monetari del nord andavano ‘autonomamente’ al sud. merci del nord andavano al sud, in eccesso al flusso contrario. e flussi monetari di pagamenti a saldo del sud andavano al nord. i circuito monetari si chiudevano da soli, anche grazie ai saldi target2. e gli interventi della bce al massimo si limitavano alla sincro- nizzazione dei flussi. (come testimonia la limitatezza dei saldi target2 prima della crisi; mentre i deficit di bilancia commerciale prima della crisi erano maggiori dei saldi target2 rispetto a dopo). adesso invece senza l’azione di lolr (lender of last resort) della bce salterebbe tutto. e non solo lolr sul mercato (cioè rispetto alle transazioni commerciali e al sistema bancario). ma anche ‘garante’ della stabilita’ del mercato dei’debiti sovrani’ con la dichiarazione del whatever it takes. (Quindi a un passo dalla garanzia degli stessi deficit di bilancio statali. il peccato ‘mortale’ secondo le tavole di maastricht). ovviamente se ci fossero (o ci fossero stati) (a) ‘trasferimenti’ fiscali, il circuito di nuovo si aggiusterebbe (o si sarebbe aggiustato) da solo, perche’ flussi ‘fiscali’ sono anche automaticamente flussi monetari. sia che si tratti di ‘creazione’ di moneta, che di trasferimenti monetari da un bilancio statale (o federale) agli utilizzatori pubblici finali (enti locali, o stati di uno stato federale). trasferimenti, cioè, di saldi monetari provenienti da emissioni di titoli: vale a dire “money balances” ottenute alle aste e trasferite dai precedenti detentori agli utilizzatori, nonché dalle aree di provenienza a quelle di utilizzo. ovviamente quello fiscale non era l’unico meccanismo di aggiustamento automatico possibile, come molti sembrano ritenere. c’erano anche: (b) i flussi di capi- tali autonomamente decisi (prima della crisi) e, all’interno di uno stato, (c) il ri-ciclo all’interno del sistema bancario nazionale. riciclo assente prima della crisi in europa, o presente in misura ridotta, in modalità “cross-country”, solo per le grandi banche europee “multi-countrie” (che magari utilizzano anche circuiti di trasferimenti di “balances” monetarie diversi dal target2). essendo venuti a mancare o comunque mancando i tre meccanismi (a), (b) e (c), resta solo: (d) la funzione esercitata dalla bce. l’unità europea è retta ‘materialmente’ oggi solo dalla bce. senza questa funzione i paesi che subiscono fughe di capitali (i paesi del sud-europa) avrebbero giá potuto subire un “credit crunch” per restrizione della loro base monetaria (in seguito al trasferimento delle riserve delle loro banche commerciali al centro). Questa possibilità è neutralizzata dalla bce. il paradosso è quindi che abbiamo giá una banca quasi federale (non è che ci manchi poco; ma un ‘non poco’ che è quasi solo la forma: la ‘forma’ della garanzia ‘esplicita’ dei deficit statali) e invece abbiamo istituzioni politiche molto lontane dalla forma federale. con la supplenza della germania (con effetti controproducenti) e dell’eurogruppo (il cui peso è di conseguenza aumentato, come ha dichiarato di recente l’ex-presidente del consiglio europeo, van rompuy). sostieni sinistRa lavoRo tutte le informazioni su www.sinistralavoro.it fai una donazione con bonifico bancario: sinistra lavoro, iban it23e0312703201000000002143 (indicare la causale). iscriviti alla newsletter spaRgi la voce! Donaci il tuo account twitter e facebook per aiutarci ad amplificare la nostra voce online. scegli la frequenza con la quale vuoi permetterci di ricondividere nostri tweet e post sui tuoi account. 9
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