rassegna stampa - Organismo Unitario dell`Avvocatura Italiana

ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
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14 aprile 2015
Responsabile: Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – email: [email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
PAG. 3 STRAGE TRIBUNALE: Rivolta al tribunale di Napoli avvocati inferociti: “E’
un’umiliazione”. Feriti due agenti (repubblica.it)
PAG. 5 STRAGE TRIBUNALE: l metal detector paralizza il tribunale, rabbia e proteste
(Il Mattino)
PAG. 7 STRAGE TRIBUNALE: In fila un’ora al tribunale di Napoli: avvocati in rivolta
(La Repubblica)
PAG. 8 STRAGE TRIBUNALE: Sicurezza, a pagare saranno solo i portieri (Il Garantista)
PAG.10 L’INTERVISTA: Scuto: “Non c’è bisogno di esasperazioni” (La Stampa)
PAG.11 PROCESSO TELEMATICO: Il processo telematico “Non funzione bene fermiamolo per un
po’” (La Repubblica – Affari e Finanza)
PAG.13 CONCORRENZA: Mariconda: ”Invece che agli avvocati diamo lavoro a giovani vice notai”
(La Repubblica – Affari e Finanza)
PAG.15 AVVOCATI: Al via tre giorni di lezioni per mille giovani avvocati(Il Sole 24 Ore)
PAG.17 L’INTERVENTO/1: Non avvelenate la giustizia - di Massimo Krogh (Il Mattino)
PAG.18 L’INTERVENTO/2: Macché sicurezza i giudici rifiutano i controlli
di Pietro Senaldi (Libero)
PAG.20 L’INTERVENTO/3: Distinguere nella tragedia: l’errore fatale delle toghe
di Astolfo Di Amato (Il Garantista)
PAG.22 PREVIDENZA: Brevi (Italia Oggi)
PAG.23 PREVIDENZA: Ragionieri – Cinque gestori per la Cassa (Corriere Economia)
PAG.24 PROFESSIONI: I commercialisti: più trasparenza per gli amministratori giudiziari
(Il Sole 24 Ore)
PAG.25 PROFESSIONI: Amministratori giudiziari, Cndcec vuole trasparenza (Italia Oggi)
PAG.26 PROFESSIONI: Consulenti, arretrato all'angolo (Italia Oggi)
PAG.28 P.A.: Più flessibilità con il ddl Madia (Italia Oggi)
PAG.30 FISCO: Precompilata, controlli dietro l’angolo (Il Sole 24 Ore)
PAG.32 TORTURA: Il significato di tortura evoluzione di una parola
(Il Corriere della Sera)
PAG.34 CONDOMINIO: Imprese al test-regolamenti (Il Sole 24 Ore)
PAG.36 CONDOMINIO: Per i «vizi» denuncia dall’amministratore (Il Sole 24 Ore)
PAG.38 CONDOMINIO: Ordinanza lecita solo se c’è urgenza (Il Sole 24 Ore)
PAG.40 ESTERI: Gli avvocati temono l’impopolarità. Nessuno si batte contro le nozze gay
(Il Corriere della Sera)
PAG.41 CASSAZIONE: La svolta della Cassazione. Se si convive si perde il diritto
all’assegno di mantenimento (Il Corriere della Sera)
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REPUBBLICA.IT
Rivolta al tribunale di Napoli avvocati inferociti: “E’
un’umiliazione”. Feriti due agenti
Code agli ingressi dalle sette del mattino. Sfondata una porta a vetri.
Identificati due avvocati, responsabili dell'assalto all'ingresso di via
Grimaldi. Sospeso il nuovo provvedimento di sicurezza. La polizia
sblocca i varchi per allentare la tensione
Secondo giorno di caos e rabbia al Tribunale di Napoli. Scatta la rivolta.
Tensione altissima. I primi avvocati si sono presentati davanti agli ingressi di
Palazzo di giustizia alle sette del mattino, sperando di riuscire ad arrivare in
aula in tempo, dopo la giornata infernale di ieri: l'entrata in vigore dei nuovi
dispositivi di sicurezza, dopo la strage a Milano, crea infatti code
interminabili, perchè è attivo un solo metal detector e i vigilantes devono
controllare gli ingressi uno a uno, aprendo borse e controllando tablet e
smartphone. Alle 9 i tempi di attesa si aggirano intorno alle tre ore e le file di
avvocati si allungano sui marciapiedi tra le auto. Scatta la rivolta.
Il clima è elettrico. "Dobbiamo lavorare", gridano gli avvocati, gli assistenti, i
praticanti in fila, attaccati ai cellulari per rassicurare clienti e testimoni. La
situazione degenera quando la massa di gente in coda comincia a premere
contro una porta a vetri dal lato di via Grimaldi. Gli avvocati tentano di
'forzare i controlli' per evitare di arrivare tardi in udienza. Spintoni, urla e la
vetrata va in frantumi. Intervengono la polizia penitenziaria e i carabinieri.
Due agenti della polizia penitenziaria sono rimasti feriti e sono stati medicati
in ospedale. Un legale sviene e viene soccorso dagli operatori del 118.
A quanto si è appreso due avvocati, un uomo e una donna, che hanno
partecipato all’assalto sono stati identificati dalla polizia penitenziaria ed è
probabile che saranno denunciati per lo sfondamento della porta a vetri.
I vigili urbani chiudono al traffico via Grimaldi. Gli avvocati sono inferociti:
"E' un'umiliazione. Stanno mettendo in ginocchio la professione e la
giustizia".
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Le nuove regole per accedere al Tribunale di Napoli sono entrate in vigore ieri
dopo la tragedia a Milano. Ma i controlli minuziosi ed accurati anche per
avvocati e testimoni allungano fino all'esasperazione i tempi di attesa,
arrivando a bloccare anche udienze e atti.
La giunta della Camera Penale di Napoli, riunitasi ieri d'urgenza, ha chiesto al
procuratore generale in Corte d'Appello "di revocare ad horas il
provvedimento in oggetto oppure di voler adottare le misure che riterrà
opportune per garantire un normale svolgimento delle attività giudiziarie".
Ma la corte di appello ancora non ha risposto. E ora gli avvocati sono pronti
all'astensione immediata.
Alle dieci, dopo gli incidenti, il procuratore generale della Repubblica di
Napoli, facente funzioni, Francesco Mastrominico, dà disposizione, per motivi
di ordine pubblico di consentire l'accesso agli avvocati con la sola esibizione
del tesserino e non passando per i metal detector. La polizia p apre l'ingresso
di via Grimaldi e fa entrare gli avvocati, scorati da un cordone di agenti in
divisa.
"Sono appena arrivata- spiega il legale, Angela Masecchia, visibilmente
scossa- Ho fatto un tentativo da via Grimaldi, ma una collega mi aveva
avvisato che c'era stata una rissa. A quanto mi hanno riferito si sono picchiati
avvocati e vigilantes. La situazione è assurda. In piazza Cenni è operativo un
solo metal detector. All'ingresso di via Grimaldi invece il metal detector è
rotto e quindi ci costringono ad aprire le borse una ad una. Dopo la rissa la
polizia ha aperto i varchi e ci ha scortati all'interno del Palazzo di Giustizia,
come deportati, con un cordone di agenti ai lati. Peggio di Auschwitz"
"E' paradossale, non si può cominciare giornata udienze con file di oltre tre
ore- si indigna l'avvocato Bruno Von Arx - Deve essere immediatamente
indetta per la tutela di tutti, un'astensione dalle udienze. Finchè non sarà
regolarizza questa situazione non c'è altra possibilità, per la tutela di tutti".
Alle 11 la situazione sembra tronare lentamente alla calma, ma chi arriva in
Tribunale si trova davanti a una scena surreale, con agenti in divisa e polizia
municipale schierati davanti ai varchi di ingresso e agli incroci stradali. I
vigili deviano il traffico in via Lauria. ANNA LAURA DE ROSA e CRISTINA
ZAGARIA
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IL MATTINO
Il metal detector paralizza il tribunale, rabbia e proteste
Anche gli avvocati costretti ai controlli
lunghe ore in fila e udienze a rilento
Solo chi si è trovato in mezzo a quel fiume di persone può raccontare lo
stupore, poi la rabbia e infine lo scoramento di essere costretti a rimanere li
ad aspettare, avanzando di un passetto ogni tanto, guardando mille teste
davanti con la consapevolezza di non riuscire a rispettare tempi e
appuntamenti.
Palazzo di giustizia di Napoli, lunedì mattina; non un lunedì qualunque
ma quello successivo alla strage di Milano, quello nel quale s`è deciso di
alzare il livello di guardia e di far passare i controlli a tutti, compreso il
personale, gli avvocati e i magistrati (anche se questi ultimi, alla fine, sono
stati in linea di massima esentati fra le proteste generali). Far passare
controlli significa utilizzare i metal detector; utilizzare i metal
detector significa mettere infila tutti quelli che entrano nel palazzo e verificare
che non siano in possesso di armi: il risultato è che i tempi di accesso si
allungano a dismisura, che l`impatto del «popolo del Palazzo di Giustizia»
diventa insostenibile e chi arriva per ultimo si trova in coda per oltre un`ora.
Il tam tam del disagio è partito di primissimo mattino. Gli avvocati che sono
riusciti ad entrare di buon`ora hanno iniziato a diffondere le immagini del
disastro annunciato: ripresa dall`alto, la coda infinita di persone al varco del
centro direzionale era impressionante, quella dallato di piazza Falcone e
Borsellino si snodava come un lungo serpente e arrivava a invadere la strada.
In mezzo a quella coda tanti avvocati che hanno immediatamente fatto
sentire la loro voce di protesta. Era annunciato che sarebbe stato un lunedì
nero ma nessuno si aspettava che il disagio sarebbe stato così clamoroso.
Qualcuno s`è sentito male, soprattutto per la tensione di non riuscire a
varcare quella soglia in tempo: assieme agli avvocati c`erano anche persone
che attendevano un giudizio o che erano chiamate a testimoniare, tutto a
guardare l`orologio con la certezza che ogni appuntamento sarebbe stato
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cancellato. Una prima protesta ha visto nel mirino i magistrati che, secondo le
norme dettate dall`Avvocato Generale della Procura di Napoli, Luigi
Mastrominico, avrebbero dovuto adeguarsi alle nuove norme di sicurezza
come tutti gli altri, dai cancellieri agli avvocati: invece i giudici, secondo chi
protestava, non si sarebbero sottoposti alla tortura del metal detector e delle
lunghe code passando «liberament».
Quando, a tardissima mattinata, il caos è leggermente scemato, l`Ordine degli
Avvocati ha chiesto un incontro con il presidente del tribunale, Ferrara, per
tentare di trovare una soluzione. Per adesso il primo passo, al termine
dell`incontro avuto dal presidente del consiglio dell`Ordine degli avvocati
Zanchini e dal consigliere delegato al penale Frojo, è stata una circolare
inoltrata a tutti i magistrati civili con la quale si chiede di non emettere
provvedimenti «in assenza delle parti» fino alle 11,30. Significa, almeno, che
nessuno rischierà di vedere naufragare una vertenza perché non è riuscito a
presentarsi in aula a causa della infinita coda all`ingresso.
E stata anche presentata una proposta dell`Ordine che rischia di suscitare
polemiche: il presidente Zanchini ha comunicato ai vertici del Palazzo di
Giustizia di essere disposto ad investire per ridurre il caos agli ingressi. La
proposta dell`Ordine degli Avvocati è quella di acquistare un numero congruo
di «palette metal detector» da offrire (con la formula del comodato
d`uso gratuito o della definitiva donazione) al tribunale. Si tratta di quegli
aggeggi che vengono utili nati negli aeroporti e che vengono fatti passare
a qualche centimetro dal corpo per rilevare la presenza di oggetti metallici
eventualmente pericolosi. L`utilizzo di questi apparecchi più agili, secondo
l`Ordine degli Avvocati, potrebbe snellire le procedure di accesso. Ognuna
delle «palette» costa trecento euro, l`Ordine ne comprerebbe una decina da
distribuire ai vari ingressi, ma c`è un grande dubbio: il personale può
utilizzarle?
E, soprattutto, c`è personale a sufficienza per usare questi oggetti? Nel
frattempo la ressa continuerà. Almeno fino a quando la tensione sarà
scemata e le maglie dei controlli si allenteranno. Va sempre così, bisogna
avere pazienza. Presto tutto tornerà come prima. Paolo Barbuto
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LA REPUBBLICA
In fila un’ora al tribunale di Napoli: avvocati in rivolta
LA POLEMIC A
NAPOLI Una fila lunghissima ieri per entrare al tribunale di Napoli con
dipendenti, avvocati e pubblico costretti a passare per il metal detector. Non
solo: gli agenti della polizia penitenziaria hanno controllato i tesserini di
riconoscimento e perquisito diverse borse. Tanto che per poter entrare in
tribunale c'è voluta anche un'ora. Misure che si sono rese necessarie dopo i
fatti di Milano, ma che hanno creato polemica. Gli avvocati, civilisti e
penalisti, sono già in rivolta. Nelle prossime ore ci sarà un incontro con i
rappresentati dell'Ordine e delle Camera penale per la redazione di un
documento di protesta. «Sì alla sicurezza ma il Tribunale è casa nostra e
questo trattamento è indegno», questo il senso di ciò che sarà comunicato
nelle prossime ore.
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IL GARANTISTA
Sicurezza, a pagare saranno solo i portieri
In queste ore la società Securpolice, l`azienda di Cinisello Balsamo da cui
dipende il personale non armato che ha il compito di presidiare l`ingresso di
via Manara del Tribunale di Milano, quello da cui è entrato
Claudio Giardiello, è oggetto di un violentissimo sciacallaggio. A lei
viene addebitata la responsabilità di non aver impedito che il killer entrasse
con una pistola e uccidesse tre persone. Securpolice, in associazione
temporanea d`impresa con l`istituto piemontese di vigilanza privata All
System, vinse nel 2011 la gara per la sorveglianza del Palazzo di Giustizia
milanese. Come è stato abbondantemente scritto, la gara, ad offerta
economica più vantaggiosa, prevedeva un dispositivo di vigilanza
misto, composto da portieri disarmati e guardie particolari giurate armate.
In tempi di vacche magre tale "mix" ha permesso al Comune di Milano, che ha
in carico la gestione dell`edificio, di risparmiare ben 2 milioni e 800.000 euro
l`anno. Ciò è stato possibile in quanto i portieri hanno un costo orario
particolarmente basso. Anzi, per dirla tutta, una paga da fame: il
contratto nazionale per i servizi fiduciari prevede uno stipendio di circa 700
euro mensili per 40 ore settimanali. Per la cronaca, la decisione di affidare la
vigilanza del Palazzo di Giustizia ad un dispositivo misto di portieri e guardie
giurate fu subito contestata dalle associazioni di vigilanza. Secondo
quest`ultime, infatti, la professionalità dei portieri non era "adeguata" per
gestire un servizio cosi delicato. Ma prima il Tar e poi il Consiglio di Stato
hanno bocciato il ricorso. A parte, quindi, le associazioni di categoria, nessuno
ebbe mai qualcosa da ridire sulla scelta al risparmio del committente. Non
disse nulla il procuratore generale presso la Corte d`Appello, primo
responsabile della sicurezza del Palazzo di Giustizia: senza il suo avallo il
Comune di Milano non avrebbe potuto procedere alla gara per l`affidamento
del servizio. E non disse nulla il Prefetto che, in qualità di responsabile
dell`Ordine e della Sicurezza pubblica nella provincia, ha la responsabilità di
garantire l`incolumità e la sicurezza dei magistrati, oltre a quella del
perimetro esterno delle strutture giudiziarie. E la tanto criticata assenza del
metal detector nel varco da cui è entrato armato Claudio Giardiello? Fu decisa
dalla Commissione di manutenzione degli uffici giudiziari, formata da
rappresentanti della Corte d`Appello, dell`Avvocatura Generale, del
Tribunale di Milano, della Procura della Repubblica e a cui partecipano
anche rappresentanti del Tribunale dei Minori, del Tribunale di
Sorveglianza e del Consiglio dell`Ordine degli avvocati. Fu tale
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Commissione, una sorta di grande assembla di condomino, che decise l`anno
scorso di spostare il metal detector, previsto dall`originale capitolato di gara,
riservando l`ingresso di via Manara agli "addetti ai lavori", magistrati e
avvocati. Che, quindi, potevano accedere al Palazzo senza particolari
formalità essendo sufficiente un sommario controllo "somatico". Tutti
informati e tutti d`accordo. Nessuno può oggi dire di non sapere. Visto che ci
sono i verbali delle riunioni. Sentire l`altro giorno, a caldo, dal vicepresidente
del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini che "i magistrati
non possono essere lasciati soli" o dal presidente dell`Associazione
nazionale magistrati Rodolfo Maria Sabelli che "sono fatti che hanno
un valore simbolico: rappresentano la solitudine in cui è stata lasciata
la giustizia", oltre che "le misure di sicurezza non hanno funzionato a dovere",
lascia esterrefatti. E` la classica italica risposta alle tragedie. Un combinato
disposto di scaricabarile e di lezioncina morale. Quale avrebbe dovuto essere
lareazione di un portiere disarmato, normalmente impiegato all`ingresso dei
parcheggi dei supermercati, di fronte a Claudio Giardiello, un killer pronto ad
uccidere che si allenava da quattro anni in poligono per compiere la
sua mattanza?
Doveva
controllare,
la risposta,
il
tesserino
dell`Ordine avvocati visto che si trattava di un varco a loro riservato! E poi,
magari, disarmarlo a mani nude. Ma chi può solo lontanamente pensare che
una singola persona riesca a controllare le migliaia di avvocati che entrano
continuamente ogni mattina nel Palazzo di Giustizia milanese? Senza contare
che ogni Ordine degli avvocati ha un modello di tesserino diverso per
forma, colore e caratteri utilizzati. Una confusione unica. Gli Ordini avvocati
d`Italia hanno mai fornito i loro modelli di tesserino al personale di
Securpolice? Si attende risposta. Su questo ha ragione Di Pietro: per entrare
in Tribunale è sufficiente la tessera punti dell`Esselunga. Il finale di questa
triste vicenda, purtroppo, è già scritto. Securpolice perderà il contratto,
magari anche con delle penali, e licenzierà i portieri. Per qualche settimana
davanti al Palazzo ci saranno i militari come se ci trovassimo di fronte al
Tribunale di Kandar. L`attenzione sarà al massimo. Passato, poi, lo shock, in
parallelo con la scomparsa della notizia dai giornaloni, i signori avvocati e
magistrati riprenderanno tranquillamente ad entrare nel Palazzo senza essere
controllati o perquisiti. Nel frattempo ci sarà stato un funerale di Stato per
delle vittime che sono il frutto, non dell`asserita delegittimazione dei
magistrati, ma della poca attenzione con cui si affronta il tema della
sicurezza in Italia. Che, va ribadito, non è materia per apprendisti. Giovanni
Maria Jacobazzi
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LA STAMPA
Scuto: “Non c’è bisogno di esasperazioni”
Il presidente dei penalisti di Milano: serve equilibrio
MILANO Nei palazzi di giustizia, entrare armati non si può. Alcuni avvocati
ieri a Imperia, però, hanno rivendicato il diritto ad avere una pistola per
motivi di sicurezza legati alla loro professione. Si possono equilibrare esigenze
di sicurezza e accessibilità dei palazzi?
Risponde Salvatore Scuto, presidente della Camera Penale di Milano.
«Intanto l'idea che un avvocato debba girare armato per esercitare la propria
professione fa venire i brividi: facciamo attenzione a non proiettare un clima
da Far West nelle aule di giustizia perché così non è. Ciò detto, se nei tribunali
non si entra armati, anche i legali si adeguino».
Ora tutti invocano maggior sicurezza. «Questa tragedia ha posto un
problema che non si può sottovalutare ma non credo si debba pensare di
trasformare in fortini blindati i palazzi di giustizia. Sarebbe l'immagine di uno
Stato sconfitto in partenza. Ciò che è accaduto a Milano rappresenta
l'imponderabile e non ha precedenti. Il vero tema è: quanta libertà siamo
disposti a cedere in cambio di maggiore sicurezza? Se l'immagine che si è
voluta proiettare finora è di una giustizia al "servizio" del cittadino e non
"contro", bisognerà pensarci bene. Non si possono presidiare i palazzi con i
carrarmati».
Carrarmati no, ma tornelli sì? «Basterebbe utilizzare i microchip nei
tesserini di riconoscimento. A Monza funziona già così».
Chi si deve controllare? Avvocati sì, giudici no? Giornalisti sì,
poliziotti no? «E se poi un agente entra a palazzo, impazzisce e spara?
Non c'è soluzione? «Credo non esista una formula magica sulla sicurezza
soprattutto nelle aule giudiziarie. Bisogna non farsi prendere dal panico e
cercare di non esasperare i conflitti. La giustizia non deve essere vissuta come
un corpo estraneo alla società ma uno dei suoi fondamenti».
PAOLO COLONNELLO
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LA REPUBBLICA – Affari e Finanza
Il processo telematico “Non funzione bene fermiamolo per un po’”
MAURIZIO DE TILLA, PRESIDENTE ANAI: "TROPPE INCONGRUENZE,
DALL'ATTUALE CAOS POTREBBERO PRODURSI DEI DANNI, LA PARTE
INFORMATICA È CARENTE IN TROPPE CITTÀ E C'È DIVERGENZA TRA LE PRASSI"
Il processo civile telematico « è nel caos, sospendiamolo per qualche tempo.
La situazione è precaria. Ogni giorno emergono inconvenienti e intoppi per la
difettosa informatizzazione dell'apparato giudiziario e per le differenti prassi
territoriali». A lanciare l'allarme è Maurizio de Tilla, presidente di Anai.
L'associazione nazionale avvocati italiani sta infatti ricevendo segnalazioni
preoccupanti sull' effettivo funzionamento del nuovo strumento messo a
disposizione per snellire le procedure e accelerare i processi. Qualche
esempio. <<A Foggia e Salerno l'informatizzazione non esiste ancora, mentre
a Milano il sistema sembra essere andato in tilt, con un sovraccarico di linea
che ha bloccato l'avvio di 14 mila comunicazioni on-line»,
E i problemi continuano. Le divergenze tra le prassi adottate negli
uffici giudiziari aumentano giorno dopo giorno: alcuni non accettano
più atti cartacei, altri invece richiedono depositi con modalità tradizionali,
magari accompagnati da supporti, come dischi o chiavette, sui quali caricare il
materiale. Secondo Anai il processo telematico comporta, inoltre, decisioni
contrastanti, come quelle di alcuni giudici che ritengono sia possibile
depositare in via telematica anche gli atti introduttivi della lite: «Cosa
succede, poi, se m alcuni uffici mancano gli strumenti informatici
per riceverli?», si chiede de Tilla. «È da considerare nullo l'atto depositato - continua - in un formato diverso da quello previsto? È possibile
riammetterlo nei termini? Sono questi quesiti che rendono tutto incerto e
difficoltoso».
A parte i tribunali dove il processo civile telematico non funziona
proprio, ne esistono altri che devo no affrontare una lunga serie di difficoltà: il
collegamento al sistema giustizia non funziona in determinati orari; vi sono
ritardi nell' accettazione dell'atto da parte del personale di cancelleria; fra la
consegna e l'accettazione dei depositi di decreti ingiuntivi a volte decorre
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anche un mese; i documenti e gli atti depositati telematicamente
nei procedimenti avanti il tribunale non vengono acquisiti dalle Corti di
Appello (salvo poche eccezioni).
«Insomma - sostiene Maurizio de Tilla - siamo in presenza di un universo
normativo a puzzle, spesso indecifrabile, contraddittorio e di difficile
comprensione e consultazione. Con il rischio dell'incremento e della
desertifìcazione».
Per finire con le lacune più paradossali, come sottolinea Anai. Il decreto
ingiuntivo si presenta in via telematica ma l'opposizione è cartacea. La
citazione e la comparsa di costituzione sono su carta, le
memorie istruttorie e finali viaggiano on-line. La sentenza è telematica, ma
l'appello è cartaceo così come il ricorso per Cassazione.
«Per ottimizzare il sistema non basta modificare la normativa - conclude
Maurizio de Tilla - ma occorre dare un migliore assetto all'organizzazione
giudiziaria. I mali della giustizia civile sono endemici e hanno radici profonde
che riguardano le scarse risorse, il numero ridotto di giudici e di personale, la
mancanza di produttività, la fatiscenza delle strutture e, in genere, le estese
disfunzioni dell'intero apparato giudiziario». Catia Barone
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LA REPUBBLICA – Affari e Finanza
Mariconda: ”Invece che agli avvocati diamo lavoro a giovani vice notai”
LA PROPOSTA AL GOVERNO DELL'EX PRESIDENTE DELL'ORDINE DEI NOTAI:
"AVVOCATI E COMMERCIALISTI NON DEVONO STIPULARE PERCHÉ NON SONO
TERZE PARTI MA FACCIAMO ASSUMERE COME "COADIUTORI" 1.500 PERSONE
CHE HANNO SUPERATO ALMENO UNA PROVA AL CONCORSO
Il disegno di legge del governo «affida anche ad avvocati (per alcuni atti
immobiliari) e a commercialisti (per alcune vicende societarie) la possibilità
di stipulare atti al posto dei notai. Ma questa impostazione è del tutto
sbagliata perche, volendo risolvere il problema di distribuire la "torta"
notarile fra più soggetti, in realtà toglie ai cittadini una garanzia
fondamentale, quello della specifica competenza dei notaie del ruolo di
terzietà di chi stipula gli atti».
Gennaro Mariconda, notaio in Roma ed ex presidente del Consiglio nazionale
del notariato a cavallo fra il 1998 e il 2001, va all'attacco ma fa anche al
governo una proposta "alternativa": «Allarghiamo effettivamente la platea dei
soggetti che possono stipulare atti anche a persone che fanno parte di quella
cultura e di quella funzione e mettiamo gli stessi notai maggiormente in
concorrenza fra di loro, ma senza togliere le garanzie del sistema».
Perché avvocati e commercialisti non sarebbero adatti a stipulare
atti, seppur limitatamente? «Perché con le modifiche che il governo vuole
introdurre, si attribuirebbero nuove competenze a persone che non hanno
studiato per questo scopo. Inoltre, avvocati e commercialisti
sononormalmente tutori di interessi di parte, mentre il notaio è terzo rispetto
agli interessi in gioco e unico garante del sistema. Gli atti di avvocati e
commercialisti consisterebbero soltanto in un'autentica delle firme delle
persone, mentre mancherebbero tutti gli adempimenti preliminari e
successivi, che sarebbero sotto la responsabilità delle parti anche se il testo
del provvedimento da ultimo conosciuto sembra correggere parzialmente le
precedenti stesure».
E i notai, invece? «Non soltanto i notai non sono parti in causa e quindi
sono soggetti terzi, ma svolgono tutti gli adempimenti preliminari e
successivi, a maggior garanzia delle parti. Non dimentichiamo che tra gli
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adempimenti a cura dei notai c'è il versamento di rilevanti imposte. Inoltre, i
notai sono tenuti a conservare tutti gli atti da loro ricevuti, mentre avvocati e
commercialisti non sarebbero obbligati. La conservazione degli atti inoltre è
propedeutica ad un accurato controllo della loro piena conformità alle leggi
dell'ordinamento, controllo eseguito sotto la cura del Ministero di Giustizia».
Però, diciamo la verità: il governo apre la possibilità di stipulare
anche ad altri soggetti per immobili non abitativi solo fino a 100
mila euro ... « ... che non sono per niente pochi: 100 mila euro
rappresentano il valore catastale: vuol dire che in effetti parliamo di uffici,
negozi, capannoni e terreni che valgono sul mercato 4 o 500 mila euro. Di
fatto, sono la maggior parte degli atti per immobili non abitativi in Italia.
Insomma, alla fine il risultato del ddl del governo non è la semplificazione ma
una maggiore complicazione con minori garanzie».
Ogni volta che i governi provano a liberalizzare un po', i nota si
chiudono a riccio. «Ma no. Diciamo no soltanto alle cose illogiche, alle cose
che fanno venir meno le garanzie per i cittadini. E comunque io, almeno, una
proposta alternativa da proporre al governo ce l'ho».
Ce la spieghi. «Se si vuole allargare la platea di coloro che possono
partecipare allo svolgimento della funzione notarile si può fare restando però
nell'alveo di tale professione. Per far ciò basterebbe dare maggior vigore e
attualità alla figura del "coadiutore" del notaio, figura espressamente prevista
dalla legge notarile e invece di dar lavoro agli avvocati lo daremmo a dei
giovani, aspiranti notai, che oggi non hanno una possibilità concreta
di remunerazione».
Questa proposta può forse aprire la strada del lavoro ad alcuni
giovanima non rappresenta una maggiore concorrenza. «E allora
ecco la seconda proposta: allarghiamo la concorrenza fra i notai non più
soltanto a livello regionale, come si è recentemente proposto, ma a livello
nazionale, fermo restando l'obbligo di assistenza alla sede per almeno quattro
giorni alla settimana».
Torniamo al ddl del governo. Davvero, nei fatti, avvantaggerà
avvocati e commercialisti? «Solo marginalmente. Chi si avvantaggerebbe
davvero sarebbero assicurazioni e banche. Le prime perché tutti gli atti
stipulati da avvocati dovrebbero essere assistiti da una garanzia assIcurativa
(noi l'abbiamo già). Le seconde perché con questa misura opererebbero
sull'intera fìliera, dalla perizia alla stipula passando per il finanziamento, ma
con uno svantaggio per gli utenti: i costi non sarebbero inferiori ad oggi ma
sicuramente meno trasparenti». Adriano Bonafede
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IL SOLE 24 ORE
Cassa Forense. Con il Sole 24 Ore
Al via tre giorni di lezioni per mille giovani avvocati
Investire sui giovani avvocati più brillanti. È quanto ha deciso di fare
Cassa forense, l’ente di previdenza della categoria.
Con criteri meritocratici sono stati selezionati mille neoavvocati che potranno
partecipare gratuitamente a tre giornate di approfondimento su argomenti di
particolare rilevanza per la professione. Mille giovani potranno arricchire la
loro formazione grazie al sostegno di Cassa forense che, in collaborazione con
la Business School del Sole 24 Ore, mette a loro disposizione docenti esperti
su temi e materie di grande attualità giuridica: dal modello organizzativo
previsto dal decreto legislativo 231 del 2001 alle novità del diritto
fallimentare, dell’arbitrato e della negoziazione assistita. Le località per
questo road show itinerante sono: Milano, Padova, Roma, Pescara e Messina.
«La Cassa forense ha cambiato paradigma - racconta il presidente Nunzio
Luciano - da un welfare passivo siamo passati a uno attivo e propositivo. Con i
consiglieri delegati ci siamo interrogati su cosa mettere in campo come
welfare attivo, dove prevediamo di investire 60 milioni. In tema di formazione
cominciamo con questo progetto pilota - prosegue Luciano - perché crediamo
che una preparazione adeguata sia una carta vincente per presentarsi nel
mercato e se i risultati saranno quelli attesi potremmo estendere questa
iniziativa in altre parti d’Italia e a un numero maggiore di avvocati».
La prima lezione, intitolata: «Modello organizzativo Dlgs 231/2001: dalla
normativa all’attività di controllo» si svolgerà domani a Roma, Pescara e
Padova dalle 9 alle 18 e il 16 aprile a Messina e Milano. Le altre date, uguali
per tutte le località, sono il 13 maggio e il 23 giugno 2015.
Cassa forense ha avviato una serie di iniziative di aiuto e supporto agli
avvocatii, da una parte abbassando i costi per la professione, operazione
possibile grazie alle economie di scala, «sottoscrivere un’assicurazione per
220mila soggetti ha un prezzo molto più competitivo - spiega Luciano - e
infatti la polizza grandi rischi e grandi eventi morbosi è gratuita per gli
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iscritti», dall’altra attraverso delibere ad hoc come quella appena pubblicata
in Gazzetta Ufficiale (la 84 dell’11 aprile) che consente di riscattare gli anni di
università e di praticantato in 10 anni e non più in cinque e con un tasso del
2,75% (si veda Il Sole 24 Ore del 18 marzo). È invece ancora in attesa del
nullaosta ministeriale il progetto di una banca dati giuridica dell’avvocatura.
«Tra i temi su cui ci stiamo concentrando - dice Luciano - ci sono i fondi
europei; ci siamo attivati, costituendo una sezione ad hoc chiamata Cf lab
Europa, per affiancare le regioni e aiutarle a intercettare queste risorse, anche
presentando loro progetti già elaborati e fare in modo che questi fondi siano
un’altra forma di sostegno per i professionisti». Federica Micardi
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IL MATTINO
Non avvelenate la giustizia
di Massimo Krogh
Nel Tribunale di Milano si è consumata una terrificante tragedia, frutto della
peggiore follia, quella capace di premeditare e organizzare il male. Tre morti e
due feriti, e poteva per sino essere peggio. Nella emotività provocata da simili
eventi è opportuno conservare la freddezza, ovviamente non il distacco,
necessaria ad evitare d` introdurre rimedi che piuttosto che risolvere
aggiungano altri problemi. Vi è già chi propone di trasformare in aeroporti i
palazzi di giustizia. Ciò significherebbe allungare ogni processo di un
paio d`ore, o comunque costringere gli operatori, avvocati magistrati e
personale, ad arrivare in tribunale un paio d`ore prima della causa, come per
prendere l` aereo. I primi effetti si sono visti già ieri con le lunghissime file
davanti al Palazzo. La durata dei processi è un cancro italiano che non
giova incrementare. Peraltro, è tipico del nostro Paese avventurarsi nelle
riforme in avanti per poi restare immancabilmente indietro. In effetti, non
esistono regole codificabili per difendersi dall`altrui follia, tutto è rimesso al
caso. Difatti, nello Stato di diritto le garanzie giuridiche di tutela sia
della collettività che del singolo cittadino non includono i comportamenti del
pazzo, il quale può essere dichiarato non punibile. Nella specie, l`orribile
tragedia parrebbe dipesa dal fatto che il tesserino mostrato dal Giardiello non
sia stato guardato con la dovuta attenzione, nonostante che lo stesso fosse
uno sconosciuto. Basterebbe un po` di attenzione in più e magari qualche
sorvegliante in più, ma di qui a parlare di porte spalancate,
sembra un`esagerazione solo giustificata dall`emozione
conseguente
alla tragicità dell`evento. Io credo che, oltre agli aspetti dei controlli, giochi
qui un ruolo non indifferente il clima di intemperanza ideologica che avvelena
da tempo il tema dell`amministrazione della giustizia, cosa che, come si sa, ha
reso il rapporto politica/giustizia un`anomalia che distingue il nostro Paese
fino a farlo bacchettare dall`Unione europea. Come sempre, il problema
è anche culturale, ed è sconfortante che una nazione di grandi tradizioni come
l`Italia, anche nel campo del diritto, debba non trovarsi al passo quando si
parla di cultura come fenomeno e fermento sociale. Verosimilmente, fa
parte delle nostre infinite contraddizioni, che troppo spesso ci lasciano agli
ultimi posti, come nella giustizia, o ai primi, come nella corruzione.
Per tornare alla sicurezza da cui siamo partiti, vi è da sperare che la infantile
voglia di essere sempre più avanti non arrivi a chiudere le porte dei tribunali.
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LIBERO
Macché sicurezza i giudici rifiutano i controlli
di Pietro Senaldi
È augurabile che domani i funerali di Stato dei morti della strage al Tribunale
di Milano non diventino un nuovo pretesto per strumentalizzare il dramma di
tre famiglie e fame l`estrema occasione per rivendicazioni di casta e
dichiarazioni politiche. La morte del giudice Ciampi infatti ha oscurato quella
delle altre due vittime, al punto che la moglie dell`ex socio dell`assassino ha
rifiutato le esequie ufficiali lamentando che «il mio Giorgio è stato ignorato da
tutti, non sono stata invitata neppure alla commemorazione».
Meglio così, forse, almeno la donna si è risparmiata l`intervento del
presidente dell`Anm, Rodolfo Sabelli, che ha approfittato del luttuoso palco
per trasformare i morti nel «simbolo dell`isolamento in cui è stata lasciata la
giustizia» e denunciare «la troppa rabbia e le troppe tensioni» che si
catalizzano sui magistrati, che meriterebbero «ben altro rispetto».
Ma che rispetto cercano gli uomini in toga? E che rispetto riconoscono a chi,
per lavoro o sventura, si trova a dover avere a che fare con loro ed entrare nei
loro templi? Domande che sorgono spontanee nell`apprendere che quando
nel vertice urgente tra esponenti del governo e della magistratura milanese,
poche ore dopo la strage, è stata avanzata la proposta per aumentare la
sicurezza di introdurre varchi elettronici e badge obbligatorio anche per
le toghe, queste hanno rifiutato sdegnate invocando la violazione della loro
privacy. Come se per un dipendente pubblico, benché di alto lignaggio come
un magistrato, rivelare quando arriva e quando lascia il posto di lavoro
sia un`intollerabile intrusione nella vita personale. E la tutela del privilegio di
non dover rendere conto sia più importante finanche della tutela della vita
altrui, anche di chi in tribunale ci va per rendere un servizio pubblico gratuito,
come i testimoni, o perché costretto, come gli imputati, o semplicemente per
far valere un proprio diritto.
Da oggi chiunque faccia causa è consapevole che oltre ai rischi connessi
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all`aleatorietà dei giudizi e ai tempi della giustizia, si assume anche il rischio
della propria vita. Così vuole la casta in toga, e viene naturale pensare male e
insinuare che con vista acuta e cavillosa i giudici dichiarino guerra ai badge
oggi per timore che domani qualcuno renda pubblici i numeri delle loro
presenze; e gli italiani tutti, non solo quelli che bazzicano i tribunali e già lo
sanno bene, vengano a conoscenza che con 835mila cause arretrate e una
durata media dei processi di 7 anni per il civile e 5 per il penale,
la maggioranza dei "vostro onore" si fa vedere in tribunale non più di quattro
giorni la settimana, preferibilmente solo di mattina. Sarà anche per questo
che, come i cardinali, quasi nessuno vuole mollare fino ai 75 anni.
Evidentemente la maggior parte dei magistrati è convinta
che, contrariamente a quanto afferma Sabelli, il collega Ciampi sia morto
più per la lucida follia di un disperato che per l`odio che giornali e politici
hanno montato contro di loro. Altrimenti accoglierebbero i varchi elettronici
come un bambino i regali di Natale. O punterebbero l`indice contro loro
stessi a cui certo non sfugge quello che il clamore degli eventi ha in parte
nascosto all`opinione pubblica, ossia che se Claudio Giardiello è
potuto entrare
in tribunale
mostrando il proprio
tesserino
da
immobiliarista fallito la responsabilità non è solo dei sonnolenti vigilantes che
hanno sostituito le forze dell`ordine agli ingressi. La responsabilità è di chi ha
in affido dallo Stato la sicurezza del Tribunale e tollera la prassi di
avvocati che sfilano ai controlli alla velocità della luce con il cliente
in scia e di magistrati e addetti ai lavori con borsoni dentro i quali nessuno
può mettere il naso. E questi sono proprio i vertici del Tribunale milanese, a
cui nessuno ha osato muovere appunti.
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IL GARANTISTA
Distinguere nella tragedia: l’errore fatale delle toghe
di Astolfo Di Amato
Alla fine è stato inevitabile. Ha prevalso la strumentalizzazione. Favorita,
bisogna riconoscere, dalla mielosa acquiescenza della maggioranza dei
commentatori dei grandi giornali. E così, paginate sulla solitudine del
magistrato, sul discredito di cui è vittima l`intera categoria, sulla campagna
di odio verso i giudici, che ha armato la mano dell`omicida.
È stato cucinato un polpettone nel quale sono finiti e sono stati legittimati
tutti i motivi di risentimento della categoria: limitazione delle
ferie, responsabilità civile, riduzione dei casi di carcerazione preventiva, etc.
Vi sono stati alcuni commenti a dir poco imbarazzanti: tutti centrati sulla
solitudine del magistrato, dedicano una riga agli altri due uccisi al palese
scopo di poter dire che sono stati equilibrati e completi e che hanno parlato di
tutti. Del resto, lo stesso Ufficio Comunicazione della Presidenza
della Repubblica ha tenuto, anche su questo giornale, a precisare che
Mattarella, nel suo intervento al Consiglio superiore della magistratura, aveva
citato anche gli altri morti. Trascurando la circostanza che il Presidente ha
fatto un preciso riferimento alla campagna di discredito dei magistrati, così
implicitamente indicando la causa della tragedia e relegando gli altri morti al
ruolo di vittime occasionali e marginali.
Anche dal punto di osservazione più elevato, quello destinato a garantire
l`unità del Paese, è venuto un messaggio profondamente divisivo.
E non è certo di ulteriori divisioni che ha bisogno l`Italia. La tragedia di
Milano avrebbe potuto unire. E invece ha diviso. E la ragione della divisione
sta proprio in quel fasullo richiamo alla solitudine come causa di
beatificazione. Della solitudine del magistrato ha parlato, in uno splendido
libretto, Piero Calamandrei (Elogio dei Giudici scritto da un Avvocato). E si è
riferito al peso che il Giudice, ogni Giudice, si porta dentro quando deve
decidere, po- tendo contare solo sulle sue conoscenze tecniche e, innanzitutto,
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sulla sua coscienza e sulla lealtà verso se stesso. O al peso della responsabilità
della decisione e dei dubbi che essa genera anche successivamente.
Né tutto questo è alleviato dalla Camera di Consiglio, che, quando è vera e
cioè quando si articola in un`autentica dialettica, può fare addirittura
aumentare il tormento interiore.
Ma può parlarsi di solitudine rispetto a coloro che passano le veline alla
stampa? Che cercano spasmodicamente la prima pagina dei giornali? Che
trattano la libertà altrui senza alcuna attenzione e rispetto? Essi sono
certamente una minoranza tra i magistrati.
Ma che è stata capace di scavare un solco profondo tra l`intera magistratura
ed il Paese. Il magistrato ucciso a Milano apparteneva a quella maggioranza
silenziosa che fa il proprio dovere giorno dopo giorno, vivendo fino in fondo la
solitudine di cui parlava Calamandrei.
E allora, ci si sarebbe potuti aspettare una presa di posizione della
magistratura capace di guardare alla crisi della giustizia senza prospettive
corporative, capace di comprendere che le altre morti non sono state né
occasionali, né marginali, capace di sentirsi parte del Paese e non la parte
migliore. Questo avrebbe unito. Un discorso forte sulla crisi della giustizia,
sulle ragioni della sfiducia dei cittadini, sulla necessità di un riequilibrio dei
poteri, avrebbe unito. Così come avrebbe unito una pari attenzione agli altri
morti, ciascuno, a suo modo, emblema anch`esso di questo momento
difficile del Paese. L`imprenditore che affronta la crisi della sua azienda e
l`erosione del rapporto con i soci.
L`avvocato, il quale vive anch`esso la sua solitudine nell`essere cuscinetto tra
le pulsioni della vita e la compostezza del Tribunale.
Tutto questo non è stato. La parte migliore della magistratura non ha avuto,
ancora una volta, la capacità critica e l`autonomia morale per non farsi
trascinare in una autocelebrazione che ha solo scavato ancora di più i fossati.
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ITALIA OGGI
Brevi
Arriva l'ultimo tassello per i nuovi criteri di riscatto della laurea previsti da
Cassa forense. È stato, infatti, pubblicato in G.U. n. 84 dell'11 aprile scorso il
comunicato di accoglimento della delibera, risalente a dicembre 2014, da
parte dei ministeri del lavoro, della giustizia e dell'economia (si veda
ItaliaOggi del 18 marzo 2015). Tra le novità più rilevanti, l'opportunità di
saldare le somme dovute per riscattare gli anni di studio, di pratica forense e
di attività civili e militari in un arco più lungo, esteso fino a dieci anni. Diritto
che potranno esercitare gli avvocati iscritti alla Cassa in regola con le
comunicazioni reddituali e col versamento dei contributi ma anche chi è stato
cancellato dalla Cassa, ma conservi il diritto alla pensione di vecchiaia.
Adeguatezza delle pensioni future. Questo il tema all'attenzione della Cassa
nazionale di previdenza dei dottori commercialisti nel prossimo. «Abbiamo
davanti a noi», ha dichiarato il presidente Renzo Guffanti nel corso di un
colloquio con l'Adepp (Associazione degli enti pensionistici dei
professionisti), «dieci, quindici anni per preparare una serie di servizi a cui
far accedere i nostri iscritti a condizioni migliorative rispetto al mercato, per
cui il pensionato che magari percepisce qualche euro in meno di pensione
rispetto agli attuali pensionati deve avere una sorta di risarcimento e
dobbiamo cercare di salvaguardargli il potere di acquisto».
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CORRIERE ECONOMIA
Ragionieri – Cinque gestori per la Cassa
Cinque gestori per la Cassa Prove concrete di nuova previdenza. Il Consiglio
di amministrazione della Cassa nazionale di previdenza dei ragionieri ha
aggiudicato la gara europea per la scelta di cinque gestori ai quali affidare la
liquidità da investire in valori mobiliari per conto dell’Istituto. A ogni gestore
verrà affidato un patrimonio iniziale di 120 milioni che, nel corso dei tre anni
di gestione, potrà raggiungere i 300 milioni. «Siamo soddisfatti del livello dei
partecipanti a questa gara, alla quale hanno preso parte tredici concorrenti,
tutti di prestigio — ha spiegato Luigi Pagliuca, presidente della Cassa
ragionieri —. Il consiglio di amministrazione che si è insediato nel maggio
scorso ha optato per un modello diverso di gestione patrimoniale rispetto al
passato. Ci siamo dotati di una funzione interna di risk management, e
l’abbiamo separata da quella di consulenza. Inoltre stiamo organizzando
un’area finanza interna che colloquierà quotidianamente con i gestori». I.
TRO.
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IL SOLE 24 ORE
I commercialisti: più trasparenza per gli amministratori giudiziari
Rendere trasparenti i criteri di nomina dell’amministratore giudiziario,
auspicando la riformulazione dell’articolo 35 del codice antimafia. È una delle
proposte avanzate ieri dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili in commissione Giustizia alla Camera, durante
l’audizione relativa all’indagine conoscitiva sui progetti di legge che puntano a
introdurre misure per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei
lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
«Il Consiglio nazionale dei commercialisti si è fatto parte attiva nell’elaborare
proposte emendative al nuovo testo», ha detto Maria Luisa Campise,
consigliere delegato alle Funzioni giudiziarie e uffici giudiziari.
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ITALIA OGGI
Amministratori giudiziari, Cndcec vuole trasparenza
Rendere trasparenti i criteri di nomina dell'amministratore giudiziario,
auspicando la riformulazione dell'articolo 35 del codice antimafia.
È una delle proposte avanzate ieri dal Consiglio nazionale dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili, per bocca di Maria Luisa Campise,
consigliere delegato alle funzioni giudiziarie, in commissione giustizia alla
camera, durante l'audizione relativa all'indagine conoscitiva sui progetti di
legge recanti «Misure per favorire l'emersione alla legalità e la tutela dei
lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata».
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ITALIA OGGI
Dal Consiglio nazionale e dalla Fondazione studi via alla campagna
informativa
Consulenti, arretrato all'angolo
Mediazione fondamentale per smaltire le pratiche civili
Consulenti del lavoro protagonisti nella risoluzione delle controversie. Grazie
alla mediazione civile e commerciale, infatti, la categoria intende svolgere un
ruolo fondamentale in questo settore proprio per la sua esperienza e
preparazione professionale nonché per le naturali capacità negoziali che
possiede.
A distanza di circa due anni dall'Istituzione dell'Organismo di mediazione di
categoria, Fondazione studi su mandato del Consiglio nazionale ha varato una
campagna di comunicazione finalizzata a sensibilizzare i clienti dei consulenti
del lavoro sulle alternative alla giustizia ordinaria di per sé ingolfata da oltre 5
milioni di processi pendenti. Secondo il rapporto Doing Business 2014 della
Banca Mondiale, un'impresa operante in Italia per ottenere il pagamento di
un credito vantato nei confronti di altra azienda ricorrendo al giudice, deve
attendere per un tempo anche triplo rispetto ai concorrenti operanti in altri
Paese industrializzati. Si rivela così con evidenza come la lentezza dei
procedimenti civili costituisca ostacolo alla crescita economica, oltre a dar vita
a sistematiche violazioni del termine di ragionevole durata del processo
(Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848) e facendo
scattare il risarcimento economico (previsto dalla legge Pinto) a spese della
collettività. Non solo. Il 17 marzo 2014 è stato pubblicato dalla Commissione
Ue lo scoreboard dei sistemi di giustizia nella Ue per il 2014, da cui risulta
che, a fronte di una riduzione dell'arretrato di cause in materia civile e
commerciale, dovuta sia alla riduzione delle sopravvenienze (nel 2012 rispetto
al 2010), sia al costante incremento della produttività dei magistrati italiani
(dal 120 al 130% dal 2010 al 2012), i tempi di definizione delle medesime
controversie continuano ad allungarsi passando dai 500 giorni del 2010 ai
600 giorni nel 2012. Consapevoli dell'importanza di una adeguata diffusione e
promozione, a tutti i livelli, di una cultura della risoluzione del conflitto in
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modo alternativo a quello del giudizio civile, il Consiglio nazionale ha posto
molta attenzione ad una informazione mirata sia nei confronti dei dirigenti
territoriali di categoria che dei singoli consulenti del lavoro. Molti sono infatti
gli eventi e convegni organizzati a proposito dai vari Consigli provinciali che
hanno visto la partecipazione del responsabile dell'Organismo, Alfio Catalano.
Su tale versante l'informazione appare indispensabile, vuoi per le tante
peripezie e i tanti ostacoli che si sono riscontrati nel percorso dell'istituto
della mediazione, basti pensare alla soppressione dell'obbligatorietà per un
certo periodo di tempo e all'istituzione della cosiddetta negoziazione assistita,
vuoi per la presenza di una cultura prevalente nel nostro paese che è quella
della lite e quindi della causa, anziché della risoluzione amichevole delle
controversie. Il vantaggio di un accordo consiste, oltre che nel risolvere la
controversia del momento, a migliorare i rapporti tra delle parti per il futuro
anziché comprometterli definitivamente come avviene quando si ricorre ad
una causa civile. Senza tralasciare che la strada della sentenza del giudice,
essendo un provvedimento non concordato, lascia spesso scontente le parti,
mentre la risoluzione amichevole che si può raggiungere con la mediazione,
lascia le parti soddisfatte perché esse stesse hanno contribuito a raggiungerla
attraverso l'avvicinamento delle rispettive posizioni. Al fine di diffondere
questa opportunità, si è provveduto ad intraprendere rapporti di
collaborazione con altri organismi di mediazione presenti più da lungo tempo
sul territorio per una sinergia sul versante del percorso formativo dei
mediatori, dei tirocini cosiddetti assistiti, dell'assistenza e consulenza per le
pratiche più complesse. L'Organismo di mediazione si sta diffondendo
sempre di più sul territorio attraverso l'istituzione delle strutture
amministrative presso i consigli provinciali e in alcune di esse si stanno
svolgendo con successo pratiche di mediazione. I mediatori iscritti sono in
aumento e la Fondazione studi che è ente accreditato per la formazione in
materia di mediazione, organizza periodicamente corsi di formazione per
mediatori, sia di base che di aggiornamento. Si tratta perciò di supportare il
progetto già avviato e favorire tutte le sinergie possibili per realizzare gli
obiettivi prefissati, cioè fornire nuovi strumenti e opportunità di lavoro ai
colleghi e svolgere, nel contempo, un ruolo altamente sociale contribuendo a
migliorare l'efficienza della giustizia in Italia
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ITALIA OGGI
Il senato verso l'ok al disegno di legge sulla pa: ecco le norme di interesse per
la scuola
Più flessibilità con il ddl Madia
Possibili nuovi orari, procedimenti disciplinari incisivi
In questi giorni l'interesse del mondo della scuola è rivolto oltre che alle
vicende legate al disegno di legge di riforma del sistema nazionale di
istruzione e formazione, anche al disegno di legge, presentato dal presidente
del consiglio dei ministri di concerto con la ministra della funzione pubblica,
Marianna Madia, contenente norme per il riordino della disciplina del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Su questo disegno di legge, che da oggi è al voto dell'aula del senato,
l'attenzione è concentrata degli articoli 11e 13 così come modificati dalla
prima commissione affari costituzionali del senato presieduta dalla senatrice
Anna Finocchiaro.
L' approvazione del disegno di legge è prevista per la seconda metà del mese
di aprile. Anche se nei due citati articoli, così come negli altri quattordici che
compongono il disegno di legge, le istituzioni scolastiche e il personale
docente ed Ata non vengono espressamente richiamati, è fuori dubbio che le
disposizioni ivi contenute debbano trovare applicazione anche nel comparto
scuola. Di qui l'interesse suscitato principalmente tra i docenti e il personale
Ata con specifico riferimento alle disposizioni contenute nei commi 1 e 2
dell'articolo 11.
Tanto la facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni( comma 1) di
poter adottare misure organizzative per il rafforzamento dei meccanismi di
flessibilità dell'orario di lavoro orizzontale o verticale, nonché per la
sperimentazione di forme di co-working e smart-working, quanto
quella(comma 2) di poter procedere, seppure nei limiti delle risorse di
bilancio disponibili, a stipulare convenzioni con asili nido e scuole
dell'infanzia e a organizzare servizi di supporto alla genitorialità, aperti
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durante i periodi di chiusura scolastica, sembrano trovare ampio consenso tra
il personale scolastico.
Altrettanta attenzione il mondo della scuola sembra dimostrare verso i
contenuti dell'articolo 13 in quanto finalizzati a rendere possibile un effettivo
riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche. Un riordino che dovrà essere realizzato mediante una serie di
decreti legislativi che dovranno essere emanati riguardanti, in particolare:
- una più efficacia integrazione negli ambienti di lavoro delle persone con
disabilità;
- la riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale
sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di
garantire l'effettività del controllo con l'attribuzione all'Inps della relativa
competenza e delle risorse attualmente impiegate dalle pubbliche
amministrazioni per l'effettuazione degli accertamenti;
- la semplificazione delle norme in materia di valutazione dei pubblici
dipendenti, ri riconoscimento del merito e di premialità;
- l'introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici
dipendenti finalizzate ad accelerare, rendere concreto e certo nei tempi di
espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare;
- progressivo superamento della dotazione organica come limite alle
assunzioni fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi
di mobilità.
È stato invece giudicato inammissibile in commissione l'emendamento che
prevedeva di concedere alle amministrazioni la facoltà di promuovere un
ricambio generazionale, peraltro da tempo auspicato dal mondo della scuola,
mediante la riduzione dell'orario di lavoro da parte del personale prossimo
alla maturazione dei requisiti pensionistici. Ai fini del trattamento di
quiescenza e previdenza al personale verrebbe garantito il trattamento che
avrebbe percepito se avesse continuato a prestare servizio nel regime orario a
tempo pieno. Franco Bastianini
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IL SOLE 24 ORE
Dichiarazioni 2015. Il fisco può approfondire anche i dati sulla previdenza
complementare comunicati con le certificazioni uniche
Precompilata, controlli dietro l’angolo
I vantaggi sui controlli per chi accetta la precompilata non cancellano in
astratto la possibilità che il fisco possa poi procedere a riscontri sulle
condizioni soggettive dei bonus fiscali. Con l’avvio della prima campagna
(sperimentale) della dichiarazione precompilata, i contribuenti che si
avventureranno nella telematica grazie a Fisconline per gestire direttamente
la propria dichiarazione dei redditi saranno chiamati a decidere se accettare o
meno la proposta di liquidazione delle Entrate. La posta in gioco è data anche
dalla previsione legale di un blocco su alcuni controlli che l’Agenzia pone
ordinariamente in essere sulle dichiarazioni presentate. In primo luogo, il
contribuente deve sempre verificare la regolarità sostanziale della propria
dichiarazione che troverà online. Qualora, infatti, nella precompilata il
reddito dovesse essere errato per errori commessi nell’acquisizione dei dati, le
Entrate mantengono sempre e comunque la possibilità di accertare il
contribuente che accetta la proposta di dichiarazione. Lo scudo dai controlli,
quindi, riguarda solo una piccola parte del contenuto della dichiarazione e
non può mai riguardare la situazione fiscale sostanziale del contribuente.
La preclusione
Con l’accettazione della precompilata senza modifiche, al fisco è preclusa la
possibilità di effettuare il controllo documentale (articolo 36-ter del Dpr
600/1973) sui dati relativi agli oneri comunicati dai soggetti indicati
all’articolo 3 del Dlgs 175/2014. Si tratta, in pratica, degli interessi passivi sui
mutui, dei premi assicurativi e dei contributi previdenziali precaricati sul
modello online. Resta in ogni caso fermo il diritto di controllo dell’Agenzia
sulla sussistenza delle condizioni soggettive che danno diritto a detrazioni,
deduzioni e agevolazioni. Inoltre, in caso di accettazione della precompilata,
non si applica il controllo preventivo sulla spettanza delle detrazioni per
carichi di famiglia in caso di rimborso superiore a 4mila euro, anche se
determinato da eccedenze d’imposta riportate dall’anno precedente. Siamo
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quindi in presenza di un blocco sui controlli ben limitato nella sostanza
perché riguarda solo una parte degli oneri deducibili che ordinariamente
possono confluire nel 730. Il bonus perde ulteriormente di appeal se si
considera che per le Entrate lo stop sui controlli non opera per dei costi
riportati nella dichiarazione precompilata in quanto comunicati dai sostituti
d’imposta nelle certificazioni uniche. È il caso, per esempio, degli oneri 2014
inerenti le forme pensionistiche complementari. Dato che gli enti quest’anno
non hanno comunicato alle Entrate i dati inerenti ai contributi versati dai
propri iscritti, tali informazioni inserite nella precompilata derivano dalle
certificazioni uniche inviate dai sostituto d’imposta entro il 9 marzo scorso.
Le modifiche
Quest’anno saranno diffusissimi i casi in cui i contribuenti dovranno integrare
la precompilata in merito a oneri deducibili e detraibili. Ciò in quanto, in
questa prima fase sperimentale, le informazioni acquisite dalle Entrate e
precaricate sul 730 online sono una piccola parte rispetto al mondo delle
spese che danno diritto agli sconti fiscali. Ogni volta che non si accetta la
dichiarazione precompilata perché, ad esempio, si inserisce un onere
mancante, si perde ogni bonus sui controlli delle Entrate sulla dichiarazione
trasmessa, anche con riguardo ai dati che erano già stati precaricati dal Fisco
che, quindi, tornano a essere accertabili.
L’intermediario
I controlli sulla liquidazione automatizzata ex articolo 36-ter del Dpr
600/1973 dei dati vistati della dichiarazione sono effettuati nei confronti
dell’intermediario per chi scegliesse di avvalersene. Più nello specifico, per le
Entrate il vantaggio relativo all’eliminazione del controllo preventivo sulla
spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia in caso di rimborso superiore
a 4mila euro è comunque garantito se la dichiarazione – modificata o
accettata a questi fini è ininfluente – è presentata tramite un intermediario
abilitato. In caso di importi a credito rilevanti, quindi, il fatto di poter fruire
immediatamente del rimborso potrebbe essere un buon motivo per spingere i
contribuenti a rivolgersi a Caf o professionisti abilitati. Gian Paolo Ranocchi
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IL CORRIERE DELLA SERA
Risponde Sergio Romano
Il significato di tortura evoluzione di una parola
E così la Corte europea dei Diritti umani ha sentenziato contro l`Italia
etichettando ciò che avvenne nell`irruzione alla scuola Diaz di Genova del 21
luglio 2001 come tortura.
Deplorando poi il fatto che il nostro Paese non ne contempli il reato. Ma
perché chiamare tortura quella che è stata una palese rappresaglia? Perché è
di questo che si dovrebbe parlare e condannare. Lo Stato non si
doveva abbassare ad un atto del genere sebbene in un contesto di un giorno di
follia collettiva. Ma la tortura non è un`altra cosa?
Mario Taliani
[email protected]
Caro Taliani,
Salvo errore, una delle prime apparizioni della parola «tortura» nella
legislazione internazionale
del secondo
dopoguerra appartiene alla
Convenzione internazionale sui Diritti umani e civili promossa dall`Onu e
aperta alla firma degli Stati nel 1966. Secondo l`art. 7, «Nessuno può essere
sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti. Iri particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero
consenso, ad un esperimento medico o scientifico». Il testo è apparentemente
chiaro, ma non contiene una definizione della tortura. Da allora, mi
sembra capire, il compito di definire la tortura con maggiore precisione è
stato lasciato ai tribunali internazionali e in particolare, tra gli altri, a
quello del Consiglio d`Europa che si è recentemente pronunciato sulle
vicende della Scuola Diaz. Ma non è escluso che altri tribunali giungano a
conclusioni diverse e possano dare della tortura altre definizioni.
Credo che il problema sia politico e sociale
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piuttosto che giuridico. Gli orrori e i genocidi della Seconda guerra mondiale
hanno avuto l`effetto di creare un maggiore sensibilità per i diritti umani e la
speranza che un sistema
giuridico internazionale, sotto il cappello delle Nazioni Unite, avrebbe
costretto gli Stati a comportamenti civili. Quando hanno cominciato a
scrivere i testi di quello che sarebbe potuto diventare un codice penale
mondiale, i governi, i diplomatici e gli esperti giuridici hanno fatto ciò che
accade spesso in molti parlamenti nazionali. Hanno deciso che i vecchi reati,
con le loro denominazioni tradizionali, non bastavano a definire i nuovi orrori
e hanno deciso di alzare il volume sonoro della indignazione usando parole,
come tortura o genocidio, che, in passato, erano state usate in modo più
preciso e circoscritto. Usata nel caso della scuola Diaz, la parola
«tortura» corre il rischio di perdere il suo significato originale e di
banalizzarsi.
Alcuni lettori, caro Taliani, mi hanno chiesto di aiutarli a distinguere le
competenze del Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo da quelle
della Corte europea del Lussemburgo. La prima è stata creata dal Consiglio
d`Europa nel 1959 e si pronuncia su cause promosse sia dai governi,
sia dai singoli cittadini (come nel caso di Genova).
Può ordinare ai governi di correggere la propria legislazione e può fissare
l`indennizzo che dovrà essere corrisposto al cittadino che è stato privato dei
suoi diritti. La Corte di Giustizia europea, invece, è l`organo che vigila
sull`osservanza degli impegni e degli obblighi comunitari assunti dai membri
dell`Unione europea e dalle loro aziende. È stata creata nel1957, l`anno in
cui furono firmati in Campidoglio i trattati per la creazione del Mercato
comune.
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IL SOLE 24 ORE
Imprese al test-regolamenti
Aprire una attività commerciale in un condominio può essere difficile,
ma può anche essere complicato tenerla aperta, quando una delibera
assembleare adottata in seguito ne renda di fatto problematica la
prosecuzione.
In ogni caso, l’avveduto condòmino che voglia porre in essere un pubblico
esercizio in ambito condominiale, dovrà ovviamente come prima cosa
verificare con molta attenzione se il regolamento condominiale contenga o
meno delle limitazioni in tal senso. In ogni caso, solo il regolamento
“contrattuale”, cioè approvato da tutti i condomini, possa validamente,
prevedere compressioni delle facoltà e dei poteri inerenti al diritto di
proprietà dei singoli. Una volta verificata la natura contrattuale del
regolamento (se il regolamento non ha tale natura poiché è stato approvato in
assemblea il problema non si pone) sarà poi necessario verificare la (molto
probabile) esistenza di clausole che si riferiscono alla possibilità di svolgere
attività commerciali in condominio.
Nel caso tali clausole vi siano, può poi accadere che il divieto previsto dal
regolamento non venga espresso in modo molto chiaro, ma ricorrendo a
clausole “di stile” (del tipo «sono vietate le attività dalle quali possa derivare
danno al decoro o alla tranquillità dell’immobile») che rendano molto difficile
stabilire se una determinata attività possa o meno essere svolta all’interno
dello stabile. Recentemente, la Corte di Cassazione (sentenza 24707/2014) ha
esaminato il caso di un condominio che si era rivolto al giudice ritenendo che
l’attività intrapresa da un condomino violasse la disposizione regolamentare
che prevedeva «il divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello
di civile abitazione o di ufficio professionale privato», formulazione che certo
non spicca per chiarezza. Invece la Cassazione approvava la decisione della
Corte d’appello di ritenere che l’attività (in questo caso di affittacamere) non
aveva comportato una modificazione dell’uso dell’immobile da quello di
«abitazione o di ufficio professionale privato» consentito dal regolamento, e
aveva altresì chiarito che in caso di dubbi si debba ricorrere al principio guida
secondo cui eventuali clausole del regolamento condominiale che limitano il
diritto dei singoli per essere ritenute applicabili «devono essere
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espressamente e chiaramente manifestate nel testo o, comunque, devono
risultare da una volontà desumibile in modo non equivoco da esso».
Ad attività iniziata, può poi accadere che il condomino debba ricorrere contro
una delibera assembleare che sia ipoteticamente fonte per lui di grave
pregiudizio: è il caso esaminato dalla Cassazione con la sentenza 3509/2015,
ove il gestore di una autofficina aveva impugnato la decisione del condominio
relativa alla chiusura, anche diurna, dei cancelli carrai di accesso alle aree
comuni, il che ovviamente, comportava una maggiore difficoltà per i clienti
del ricorrente di raggiungere il suo esercizio.
Nel caso in questione, deciso questa volta in favore del condominio, la
Cassazione aveva (come del resto in casi analoghi) ritenuto lecita la delibera
in oggetto in quanto sono vietate, ai sensi dell’articolo 1120, Codice civile, solo
quelle modificazioni delle parti comuni che ne alterino l’entità sostanziale o
ne mutino la destinazione originaria, mentre sono consentite le modificazioni
«che mirino a potenziare o a rendere più comodo (come evidentemente
secondo la Corte avveniva nel caso esaminato) il godimento della cosa
comune».
Per analoghe ragioni (di diritto), era stata ritenuta valida (Cassazione,
sentenza 4508/2015) la delibera che aveva approvato l’esecuzione di
recinzione del complesso condominiale (che a dire del ricorrente aveva reso
poco visibile il suo esercizio commerciale e quindi leso un suo diritto) in
quanto il maggior rendimento della cosa comune «non può essere assimilato
a una innovazione idonea ad arrecare pregiudizio alla cosa stessa, bensì
configura un semplice mutamento della sistemazione od utilizzazione della
cosa comune» perfettamente consentito e rientrante, oltretutto, «negli atti di
ordinaria amministrazione devoluti all’amministratore».
Si ricorda, infine, per venire al momento conclusivo dell’attività commerciale
posta in essere in condominio, che recentemente la Cassazione (sentenza n.
4901/2015) ha respinto la domanda di un condòmino nei confronti del
condominio per l’arricchimento senza causa che lo stabile avrebbe ricevuto
per le opere da lui eseguite (impianto sportivo aperto al pubblico) su terreno
condominiale.
La richiesta del condòmino, tuttavia, veniva ritenuta illegittima in assenza di
«altruità del bene», essendo il ricorrente (osservava la Corte) parte del
condominio e non terzo rispetto a esso. Enrico Morello
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IL SOLE 24 ORE
Per i «vizi» denuncia dall’amministratore
Sulla denuncia dei «vizi» dei lavori non si scherza. La Cassazione (sentenza
4364/2015) ha chiarito le regole sui suoi contenuti.
Dopo che è stata ultimata la ristrutturazione di un edificio condominiale,
l’amministratore di questo segnala all’impresa appaltatrice la presenza di
ruggine nell’acqua erogata dalla conduttura di adduzione idrica. Viene così
espletato un procedimento di istruzione preventiva, che accerta che
l’impianto è stato realizzato in acciaio zincato, potendosi presumere, quindi,
che l’acqua ricevesse ferro dalla conduttura. Iniziata la causa di
responsabilità, l’impresa appaltatrice convenuta eccepisce la prescrizione
annuale, ai sensi dell’art. 1669 secondo comma Codice civile, in quanto il
Condominio aveva già tre anni prima della notifica della citazione denunciato
il difetto costruttivo. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello ritengono
prescritta l’azione proposta dal Condominio.
La Cassazione, seconda sezione civile, sentenza 4 marzo 2015, n. 4364, cassa
la decisione dei giudici di merito, ponendo in evidenza come la missiva
indirizzata dall’amministratore, ben prima dell’inizio del processo, non
valesse come denunzia dei vizi, idonea a far decorrere il termine di
prescrizione. Con quella lettera, osserva la Cassazione, l’amministratore si era
limitato a riferire che la qualità dell’acqua utilizzata dai singoli condomini
risultava caratterizzata da valori atipici, dovuti molto probabilmente, ma non
certamente, ad anomalie relative alle reti distributive interne al fabbricato,
senza pertanto individuare in maniera chiara ed inequivocabile le cause del
fenomeno denunciato.
Così, la Cassazione ribadisce quanto già affermato in sue precedenti
pronunce: quando di un contratto di appalto sia committente un condominio,
il termine per la denuncia dei vizi e delle difformità delle opere (ai fini delle
garanzie e della responsabilità di cui agli articoli 1667 e 1669 Codice civile)
decorre solo dal momento in cui l’amministratore, in rappresentanza
dell’intero condominio, abbia acquisito un apprezzabile grado di conoscenza
obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’
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imperfetta esecuzione delle opere, mentre nessun rilievo ha la circostanza che
di tali vizi e delle relative cause abbiano avuto conoscenza i singoli condomini.
Questo perché spetta all’amministratore il compimento degli atti conservativi
dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio (si veda la sentenza della
Cassazione 18 maggio 1996, n. 4619).
Questa soluzione suppone che i giudici, ravvisando nel condominio in quanto
tale, e non nei singoli condomini, la qualità di committente dei lavori sulle
parti comuni, individuino in esso un’unica parte contrattuale complessa, cui
corrisponde la riferibilità del contratto non a più soggetti, ma ad una
posizione unica. Unicità, quindi, del condominio visto come contraente
committente, rappresentato dall’amministratore, quale rappresentante a tutti
gli effetti dell’ente condominiale, e non quindi mero mandatario collettivo di
ciascun condomino; e anche unicità verso l’esterno della prestazione dovuta
dal condominio, ovvero unicità dell’obbligazione per il pagamento del
corrispettivo delle opere dovuto all’appaltatore. Antonio Scarpa
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IL SOLE 24 ORE
Ordinanza lecita solo se c’è urgenza
Il provvedimento del sindaco, con il quale ordina al condominio di
ripristinare le condizioni dell’impianto fognario per ragioni igienicosanitarie – a tutela della salute e della pubblica incolumità – deve essere
emesso purché sia stato accertato, con ragionevole precisione e
determinatezza, l’incombente pericolo di un danno grave alla pubblica
incolumità, che non sia possibile prevenire o impedire con il ricorso ai
normali mezzi apprestati dall’ordinamento.
Con tale principio il Tar Lazio (sezione II di Roma, sentenza del 18 febbraio
2015 n. 2773) annullava il provvedimento con il quale il sindaco aveva
ordinato – a due condomini e al nudo proprietario di un bar – di procedere
alla esecuzione di lavori necessari al ripristino della rete fognaria privata
condominiale e di altre opere edili. Tale provvedimento era stato emesso a
seguito di una sollecitazione pervenuta dalla Ausl che aveva ravvisato una
problematica igienico-sanitario. I due Complessi edilizi (che avevano in
comune la proprietà della rete fognaria) impugnavano il provvedimento del
sindaco.
Dall’analisi degli atti risultava che non sussistevano i presupposti di gravità né
di imprevedibilità e imminenza del pericolo né ragioni che impedivano il
ricorso agli strumenti ordinari previsti dall’ordinamento, per cui l’adozione
del provvedimento del sindaco si era fondato, a parere del Tribunale, su una
mera probabilità del verificarsi di un inconveniente igienico sanitario senza
nessun accertamento in concreto della sua entità, della ragionevolezza e
verosimiglianza del pericolo.
Il Tar, nell’annullare l’ordinanza impugnata, ha precisato, infine, che il
presupposto di fatto dal quale scaturisce l’ordinanza è così generico da non
consentire neppure di apprezzare l’esistenza di specifiche ragioni che, in
concreto, legittimino l’autorità sanitaria locale ad intervenire nel contesto
condominiale anche in relazione alle responsabilità tra privati. Luana
Tagliolini
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IL CORRIERE DELLA SERA
Gli avvocati temono l’impopolarità
Nessuno si batte contro le nozze gay
Il 28 aprile la discussione della Corte Suprema Usa sui matrimoni in 4 Stati E
i grandi studi legali abbandonano chi li contesta
Hanno difeso i produttori di sigarette dall'accusa di aver mentito ai clienti
sulla pericolosità di quel che aspiravano. E non hanno negato la loro
assistenza a chi voleva che le scuole pubbliche rimanessero luoghi di
segregazione razziale.
Ma nessuno dei più famosi studi legali degli Stati Uniti si batterà, il prossimo
28 aprile, contro il diritto degli omosessuali a sposarsi. E questo anche se i
giudici della Corte Suprema potrebbero richiedere a tutti gli Stati, con una
sentenza destinata a entrare nella storia, di garantire ai gay la possibilità di
contrarre matrimonio.
Il tema è di portata enorme: in 11 anni, gli Stati americani che permettono le
nozze omosessuali sono passati da uno (il Massachusetts, nel 2004) a
trentasette. Un cambiamento rapido e massiccio. Che però non gode del
consenso di ampie fette — circa il 40 per cento — della società americana.
Decine di milioni di americani, che non hanno trovato nessun grande studio
legale disposto a rappresentarli davanti alla Corte Suprema.
Le ragioni A Causare questa disparità - e a sottolineare la sua anomalia —è il
New York Times. Ma le ragioni, spiega al Corriere Suzanne B. Goldberg,
docente alla Columbia Law School, sono chiare. «C'è la convinzione, diffusa,
che non vi siano argomenti legali credibili contro il diritto dei spiega. Ma alla
radice della scelta dei partner delle law firm ci sono anche motivazioni
economiche: «I grandi studi hanno interesse a creare un ambiente privo di
discriminazioni contro gli impiegati, i loro amici o i loro familiari. La difesa di
leggi che vanno in direzione opposta li danneggerebbe». In altre parole:
apparire bigotti («quasi razzisti», specifica il Times) potrebbe far perdere
clienti (oggi) e i migliori studenti delle law schools (domani).
I professionisti A dare consistenza a queste spiegazioni c'è il fatto che
persino l'avvocato che si opporrà ai matrimoni gay davanti alla Corte
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Suprema, John J. Bursch, sia stato abbandonato dal suo studio, Warner
Norcross & Judd. «Questo caso genera emozioni forti per i nostri clienti, il
nostro staff e i nostri avvocati», ha spiegato il legale ai vertici dello studio,
Douglas E. Wagner. Non è il primo caso: quattro anni fa uno dei principi del
foro americani, Paul D. Clement, venne lasciato solo dal suo studio, il
prestigioso King & Spalding, in una causa legata ai diritti degli omosessuali.
Tanto da spingerlo a dimissioni, che fecero clamore nel mondo legale Usa:
«Non si può abbandonare un cliente» scrisse Clement, «solo perché la sua
posizione è impopolare».
Le critiche Oggi il caso si ripete. E Ryan Anderson, studioso (apertamente
anti-matrimonio gay) della Heritage Foundation, vede dietro alle scelte degli
studi legali l'imporsi di un pensiero unico destinato a trasformarsi in una
mancanza di libertà. «Noi crediamo che il matrimonio sia l'unione tra un
uomo e una donna. Ed è un problema se si inizia a ritenere che pensare dice al
Corriere. «È questo che i nostri avversari vogliono: che la legge tratti chi la
pensa così come razzisti.
La risposta, per la professoressa Goldberg, è un chiaro sì: la sentenza della
Corte Suprema vincola non chiese e gruppi religiosi, ma entità governative e
esercizi commerciali che operano in pubblico. E poi, spiega la docente, i
giudici si pronunceranno solo in base a un principio: «Tutti i cittadini devono
essere trattati in modo uguale dal loro governo. E nessuno», nemmeno il più
grande dei legali, «può strappare loro questa garanzia». Davide Casati
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IL CORRIERE DELLA SERA
La svolta della Cassazione
Se si convive si perde il diritto all’assegno di mantenimento
Basta una nuova convivenza per far perdere per sempre il diritto a
ricevere l’assegno di mantenimento dall’ex moglie o (nella stragrande
maggioranza dei casi in Italia) dall’ex marito. Lo stabilisce la sentenza
numero 6855 della Cassazione del 3 aprile scorso, equiparando sotto questo
aspetto gli effetti delle unioni di fatto a quelle del nuovo matrimonio. Finora
la giurisprudenza italiana prevedeva solo una sorta di sospensione, con la
possibilità di richiedere gli alimenti all’ex coniuge se il nuovo legame finiva.
«E infatti nei tribunali ci troviamo quasi sempre di fronte a convivenze che si
“rompono” immediatamente prima del divorzio, quando si deve decidere
sull’assegno — dice Monica Velletti, magistrata della prima sezione civile di
Roma —. Questa sentenza invece fissa un principio nuovo, da cui è difficile
tornare indietro, e riconosce sempre più rilevanza alle unioni di fatto».
Mentre un secondo matrimonio per legge fa decadere immediatamente e
definitivamente l’obbligo di mantenere l’ex coniuge, con la convivenza non è
così. E infatti i supremi giudici scrivono che la giurisprudenza corrente
prevede solo «una sorta di “quiescenza” del diritto all’assegno», che
riprende nel caso che il nuovo legame finisca. Ma aggiungono anche
che è «più coerente» che «una famiglia di fatto, espressione di una scelta
esistenziale, libera e consapevole, da parte del coniuge, eventualmente
potenziata dalla nascita di figli» debba essere «necessariamente caratterizzata
dalla assunzione piena di un rischio, in relazione alle vicende successive della
famiglia di fatto, mettendosi in conto la possibilità di una cessazione del
rapporto tra i conviventi». Chi sceglie una nuova relazione stabile, in altre
parole, deve affrontarne sempre le conseguenze.
«È giusto, dopo il divorzio ognuno riprende le redini della propria vita e
quindi anche la responsabilità delle proprie scelte — commenta Gilda
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ferrando, professoressa all’Università di Genova e una dei massimi esperti di
diritto di famiglia in Italia —. Finora ci trovavamo di fronte al paradosso che
anche dopo una convivenza prolungata si poteva tornare a chiedere gli
alimenti all’ex coniuge. Ma se il matrimonio non è indissolubile perché
dovrebbe esserci una sorta di indissolubilità economica?».
La decisione della Cassazione allinea l’Italia al diritto di altri Paesi
europei: in Francia e Spagna è la legge a prevedere espressamente che
l’assegno venga meno non solo in seguito a nuove nozze, ma anche con le
convivenze. Ma soprattutto la sentenza fa valere in modo nuovo il loro peso:
«È un primo riconoscimento dei loro effetti economici — spiega
Ferrando —. Un piccolo passo, a cui forse potranno seguirne altri: la
giurisprudenza funziona così».
È questo, secondo molti osservatori, l’aspetto più interessante del
pronunciamento della Suprema Corte: «Non interessa solo rapporti di forza
economici — afferma Gian Ettore Gassani, presidente dell’associazione
Avvocati matrimonialisti italiani (Ami) —: il messaggio profondo è che si
stanno sdoganando le unioni di fatto. La Cassazione incita il legislatore a
riconoscere un valore sociale alle famiglie di fatto, soprattutto se con figli».
Elena Tebano
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