il picchio n. 16 (mar. 2014)

Il Picchio
www.ilpicchiocamino.it
Aut. Tribunale di Casale Monf. n. 258 del 16/01/2009
Anno VI - n. 1 - Marzo 2014
TRIMESTRALE di informazione e cultura di Camino e frazioni
Editoriale
Sul
numero
di
gennaio
di
Gabiano&Dintorni l’amico Enzo Gino
ci ha ricordato, con un bell’articolo
che non può che essere interamente condiviso, che in quasi tutti i nostri comuni, fra pochi mesi, si andrà
a votare per il rinnovo delle amministrazioni. E Camino è tra questi.
Vorrei spiegarvi quali, secondo
me, sono le linee guida che l’amministrazione di un microscopico
comune come il nostro dovrebbe
forse tenere in considerazione, alla
luce delle sue risorse e della situazione complessiva socioeconomica
che stiamo vivendo.
Cinque punti come le dita di una
mano: Cultura, Ambiente, Comu-
Stampato in proprio su carta riciclata
nicazione, Coordinamento, Sostenibilità.
Tutti punti essenziali, tutti reciprocamente legati agli altri in un unico sistema che si chiama progetto,
programma di amministrazione.
Uno, tuttavia, è il pollice, il dito che
consente alle nostre mani di afferrare gli oggetti, scrivere, disegnare, quel dito che ha sviluppato così
tanto il nostro cervello: la cultura.
Cultura è curiosità, vivacità, gioco,
è la molla dell’azione vera, perché
è consapevolezza di sé e di ciò che
ci circonda. Senza sapere chi e
cosa siamo non andiamo da nessuna parte, nemmeno a Camino.
Con la cultura credo si possano capire molte cose, a cominciare da
quel comparto che nelle amministrazioni va sotto il nome stesso di
“cultura”. Si può cominciare a capi-
re ad esempio che basare il proprio
programma di eventi su un carrozzone chiamato “Riso & Rose” è una
cretinata. A cominciare dal nome,
per cui dovreste vedere (ma già lo
sapete) le facce degli amici di fuori che mi chiedono cosa c’entrino
due prodotti che in Monferrato non
si sono mai visti con la festa “ufficiale” delle nostre colline. Offerte
culturali vere sono quelle coordinate su tutto l’ambito territoriale del
casalese, e basate su di una lettura
del territorio che anteponga all’idea
di kermesse folkloristica inventata
di sana pianta il recupero di valori
e frammenti caratterizzanti e autentici.
E a questo proposito, con la cultura
delle larghe vedute si può capire, se
continua a pag. 9
2 attualità
Il parroco
d’oltreoceano
Don Claudy’s Larose ha
preso possesso delle due
parrocchie e rinasce l’oratorio
H
a un sorriso che non finisce più don Claudy’s Larose mentre
racconta di sé, delle sue
parrocchie e dei suoi
progetti. Un sorriso dietro al quale si indovina
una tenace determinazione, una grande voglia
di fare e anche qualche
sorpresa.
Lo incontro al termine di una bella giornata di sole, e lui mi dice
subito che spera finisca
presto l’inverno per poter stare all’aria aperta
con i suoi ragazzi. Un
buon inizio per la nostra
chiacchierata. Del resto
ormai tutti lo conoscono, le cronache locali
ne hanno già raccontato
provenienza, curriculum e particolari
del suo insediamento; e allora cominciamo dal presente, dal suo ruolo a Camino e da cosa intende fare. Le idee
sono molto chiare. “Essendo in Piemonte soprattutto condivido un principio: che l’oratorio sia il cuore della
parrocchia e a questo proposito abbiamo iniziato a offrire questa sorta di
servizio ogni domenica, a disposizione
della popolazione” mi dice, mostrandomi il volantino che illustra le attività
oratoriali della domenica pomeriggio e
che potete leggere qui sotto. “La gente
pensa spesso che l’oratorio sia un uni-
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
verso dedicato e riservato ai più giovani, ma in verità non è così, è qualcosa di molto più trasversale. Il nostro
stare insieme è aperto a tutti. In ogni
caso abbiamo una parte di attività un
po’ più ‘seria’, dove facciamo con i
bambini e i ragazzi i compiti, e poi invece una più leggera, dedicata al gioco. Abbiamo acquistato del materiale,
e un gioiello... il tavolo da ping pong!”
A questo punto si fa difficile non farsi
venire voglia di andare all’oratorio...
“E in più, inizialmente non prevista,
ma proposta da alcuni ragazzi e da
me accolta, l’idea che quando c’è bel
tempo si va a fare una passeggiata a
scoprire i luoghi che ci circondano.
Infine, cosa che a me piace, tra le attività parrocchiali c’è la cosiddetta pastorale silenziosa, ossia la visita agli
ammalati, a coloro che sono soli o in
difficoltà. L’oratorio è veramente un
progetto, perché è qualcosa che è sì
iniziato ma è e sarà sempre in continua evoluzione”. Ecco le idee chiare,
di un uomo che i casi della vita, o la
provvidenza – a seconda di come la si
voglia vedere –, hanno portato fino a
Camino da molto lontano. Il semina-
IL SERVIZIO ORATORIANO
OGNI DOMENICA, SOPRA LA FARMACIA, DALLE 15 ALLE 17
- Scambi di parole: amicizia, divertimento...
- Assistenza ai compiti: tutte le materie, dall'asilo alle superiori...
- Giochi sociali: ping pong, calcio balilla, biliardo, golf da tavola...
- Giochi di aggregazione: ruolo, squadra, sfida...
- Giochi spontanei: libertà, fantasia...
- Sport mentale: ludo, scacchi, dama, carte...
- Laboratorio eco-friendly: riciclo, pittura, teatro...
- Merenda: dolci, bibite, acqua... offerti dalla generosità.
Il servizio è aperto a tutti e a tutte le età...
l'unico requisito è il rispetto!
rista Claudy’s, infatti, circa sei anni fa
insieme a tutta la sua classe fu spedito
dal suo vescovo a studiare a Roma. E
qui, incontrando il nostro conterraneo
don Luigi Cabrino, seminarista pure
lui all’epoca, prese contatto con la realtà monferrina. È singolare, e credo
debba far riflettere, che proprio da un
paese dove l’evangelizzazione “europea” troppo spesso si legò alla violenza, provenga oggi un sacerdote il
cui compito, nel cuore dell’Europa, è
vivificare di nuovo nel suo gregge la
parola di Cristo. I casi della storia...
Bene, ma chi è don
Claudy’s? Secondo di
tre fratelli, originario di
una delle isole più grandi dei Caraibi, il nostro
parroco trentenne è un
accanito lettore, prima di
tutto, “fino più o meno ai
sedici anni, di romanzi,
francesi e soprattutto di
autori haitiani. Poi con
gli studi mi sono dedicato sempre più alle scienze umane e oggi leggo
principalmente saggistica, sociologica e teologica soprattutto”. Ma è
anche uno sportivo che
vanta tra i suoi trascorsi, sebbene meramente
scolastici come tiene a
sottolineare, non solo calcio, pallacanestro e un po’ di pallavolo, ma anche
“la danza, un solo anno di salsa fatto a
scuola... non è che sia un grande ballerino...”. E se il presente è Camino,
il futuro? “Beh, chi ha scelto di essere
sacerdote è a disposizione della Chiesa, qui in Italia, ad Haiti o dovunque
ve ne sia necessità. Io attualmente
sono parte della diocesi di Casale e
pertanto il mio futuro è affidato alle
decisioni del mio vescovo. Certo è che
sono diventato sacerdote in Italia e
qui svolgo il mio compito; se dovessi
tornare ad Haiti dovrei ‘imparare’ a
attualità 3
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
fare il sacerdote là, dove non l’ho mai
fatto!”. Nel mentre don Claudy’s prosegue i suoi studi teologici a Torino,
alla Facoltà teologica, per la quale sta
preparando la tesi in morale sociale.
Due piccole parrocchie, le nostre,
delle quali pare andare orgoglioso don
Claudy’s, che mi dice essere soddisfatto del numero di fedeli presenti anche
alle funzioni feriali. E in ogni caso, la
sua presenza si sta facendo sentire, qui
dove da troppo tempo l’idea di qualcosa che fosse oratorio, aggregazione di
giovani, ma anche presenza religiosa
regolare si
era affievolita.
I prossimi appuntamenti delle parrocchie
Ci
laPer il mese di MAGGIO sarà celebrato OGNI VENERDì
sciamo, ci
il rosario in una frazione
risentiremo a
breve per le
4 MAGGIO: pellegrinaggio votivo a Crea
iniziative della parrocchia;
2 GIUGNO: gita sociale interparrocchiale a Sotto il gli
auguro
Monte (BG)
buon lavoro,
Metti una domenica
a Camino…
Un bel pomeriggio in occasione della giornata del
malato a Camino
di buchi economici.
La prima parte del pomeriggio è
stato più seria con l’intervento di don
Franco Josi (che ha condotto, non senza fatica, la parrocchia di Camino dopo
don Antonio Maj) seguito dal semplice, ma sentito ringraziamento dei par-
U
na bella giornata con un
sole
quasi
primaverile, un panorama mozzafiato dal salone polifunzionale sotto
al Municipio , l’imminente 11 febbraio giornata del malato e della
Madonna di Lourdes, un
nuovo sacerdote, un Comune con tante frazioni
che si riscoprono a operare insieme…
ma prima di andar via, con un repentino guizzo negli occhi mi invita a vedere il nuovissimo tavolo da ping pong,
gioiello dell’oratorio. Peccato sia tardi,
lancerei volentieri una sfida al don...
C. R.
Orario delle messe celebrate da
don Claudy’s
Festive
ore 9.30 Piazzano
ore 10.30 Castel San Pietro
ore 11.30 Camino
Feriali
lunedì ore 16 Camino
mercoledì ore 16 Castel San Pietro
Parrocchia di Camino.
Il saluto del Sindaco di Camino e
la benedizione di don Claudy’s hanno
concluso questa prima parte.
La canzone “Che sarà” cantata da
tutti insieme ai ragazzi del coro di Brusaschetto e un tradizionale incanto delle torte ha dato avvio alla
parte più ludica e conviviale.
Qualche altra canzone
cantata insieme ai ragazzi di Brusaschetto, una
tombolata e una sontuosa merenda sinoira salata
Salone
e dolce hanno concluso
allegramente questa giorPolifunzionale
nata.
Da notare che i giovapresso il Municipio
nissimi del comune nelle
settimane precedenti, sotto la guida di don Claudy’s si erano ritrovati per
allestire un banchetto di
oggetti realizzati con materiale di recupero. Il banchetto posto all’entrata
del salone è stato apprezzato dai partecipanti.
Camino
domenica
9 febbraio
Ecco gli “ingredienOrganizzazione a cura di:
Consigli Pastorali di Camino, Comune,
ti” che hanno costituito
Proloco e Gruppo Giovani di Camino,
domenica 9 Febbraio a
Circoli Locali, GAIAS, Il Picchio
Camino un pomeriggio
dedicato alla giornata
Il bello di questa giordel malato o più semnata
è al di sopra della
Don
plicemente un momengiornata stessa: una ritroClaudy’
to per ritrovarsi dai più
> Benedizione dei malati presenti
vata voglia di collaborare
giovani ai più anziani
s vi
a 360 gradi da parte di
> Vendita di torte “all’incanto”
per trascorrere alcune
tutti al di là degli indiviaspetta
> Giochi, Musiche e Canti
ore, tra momenti seri,
dualismi e dei campanili!
giochi, musica e cibo.
> Apericena per tutti
smi…
Con la forza di geDon Claudy’s, con la
Il ricavato
di tutte le iniziative della manifestazione sarà
sti semplici, la volontà di
rocchiani a don Josi che hanno conse- sua semplicità ma con fermezza, ci rifare, la collaborazione di tanti si è cre- devoluto
opere, ritrovato
oneri e restauri
delle corda che siamo una comunità.
gnato unpercoppo,
nel cortile
ata la sinergia giusta per unire alla vo- dellaChiese
Comune dieCamino
casa del
parrocchiale
successivaSara Palazzolo
glia di condivisione anche una raccolta mente decorato con l’immagine della
di fondi per ”tamponare” l’emergenza
dalle ore 16:
4 attualità
Quel brutto
pasticcio della
Grisulina
Un tentativo di raccontare
com’è che si è finiti che dalla
Grizzolina non si passa più
I
l toponimo Grizzolina, Grisulina dialettale, compare nei
catasti castelsanpietresi del
’500 a indicare quella medesima regione, posta tra Brusaschetto, Castel
San Pietro e Zizzano, da cui prende
il nome l’odierna strada, o almeno
quello che ne resta. La strada Grizzolina non è segnata nelle mappe topografiche della prima metà dell’Ottocento, ma assunse importanza prima
con la costruzione del ponte sul Po
e poi con l’accorpamento dei comuni di Brusaschetto, Camino e Castel
San Pietro: l’unica sede comunale,
infatti, si ritrovò a Camino e la strada più breve per giungervi da Brusaschetto e dalla Rocca era proprio la
Grizzolina.
Una bella strada la nostra Grizzolina, fredda sì, in inverno, perché
esposta interamente a settentrione,
ma refrigerante sotto il sole estivo,
nel mezzo di un fitto bosco, sinuosa
e senza grandi dislivelli: il paradiso
del viandante!
Verso Zizzano, quasi al termine
del bosco, sul crinale che guarda la
pianura proprio dove la strada piega
verso levante, c’è la cascina Maretto, una struttura non particolarmente vecchia, negli anni pesantemente
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
ristrutturata e riplasmata. Nel tempo,
come tutti sappiamo, presso l’originaria struttura della cascina sono
iniziati ad apparire in successione
edifici agricoli di ogni sorta, stalle,
capannoni, fienili ecc. Il loro effettivo utilizzo restava e resta per i più un
mistero.
Poi, un brutto giorno del dicembre
2008, quando in pochissimi giorni si
riversò su Camino una terribile quantità d’acqua, la strada della Grizzolina, che passava proprio sopra agli
annessi della cascina Maretto, venne
giù su di un lunghissimo fronte di
alcune centinaia di metri. E lì è rimasta, afflosciata sul versante collinare o schiantata sugli ampi tetti dei
sottostanti edifici, miserevolmente
sfiancata con il suo cordolo di calcestruzzo che sembra il nastrino di un
regalo. Già, il cordolo. Fra poco lo
incontreremo questo cordolo.
Intanto facciamo una premessa: il
breve racconto che segue ha un suo
carattere per così dire “panoramico” e preliminare, nel senso che c’è
ancora molto da cercare se si vuole
realmente sapere come si è svolta la
vicenda della strada Grizzolina. Si
parlerà solo attraverso i documenti, e si vorrebbe in definitiva semplicemente ricordare, al di là di responsabilità individuali che non ci
interessano, che spesso i guai sono
annunciati, anche quando nessuno
(o quasi) vuole prestare orecchio alle
avvisaglie. Di sicuro, ad oggi, c’è un
giudizio incontrovertibile: è stato un
gran pasticcio.
Lo è stato forse quasi dall’inizio,
perché quello che per ora sappiamo
è che lo sfacelo di oggi era stato annunciato più volte negli anni (anzi,
nei decenni), soprattutto dalle molteplici perizie geologiche eseguite su
quel tratto di versante. Nonostante
questo, nonostante soprattutto fosse
chiaro che l’erezione di quegli edifici
era vincolata a precisi provvedimenti
in ordine alla regimazione delle acque, alla difesa del suolo e alle opere
di contenimento dei versanti, quegli
edifici sono sorti sebbene quei vincoli non parrebbero venissero attesi,
quantomeno interamente.
Prendiamo un esempio: la geologa Germana Botto, nel luglio del
1992, incaricata dalla Cascina Maretto srl in vista di un ulteriore (il terzo)
ampliamento delle strutture in costruzione (un’occupazione di suolo
peraltro enorme per un comune come
Camino), redigeva una relazione tecnica poi depositata presso il Comune,
dove si legge: “Lo studio dei settori
di versante interessati direttamente
dalle opere in progetto ha evidenziato come questi abbiano spesso condizioni di stabilità prossime a quelle
critiche e come la presenza di acqua
di infiltrazione porti ad un pericoloso
aumento delle pressioni neutre lungo
le potenziali superfici di scivolamento, con conseguente diminuzione dei
fattori di sicurezza”. In altre parole,
come si legge in altri passi, il tecnico metteva in guardia sul fatto che,
stante la potenziale pericolosità di
quel settore (sul quale, ricordiamolo, passava e passa una strada comunale), l’esecuzione dell’ulteriore
costruzione di fabbricati dovesse
essere vincolata ad una particolare
cura che “deve essere riposta nella
regimazione delle acque meteoriche,
prevedendo sistemi di drenaggio che
ne impediscano l’accumulo in super-
cultura 5
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
ficie e l’infiltrazione e ne assicurino
un rapido e controllato smaltimento...”. Bene, una relazione di siffatto
tenore avrebbe probabilmente dato
da pensare ad una commissione edilizia; senonché la proprietà, come si
evince da un memoriale che il sindaco di allora inviò all’ufficio ambiente
della Provincia di Alessandria, prese
a incominciare i lavori senza nemmeno aver ricevuto la concessione. Fu
la Forestale (!!) a segnalare al comune l’avvio dei lavori. Dopo
ordinanze varie – prima l’interruzione dei
lavori, poi la richiesta
di messa in sicurezza
a causa di pericoli di
franamento dovuti a,
guarda caso, forti eventi di precipitazioni – la
concessione edilizia in
sanatoria fu alla fine
concessa nell’ottobre
del 1992 (nr. 51). Viene
da pensare ad una certa
leggerezza, tanto che
si può constatare come
i disegni di progetto
della sezione del pendio come previsti nella
concessione suddetta
non abbiano finito per
corrispondere a quelli
reali.
Nel 1994, poi, con
delibera
consiliare,
il comune di Camino
stesso vendeva alla
proprietà della cascina
Maretto quella striscia
di terreno “gerbido, di
nessuna utilità imme- Uno scorcio
diata per il Comune”
che correva proprio
lungo la strada Grizzolina e che costituiva la scarpata
sovrastante il cantiere edile della
Maretto. Insomma, proprio il pezzo
di terra che è franato. Si ponevano
così le basi per la costruzione del
famigerato cordolo in calcestruzzo,
delimitante a questo punto il confine
tra la strada comunale e la proprietà privata. E, soprattutto, si lasciava
nelle mani della Cascina Maretto srl
la gestione di quella “regimazione
delle acque meteoriche” dalla quale
dipendeva la sicurezza del versante
collinare e conseguentemente della
strada (oltreché naturalmente degli
edifici sottostanti).
Mancano molti tasselli ancora,
anche perché sulle vicende di oltre
vent’anni fa si è accumulato uno
sconfortante strato di polvere e, come
si suol dire, alla gente non interessa
granché. Eppure è da lì che bisogna
partire per capire l’oggi, e alla gente
(e ovviamente all’amministrazione),
mi pare, lo stato delle strade interessa
non poco.
Bene, dicevamo del cordolo. Tutti chiaramente oggi imputano a quel
cordolo di calcestruzzo che cingeva a valle la strada e che impediva
della strada Grizzolina oggi.
lo scolo regolare e superficiale delle
acque la responsabilità del disastro.
Eppure anche la costruzione del cordolo venne autorizzata dall’allora
amministrazione, con concessione
132 dell’agosto 1997. E le attività di
edificazione delle strutture di cascina
Maretto proseguirono fino al 2000.
A proposito dell’ormai famigerato cordolo, poggiante su gabbioni
di sassi di fiume posizionati in tempi antecedenti a difesa della strada,
così relazionava il geologo Andrea
Ferrarotti nel febbraio 2007, quando la strada dava segni di cedimento
in una zona ancora localizzata: “In
conclusione il cordolo delimitante
la sede stradale […] e la presenza di
acqua non adeguatamente regimata,
rappresenterebbero i fattori determinanti l’aggravarsi del grave stato di
dissesto che ha coinvolto il tratto di
sede stradale comunale Grizzolina in
esame”. E poi, molto profeticamente, proseguiva: “si rende necessario
un intervento di messa in sicurezza
e consolidamento del tratto di sede
stradale in dissesto, il quale dovrà
essere realizzato in tempi oltremodo
brevi, al fine di evitare un peggioramento delle condizioni
strutturali
dell’opera
viaria, se non addirittura l’evolversi in un vero
e proprio movimento
franoso definitivo […].
Risulterà inoltre destabilizzato l’intero tratto
di versante a valle e a
monte, con un aggravarsi della situazione
generale di rischio ed
un significativo aumento dei costi di messa in
sicurezza e consolidamento”. Purtroppo non
si è evidentemente fatto
a tempo a provvedere.
Nel giugno 2006, infatti, la Regione stanziava la somma di 27.000
euro che risultavano,
ad un preliminare di
spesa redatto nell’ottobre 2007, insufficienti. L’amministrazione
allora, nel febbraio
2008, richiedeva alla
proprietà della Maretto
una cifra che consentisse l’inizio dei lavori,
a titolo di risarcimento dei danni provocati dal loro intervento.
Ma niente di rimando
giunse al protocollo del
comune. Dopo alcuni ultimi tentativi fatti dal comune di ottenere, dopo
il crollo della strada, un riscontro in
fatto di accertamento di responsabilità nei confronti di cascina Maretto,
giungiamo mestamente all’oggi, in
cui tutto tace, tranne lo scroscio della acque che ruscellano sul vecchio
manto d’asfalto e i borbottii di più di
un caminese che pensa alla sua perduta Grisulina.
continua (forse)
Ringrazio il sindaco Rondano e
il tecnico comunale geom. Meneghin
per la gentile collaborazione
Carlo Rosso
6 attualità
Brusaschetto Nuovo,
i lavori rallentano,
gli animali no
Ancora, forse, qualche anno
prima del termine dei lavori di estrazione. Intanto gli
stagni di popolano di natura e di opportunità
D
opo averlo chiesto da lungo tempo, a metà marzo
i Brusaschettesi sono riusciti ad ottenere un incontro con il
sindaco Giorgio Rondano e con i rappresentanti del Parco del Po. Lo scopo era quello di avere aggiornamenti
sull’andamento dei lavori della cava di
Brusaschetto Nuovo, giunta al quinto
anno di attività. Era assente, purtroppo, il rappresentante della ditta di scavo, che è parte integrante del progetto.
Mostrando immagini aeree, spiegando
la situazione e rispondendo alle tante
domande, il direttore del Parco Dario
Zocco, affiancato dal presidente Ettore Broveglio, ha illustrato lo stato dei
fatti: stagnazione del mercato edilizio
e scarsa presenza di materiale buono
da estrarre stanno rallentando le attività, che, probabilmente, si protrarranno
ancora per alcuni anni (il totale delle
due concessioni di estrazione prevede
un volume di oltre un milione di metri
cubi). Da legislazione regionale, infatti, la ditta può chiedere una proroga
all’attuale concessione (in scadenza
quest’anno) di altri cinque anni. Nel
mentre però il primo lotto di terreno,
verso est, vede già gli stagni comple-
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
tati, la vegetazione in sviluppo e la
fauna che, con il consueto e sorprendente dinamismo della natura, si sta
appropriando di un ambiente prezioso
e raro ormai a trovarsi. La stessa zona
allagata a monte della strada, frutto del
deflusso delle acque che scendono dal
versante collinare e non “prevista” nel
progetto, si sta rivelando uno scrigno
di biodiversità, dove sono già comparse specie piuttosto rare di rane e
farfalle, oltre a significative varietà di
libellule.
Un aspetto merita di essere sottolineato: come hanno spiegato i relatori,
oggi di norma è diventato il livello locale (amministrazioni comunali, cittadini, associazioni ecc.) a richiedere ai
vertici regionali l’istituzione di nuove
riserve. Ciò significa che, terminato
il progetto di rinaturalizzazione degli
stagni, dovrà essere la volontà dei Caminesi a chiedere che venga istituita
un’area protetta a Brusaschetto Nuovo
per impedire che la zona, all’apertura
della caccia, si trasformi nell’usuale
poligono di tiro. Non è inutile ricordare che (vedi Picchio nr. 11, pagg. 2-3)
la Regione, all’atto della costituzione
del Parco negli anni Novanta, scese a
patti con le potenti associazioni venatorie, tanto che oggi, paradossalmente,
nella gran parte del territorio del parco
la caccia è consentita.
Note dolenti, la situazione del manufatto stradale e del drenaggio delle
acque verso ovest: la ditta di scavi, che
da contratto è tenuta a portare a termine tutte le opere progettuali, inclusa la
sistemazione definitiva della strada,
non ha ancora provveduto alle opere
necessarie (che poi sarebbero quelle di
fare un drenaggio decente delle acque
e del fango che scendono dalla collina
e rischiano a ogni temporale di som-
Germani reali e alzavole negli stagni di Brusaschetto (c.r.)
mergere un tratto di strada). Le garanzie, come hanno spiegato sindaco ed
esponenti del parco, ci sono e i solleciti
anche. In ogni caso è certo che questo
resta uno degli aspetti meno convincenti dell’insieme, essendo la strada
stata progettata e realizzata con indubbia approssimazione.
Due indicazioni interessanti provenienti da Zocco: la spendibilità futura dell’area in funzione di turismo
naturalistico e la questione, sollevata
ai tempi da abitanti inorriditi, delle
zanzare. Il direttore del parco fa presente infatti che la fauna tipica e rara
che popola il bacino del Po richiama
soprattutto dal centro Europa, dove la
sensibilità verso la natura è ben diversa
rispetto alle nostre lande, torme di appassionati, che all’osservazione degli
animali associano degustazioni enogastronomiche e soggiorni culturali nei
nostri territori. Un’occasione da non
sprecare.
Sulle zanzare poi sottolinea come
la loro imponente diffusione sia legata
non alle aree umide con costante presenza di acqua (come Brusaschetto),
dove quindi prosperano anche i loro
nemici naturali, quanto piuttosto in
quelle aree, come le risaie, dove i regimi di asciutta periodici eliminano i
predatori di zanzare ma non le uova e
le larve delle stesse, che in pochi giorni, prima che l’acqua sia tolta, hanno
già completato il loro sviluppo.
Noi intanto, dalla traballante nuova strada, ci godiamo lo spettacolo di
germani reali, alzavole, aironi, folaghe, svassi e molti altri nuovi abitanti
di Brusaschetto Nuovo, che di legislazioni regionali, contratti di appalto e
mercato edilizio, beatamente, nulla ne
sanno.
C.R.
attualità 7
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
Discariche abusive
in casa nostra
Da un esempio locale alla
normativa nazionale
U
ltimamente ho seguito i raccapriccianti reportage sulla
cosiddetta “Terra dei fuochi”, un’area della regione Campania
che interessa (per ora stando alle indagini degli inquirenti e dalle testimonianze dei pentiti di camorra) “solo” le
province di Napoli e Caserta.
Partendo dai primi anni ’90 fino ad
arrivare ai giorni nostri, hanno visto la
luce un numero impressionante di discariche abusive attraverso le quali si
è operato con un costante e perverso
sversamento illegale di rifiuti tossici
sui e sotto i terreni e quant’altro, tutto gestito dalla criminalità organizzata
con la collusione di personaggi politici,
guardie di finanza e altri.
Obiettivo del mio articolo però non
è raccontare le vicende di quella parte
d’Italia (c’è chi riesce molto meglio di
me), ma informare i lettori di come anche dalle nostre parti si possa trovare e
senza la benché minima segnalazione,
una discarica abusiva.
Una persona di mia conoscenza
(che rimarrà anonima) spesso crea piccole opere artistiche personali con oggetti di recupero. In una di queste notai
una serie di oggettini elettronici presenti nei cellulari e glieli feci notare. Il
mio stupore fu quando mi disse in che
maniera se li era procurati. Mi indicò
il luogo da dove provenissero dicendo:
“Vai, vai tu stesso a vedere dove li
ho presi, rimarrai a bocca aperta!”
Incuriosito, mi recai pochi giorni
dopo percorrendo la strada che da Trino porta verso Palazzolo e Livorno e
giunto in prossimità del luogo indicatomi, appena prima del cavalcavia, mi
immetto con l’auto in questa stradina a
lato della statua della madonna, a de-
stra.
Posteggio l’auto all’imbocco e comincio a percorre a piedi il tratto. Con
stupore misto a rammarico, inizio a
costeggiare i margini della stradina di
campagna, letteralmente “lastricata” di
pattume, una lettiera di rifiuti delle più
svariate tipologie: frigoriferi sventrati,
cestelli di lavatrici, mobili da bar, latte di vernice, cassette e bottigliette di
plastica, macerie edili, legname marcescente pneumatici di varie fattezze
e quant’altro. L’elenco potrebbe continuare. Desolanti e raccapriccianti cumuli di rifiuti che con il tempo si sono
accumulati formando un tratto di strada
di campagna che funge da vero e proprio deposito incontrollato da chissà
quanto tempo.
Mi reco di persona all’ufficio di
competenza e vengo a scoprire che
questa strada è già stata oggetto di pulizia da parte del comune trinese. Osservando poi la cartina topografica, capisco che la stradina non è poi così ben
definita, almeno nei disegni. Sono stato
poi messo al corrente che il comune di
Palazzolo ha sollecitato la Provincia
sulla questione. La domanda che mi
sorge spontanea allora è: a chi competerebbe la pulizia dell’area?
Oggetto di questo articolo però non
è un’eventuale disputa o meglio competenza dei comuni, ma capire, in linea
approssimativa, che cosa è innanzitutto
una discarica abusiva e quali ne sono
gli effetti.
Ma che cosa è una discarica abusiva?
Di primo acchito possiamo considerarla una delle forme più veloci di
smaltimento dei rifiuti. Ma da un punto di vista normativo, la sentenza della Terza Sezione della Cassazione del
tribunale penale n° 424436 del 30 novembre 2010 ha stabilito che non basta
abbandonare qualcosa per poter parlare
di discarica abusiva. Infatti occorre che
l’abbandono avvenga in modo sistematico e ripetuto nel tempo. Quando
si scaricano rifiuti nell’ambiente sen-
za le dovute competenze e soprattutto
autorizzazioni, si prende coscienza di
attività illecite, quindi si passa dal semplice abbandono, al deposito incontrollato, allo stoccaggio di rifiuti, discarica
abusiva compresa.
Infatti il D.P.R. 915/82 all’articolo
9 recita così:
“è vietato l’abbandono, lo scarico
o il deposito incontrollato dei rifiuti in
aree pubbliche o private, soggette ad
uso pubblico. In casi di inadempienza
il sindaco, allorché sussistano motivi
sanitari, igienico o ambientali, dispone
con ordinanza, previa fissazione di un
termine per provvedere, lo sgombero di
dette aree in danno dei soggetti obbligati”.
Curiosa e quanto mai ambigua è la
legge 549/95 che, all’art. 3 comma 32,
stabilisce come il proprietario del terreno sul quale è stata accertata l’esistenza
di una discarica abusiva, si debba accollare la bonifica del terreno, il risarcimento del danno ambientale, nonché
sia passibile di pagamento di un tributo
e di sanzioni pecuniarie, ove non dimostri di avere presentato denuncia di
discarica abusiva ai competenti organi
della Regione, prima della contestazione della violazione di legge. Questo
vuol dire che alla persona che possiede
il fondo e sul quale vi è una discarica
abusiva, pur non avendo commesso
l’illecito direttamente, ma non avendo
neanche fatto segnalazione, viene dato
concorso di reato. Dunque si va nel penale.
Quali sono le competenze fondamentali degli enti locali? Per quel che
riguarda le bonifiche, saranno del comune, che approva il progetto e della
provincia, che collauda gli interventi.
La regione entra in gioco se all’interno
della bonifica sono compresi più comuni. Inoltre, va aggiunto che le cose non
devono essere prese tanto alla leggera,
perché la Corte di Giustizia Europea,
nell’aprile 2007 (neanche poi tanti anni
fa!) ha sanzionato l’Italia proprio per
aver lasciato correre il problema delle
8 attualità
discariche abusive e si parla di migliaia
di siti illegali e incontrollati sparsi su
tutto il territorio nazionale.
Ma quanti potranno mai essere le
discariche abusive nel Bel Paese? Secondo un rapporto proprio della Commissione Europea, le discariche abusive in Italia sono quasi 1800 (1763
a essere precisi). Di queste, 700 sono
considerate pericolose e risultiamo tra
uno dei Paesi della Comunità che ne ha
il maggior numero. In più (e ciò lascia
l’amaro in bocca), il 12% delle discariche sono in aree protette e il 28% in
aree forestali. Va considerato che reperire informazioni su quante discariche
un Paese ha non è cosa facile.
Ma quali effetti avrebbero sull’ambiente circostante le discariche abusi-
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
ve?
Le sostanze che si riversano nei
terreni possono rimanere in loco per
decenni. I composti reagendo attraverso processi come la decomposizione possono produrre sostanze gassose
maleodoranti e vari tipi di liquami (il
cosiddetto percolato-cifrare dizionario
scientifico del Picchio) e risultare potenzialmente contaminanti, non solo
per i terreni, ma soprattutto per le falde
acquifere. La velocità di penetrazione
del percolato dipenderà dal tipo di terreno, cioè dalla sua geologia e idrogeologia, per cui nei depositi alluvionali le
sostanze potranno raggiungere le falde
con una certa facilità.
Di non facile operazione invece
risultano le operazioni di bonifica. Ci
CHE COS’è IL PERCOLATO
possono essere sostanze che possono non essere potenzialmente pericolose, ma che con opportune reazioni
fisico-chimiche possono diventarlo.
Un esempio sono i cosiddetti nitrati. Di per sé non sono dannosi, ma la
conversione dei nitrati può sviluppare
composti potenzialmente cancerogeni
detti nitriti. Queste e altre sostanze, penetrando attraverso il suolo e da questo
nelle falde acquifere, possono raggiungere le popolazioni bevendo acqua potenzialmente contaminata e nutrendosi
di prodotti derivanti dai terreni a loro
volta inquinati, proprio come i casi
nelle province di Napoli e Caserta già
citate in precedenza.
Alessandro Varvelli
piccolo dizionario scientifico del Picchio
Il cosiddetto percolato rappresenta un grosso problema per tutte quella discariche che non sono state costruite con i dovuti criteri, soprattutto quelle illegali. Si ha a che fare con tutta una serie di sostanze fluide
contaminanti che si possono formare dai processi di decomposizione dei rifiuti in discarica, solidi e non.
Con il trascorrere del tempo, attraverso la filtrazione e la lisciviazione con l’effetto della gravità, questi composti (che mescolandosi fra loro ne formeranno altri) tenderanno ad andare verso il fondo, raggiungendo concentrazioni pericolose e diffondendosi nelle falde acquifere con conseguenze anche sull’ambiente circostante.
Quindi, da solo, il percolato va considerato come la fonte di inquinamento che, a lungo andare, può portare
all’impatto ambientale maggiore, come ad esempio accumuli di ammoniaca, idrocarburi o metalli pesanti.
Le norme prevedono che il percolato debba essere captato e convogliato in un sito appositamente costruito
in discarica, cioè apposite tubazioni poste appena sotto uno strato impermeabile.
La quantità di percolato in una discarica può dipendere da diversi fattori. Se il deposito di rifiuti si trova in
una zona piuttosto piovosa, la quantità di acqua che si infiltrerà sarà maggiore e così pure il percolato. Una
temperatura minore riduce i processi di decomposizione così da influire le quantità di percolato, così anche la
quantità di rifiuto solido conferito in discarica.
A. V.
Editoriale
continua da pag. 1
mai ce ne fosse bisogno, che senza
coordinamento tra amministrazioni, enti, mondo delle associazioni,
aggregazioni sociali e imprese private non si va da nessuna parte. In
un’area dove quattro o cinque comuni non arrivano a tremila abitanti su territori microscopici, è chiaro
che bisogna assolutamente fare
rete, collaborare, condividere progettualità sul medio-lungo termine.
Infatti con la cultura e la capacità
di leggere le esigenze del presente, diventa chiaro che il futuro della
progettualità si basa sulla sostenibilità, cioè sulla capacità di far sì
che tutto quello che si crea possa
proseguire la sua attività nel tempo, diventi appunto sostenibile negli anni a venire e si accresca offrendo nuove ulteriori opportunità.
Se questo requisito fondamentale
non è soddisfatto, tanto vale rinunciare al progetto: lo sottolinea
sempre di più l’Europa e a questo
vincola ormai i suoi finanziamenti.
Finanziamenti che coprono non a
caso anche un ambito specifico,
piuttosto sconosciuto dalle nostre
parti: quello della comunicazione.
Comunicare, in questo caso, significa far partecipi i cittadini delle
scelte delle amministrazioni: per
questo bisogna educare le persone
alla cultura del confronto, del dialogo, della partecipazione condivisa.
I risultati: le amministrazioni impareranno il concetto di accountability, cioè del “rendere conto” del
proprio operato, i cittadini usciranno dalla logica che ciò che ha valore e merita il loro impegno si fermi
al cancello della propria casa.
Infatti cosa c’è là fuori? Ci sarebbe
un paesaggio che conserva, oggi
piuttosto casualmente, frammenti
di grande bellezza e impatto, elementi che ci vengono riconosciuti ormai da un turismo estero che
si consolida. Quale è viceversa la
nostra offerta attuale e reale? Nul-
la. Immondizia ovunque, scempi
architettonici (o più semplicemente porcherie belle e buone) che
proseguono a mietere vittime (il
comune di Camino non è per nulla esente...), una campagna non
fruibile (sentieri gestiti, segnaletica, attrezzature restano per lo più
concetti sconosciuti). Una cultura
dell’ambiente come risorsa sa che
dalla cura non deriva solo vuota
estetica, ma anche interesse, rispetto e valore economico.
Molte persone, molti enti lavorano
da anni basando le proprie scelte
su linee guida simili a queste. Molti,
anche, si sono però stufati, perché
si sono sentiti isolati, non supportati, e tra questi anche diversi amministratori.
Le elezioni di maggio sono un’opportunità che non è veramente più
il caso di lasciarsi sfuggire.
Carlo Rosso
cultura 9
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
Tra sacro e
profano: il
pellegrinaggio a
Crea dei Caminesi
Come avveniva la processione votiva alla Madonna di Crea, tra inni sacri
e grandi mangiate
di Cesarino Lusona
A
Camino è sempre stato
molto importante e sentito il pellegrinaggio della
prima domenica di maggio a Crea.
Sono 15 chilometri, meno se si prendono le scorciatoie. Si narra che parecchi anni orsono, nel nostro paese
morissero molti capi famiglia in età
giovanile. Per evitare e scongiurare
questo evento funesto venne fatto un
voto per un pellegrinaggio annuale
a Crea a chiedere la grazia alla madonna.
Una processione preceduta da
due ragazze vestite in abito da sposa, seguite da tutta la popolazione
e allietata dalla banda partiva nelle ore antelucane (alle 4 o alle 5) e
passando per Fabiano e Madonnina
raggiungeva il colle di Crea per le
preghiere e le devozioni. Il servizio
d’ordine era mantenuto dai Confratelli di S. Gottardo. Questi, in abito
bianco con croce sul petto, un pastorale (bastone) abbastanza lungo con
sopra un medaglione con l’effige
del santo, dirigevano, accompagnavano e aiutavano i pellegrini; erano
il braccio secolare dell’autorità religiosa, cioè del pievano (il parroco).
Sono passati oltre 350 anni dal
primo pellegrinaggio. Finiti i riti religiosi, dopo una frugale colazione
con una focaccia cotta per l’occasione (ksenta), sempre in processione si
scendeva da Forneglio e Serralunga
che si attraversava salutati dal suono a festa delle campane procedendo verso la valle Stura sottostante.
Giunti al fondovalle si attraversava
il torrente Stura su di un ponticello
agreste di fronte ad un piccolo mulino ad acqua detto “il Mulinetto”.
Sui prati circostanti ci si accampava
per un robusto pranzo. La banda allietava i pellegrini lasciando gli inni
sacri in favore di valzer e mazurche.
Al tardo pomeriggio, ben riposati,
ben pasciuti e ben bevuti si riprendeva la strada per Camino, sempre in
processione, fino alla chiesa di San
Lorenzo dove, con una benedizione
si concludeva l’evento religioso.
Verso il 1798 un gruppo di fanatici seguaci della rivoluzione francese, profondamente anticlericali,
incendiarono il monastero di Monte
Sion, sopra Isolengo, e gli archivi
parrocchiali, con grave danno per
tutti. Gli stessi facinorosi in gruppo
andarono a insultare i caminesi scesi da Crea e accampati a banchettare
di fronte al Mulinetto. Alle parole
seguirono i fatti: dopo gli insulti i
confratelli diedero mano ai pastorali
menando botte da orbi e anche prendendone.
Dopo questo pericoloso pestaggio, onde evitare guai ulteriori, i
signori Moscheni, proprietari del
Gambarello, offrirono i loro cortili riparati a ospitare il raduno dopo
Crea. Qui i Caminesi ottennero ospitalità, riparo e tranquillità.
I signori Moscheni erano molto
accoglienti e fino al 2010, quando
si perse l’abitudine del pranzo al
sacco, ci accolsero con cortesia e signorilità. In seguito si è preferito da
Crea partire in pullman e vetture per
tornare a Camino dopo le funzioni.
Il Mulinetto e il Gambarello
sono rimasti un ricordo per pochi.
Sono stato uno degli ultimi che ha
frequentato il Gambarello dopo il
pellegrinaggio e sono contento di
avervi portato i miei nipotini, che ne
avranno un ricordo diretto.
Sulla strada del ritorno, per alcuni già bevuti era tradizione fermarsi
a Fabiano all’osteria delle 3 Mosche. Qui il gruppo di alticci diceva
la messa in dialetto con doppi sensi
e grasse risate. Il pievano, venuto a
conoscenza della scena, denunciò ai
carabinieri i falsi celebranti, ma poi,
per il quieto vivere, ritirò la denuncia.
Ricordo alcune di queste frasi
che si basavano sull’assonanza delle
preghiere in latino che ascoltavano
senza capirne il significato. La benedizione “in nomine Patris et Filii
et Spiritus Sancti” dal latino diventava “in nome del padre, lasagne
quadre, capun rustì, pia la pansa e
va drumì”.
Il “Dominus vobiscum et cum
spiritu tuo” diventava “domino subiscu, l’è scapa e l’o pì nen vistlu,
l’è rivà stamatin an pantufli e camisin”.
Le rogazioni “lumen Christi lumen Christi, deo gratia deo gratia”
diventavano “suchi fricci (zucche
fritte) suchi fricci, ancura ad grasia
ancura ad grasia”.
Il “tantum ergo sacramentum
veneremur cernui et anticuum documentum novo cedat ritui” diventava
“tanti merlu che as lamentu che i
san nen andua fa al nì, tut al dì chi
sacramentu, porcu giuda uarda lì”.
Se qualcun altro conosce altre
giaculatorie in dialetto e desidera
fornircele, ci fa cosa gradita.
10 cultura
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
dalla biblioteca
a cura di Francesca Balestreri
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GAiAS: un successo
della soldarietà
Storia e bilancio dell’associazione di assistenza caminese
In questo numero la pagina della
biblioteca è lieta di ospitare la storia
di GAiAS e un bilancio dei risultati
raggiunti nel 2013, con il contributo
di tutti.
L
a storia di GAiAS è la dimostrazione che quando
ci sono passione, tencacia e generosità i buoni progetti
si possono realizzare. E quello
di GAiAS non era un progetto da
poco.
Cinque anni fa, nel 2009, Antonella Camurati e Halyna “Gaia”
Romanyuk si lanciarono con
passione nell’impresa di creare
un’associazione di volontariato
al servizio della comunità. L’obiettivo principale era quello di
offrire aiuto alle persone anziane,
ammalate o impossibilitate a guidare, accompagnandole alle visite
mediche o a fare commissioni.
Inoltre si voleva promuovere il
rapporto tra giovani e anziani e
l’incontro tra gli abitanti del nostro comune, italiani e non. Da qui
il nome GAiAS: giovani, anziani
insieme agli stranieri.
tempi di GAiAS. Quante frittate, tartine, antipasti, risotti, crepes… Per raccogliere fondi, naturalmente, ma anche
per far crescere il progetto tra la gente
attraverso momenti di condivisione e
convivialità. Come le merende settembrine all’insegna dell’invito “Conosciamoci!”, per esempio, dove alle
specialità monferrine si sono affiancate quelle ucraine, albanesi, rumene,
serbe. O le cene di fine anno e per la
festa della donna, tutte splendidamente riuscite grazie agli amici ristoratori,
che assieme alla Proloco Caminsport
sono sempre stati disponibilissimi a
dare una mano a GAiAS.
generosità (e alla golosità) della gente non ne è mai avanzata una. Torte,
biscotti e dolcetti anche per Golosaria,
per Riso & Rose, per Medioevalia, per
la festa di Piazzano, per quella di Rocca delle Donne, per il Mercatino delle
pulci di Pontestura…
Ma non di sole torte è cresciuto il
piccolo patrimonio che ha permesso a
GAiAS di raggiungere in due anni l’obiettivo che le stava più a cuore: l’acquisto di un’automobile tutta sua per
non dover più utlizzare quelle dei volontari. Molte abili sostenitrici di GAiAS hanno messo a disposizione lavori
La neonata associazione incontrò subito l’adesione di un gruppo La nuova vettura di GAiAS con il suo "equipaggio".
di soci e sostenitori che si miseOgni anno a Pasqua le supercuo- di cucito e bricolage. Un contributo
ro con grande impegno a… cucinare!
Quante merende, quante cene, quante che amiche di GAiAS hanno preparato importante è stato dato dai proventi
torte e biscotti hanno segnato i primi vassoi e vassoi di torte, e grazie alla dei corsi per l’uso del computer, orga-
cultura 11
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
nizzati a più livelli e senza alcun compenso da un vero mago del pc. Tante e
ripetute, inoltre, le offerte spontanee e
tutte ugualmente preziose, da quelle da
1 euro a quelle da 500 euro. Ma certo
l’auto di GAiAS non serebbe arrivata a
Camino così presto senza il sostanzioso contributo del Comune - lo sponsor
più grande - e quello delle fondazioni
CRA e CRT, oltre che del Vespa Club
“Camino è Vespa”.
Così, a fine 2011, GAiAS ha potuto
presentare con orgoglio la Dacia Logan 7 posti bianca, con l’inconfondibile logo arcobaleno sulla fiancata, che
oggi vediamo passare dalle nostre strade mentre trasporta qualcuno a Trino,
Casale, Alesandria, Vercelli, Torino,
con una volontaria o un volontario al
volante.
Naturalmente con l’auto sono arrivate anche l’assicurazione e la tassa di
circolazione, i costi per la manutenzione e quelli per il carburante, ma grazie
alla costante generosità dei suoi sostenitori oggi GAiAS può guardare con
una certa serenità al prossimo futuro.
State tranquilli: questo non vuol dire
che smetterà di sfornare ottime torte…
Quello che segue è un resoconto
dell’attività di GAiAS nel 2013:
Iniziative per l’autofinanziamento:
una trentina di torte Deco per Golosaria,
una trentina di torte Deco per Pasqua,
una ventina di torte per Riso & Rose,
sei torte per VenTo.
Cena per la Festa della donna
Corso di computer di primo e secondo
livello
Trasporti effettuati da inizio anno al
17/12/2013:
Totale persone assistite: 18
Totale trasporti: 58,
di cui: 4 a Torino, 9 a Vercelli, 34 a
Casale, 8 a Trino, 1 a Mombello, 1 da
Rocca delle Donne a Camino.
Inoltre sono stati forniti piccoli aiuti domestici e lavori di falegnameria,
grazie all’opera volontaria di un abile
maestro del legno.
L’ebulliometro
di Roberto Carelli
Un giorno, quando ero bambino, la mia mamma mi mandò in cantina
a prendere un barattolo di deliziose pesche sciroppate fatte in casa.
Mentre ero intento a cercare sui polverosi scaffali mi imbattei in una
misteriosa scatola di legno: la mia curiosità mi obbligò ad aprirla e come
un pirata quando apre un forziere trovato su una spiaggia di un ‘isola
sperduta, mi trovai di fronte ad un prezioso tesoro. Difficile capire esattamente cosa fosse, sembrava una piccola tromba o un calice d’oro, ma
era sicuramente molto prezioso vista la lucentezza del suo metallo e la
precisione millimetrica con cui era riposto nella scatola, chiaramente
per evitare che i vari pezzi all’interno si toccassero a rischio di rovinarsi.
Posata la scatola su un piano sicuro,iniziai a tirare fuori gli strani oggetti,
vi era una sorta di calice, un termometro, una specie di trombetta, un
fornellino e dei fogli scritti a mano. Con molta attenzione rimisi i pezzi
nella scatola e, certo che avrei trovato risposta, corsi dal mio adorato
nonno a chiedere cosa fosse e a cosa servisse lo strano oggetto.
Lui, sotto i miei increduli occhi, lo montò, avvitando i pezzi l’uno sull’altro
e mi svelò l’arcano mistero.
Si trattava di un ebulliometro di Malligand, uno strumento che permetteva di misurare approssimativamente il grado alcolico del vino.
Era composto da una piccola caldaia, una lampada ad alcol, un contenitore per il refrigerante (acqua) ed un termometro.
Il suo funzionamento consiste dapprima nel tarare lo strumento: con
la lampada ad alcol si riscalda la caldaia riempita con l’acqua; quando
questa bolle e la temperatura indicata dal termometro è stabile, si fa
coincidere lo zero della scala scorrevole con il punto che ha raggiunto il mercurio durante l’ebollizione dell’acqua. Dopo di che, spenta la
lampada, si lascia raffreddare e si sostituisce l’acqua con il vino per la
misurazione alcometrica, avendo però l’accortezza di mettere dell’acqua
fredda nel contenitore soprastante. Si riscalda nuovamente e il mercurio
tornerà a salire. Quando si fermerà, in corrispondenza del punto massimo, sulla scala alcometrica si potrà leggere il grado alcolico.
Questa è la storia di un prezioso oggetto usato ancora oggi nelle nostre
piccole grandi cantine, dalle sapienti mani di uomini amanti della loro
terra.
In questa pagina non abbiamo volutamente fatto nomi, per non rischiare
di dimenticare qualcuno dei tantissimi
sostenitori di GAiAS. Non possiamo
però tacere quelli di Laura Serrafero,
Sandro Doria, Sergio Lavarini e Gianpaolo Drochi, i volontari che hanno
risposto sì ogni volta che c’era da effettuare un trasporto. A loro, e a tutti
gli amici che ci aiutano con il lavoro
volontario, le offerte e la partecipazione alle nostre iniziative, un grazie di
cuore.
Francesca Balestreri, Antonella
Camurati, Halyna Romanyuk
Per saperne di più su GAiAS.: www.
gaias.eu
Per chiedere i servizi di GAiAS, proporsi come volontari, contribuire
con offerte:
Antonella Camurati
0142469131 interno 3
Halyna “Gaia” Romanyuk
3488624526
12 cultura
Uomini, cose e
animali… nelle
frasi dialettali (3a
puntata)
testo e disegni di Marcella Biginelli
Q
uesta volta parliamo di
cose, cose di poco conto,
attrezzi da lavoro, oggetti vari del mondo contadino memoria d’una cultura e di una
civiltà che non va dimenticata. Elementi comuni e diffusi nell’ambiente
rurale usati nella comparazione delle
frasi con c’me.
Curiosità. Nell’elenco che segue,
compaiono frasi espresse in tono ironico che affermano il contrario di ciò
che vogliono fare intendere (es. si usa
dricc per dire molto ricurvo e pulid per
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
dire sporchissimo); inoltre si può notare che l’ aggettivo gnurant (in italiano:
che ignora, che non sa, che sottovaluta,
maleducato) indica qualità differenti
che solo il termine di paragone rende
comprensibili per la traduzione in italiano.
Dricc c’me ’n rampin
(Diritto come un rampino o gancio
o uncino)
Dricc c’me ’n füss
(Diritto come un fuso per filare la
lana)
Goff c’me ’n ula
(Goffo come una olla/pignatta/paiolo)
Gnurant c’me ’n arbi
(Difficile da gestire come una bigoncia)
Gnurant c’me na sapa
(Semplicione come una zappa)
Andrè-Gnurant c’me ’n sëbri
(Incapace di pensare come il mastello da bucato)
Gnurant c’me na sëpa
(Impassibile come un ceppo, una
Veuj c’me ’n cuà
Molti sono i paragoni per indicare qualcosa di vuoto: la zucca (suca), la canna
(cana) di solito indicano una persona
priva di idee, superficiale, in questo caso
si usa per dire che si è a stomaco vuoto.
Cuà è il nome che si dà al contenitore della cote, porta cote (cuv), cioè la
pietra che serve per affilare la ranza, il
ranzot, l’amsura...Tali pietre di arenaria
a grana fine sono lavorate a Pradalunga
(BG). Fatto di corno di bue, di metallo
o di legno scavato, il cuà si appende
alla cintura per averlo sempre a portata
di mano. La cote di pietra ha forma
affusolata e si passa ripetutamente sui
due lati del filo della lama, l’affilatura
si controlla con il polpastrello del pollice
inumidito di saliva.
Al bugia nen c’me ’n termu
/ La sta frëm c’me ’n termu
Si riferisce a persona poco dinamica o a chi esercita un forte autocontrollo. Si paragona al termu
, termine cioè alla lunga pietra
conficcata nel terreno che indica il
confine fra una proprietà e l’altra, inamovibile per legge. Un vero
tabù , cioè un divieto sacro, infatti Tèrmine era un dio romano che
proteggeva la proprietà e vendicava le usurpazioni. A Roma aveva
un tempio, sulla rupe Tarpea ed
era rappresentato con un blocco di
pietra quadrata a cui si offrivano
frutta, latte e vino.
ceppaia)
Granda c’me na pertia
(Alta e sottile come una lunga pertica)
Gruser c’me la stubbia
(Grossolano come la stoppia del
grano)
Larg c’me ’n val
(Largo come il vaglio di vimini, a
due manici)
L’è ndrumì c’me ’n süc
(Addormentato, insensibile come
un ciocco)
La gira c’me ’n vindou
(Si muove velocemente come l’arcolaio/guindolo)
Al bugia nen c’me ’n termu
(Sta fermo, immobile come un termine)
Pulid c’me ’l pnass dal fur
(Pulito come lo spazzaforno)
Veuj c’me ’n cuà
(Vuoto, perché non ha mangiato,
come il portacote)
Reid c’me ’n palanchin (’n pal)
(Rigido, con difficoltà a piegarsi
come un palanchino o un palo)
Pulid c’me ’l pnass dal fur
II grandi forni a legna erano diffusi nei
nostri paesi, generalmente erano privati
(dal panatè) e il servizio si pagava in
farina o in pane. A Cornale c’era l’unico
forno pubblico di Camino. Questo vecchio
forno è stato restaurato nel 1981e una
targa cita: la pupulasiun l’a butà an urdu
al so fur. Il pane si cuoceva una volta la
settimana. Le forme di pane casereccio
(grissie) si impastavano e si facevano
lievitare a casa nella madia (l’arca) e poi
si trasportavano al forno sul val di vimini
a due manici. Finita la cottura si toglieva
la brace, e si lavava il piano del forno
con il pnass (fruciandolo/spazzaforno – il
precursore del mocio) inzuppato nell’acqua del bulët. Il pnass quindi consisteva
in uno straccio o un sacco logoro legato
ad una pertica. A fine manovra il pnass
era nero, sudicio perché sporco (tencc)
di cenere e carbone.
cultura 13
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
Panificare in
casa con metodi
tradizionali
Il lievito madre, come farlo,
come utilizzarlo
di Mara Begnini
S
iamo sempre piú impegnati e
c’è sempre meno tempo a disposizione, eppure tra gli hobby piú gettonati troviamo la produzione
di pane fatto in casa e sempre piú spesso, un po’ per le intolleranze ai lieviti e
un po’ per il piacere del ritorno alle origini, sta tornando di moda l’utilizzo del
lievito madre o pasta acida. Ai tempi
delle nostre nonne si faceva il pane, si metteva da
parte un po’ d’impasto a
fermentare e si utilizzava
per la successiva produzione.
Da ormai quasi un
anno produco il pane con
il lievito madre in coltura
liquida (anche chiamato
LICOLI). Anni fa avevo
tentato con la pasta acida, che ha la stessa consistenza della pasta da
pane, composta quindi
da due parti di farina e
una di acqua, ma la sua
manutenzione era piuttosto impegnativa, cosí
dopo qualche esperimento ho rinunciato, ma con
il lievito liquido è tutto molto piú semplice, si conserva piú a lungo senza rinfreschi e, con le dosi che vi indicheró,
non ci sono sprechi di lievito nella normale preparazione del pane
Perché il lievito madre?
Innanzitutto il pane creato con questo tipo di lievito puó essere consumato
anche da chi ha problemi di intolleranze
al lievito di birra, è piú digeribile, inoltre rimane morbido per alcuni giorni
dopo la produzione. L’aspetto “negativo” potrebbe essere rappresentato dai
tempi di lievitazione differenti rispetto
al lievito di birra. Personalmente trovo
che basti “prendere il giro” e questo
aspetto diventa marginale.
Come produrre il lievito?
Il mio LICOLI ha 26 anni, piú è
vecchio è, meglio è, ci sono lieviti che
hanno oltre 100 anni, questo non significa che non si possa ottenere un ottimo
pane da un lievito neonato. Ecco come
realizzarlo.
Unite in un barattolo di vetro 50 g.
di farina, 50 g. di acqua e mezzo cucchiaino di miele vergine, o yogurt, o
mela grattugiata. Coprite con una calza di nylon e chiudete con un elastico
o appoggiatevi sopra il coperchio senza
avvitarlo in modo che possa respirare e
raccogliere i lieviti naturalmente presenti nell’aria. Lasciate riposare in ambiente caldo (20-22º) per 24 ore. Trascorso questo tempo prendete il vostro
impasto, aggiungetevi 100 g. di acqua,
mezzo cucchiaino di zucchero di canna integrale e mescolate bene, unite poi
100 g. di farina e amalgamate il tutto.
Otterrete così circa 300 g. d’impasto dal
quale dovete ricavarne 100 da rimettere
nel barattolo opportunamente lavato.
Complimenti! Avete fatto il vostro
primo “rinfresco” del lievito.
I 200 grammi d’impasto rimasto
possono essere addizionati di farina,
olio e sale per ottenere delle piadine da
cuocere in padella.
Continuate a rinfrescare ogni 24 ore,
dovreste iniziare a vedere alcune bollicine in superficie e l’impasto dovrebbe
iniziare a crescere. Siete sulla buona
strada.
Se nel giro di una settimana il lievito non è partito, meglio ricominciare da
capo, puó essere che non abbia trovato
i lieviti giusti o che la farina non fosse adatta. Per il lievito madre la farina
piú indicata è la 00, ma anche la 0 va
bene. Io mi trovo molto bene con le farine biologiche, una volta
“partito” il lievito si puó
rinfrescare anche con
farine differenti e si puó
iniziare a sperimentare,
ma per iniziare la cosa
migliore è una farina bio
00 e meglio se si usa acqua senza cloro, perché il
lievito non è ancora abbastanza forte e il cloro
lo indebolisce.
Panificazione.
Quando il vostro lievito riesce a raddoppiare nel giro di 24 ore a
temperatura ambiente è
pronto per finire in una
pagnotta! Prima di poter
panificare è necessario
eseguire un rinfresco.
Prendete i vostri 100 grammi di lievito e fate un rinfresco con 100 g. d’acqua, mezzo cucchiaino di zucchero di
canna integrale e 100 g. di farina come
abbiamo imparato.
Mettete da parte 100 g. in un barattolo di vetro pulito, lasciateli a temperatura ambiente per mezz’ora, poi
chiudete il coperchio e mettete tutto in
14 cultura
frigorifero. Il lievito cosí confezionato
si conserva una settimana senza problemi (ma puó arrivare a conservarsi
anche un mese e mezzo, basta mescolare bene e rinfrescare un paio di volte prima di panificare), quando vorrete
usarlo potrete tirare fuori il barattolo dal
frigorifero e dopo 15 minuti iniziare a
rinfrescarlo.
Prendete i 200 grammi di lievito e
lasciateli maturare. I tempi dipendono
dalla temperatura: normalmente si fa
riposare per 24 ore ma in estate la lievitazione è molto piú veloce e possono
bastare 8-12 ore. Ci vuole un pochino di osservazione, quando si formano
le bolle in superficie e
l’impasto aumenta di volume siamo finalmente
pronti per l’impasto del
nostro pane, che si otterrá unendo al lievito un
cucchiaino di zucchero
integrale di canna e 200
grammi di acqua (sempre
a temperatura ambiente o
del rubinetto). Mescolare
per amalgamare. Unire
eventuale olio se gradito,
e 400-500 grammi di farina (qualunque farina va
bene, bianca, o integrale,
anche di altri cereali). La
dose di farina va valutata
in base alla sua capacitá di assorbire i
liquidi e alla presenza o meno dell’olio.
Consiglio di iniziare con 400 e aggiungerla man mano per ottenere l’impasto
della consistenza desiderata. Il sale va
aggiunto quando la farina è stata giá
mescolata. Anche la dose di sale è sog-
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
gettiva, io metto due cucchiaini – circa
15 g. – per queste dosi. Se lo desiderate potete aggiungere al vostro impasto
semi (girasole, zucca, cumino, anice...)
o altri ingredienti come noci, olive, uva
passa, per ottenere dei panini dal gusto
particolare.
Una volta fatto l’impasto bisogna
formare una palla e fare un taglio a croce in modo che possa aprirsi durante la
lievitazione. Mettete a lievitare un una
ciotola e posizionatela in uno spazio
a temperatura costante senza correnti
d’aria (ottimo il forno spento e chiu-
so, in inverno si puó lasciare accesa la
luce del forno per creare una temperatura ideale). Per evitare che secchi in
superficie potete coprirla con un panno
umido.
Questa lievitazione dura circa 4 ore,
una volta che il taglio si sará aperto po-
A San Gottardo l’ultimo romanzo di
Claudio Galletto
Claudio Galletto, giornalista monferrino, ci ricasca e dà alle stampe il
terzo atto di una serie di agili romanzi iniziata pochi anni fa con In nome
della croce.
Un occhio costantemente rivolto alla storia dei nostri luoghi, una buona
dose di mistero ben distribuito nella narrazione, piana e asciutta, ed
ecco nascere Io adoro, che segue La chiave del paradiso. La storia, dal
Monferrato, ci porterà lontano, fino all’altro capo del mondo, sempre
inquadrata nel contesto scenico di una saga familiare. A questo giro l’autore si prova con una metodica di scrittura nuova, segnata da spaziature,
stampatelli e allineamenti non troppo ortodossi, a volte un po’ futuristi,
nel tentativo di dare ancora più ritmo e coinvolgimento al lettore.
A voi il giudizio.
Intanto potrete assaporare le anticipazioni del libro (se già non l’avete
letto) venerdì 11 aprile, alle ore 21 presso la chiesa di San Gottardo a
Camino, dove l’autore lo presenterà intervistato da Marina Maffei.
Claudio Galletto, Io Adoro, Phasar Edizioni, pp. 268, € 15,00
tete formare i panini della forma che
preferite, meglio senza sgonfiare del
tutto l’impasto, e rimetterli a lievitare
per altre 4-6 ore. Un trucchetto semplice
per capire se l’impasto è lievitato consiste nello staccare una pallina d’impasto
grossa come una nocciola e metterla in
un bicchiere d’acqua. Quando viene a
galla l’impasto è pronto.
A questo punto potere mettere i panini in forno a 180-190º per 20-40 minuti a seconda della dimensione.
Ovviamente è possibile realizzare
anche pizza e focaccia
con questo lievito, le farciture vanno messe all’ultimo momento, prima
d’infornare, in modo che
il loro peso non blocchi la
lievitazione.
Per una maggiore digeribilitá potete far riposare l’impasto prima di
fargli iniziare la prima
lievitazione, dalle 12 alle
72 ore. In questo modo
gli enzimi possono continuare a fare il loro lavoro mentre la lievitazione
viene messa in stand-by.
Sicuramente questo
tipo di lievito richiede un
impegno differente rispetto al lievito chimico ma basta organizzarsi e si avranno molte soddisfazioni!
Se desiderate sperimentare ma non
volete cimentarvi con la creazione del
lievito potete richiedercene un po’ tramite il gruppo d’acquisto.
Buona panificazione!
rubriche 15
Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
L’angolo del riuso
Coltivare patate in un bidone!
cio, circa 30 cm, adagiatevi le patate
e ricoprite con altro terriccio (foto 1).
Irrigate e lasciate che le vostre patate
crescano. Se temete le gelate e avete anche il coperchio del contenitore,
è
quasi ora di mettere giú le
patate. Da anni sentivo dire
che le patate si possono
coltivare anche in un barile, così lo
scorso anno ho voluto provare. Il risultato è stato interessante, malgrado
il mio raccolto sia stato compromesso
dai parassiti per i quali non ho fatto
trattamenti e dalle lumache che l’anno
scorso erano tantissime e mangiavano
qualsiasi cosa.
Il principio è quello di forzare la
produzione di patate lungo il fusto e
non solo dalle radici sottostanti, ag-
Foto 4.
Foto 2.
potete coprirle di notte, ricordandovi
di togliere il coperchio quando invece
fa piú caldo (foto 2). Quando le patate
saranno cresciute di circa 15 cm, sará
ora di aggiungere alcuni centimetri di
terriccio, fino alle prime foglie. (foto
3) Dovrete proseguire con questo accorgimento fino al totale riempimento
del bidone (foto 4) e procedere come
una normale coltivazione di patate.
Quando sará il momento del raccolto, potrete rovesciare il bidone e
semplicemente raccogliere le patate.
(foto 5)
Mara Begnini
Foto 1.
giungendo terriccio man mano che
la pianta cresce. Oltre al terriccio si
possono usare foglie secche o trucioli. Io essendo alla prima esperienza ho
preferito usare il terriccio.
Prendete un bidone di recupero o
una vecchia damigiana. Praticate dei
fori per il drenaggio dell’acqua e mettete sul fondo uno strato di ghiaia o
argilla espansa, aggiungete del terric-
Foto 3.
Foto 5.
associazione
Come associarsi al Picchio (e, volendo, partecipare al GAS)
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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014
la foto d’epoca
“BRUSASCHETTO
com. nel mand. di Pontestura, prov. e dioc. di Casale, div. di Alessandria. Dipende dal senato di Piem., intend. prefett. insin. ipot.
di Casale, posta di Trino.
Non lunge da questo luogo sorgeva una rocca detta Brusasca; menzionata nel diploma di Corrado il Salico del 1026 in favore
del monastero di Breme. Fu essa chiamata eziando Delle Donne a cagione d’un convento di monache stabilito costì. In carta del
1297 leggesi un arbitramento tra quelle monache, ed il comune di Palazzolo, situato nell’altra sinistra parte del Po, in occasione
d’una lite che agitavasi per sapere a qual dei due spettassero certi prati detti l’Olivero, fattisi in sul terreno stato abbandonato
dal fiume. L’atto fu sottoscritto in quel monastero S. Mariae de Rocha.
Giovanni marchese di Monferrato fu investito di questa terra nel 1355 da Carlo IV imperatore.
Nel 1703 lo ebbero con titolo comitale gli Scarampi di Camino.
Giace alla destra del Po, e a ponente di Casale da cui è discosto 6 miglia.
Evvi una sola strada comunale, che, da borea, mette a Castel s. Pietro, lontano un miglio; da ostro, al porto natante sul Po, e
quindi a Trino. Questa via per essere montuosa e negletta non è praticabile coi carri, fuorché nella bella stagione. I prodotti territoriali sono uve di discreta quantità, e pochi cereali. Gli scarsi pascoli bastano appena al mantenimento del bovino bestiame
necessario alla coltivatura del suolo.
La parrocchiale è consecrata a s. Emiliano protettore del paese, alla cui festa non intervengono altri forestieri tranne i parenti
e gli amici degli abitanti del luogo. Evvi un’altra chiesa denominata da s. Sebastiano.
La parrocchiale è di jus-patronato del marchese Scarampi di Villanova.
Il cimitero trovasi a tramontana, e a poca distanza dal villaggio.
Pesi e misure del Monferrato, monete dei regii Stati.
Gli abitanti di Brusaschetto sono di complessione molto robusta, e attendono con diligenza ai campestri lavori.
Popolazione 223”.
Goffredo Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli stati del Re di Sardegna, Torino. 1834
(nella foto la processione della Madonna Pellegrina negli anni ’40 del Novecento. Sullo sfondo il paese con il campanile
di S. Emiliano. Foto tratta da “Come eravamo una volta a Brusaschetto”, 2005)
Il Picchio
Trimestrale di informazione e cultura di Camino e frazioni
Autorizzazione del tribunale di Casale Monferrato nr. 258 del
16/01/2009
Direttore responsabile: Carlo Rosso
Stampato in proprio
Redazione: via Vittorio Emanuele 37 - 15020 Camino (AL)
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