Testi in italiano (PDF)

Detara n
Musica Popolare
di nuova Generazione
Questo fascicolo è distribuito allegato al CD “A manda la Lòsna”. Se
desideri ricevere maggiori informazioni o per averne una copia cartacea
contattaci, o telefona a questi numeri:
e-mail: de taranfolk @gmail.com
Myspace & facebook : Detaran Folk
Francesco: 333 8955065
Andrea: 340 5647950
Testi e traduzioni di Francesco Cavallero e Andrea Sc otti.
Disegno in copertina di Barbara Matta.
Schizzi a matita di Andrea Scotti.
Foto Federica Rismondo, Andrea Lopomo, Oscar Perotto, Chiara Vassallo.
Detaran 2012
2
IL GRUPPO
Detaran è un gruppo di musica popolare. Non folk… folk sono i gruppi di
rievocazione, che mettono in scena un qualcosa che non c’è più. A noi piace
immaginare la “nostra” musica come qualcosa di vivo, che si trasmette di bocca in
bocca, da suonatore a chi ascolta. Un’espressione che non ci appartiene ma di cui
ci facciamo portavoce ed interpreti, per darle ogni volta sfumature nuove ed
attuali…
Popolare!
Vogliamo pensare che questa musica non sia una distrazione per vincere la noia
di una coda in statale, magari dietro a un carro di letame targato CN che
ingombra tutta la carreggiata. E tanto meno un riempitivo per colmare gli
imbarazzanti silenzi di una festa di famiglia con parenti che non si frequentano
mai (forse per ché sono antipatici?).
Suoniamo per passione e non abbiamo la pretesa di essere come l’Artista che
condivide con il cosmo l’assolutezza del vuoto siderale che s’infrange sugli scogli
della sua umanità (eh?...).
Cantiamo per il piacere di raccontare le nostre storie. A volte allegre e buffe, a
volte più cupe e drammatiche; perché è suonando, e ballando, e cantando che
queste storie non sono più solo nostre, ma di tutti.
Per descrivere davvero l’anima del gruppo però non si possono fare solo parole,
bisogna vederci all’opera. Prendiamo ad esempio una festa in un piccolo paese in
alta valle. Noi stiamo finendo di cenare poco prima dell’inizio del concerto. Tra
chiacchiere e risate e ci affrettiamo a ripulire la tavola, e a volte anche il piatto
del vicino.
3
«Lo mangi quello? »
«Certo che lo mangio, non ci provare!! »
Cecco e Chicca stanno litigando –al solitoB per chi debba finire il vino, quando
Scottish, preso da un lampo di responsabilità sfodera un foglio di carta bianca e
richiama tutti all’ordine:
«ragazzi… la scaletta! »
Superato il momento di panico iniziale, l’ordine dei brani viene fuori quasi da sé.
«Sì, mettiamo prima questa, così possiamo raccontare del Detaran… ci pensi tu,
che la sai bene? »
«Va bene… Potrei raccontare che: Nel Piemonte sudBoccidentale, tra le colline
torinesi e il cuneese, si usava dire “Detaran aBmanda la lòsna (Detaran manda il
fulmine)”... »
Lopy spazientito interrompe subito:
«Ochéi! Ochéi… la sappiamo…»
Ormai il tempo stringe e la gente comincia a riempire a poco a poco il salone
delle feste. Molti forse non ci conoscono ancora ma sono stati attratti dalla festa di
stasera, e hanno voglia di divertirsi un po’. È il momento di accordare gli
strumenti e cominciare. Oscar abbandona piagnucolando il piatto, che poteva
essere riempito altre mille e mille volte. Siamo pronti.
Un attimo di suspence:
«Attacca tu!»
«Ochéi… come fa già?»
…e il concerto inizia.
La sala non è enorme, ma c’è lo stesso molta gente… e soprattutto ce n’è per tutti i
gusti. Là dietro, seduti ai tavoli, ci sono quelli che ci sentono per la prima volta. Si
dividono in tre gruppi: la coppia della borgata affianco «ma cos’è sta roba? Non
c’era il lissio stasera?», i tamarri infastiditi «oh! Togli sta roba, che mi sta già
chiudendo!» e la comitiva di amici capitata per caso, che incuriosita batte già il
piedino «musica oggitana? Ah si, quella degli zingari!»
4
Più avanti una coppia di mezz’età – che non si perderebbe un ballo neanche ci
fosse da sfidare una tormenta degna del Klondike – comincia a muovere i primi
passi, subito seguiti da una coppia di sole ragazze, imbranatissime che però
hanno voglia di provare.
Finisce il primo brano, ed è già ora di pr esentare il gruppo:
«...Detaran era il folletto che nel folklore piemontese era predisposto a
lanciare i fulmini e la grandine (lòsna e tempësta), fedele all'etimologia del
suo nome, dal latino “Deus Taranis”, dio celtico delle piogge. Questa antica
divinità non è scomparsa con l'età antica ma è mutata ed è sopravvissuta
fino a noi.
Lo stesso cammino fa la musica, che da canti tramandati di bocca in
bocca, di generazione in generazione, arriva fino a noi, antica ma sempre
attuale.
Così noi Detaran concepiamo la musica tradizionale, non immobile in un
manierismo sterile ma in continuo mutamento, aperta a influenze di altre
tradizioni o moderne, come è sempre stata. »
I primi brani vengono suonati con metodica concentrazione. Poi, alzando lo
sguardo, ci accorgiamo che la sala è diventata improvvisamente piena, e tre
cerchi di persone, uno dentro l’altro, si muovono coordinati. Da quel momento
suoniamo senza pensieri. Giochiamo, balliamo e scherziamo come se fossimo giù,
a girare insieme a tutti gli altri. Diventa facile anche presentare i pezzi, come s e
stessimo raccontando un storiella a un amico, con tutte le coloriture del caso per
renderla più grossa di quello che è.
5
Ora ballano quasi tutti. I ballerini più esperti hanno tirano dentro ragazze curiose
di provare, subito seguite da giovinastri che spronati dalle grazie e dagli ormoni
affrontano persino la prova del ballo!
Senza parole, senza spiegazioni, muovendoci coordinati insieme come s e
ballassimo (ehi… ma stiamo ballando!) il nostro mondo diventa anche il loro e il
loro nostro.
Non facciamo in tempo ad accorgercene che il concerto è alla fine, tempo di un
ultimo pezzo per ringraziare tutti e presentarci. Finito tutto, c’è il rito del dopo
concerto, sempre uguale. Mentre ritiriamo il materiale uno prende da bere, l’altro
va in cucina a vedere se sono avanzate delle costine «anche fredde, va
benissimo!», questo corre dietro alla prima gonna che vede, quello fa due
chiacchiere con gli amici del pubblico «perché non fate anche il tango greco?».
Date le solite informazioni sugli strumenti «Sì, si chiama “ghironda”… No… non
gironda, con l’acca!», salutiamo amici e ballerini che se ne stanno andando.
Qualcuno si allontana fischiettando una canzone che gli è rimasta in testa.
Sulla strada di casa, anche per aiutarci a rimanere svegli, non possiamo non
pensare al vecchio amante e alla bella Carolina, al pover’uomo che si perde nel
bosco e a quello che, dicendo che andava a far legna, è sparito per dieci anni. In
un attimo di silenzio cominciamo, quasi contemporaneamente, a canticchiare. Sì
perché il concerto non è finito. Noi abbiamo solo dato un tocco agli strumenti ma
loro continuano a vibrare. Vibrano quando ci viene voglia di riprenderli in mano.
Vibrano nei ragazzi che stasera hanno ballato per la prima volta, ed ora hanno
voglia di rifarlo. In chi incomincerà a suonare, magari formerà un gruppo e,
speriamo con tutto il cuore, insegnerà queste canzoni.
Questa, per noi, è musica popolare. Questi sono i Detaran.
6
7
LE CANZONI
A questo punto si è capito che abbiamo la pretesa di fare qualcosa in più che
eseguire un semplice motivetto per quanto carino. Siamo convinti che ballando e
ascoltando una canzone in realtà si apra una finestra su un nuovo mondo, su una
storia se volete, su cui vale la pena buttare un occhio. A volte basta leggere il testo,
altre volte le canzoni sono più timide, e bisogna capirle più nel profondo per
scoprire le immagini che descrivono. Queste sono le canzoni che abbiamo deciso
di registrare, speriamo si capisca il per ché.
Le Curé de Camaret.
È una chanson paillarde, ovvero una canzone goliardica. Paillard vuol dire
“gaudente, vizioso” e sta a indicare quel gener e di arie che v engono cantate per
prendersi in giro, senza particolare malignità. Questa in particolare, che è stata
cantata a Cecco da una sua amica bretone, viene da CamaretBsurBMer, piccola
cittadina del Finistère, in Bretagna. Noi l’abbiamo
riadattata come un Rondeu (anche se si tratta di
una danza guascona) ma il bello della musica
popolare è che cambia!
La canzone deride prima le autorità e poi le
ragazze del piccolo paesino colorendo il tutto con
particolari osceni.
E alla fine, ogni cittadina potrebbe un po' essere
come Camaret, con preti presi in giro, sindaci non
proprio amatissimi e ragazze che, anche se non si
può, vogliono godere della loro gioventù.
8
Le Curé de Camaret.
Il curato di Camaret
Le curé de Camaret
a les c ouilles qu i pendent…
Et quand il s'assoit dessu s,
ça lui rentre dans le cu l
Il bande il bande,
Il ban an de
Il curato di Camaret
ha i colgion i che pendono
e quando ci si siede sopra
gli entrano nel culo
ce l'ha duro
Nella p iazza di Camaret
Les filles de Camaret
se disent toutes vierges…
Mais quand elles sont dans mon lit,
elles préfèrent tenir mon vit
Qu'un cierge, qu'un cierge
Qu'un cie e rge
c'è una statua di Ercole
Sur la place de Camaret
ya la statue d'Hercule…
Le maire et son conse il,
tout et deux un peu bourrée
L'enculent, l'encu lent
L'encu u lent
ma quando son o nel mio letto
Le curé de Camaret
a acheté un âne…
Un âne républicain,
pour enculer les putains
Quel âne, quel âne,
Quel â â ne
il sindaco e il suo c onsigliere
tutti e due un po' ubriachi
l'incu lano
Le ragazze di Camaret
si dicon o tutte vergini
preferiscono sempre il mio "filo"
che un cero
Il curato di Camaret
si è comprato un asino
un asino repubblicano
per inculare le puttane
quell'asino
9
Vieil Amant.
È una delle numerose canzoni contenute nel cahier appartenente alla famiglia
Richard, proveniente da Prali. Fu barbo Aldo Richard (1904 B1988) a trascriverla,
e negli anni 60 a insegnarla alla Badia Corale Val Chisone, che ha contribuito a
salvarla registrando un cd nel 2006. Appartenente alla comunità francofona
piemontese questa canzone racconta il tema, per la v erità abbastanza diffuso,
della ragazza bella e giovane che rifiuta un uomo vecchio ma ricco, preferendo
magari un bel giovane, anche se in miseria. A questa è stata attaccata la Danse de
l'Ours, vero e proprio standard dei baleti piemontesi, anche come omaggio
all'a mbiente dove ci siamo tutti formati.
Le vieil amant
Il vecchio innamorato
Aimable et jeune bocagère
je viens te voir dans ce vallon
veuxBtu m'accepter pour mignon?
Je te ferais mon héritière
de ta beauté mon cœur est enchanté
je t'aimerais ma vie entière
mon petit cœur je ferais t on bonheur
il faut nou s marier nous deux.
Amabile e giovane abitante dei boschi
Monsieur, cela ne presse guère
cela mérite attention
un moment de réflexion,
vas, vous reculez en arrière
vous voilà vieux et mastoc et goutteux
vous allez en regardant la terre
villain grison vous perdez la raison
j'aimerais mieux un jeune garçon.
Signore tutto ciò non è urgente,
10
vengo a trovarti in questo vallone
vuoi accettarmi come tesoro?
Io ti farò mia erede,
il mio cu ore è incantato dalla tua bellezza,
ti amerò tutta la vita.
Mio picc olo cuore io farò la tua fortuna
noi due dobbiamo sposarci.
merita attenzione,
un momento di rif lessione.
Tornate indietro
vecchio massiccio e gottoso,
camminate guardando la terra.
Villano canuto, voi perdete la ragione:
preferirei molto un giovane ragazzo.
Monsieur, si je perd ma hou lette
sur votre dos je vous frapperais.
Viens avec moi c arillonner.
À grand coups sur votre squelette.
Vilain n igaud, courez vite au plutôt,
sauvez vos jambes d'allumettes,
vilain hibou, ôtez, vous êtes fou,
allez, mon cœur n'e st pas à vous.
Signore se io prendo il mio bast one
batterò sulla vostra schiena.
Vieni con me a su onare a festa
con grandi colpi sul vostro sche letro.
Villano balordo sc appate al più presto.
Salvate le vostre gambe stecchite.
Villano gufo toglietevi d i mezzo siete pazzo,
andate il mio cu ore non vi appartiene!
CarolinB
CarolinB a 'd Savòja.
Vecchia canzone popolare piemontese, fu raccolta già da Costiantino Nigra alla
fine dell'ottocento sulla collina di Torino, ma è cantata tuttora. L'abbiamo
rielaborata in forma di corenta, la danza più tipica delle valli piemontesi.
Racconta, con il tono allegro e spensierato tipico delle canzoni da ballo, una storia
in realtà drammatica. La Principessa Carolina di Savoia, infatti, fu promessa in
sposa al Duca di Sassonia e costretta ad abbandonare la sua amatissima città.
Tanto le era cara infatti che dichiarò di preferire un cavaliere o addirittura un
povero plebeo al signore potente e ricco, vero, ma straniero e lontano. La famiglia
reale, purtroppo, rimase inamovibile nella sua decisione e le permise solo di
vedere un'ultima volta Torino, prima di proseguire verso nord. La triste storia si
conclude sul ponte di Ver celli, dove la bella Carolina dice addio ai fratelli
consegnando loro un fiore di giglio, simbolo di purezza. Non arrivò mai in
Sassonia.
11
CarolinBa 'd Savòja.
Carolina di Savoia
La bela CarolinBa a veulo maridé
ël Duca di Sassònia a veulo fé sposé
oh, s'a m'è bin pì car un pòver paisan
che 'l Duca di Sassònia ch'a l'è tant lontan.
Vogliono sposare la bella Carolina
la vogliono dare al Duca di Sassonia
Un pòver paisan a l'è pa del vòstr onor
ma 'l Duca di Sassònia ch'a l'é un gran signor
oh, s'a m'è bin pì car un cavajer dla cort
che 'l Duca di Sassònia ch'a l'é tant lontan.
un povero plebeo non è alla vostra altezza
Un cavajer dla corta a l'é pa del vòstr onor
ma 'l Duca di Sassònia ch'a l'é un gran signor
da già ch'a l'è così, da già ch'a l'é destin
faroma na girada tut antorn Turin.
un cavaliere della corte non è alla vostra altezza
E quand ch'a l'é rivà da là dël pont ëd Versej
a fà la dispartia con ij sò fratej
fratej dei miei fratej tocheme un peu la man
che mi i vado an Sassònia ch'a lé tant lontan
tocheme un peu la man, amis me car amis
che con la fior dël liri arvëdsse an Paradis
equando è arrivata al di làdel ponte diVercelli
dice addio ai suoi fratelli
12
oh, se mi è più caro un povero plebeo
che il Duca di Sassoni che è così distante
invece il Duca di Sassonia è ungran signore
oh, se mi è più caro un cavaliere della corte
che il Duca di Sassoni che è così distante
invece il Duca di Sassonia è ungran signore
visto che è così, visto che èdestino
faremo ungiro tutto intorno a Torino
fratelli, miei fratelli, toccatemi la mano
che io vado in Sassonia che è così distante
toccatemi la mano, amici cari amici
che con i fioridelgiglio ci rivedremo in Paradiso
Monster Café.
Nigel Eaton, con i suoi Blowzabella, ha di sicuro cambiato il modo di suonare la
musica popolare.
Questa sua scottish, insidiosa nella prima parte e grottesca nella seconda, crea
atmosfere contrastanti, che ricordano “Una Notte sul Monte Calvo” di Musorgskij.
Ci piace immaginare il Babau che, finito il suo lavoro di
mostro, va finalmente a rilassarsi un po' nella sua piola
preferita. Qui, in una nebbiolina creata dal sigaro di
Bërgnif, beve un quartino, mentre Detaran gioca alla
morra con il Diao dij Pé Dré. Ad un certo punto, chissà
perché, forse l' Òmo Servaj , notoriamente un bocin
(insomma un po' maldestro), rovescia del vino; o forse
Bërlica Fojòt ci prova con la masca di qualcun altro; fatto
sta che i mostri, stressati dal lavoro notturno, non
aspettando scusa migliore fanno partire la rissa, e il povero
gestore del Monster Café può solo rifugiarsi sotto il
bancone, mentre fulmini, saette e fiammate sulfuree gli
sfasciano il locale.
Bourrée metal: Montford, Jan de la Vinha.
Cosa c’entra questa bourrée a due tempi con il Metal? Niente batteria né chitarre
distorte, niente grida disumane…
Quello che ha ispirato questo appellativo è l’atmosfera quasi epica che crea il
brano di Jo Freya, con un ritmo incalzante e una melodia minacciosa, quasi come
in un riff dei Metallica. A sorpresa, a metà del pezzo, l'atmosfera diventa più
famigliare con “Jan de la Vinha”, una bourrée che proviene dalla tradizione del
Nivernese.
13
Provate a immaginare... Era un autunno piovoso nelle campagne del Gévaudan,
nel Massiccio Centrale. Il piccolo villaggio di pastori aveva subito una tragedia
peggiore della peste. Da un paio di settimane, infatti era impossibile incamminarB
si nella campagna perché infestata da un mostro terribile che attaccava greggi,
donne e bambini. I pochi sopravvissuti lo descrivevano come un lupo, ma
immensamente più grande e feroce. A nulla erano servite le battute di caccia
organizzate dal Conte. L'u nica speranza era Jan, l'u omo più forte e coraggioso del
paese. La donna più anziana del villaggio era riuscita a convincere Caterina, la
sua promessa, a parlargli. Così una sera, mentre fuori infuriava il temporale, lei
gli chiese piangendo di prendere la baionetta, una volta appartenuta a suo padre,
soldato nell'esercito del Re, e di affrontare la Bestia. Aveva una paura di terribile
di perdere il suo amore, ma la salvezza della borgata richiedeva questo sacrificio.
Lui la baciò, prese la baionetta e sparì nella pioggia, dove gli occhi di fuoco della
Bestia già aspettavano lo scontro.
Jan Mijne Man.
Tradizionale olandese, per noi uno scottish
caldo e trascinante. È il brano che preferiamo
per presentarci e per far “emergere” la voce di
ciascuno strumento. La Musette di Chicca,
maestosa ed elegante rompe il ghiaccio. Il
basso di Lopy, avvolgente e trascinante, da il
ritmo al tutto. La ripetitività della melodia ci
permette di far risaltare la personalità
musicale di ognuno di noi. Scottish con il suo organetto crea armonie romantiche,
presto spezzate dalla ghironda hipBhop di Cecco. Il tutto è sorretto dall'energia
ritmica di Oscar. Ci piace pensare di esser riusciti, in un unico pezzo, a mostrare
14
le mille sfaccettature e le mille emo zioni che la musica popolare, nella sua
semplicità, può regalare.
Tout le Long du Bois.
“Sono già dieci anni che sei sparito dicendo di andare a fare legna nel bosco! Si
può sapere dov’eri finito?” È facile immaginare che espressione abbia la povera
contadina rimasta da sola a badare alla casa ed ai bimbi. AnBDro bretone, una
danza ed una canzone di gente di mare che spesso arriva e riparte per nuove vite
e nuovi lidi.
Y’à bien cinq ans tout le li tout du long…
Y’à bien cinq ans tout le long du bois…
Où étaisBtu, étaisBtu disBle moi?
Où étaisBtu à ramasser du bois?
15
Bòsch Mascheugn.
Vi è mai capitato, passeggiando in un bosco, di osservare le radici degli alberi, e
vedervi come disegnate le sagome di volti mostruosi?
Un pover’uomo ritorna verso casa una sera carico di stanchezza e delusione.. e
magari prima di prendere la via di casa passa a farsi un bicchiere per dimenticaB
re. Ritornando però si perde in un bosco e, cercando la via di casa, viene attratto
da un bagliore tra le piante. Voci e strani rumori lo attraggono e incuriosito si
avvicina. Tra le sagome nere degli alberi e i riflessi della brina, degli esseri
bizzarri che si muovono. Rospi, insetti o forse pipistrelli, danzano e ridono intorno
ad un fuoco… sono le masche che si sono radunate in una danza infernale. Al
centro Detaran infiamma la notte con il suo martello infuocato. Il pover’uomo,
terrorizzato, non sa che fare e rimane, come ipnotizzato a osservare il Sabba. Ma
per fortuna all'alba il sole fa capolino
all’orizzonte. I suoi raggi dissolvono
l'incantesimo e scopre che le visioni
in realtà non erano altro che le radici
ed i rami nodosi degli alberi che gli
avevano giocato un brutto scherzo.
Si avvia sereno verso casa pensando
che in fondo era stato solo un
incubo…
O forse no?
Scottish da una melodia tradizionale dal tono bizzarro e dal passo ondeggiante
con a sorpresa un valzer che sembra illuminare e rinfrancare gli animi fino
all’inaspettato finale.
16
Bòsch mascheugn
Bosco misterioso
Bòsch mascheugn, bòsch mascheugn
bonòm sbaruà ans ël ritorn
a sBciaira anc iarmà ant ij erbo
a sa nen se na stéila o un seugn.
Bosco misterioso, bosco misterioso
un pover’uomo spaventato mentre ritorna
Na splua smòrta a lusa mes stërmà
còs'eBlo? Un feu? Ghicia un peu!
Un culeiss tissà da un Bërgnif anmasc à
m'a smija 'd sente 'l bòsch arfié.
Una fievole scintilla luccica mezza nascosta
E le masche a beujo ij velen
mòsche vipre e peuj i sai nen
e l'òmo servaj, beica che gòj
ucia ch'a l'ha vagna ij dà.
E le streghe fanno bollire i veleni
Babi e babòje, 'dcò rate volòire
malparlo ch'am smijo veje viòire
a's pio për man, e che rabadan
lorde ch'a san gnanca lòn ch''a fan.
Rospi e blatte, e pure pipistrelli
sparlano che sembrano delle vecchie
Detaran, në sprit folet
con s'ë scu 'd bròns dorà, 'l barbet
magister dël tron, a pia sò martel
le lòsne a sBciairo col canton d l'Infern.
Detaran, il folletto
Ma d'improvis ij raj d l'Astro
a mostro al pòver bon òm nostro
che le carcaveje a l'ero mach ëd fau le
stërma 'nt le reise e 'nt ij sò eu j.
ma all'improvviso i raggi dell'Astro
intravede incantato tra gli alberi
non sa bene se una stella o un sogno
cos'é? un fuoco? guada un po'
un fuoco fatuo attizzato da un diavolo stregato
mi sembra di sentire il bosco respirare.
mosche vipere e non so cos'altro
e l'òmo servaj, guarda che gioia
urla che ha vinto ai dadi
si prendono per mano, e che casino
ubriachi da non sapere neanche quel che fanno
con il suo scudo di bronzo dorato, l'eretico
signore del tuono, prende il suo martello
i fulmini illuminano quell'angolo d'inferno
mostrano al nostro pover'uomo
che gl'incubi erano solo delle favole
nascoste nelle radici e nei suoi occhio
17
Spanish Jig.
La musica popolare viaggia. Si sposta oltre i confini attraverso le nazioni. Se n'era
già accorto il Nigra quando, analizzando le canzoni popolari piemontesi le aveva
trovate uguali ad altri canti francesi, spagnoli o addirittura scandinavi. E noi,
giocando a fare i musici girovaghi, assecondiamo la tradizione con questo pezzo
che viene dall’Inghilterra ma si chiama Spanish, forse in memoria degli scontri
tra le due nazioni nella guerra angloBspagnola del XVI secolo.
Originariamente una quadriglia, giunta da noi questa canzone si adatta alle
“usanze locali”, trasformandosi in una chapelloise. Un brano in continuo divenire,
fresco e spensierato… perfetto per animare un ballo dove non si sta mai fermi ed
in cui si intrecciano continuamente sguardi nuovi.
Le Long du Chemin.
Perché turbo bourrée? Beh per ché l'anima della musica popolare è la festa, dove
chiunque si diverte e balla, che ne sia capace o no. Per questo l'abbiamo riB
arrangiata come se fosse una canzone da discoteca, in odo che chiunque la possa
ballare. Bourrée a due, in cerchio, o anche solo agitando i piedi e il sedere. Perché,
parafrasando un anonimo poeta popolare, questa maledetta canzone mi prende i
piedi. Poi la testa. E infine il cuore.
Le long du chemin qui mène à la rivière, belle
Ne fais pas la fière et donneBmoi la main…
DonneBmoi la main, donne ton bras, fais pas la fière
DonneBmoi la main, viens avec moi sur le chemin…
18
LE LINGUE
Ma come parlano questi? Giuro, non ho capito nulla di quello che dicono…
Eh sì. In effetti le nostre canzoni non sono in Italiano. Perché la musica popolare è
inscindibile dalla parlata popolare e le canzoni che abbiamo deciso di registrare
sono nelle lingue storiche del Piemonte. In questa piccola regione, infatti, sotto
uno strato ufficiale di Italiano è presente una grandissima varietà linguistica. A
nord i Walser parlano un antichissimo dialetto germanico. Tra le valli di Lanzo e
la Val d'Aosta il patois FrancoBProvenzale, che a dispetto del nome non c'entra
nulla né con la Francia né con la Provenza, ci lega alla Savoia. L'Occitano del
Piemonte occidentale, oltre ad aver dato il via alla riscoperta della musica
tradizionale, ci rende culturalmente uniti ai Pirenei e, alla lontana, alla Catalogna.
Le canzoni che abbiamo deciso di registrare, tuttavia, non sono in nessuna di
queste lingue. Abbiamo deciso di dare risalto, per questa volta, al Piemontese.
Lingua madre di quasi due milioni di persone, capita da un altro milione, è
riconosciuto già a partire dagli anni '8 0 come lingua minoritaria meritevole di
tutela dall'UNESCO e dall'Unione Europea. Purtroppo ancora in attesa di un
riconoscimento ufficiale da parte dello Stato Italiano, ha origini che risalgono al
Medioevo.
Come per le sue sorelle, le altre lingue neolatine, il Latino parlato ai piedi delle
Alpi Occidentali è stato pian piano imbastardito fino a diventare un volgare con
caratteristiche proprie. I Sermones Subalpini sono la più antica testimonianza di
Piemontese, e risalgono al XII secolo. Successivamente la lingua si evolve e si
diffonde fino a quando, nel XVIII secolo si crea una vera e propria koiné diffusa
ben oltre gli attuali confini della Regione Piemonte. È in questo momento e nel
secolo successivo che la letteratura ha i suoi momenti più alti, e persino Vittorio
Alfieri ci ha lasciato due sonetti polemici in quella che era la sua lingua madre.
Purtroppo la pressione dell'Italiano ha ridimensionato di molto l'uso e la
19
produzione letteraria di questa lingua che, siamo convinti, abbia ancora molto da
dire.
L'altra lingua che utilizziamo, il Francese, non ha certo bisogno di grandi
presentazioni. Basti qui dire che era estremamente utilizzato, una volta, come
lingua di cultura e che molte aree piemontesi sono state francofone almeno fino
alla Prima Guerra Mondiale, se non addirittura più tardi. Oggi il Francese è
soprattutto legato al Credo Valdese, una forma di protestantesimo tra le più
antiche in Europa, che ha in Piemonte la sua comunità più numerosa.
20
I COMPONENTI
I Detaran sono un po' grossé. Meno male che c'è Chicca, con la sua Musette, a
portare un po' di grazia. Già perché Scottish si vanta di padroneggiare il Semiton ,
ma in realtà è il mantice che comanda. Cecco smanetta la Viola dij Bòrgno ma
non si capisce più se gira la ruota o i capelli, e Lopy, anche se suona il basso, è
troppo alto per il gruppo... stona! Ma quando si rischia la noia, Oscar si trasforma
in “Super Òc”, e con tamburi, piatti, piattini e carabattole mette tutto in moto.
Andrea “Scottish” Scotti: Organetto, Voce, Flauti
Francesco “Cecco” Cavallero: Ghironda, Voce, Flauti, Mandolino
Federica “Chicca” Rismondo: Flauti, Cornamusa, Voce
Andrea “Lopy” Lopomo: Basso elettrico, Bouzouki, Mandolino, Cori
Oscar Perotto: Percussioni e Cori
21
RINGRAZIAMENTI
Due anni di cammino insieme non sono pochi. E il nostro percorso è stato
illuminato da tanti incontri e amici che l'h anno reso ancora più speciale. Il
tamburo di Ada e i suoi Marasma hanno scandito le prime note, e i Terminal
Traghetti sono stati dei buoni amici, con cui ci si è dati più volte manforte.
Numerose associazioni e ProBLoco hanno creduto in noi, pur non avendoci
ancora sentiti... avranno vinto la scommessa? I pomodori marci sono stati pochi. Il
parentame ci ha seguito con i suoi consigli e spesso ci ha anche preparato la cena,
e ai vicini di via martiri abbiamo fatto vibrare il letto mentre dormivano, ma non
ci hanno mai sparato. Forse è grazie alla Marmelada d'òc che siamo nati, come
molte altre amicizie che ci accompagnano tuttora, nella semplicità di una suonata
in piazza. I soci dei Bogia Nen e degli Aire d'Ostana, con cui condividiamo sogni,
speranze e forse anche qualcosa in più... La nostra Barbara ha sopportato tutte le
nostre velleità artistiche. E poi tutti gli amici, ballerini e non, che hanno
cominciato pian pianino a seguirci, ci caricano d'entusiasmo a ogni serata e che,
ormai, ci vogliono un po' bene. Grazie
22