S A G G I G I ORIZZONTI U N T I Donald Norman La caffettiera del masochista Il design degli oggetti quotidiani Nuova edizione riveduta e ampliata Traduzione di Gabriele Noferi Titolo originale: The design of everyday things © 2013 by Don Norman Pubblicato da Basic Books, membro di Perseus Books Group È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo, se non espressamente autorizzata dall’editore www.giunti.it © 2014 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia Via Borgogna 5 - 20122 Milano - Italia Prima edizione: aprile 2014 Ristampa Anno 6 5 4 3 2 1 0 2018 2017 2016 2015 2014 Stampato presso Giunti Industrie Grafiche S.p.A. Stabilimento di Prato Presentazione dell’edizione italiana di Sebastiano Bagnara Esce anche in Italia la nuova edizione de La caffettiera del masochista. In realtà si tratta di una “edizione riveduta e ampliata”, cui Donald Norman ha messo mano per proporre al pubblico una versione sostanzialmente nuova del suo libro apparso in prima edizione italiana nel 1990. Lo si capisce subito se si ricorda che il sottotitolo della prima edizione era Psicopatologia degli oggetti quotidiani, mentre quello dell’attuale è Il design degli oggetti quotidiani. L’oggetto impossibile, introvabile di Jacques Carelman che provoca in ognuno di noi stupore e irritazione, che è ormai assurto a simbolo del cattivo design, campeggia sempre in copertina. Come capita spesso per i titoli dei film, La caffettiera del masochista è una soluzione brillante, pregnante, evocativa, ma aiuta a capire soltanto una parte della storia e della fortuna del libro. Tra la prima edizione e oggi, il pubblico dei suoi lettori si è ampliato e il libro ha egregiamente resistito alla sfida del tempo. Quest’ultimo ha reso obsoleti molti degli esempi che Norman aveva usato per illustrare i concetti che andava introducendo. Sono diventati di uso comune e indispensabili nuove tecnologie: Internet e i cellulari hanno invaso la nostra vita! Norman ha sostituito i vecchi esempi con immagini di oggetti attualissimi. L’uso delle immagini è infatti una caratteristica peculiare del suo modo di comunicare, del suo stile, molto visivo. Sono stati soprattutto i lettori non specializzati a decretare il rinnovato successo del libro. Durante questo periodo ha infatti preso corpo un processo molto particolare, specifico e interessante: i lettori del libro sono diventati altri, talvolta diversi rispetto a quelli per i quali era stato scritto. È cioè avvenuto qualcosa di simile al processo a cui fa riferimento Umberto Eco con la nozione di “opera aperta”. I lettori “non specialisti” hanno interpretato a loro modo 7 PRESENTAZIONE il testo. Al punto che l’interpretazione più diffusa è stata quella di questi lettori, cui il libro aveva cambiato la vita dopo che avevano messo in stretta relazione il concetto di design antropocentrico con i problemi e i bisogni della vita quotidiana. Anche le emozioni, infatti, hanno il loro peso nella progettazione e nell’esperienza totale di un prodotto di uso comune. Come suggerisce il sottotitolo della prima edizione italiana, i lettori immaginati erano psicologi o persone con un particolare interesse per la psicologia, che magari vedevano con preoccupazione il diffondersi nel quotidiano della tecnologia, e temevano le conseguenze patologiche, per la salute mentale, dell’invasione tecnologica. Non a caso il sottotitolo alludeva al fortunato libro di Freud: il lettore immaginato era una persona che pensava di trovarsi fra le mani un libro simile a quello stranoto che indagava la psicopatologia della vita quotidiana. A questo pubblico si sono aggiunte persone con una cultura “tecnologica”, in modo particolare designer e ingegneri. Anche in Italia, La caffettiera del masochista è stato letto più da “tecnologi” che da “umanisti”; molti designer e ingegneri non solo hanno letto il libro, ma lo hanno anche usato nella progettazione: è diventato per loro un indispensabile strumento di lavoro. La caffettiera del masochista che il lettore ha oggi tra le mani fa appunto tesoro di questo singolare processo che lo ha reso un testo non rivolto soltanto agli specialisti di psicologia della vita quotidiana, a chi studia la patologia mentale che trova origine nell’interazione con oggetti mal progettati. Il libro ha ampliato l’arco dei problemi che affronta, traccia una vera e propria “architettura dell’esperienza utente” e si è affermato come uno strumento indispensabile nella progettazione delle tecnologie e nella comprensione di quello che ci capita nella vita quotidiana. È un’opera aperta in cui, come dice Norman, è cambiato “tutto e nulla”. È diventato un libro in cui si mostra come va fatto il design degli oggetti quotidiani in modo che essi risultino facili da usare, comprensibili, piacevoli. Questa trasformazione è stata possibile anche perché Norman ha fatto, a partire dagli anni Ottanta e più intensamente negli anni Novanta, esperienze nuove. È uscito dai laboratori di psicologia cognitiva ed è entrato nel mondo delle imprese, delle tecnologie avanzate (Hewlett-Packard, Apple, ma anche molte start-up, piccole e medie imprese innovative) con responsabilità manageriali 8 PRESENTAZIONE (guida fra l’altro, il Norman Nielsen Group), e non per consulenze tecniche e scientifiche, specialistiche. Queste esperienze sono il sale dei due nuovi capitoli, che rappresentano la variazione immediatamente percepibile della nuova versione rispetto alla prima edizione del libro. È all’insegna di un grande realismo che Don Norman propone oggi la “legge di Norman dello sviluppo del prodotto: il giorno stesso i cui parte un processo di sviluppo di un prodotto si scopre che è in ritardo sui tempi e sfora il budget”. L’attenzione alla realtà però non significa solo preoccupazione per i tempi, i costi, la competizione, ma anche per gli uomini e le donne che non solo acquisteranno un prodotto o un servizio (questo è il compito del marketing), ma che effettivamente useranno quel prodotto o usufruiranno di quel servizio. È attenzione alle esperienze cognitive, comportamentali, emotive, estetiche, che possono essere diverse fra persona e persona, e fra culture differenti. E questa attenzione diventa metodo di progettazione, solo accennato nella prima edizione: il metodo denominato Human Centered Design (HCD), dove la progettazione tiene conto dei limiti e delle potenzialità dell’essere umano nella sua individualità e diversità. Questa stessa attenzione porta a un superamento del tradizionale rapporto tra psicologia, design e tecnologia. La psicologia usava andare, e va ancora, a studiare le conseguenze, preferibilmente le conseguenze negative, fino al patologico, dell’introduzione e dell’uso dei prodotti del design. La prima versione de La caffettiera del masochista segue in fondo questa tradizione, ma contiene già gli strumenti per superarla quando comincia a svelare i processi di progettazione, e quindi le cause degli affanni delle donne e degli uomini con la tecnologia. La nuova versione invece spiega, o meglio, mostra, com’è nello stile comunicativo di Norman, che si possono progettare prodotti e servizi non solo compatibili, ma anche del tutto soddisfacenti per gli esseri umani. Don spiega che per arrivare a questo risultato non serve tanto, o solo, applicare le conoscenze della psicologia, come aveva fatto il movimento della Bauhaus che era stato influenzato dai principi della Gestalt, con risultati notevoli, ma un po’ freddi. E come in Italia avevano provato a insegnare Kanizsa e Petter nei Convitti Rinascita nel secondo dopoguerra, che tanto hanno contribuito allo sviluppo del design italiano. È necessario applicare 9 PRESENTAZIONE un metodo, che è insieme psicologico ed etno-antropologico, di osservazione del comportamento umano negli ambienti quotidiani d’uso di un prodotto o di un servizio, quando è appena immaginato, è solo un rozzo prototipo. Psicologi, antropologi non sono tanto utili in quanto “sanno l’uomo”, ma in quanto aiutano a osservare e vedere presto gli errori, prima che sia tardi e troppo costoso riparare. Come dice David Kelly, il co-fondatore di IDEO, forse la più bella e innovativa azienda di design del mondo, nel design il motto deve essere “sbaglia pure spesso, ma in fretta”. Il designer libero di sbagliare è più creativo. Nella progettazione lo psicologo, l’antropologo, l’esperto di scienze umane assumono un ruolo apparentemente umile di ascolto, osservazione, ma così facendo entrano nel processo di sviluppo, di innovazione. Se questo ruolo lo svolge l’ingegnere o il designer non funziona, primo perché si determina una sorta di conflitto di interessi, e poi perché non si vedono o si sottovalutano le diversità personali e anche culturali, e, non da ultimo, perché occorre una competenza specifica. Se si progetta in questo modo, ci dice Norman, si possono fare prodotti e servizi “umani”. E si può ottenere che la sua controversa profezia – “con certezza… la psicologia umana non cambierà” – (personalmente, ho molti dubbi che sarà così) non si avveri. Comunque sia, l’HCD saprà cogliere l’evoluzione e anche i mutamenti radicali della mente umana. Il messaggio di Don Norman è, quindi, “Yes, we can!”: si possono progettare tecnologie “umane”. E questo libro lo mostra a ingegneri, designer, scienziati “umani”, a tutte le persone che usano le tecnologie. 10 Prefazione alla nuova edizione Nella prima edizione esordivo con queste parole: «Questo è il libro che da sempre ho desiderato scrivere, ma non lo sapevo». Oggi lo so, quindi dico soltanto: «Questo è il libro che da sempre ho desiderato scrivere». È un corredo di base per affrontare il mondo del design. Vuole essere una lettura piacevole e istruttiva per chiunque, gente del mestiere e non addetti ai lavori. Uno degli scopi è trasformare i lettori in acuti osservatori dell’assurdo, del cattivo design che crea tanti problemi nella vita moderna, in particolare con la tecnologia. Li preparerà anche a riconoscere quello che c’è di buono, il lavoro di progettisti attenti che rende le cose più lisce e la vita più facile. In realtà il buon design si nota molto meno di quello cattivo, in parte perché risponde così bene ai nostri bisogni da diventare invisibile, prestando i suoi servigi senza richiamare l’attenzione. Il cattivo design invece si fa notare subito, proclamando a gran voce i suoi difetti. Di pari passo esporrò i principi fondamentali necessari per eliminare i problemi e trasformare le cose d’ogni giorno in prodotti godibili, capaci di dare piacere e soddisfazione a chi li usa. Questa combinazione di capacità d’osservazione e validi principi progettuali è uno strumento efficacissimo che chiunque può usare, anche i non addetti ai lavori. Perché? Perché siamo tutti in un certo senso progettisti, in quanto cerchiamo di dare una forma alla nostra vita, al nostro habitat, al modo di fare le cose. Possiamo anche ripensare l’ambiente di lavoro e cercare di rimediare ai difetti delle attrezzature esistenti. Quindi uno scopo di questo libro è restituirvi il controllo sui prodotti con i quali avete a che fare: come scegliere quelli più comprensibili e facili da usare, come migliorare quelli che non lo sono. 11 PREFAZIONE La prima edizione del libro ha avuto una vita lunga e ha goduto di buona salute. È stato letto da gente del mestiere e dal pubblico non specializzato, adottato come libro di testo e consigliato ai collaboratori di molte imprese. A distanza di oltre venti anni dalla sua uscita, riscuote ancora un certo successo. Sono molto soddisfatto della reazione del pubblico e del gran numero di persone che mi scrivono per segnalarmi nuovi esempi di design insensato, qualche volta di prodotti eccellenti. Molti lettori mi hanno detto che questa lettura ha cambiato la loro vita, rendendoli più attenti ai problemi della vita quotidiana e ai bisogni della gente. Qualcuno a causa del mio libro ha cambiato strada e ha deciso di dedicarsi professionalmente al design. La risposta del pubblico è stata straordinaria. PERCHÉ UN’EDIZIONE RIVEDUTA? Nei venticinque anni trascorsi dalla prima edizione la tecnologia ha avuto cambiamenti di vasta portata. Né i cellulari né Internet erano di uso comune all’epoca, né si sentiva parlare di reti domestiche. La legge di Moore ci dice che la potenza di calcolo dei computer raddoppia più o meno ogni due anni: ciò significa che i nostri computer oggi sono 5.000 volte più potenti di quelli in uso quando il libro è stato scritto. Sebbene i principi fondamentali di design esposti allora siano ancora oggi altrettanto validi e importanti, gli esempi sono terribilmente antiquati: «Cos’è un proiettore di diapositive?», mi chiedono gli studenti. Anche se non ci fosse stato altro da cambiare, gli esempi dovevano essere aggiornati. Anche i principi di design richiedevano un aggiornamento. Il design antropocentrico, ovvero human-centered design (HCD), è comparso sulla scena dopo la prima edizione del libro, in parte proprio grazie ad esso. L’edizione attuale ha un capitolo intero dedicato all’HCD nello sviluppo dei prodotti. Nella prima edizione si esaminava soprattutto come rendere i prodotti comprensibili e facili all’uso, ma l’esperienza totale di un prodotto non si limita a questi aspetti: l’estetica, il piacere e il divertimento hanno anch’essi un ruolo centrale. Venticinque anni fa non ne parlavo affatto, ma le emozioni sono così importanti che nel frattempo ho scritto un intero libro, Emotional design, per descrivere la parte che esse svolgono nella progettazione. Questi temi sono inclusi nella presente edizione. 12 PREFAZIONE Le esperienze vissute all’interno delle imprese mi hanno insegnato le complicazioni del mondo reale, l’importanza dei costi e dei tempi, la necessità di considerare la concorrenza e l’importanza del lavoro di gruppo multidisciplinare. Ho imparato che un prodotto di successo deve esercitare un richiamo sui clienti, e che i criteri che questi seguono per decidere l’acquisto possono essere sorprendentemente diversi dagli aspetti che si riveleranno importanti durante l’uso del prodotto. Non sempre i migliori prodotti hanno successo sul mercato. Possono volerci decine di anni perché una nuova tecnologia, per quanto brillante, sia accettata dal pubblico. Per capire il mondo dei prodotti non basta sapere di design o di tecnologia: è fondamentale sapere come funzionano le imprese e il mercato. COSA C’È DI NUOVO? Per i lettori che conoscono la prima edizione del libro, ecco un breve panorama delle novità. Cos’è cambiato? Tutto e nulla. Quando ho cominciato, partivo dall’idea che i principi di fondo fossero sempre validi, per cui non avevo altro da fare che aggiornare gli esempi. Ma poi ho finito per riscrivere tutto. Perché? Perché anche se tutti i principi valevano sempre, nei venticinque anni trascorsi da allora si sono imparate molte cose. Oggi so anche quali parti risultavano un po’ difficili e quindi avevano bisogno di essere spiegate meglio. Nel frattempo ho anche scritto numerosi articoli e sei libri su argomenti affini, alcuni dei quali mi è sembrato importante introdurre nella revisione. Per esempio, nella vecchia versione non si diceva niente su quella che oggi si chiama esperienza utente (espressione che sono stato fra i primi a usare, quando nei primi anni Novanta il gruppo di lavoro da me diretto in Apple si chiamava “architettura dell’esperienza utente”). Bisognava parlarne. Infine, l’esperienza nel mondo delle imprese mi ha insegnato molte cose su come si sviluppano in realtà i prodotti, per cui ho aggiunto molte considerazioni sui problemi di budget, scadenze e concorrenza. Quando ho scritto la prima versione ero uno studioso universitario; oggi ho alle spalle esperienze come dirigente aziendale (Apple, HP e alcune piccole imprese di nuova fondazione), consulente di numerose aziende e membro di consigli d’amministrazione. Dovevo riportare tutto quello che ho imparato in queste sedi. 13 PREFAZIONE Infine, un aspetto importante della prima edizione era la brevità. Il libro si poteva leggere rapidamente come introduzione generale alla materia. Ho cercato di conservare questo carattere, compensando con i tagli quanto andavo aggiungendo, nel tentativo (purtroppo fallito) di mantenere più o meno invariata la lunghezza. Il libro vuol essere un’introduzione: per rimanere entro quei limiti ho lasciato fuori la trattazione degli aspetti più tecnici, anche a spese di molti temi importanti. La prima edizione è durata dal 1988 al 2013. Se la nuova dovesse durare altrettanto, si arriverebbe al 2038: da qui la necessità di scegliere esempi che non risultino obsoleti fra venticinque anni, evitando per esempio di citare modelli di ditte specifiche. Chi si ricorda oggi le marche di venticinque anni fa? Chi può prevedere quali nuove imprese nasceranno, quali fra quelle esistenti saranno scomparse, quali tecnologie vedranno la luce nel prossimo quarto di secolo? L’unica cosa che mi sento di predire con certezza è che non cambierà la psicologia umana, il che significa che i principi di design qui esposti, basati sulla psicologia, sulla natura dei processi cognitivi, delle emozioni, del comportamento e dell’interazione degli esseri umani col mondo, rimarranno immutati. Ecco qui di seguito un sommario dei cambiamenti, capitolo per capitolo. CAPITOLO I: Psicopatologia degli oggetti quotidiani L’aggiunta più importante è il concetto di significante, introdotto per la prima volta nel mio libro Vivere con la complessità. Nella prima edizione il discorso era imperniato sulle affordance, gli “inviti all’interazione” che sono molto importanti negli oggetti fisici, ma molto meno chiari quando si ha a che fare con oggetti virtuali. Per questo il concetto di affordance ha creato una certa confusione nel campo del design. Un’affordance definisce quali azioni sono possibili, i significanti specificano come scoprire queste possibilità: il significante è un segno, un segnale percettibile di ciò che si può fare. Per i progettisti i significanti sono molto più importanti delle affordance. Ho deciso quindi di dedicarvi più spazio. Ho aggiunto una breve sezione sull’HCD, espressione che non esisteva ancora quando è stata pubblicata la prima edizione, anche se retrospettivamente ci si rende conto che tutto il libro parlava proprio di design antropocentrico. 14 PREFAZIONE A parte questo il capitolo è rimasto invariato e, benché le illustrazioni siano nuove, gli esempi sono in gran parte gli stessi. CAPITOLO II: Psicologia delle azioni quotidiane Rispetto alla prima edizione questo capitolo ha un’unica aggiunta importante: le emozioni. Il modello dei sette stadi di azione si è rivelato persuasivo, come anche il modello dei tre livelli di elaborazione (introdotto nel mio libro Emotional design). In questo capitolo illustro l’interazione fra i due modelli, mostrando che diverse emozioni compaiono nei vari stadi e indicando quali stadi corrispondono ai tre livelli di elaborazione (viscerale, per i livelli elementari di esecuzione motoria e percezione; comportamentale, per i livelli di specificazione dell’azione e interpretazione iniziale del risultato; riflessivo, per lo sviluppo di scopi e progetti e per lo stadio finale di valutazione del risultato). CAPITOLO III: Conoscenza nella testa e conoscenza nel mondo A parte gli esempi aggiornati, l’aggiunta principale è un paragrafo sulla cultura, di speciale importanza ai fini della trattazione dei “mapping naturali”: ciò che sembra naturale in una cultura può non esserlo in un’altra. In quel paragrafo si esamina come le diverse culture vedono il tempo – il lettore potrà restarne sorpreso. CAPITOLO IV: Sapere cosa fare: vincoli, visibilità e feedback Pochi cambiamenti sostanziali. Esempi migliorati. Distinzione delle funzioni vincolanti in lock-in e lockout. Più un paragrafo sugli ascensori a chiamata di destinazione, che illustra come può essere sconcertante, anche per un tecnico, un cambiamento migliorativo. CAPITOLO V: Errore umano? No, cattiva progettazione I fondamenti sono gli stessi, ma il capitolo è stato ampiamente rimaneggiato. Ho aggiornato la classificazione degli errori per tener conto dei progressi intervenuti dalla prima edizione. In particolare, ora suddivido i lapsus in due categorie principali – lapsus di azione e di memoria – e gli errori cognitivi in tre categorie – regola sbagliata, conoscenza sbagliata, dimenticanza. Le varie classificazioni dei lapsus esposte nella prima edizione sono ancora valide, ma non presentano particolare interesse ai fini del lavoro progettuale, cosicché le ho eliminate dall’edizione rive15 PREFAZIONE duta, sostituendole con esempi più rilevanti. Un’altra novità è il fatto di mostrare la relazione fra i diversi tipi di errore e il modello dei sette stadi dell’azione. Il capitolo si conclude con un breve esame dei problemi creati dall’automazione (ripreso dal mio libro Il design del futuro) e con la presentazione di quello che considero il miglior metodo nuovo per eliminare o ridurre al minimo l’errore umano: la progettazione elastica, o resilience engineering. CAPITOLO VI: Pensiero progettuale Questo capitolo è del tutto nuovo. Vi esamino due concezioni del design antropocentrico: il modello a doppio rombo proposto dal British Design Council e il metodo tradizionale di HCD, basato sull’interazione delle quattro fasi – osservazione, ideazione, prototipo e verifica. Il primo rombo rappresenta le fasi divergente e convergente nella definizione del problema reale, il secondo le stesse due fasi nel determinare la soluzione. Introduco poi il concetto di design centrato sull’attività, come variante dell’HCD, più indicato in molte circostanze. Fin qui la teoria. Il capitolo poi svolta bruscamente, col paragrafo intitolato «Cosa ti ho detto? Non funziona affatto così», nel quale introduco la cosiddetta legge di Norman: il giorno stesso in cui è annunciato, lo sviluppo d’un nuovo prodotto è già fuori bilancio e in ritardo sui tempi. Espongo le sfide che il design deve affrontare nell’ambito di un’impresa, dove scadenze, budget, esigenze contrastanti delle varie divisioni sono altrettanti vincoli pesanti. Colleghi che lavorano nel mondo imprenditoriale hanno particolarmente apprezzato queste parti, che illustrano esattamente le pressioni cui si trovano esposti. Il capitolo si conclude con la trattazione del ruolo degli standard nazionali e internazionali (modificata rispetto alla prima edizione), più alcune linee guida generali. CAPITOLO VII: IL DESIGN NEL MONDO DELLE IMPRESE Del tutto nuovo è anche questo capitolo, che prosegue il discorso avviato nel capitolo VI sul design nel mondo reale delle imprese. Qui esamino la proliferazione selvaggia di funzioni accessorie, i cambiamenti imposti dall’invenzione di nuove tecniche 16 PREFAZIONE e la distinzione fra innovazione graduale e radicale. Tutti vogliono l’innovazione radicale, ma la verità è che la maggior parte delle rivoluzioni fallisce, e anche quelle che alla fine riescono possono richiedere decine di anni prima di essere accettate. L’innovazione radicale quindi è relativamente rara, mentre è comune l’innovazione graduale. Le tecniche tipiche del design antropocentrico sono adatte a un’innovazione graduale, non radicale. Il capitolo si conclude esaminando le tendenze a venire, il futuro dei libri, gli obblighi etici del design e l’avvento di piccoli produttori indipendenti che stanno cominciando a rivoluzionare il modo in cui le idee sono concepite e lanciate sul mercato, quella che chiamo l’«ascesa dei piccoli». SOMMARIO Col passare del tempo la psicologia della gente rimane la stessa, ma cambiano gli strumenti e gli oggetti nel mondo. Cambia la cultura. Cambia la tecnologia. I principi del design restano validi, ma il modo di applicarli dev’essere modificato per tener conto delle nuove tecnologie, dei nuovi metodi di comunicazione e interazione. Se la prima edizione di questo libro era pensata per il XX secolo, questa lo è per il XXI. Don Norman Silicon Valley, California www.jnd.org 17
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