PANORMUS la scuola adotta la città Tra profumi, sapori, colori, suoni e memoria 2014 Edizioni La Cappella della Clinica Noto e il ciclo pittorico di Lia Pasqualino A cura del Liceo Artistico Catalano di Palermo Dipartimento di Storia dell’arte Due passeggiate nelle contrade Lolli e Olivuzza PANORMUS la scuola adotta la città Tra profumi, sapori, colori, suoni e memoria 2014 Edizioni La Cappella della Clinica Noto e il ciclo pittorico di Lia Pasqualino A cura del Liceo Artistico Catalano di Palermo Dipartimento di Storia dell’arte Due passeggiate nelle contrade Lolli e Olivuzza capitolo Si ringrazia sentitamente la Baronessa Beatrice Pasqualino Gagliardo per la cordiale accoglienza e disponibilità. I La clinica Noto Si ringraziano, inoltre, Il Dirigente Scolastico Prof. Maurizio Cusumano 1 Gli alunni delle classi 3A Architettura e Ambiente/ Arti Figurative 3C Arti Figurative 3E Scenografia / Arti Figurative 4C Arti Figurative 4E Scenografia / Arti Figurative 4F Arti Figurative 5I Scultura e decorazione plastica 1. Prospetto della Clinica Noto 2. La Clinica Noto in un’immagine d’epoca. I docenti curatori Prof. Giuseppe Burgio Prof.ssa Loredana Mascolino Prof. Giovanni Mendola Prof.ssa Maria Pasinati Prof. Giuseppa Tubolino e, infine, il Prof. Fra Gesualdo Ventura, Cappellano della clinica. Stampato nel mese di Maggio del 2014 Progetto grafico Prof. Franco Reina Fotografie a cura del Dipartimento di Storia dell’arte e della Prof.ssa Letizia lo Re 2 La clinica Noto Pasqualino fu fondata nel 1927 dal professore Antonio Noto, su un lotto di terreno della Società Immobiliare Sicula Anonima acquistato nel 1922 e proveniente dal fallimento Florio. L’edificio, costruito dall’impresa Utveggio e Collura sotto la direzione dei lavori dell’ing. Zanca, presenta una struttura ad L a tre elevazioni fuori terra ed un piano seminterrato. I due prospetti su via Regina Margherita e su via Dante presentano, al disopra di uno zoccolo continuo, aperture trabeate e motivi ornamentali di ispirazione classica, con fasce marcapiano e cornice di coronamento aggettante, decorata a dentelli. Sulla facciata d’angolo tra i due prospetti, al disotto di una loggia con colonne ioniche, sono visibili un pannello decorativo in stucco riportante la denominazione dell’edificio ed un bassorilievo in stile neoclassico raffigurante la personificazione della dea Igea: una figura femminile nell’atto di dissetare un serpente da una coppa. Negli anni ’30-‘40 la casa coniugale della pittrice Lia Pasqualino Noto (figlia del fondatore della clinica) e del marito Guglielmo divenne luogo d’incontro di artisti ed intellettuali del tempo; nel salotto Pasqualino-Noto si riunivano, tra gli altri, i “Quattro” (Lia Noto, Guttuso, Franchina, Barbera), dibattendo su tematiche artistiche e confrontandosi su personali concezioni espressive, aspirando ad una libertà creativa capace di confrontarsi con il meglio della produzione nazionale ed europea. 3 capitolo II Lia Pasqualino Noto, Renato Guttuso e il “Gruppo dei quattro” LIA PASQUALINO NOTO 1 “Ho iniziato a disegnare da bambina. Molti bambini giocano con le matite e poi, cresciuti, in età scolastica smettono per dedicarsi a nuovi giochi. Lo ho continuato sempre… Poi ho avuto in dono i primi colori ad acquerello ed ho iniziato a dipingere con una costanza quasi maniacale. Adolescente ho preso le prime lezioni di disegno dal pittore Tomaselli. Mio padre e mia madre avevano deciso che valesse la pena formi studiare, vista lo mia volontà di diventare pittrice”. Così la stessa Lia (Palermo 22/8/1909 - 25/2/1998) raccontava i suoi primi approcci all’attività artistica, sostenuta in questa passione dalla madre Attilia Tellera e dal padre Antonino Noto. Le prime prove del suo lungo itinerario artistico si collocano negli anni ’20 quando, sotto la guida del pittore Onofrio Tomaselli, acquisisce le tecniche del pastello e della pittura ad olio esercitandosi in numerosi autoritratti 4 e ritratti, soprattutto di familiari. Nel 1928 comincia l’apprendistato nello studio di Pippo Rizzo, dove conosce Renato Guttuso, uno degli artisti con cui avvierà una proficua collaborazione nel cosiddetto Gruppo dei Quattro. Nel 1929, insieme a Guttuso, Lia ha la sua prima partecipazione pubblica alla II Mostra del Sindacato Regionale di Belle Arti di Palermo, avviando un percorso che la vedrà protagonista delle più importanti manifestazioni artistiche in Sicilia e ampliando la sua presenza nel mondo dell’arte, non solo siciliana. Nella produzione elaborata fino al 1933 forme semplificate, definite da un segno netto e deciso e da un colore opaco che dà consistenza plastica alle figure caratterizzano il suo linguaggio rigoroso e limpido, che accentua gli effetti più mentali che percettivi di una pittura dalle atmosfere sospese, a potenziare la pensosa immobilità delle figure (Guglielmo col gatto nero, 1929; L’ombra di Gesù, 1929; L’Infermiera, 1931; Ragazze alla finestra, 1932; Uomo, donna e cavallo, 1933; Donna e chitarra, 1933). Dopo il 1934 ha inizio una modificazione sensibile delle modalità espressive e l’artista abbandona l’iniziale vicinanza ai modi di Novecento. La scelta viene sviluppata e condivisa all’interno del Gruppo dei Quattro che, insieme a Lia, annovera Giovanni Barbera, Nino Franchina e Renato Guttuso, tutti siciliani. L’esperienza è breve (1934-37) ma intensa e consente agli artisti di proiettarsi sulla scena nazionale. Notevoli sono, infatti, i consensi critici raccolti dai quattro dopo la mostra milanese del 1934 alla galleria Il Milione, di Gino Ghiringhelli, intitolata “Due scultori e due pittori siciliani”. Di loro scrive anche Carlo Carrà il quale sottolinea che la produzione degli artisti siciliani “non è un risultato di teorie preconcette, bensì nasce da necessità interiori, onde le opere … provano in grado diverso che si tratta non di dottrine estetiche applicate, ma di particolari bisogni della loro personalità” Fra i lavori esposti a Milano da Lia, figura Colombi (1934) di cui Pietro Mignosi nel catalogo della mostra dirà che “La carne dei suoi nudi… non fa indovinare lieviti e germi di corruzione; è fatta quasi di un roseo marmo in cui si concreta una sua spicca- ta predilezione al costruttivo. Ed è questo il pregio della Pasqualino, mantenere la freschezza del sentimento … nell’esercizio di una misura di equilibrio di plastico e pittorico”. Se già nel 1934 l’originaria, solenne solidità dei corpi inizia a disfarsi nel roseo marmo della carne dai morbidi toni cromatici, il linguaggio formale dell’artista muoverà progressivamente verso una nuova modalità di stesura del colore che assumerà via via una nuova funzione costruttiva, attenuando la forza scultorea della linea e modificando la pennellata, sempre più veloce, libera e intensa. Alla modificazione di linguaggio non si affianca, tuttavia, un cambiamento di generi e soggetti che rimangono, sostanzialmente, quelli precedenti: nature morte, nudi, personaggi inseriti nel paesaggio, ritratti, in una visione della vita profondamente umana. Il 1936 è, per Lia, l’anno in cui si consolida la svolta formale. Ne sono esempio opere come La fame e Donna e cavallo dove la pennellata si fa sinuosa e affusolata nei corpi nudi allungati e il colore sempre più fluido e sciolto o, ancora, L’attesa (dipinta sul retro di Donna e chitarra) in cui dominano una nuova vitalità narrativa e un’intensa liricità nella densità luminosa del paesaggio e nelle forme sciolte e armoniose delle figure. Ben presto, tuttavia, l’esperienza “dei quattro” è destinata a finire, nonostante la crescente considerazione per il lavoro degli artisti siciliani che si sviluppa in consonanza con la parte più propulsiva e vitale della cultura nazionale. La conclusione è accelerata dalla morte improvvisa, nel 1936, di Giovanni Barbera e dal trasferimento di Franchina e Guttuso da Palermo, tra il ’37 e il ‘38. Negli anni in cui si consuma la fine dell’esperienza del Gruppo, tuttavia, il contesto politico-culturale italiano è ormai in via di progressivo deterioramento: l’Italia già precipita verso la seconda guerra mondiale e l’arte italiana vedrà sempre più polarizzarsi i suoi fermenti più vitali e innovativi intorno a Roma e Milano. Fra il 1944 e il ’45 Lia Pasqualino Noto si dedica alla decorazione murale della rinnovata cappella della clinica di famiglia, in cui l’artista aveva già re- alizzato un affresco con una Madonna col Bambino negli anni ’30, rileggendo con lo sguardo rivolto al presente, al dramma della guerra, i momenti salienti della tragedia cristiana. Dopo la guerra, nel 1948 l’artista è invitata alla Biennale di Venezia e alla Rassegna Nazionale di Arti Figurative promossa dalla Quadriennale d’Arte di Roma. Da questo momento, Lia continuerà a lavorare ma con la consapevolezza di essere ormai al di fuori delle direzioni principali del nuovo sistema dell’arte: “Mi sentivo emarginata ed esclusa – scriverà – Dipingevo ancora, perché dipingere mi piace, ma non parlavo più di pittura”. La sua pittura interpreterà ancora i temi ricorrenti del proprio itinerario estetico - paesaggi, nudi al mare, scene sacre - oltre a soggetti legati al suo vissuto familiare, ma si interrogherà anche su questioni legate al presente - dall’inquinamento al declino di una società sempre più problematica. RENATO GUTTUSO 2 Nato a Bagheria il 26 dicembre 1911, ma registrato all’anagrafe il 2 gennaio 1912, Renato Guttuso si forma inizialmente a nella cittadina natale – accanto al padre che si dilettava di pittura e agli artisti locali D. Quattrociocchi, paesista e E. Murdolo, pittore di carretti – e a Palermo attraverso i contatti con V. Corona e G. Varvaro, le visite alla Galleria d’Arte moderna e la frequentazione dello studio di P. Rizzo esponente di punta del futurismo in Sicilia. Il giovane Renato si avvia alla pittura in un 5 momento di cambiamento del panorama artistico nazionale e regionale: da un lato la diffusione di Novecento e le sue contraddizioni sul territorio nazionale, dall’altro la vivace situazione in Sicilia, dove viene contestata la persistenza dei modi accademici tardo-ottocenteschi e della tradizione paesaggista. In questo contesto, tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30, Guttuso dipinge Pino marittimo con paesaggio (1928), guardando al Carrà de Il pino sul mare, poi, con maggiore autonomia, Paesaggio, Graziella (1929-30), Mucca sotto il ponte (1931) e nel 1932 Palinuro, ultima opera ancora novecentista ma già fuori di esso. Si avvia così un periodo di grande attivismo, con la partecipazione nel 1931 alla Prima Quadriennale romana e alla Sindacale regionale siciliana, gli articoli su L’Ora di Palermo e sul Giornale dell’Arte di Milano; a Roma incontra Carlo Levi, Cagli, Mafai e Raphael e nel 1932, partecipa con successo alla mostra “Sei artisti siciliani” presso la galleria del Milione di Milano. Nello stesso anno fonda a Palermo il “Gruppo dei Quattro”, insieme alla pittrice Lia Pasqualino Noto e agli scultori Nino Franchina e Giovanni Barbera. Nel 1934 il gruppo si presenta a Milano, nella mostra intitolata Due pittori e due scultori e Guttuso si ferma a lungo in città, dove frequenta, tra gli altri, Quasimodo, Vittorini, Treccani, Manzù e Sassu, continuando a dipingere con grande lena. In quest’ambiente nascerà Corrente, 1938, soppressa il 10 giugno 1940. Appartengono a questo periodo due Autoritratti (1936), un Ritratto di Nino Franchina con al collo un fazzoletto rosso garibaldino e una Fucilazione in campagna (1937). Spostandosi da Milano a Roma nel 1937 conosce e frequenta Mario Alicata, Alberto Moravia, Antonello Trombadori ed incontra Mimise Dotti, che diventerà sua compagna. In quello stesso anno espone alla romana galleria della Cometa con Lia Noto e Nino Franchina (Giovanni Barbera era morto poco prima) e inizia a dipingere Fuga dall’Etna, in una elaborazione che prosegue durante il 1938 e viene completata nel 1939; negli anni successivi dipinge Ragazze di 6 Palermo esposto al premio Bergamo del 1941 che conferma la grande passione di Guttuso per Picasso. Nella primavera del 1942 al premio Bergamo presenta Crocifissione. Durante l‘anno 1945 si colloca l’episodio narrato da Lia Noto e ricordato da Arcangelo Pasqualino della visita di Guttuso alla Cappella della Clinica Noto, dell’apprezzamento per gli affreschi e l’esecuzione della Veronica. Dopo i disastri della guerra nacque il Fronte Nuovo delle Arti, una sorta di prosecuzione di Corrente al quale aderiscono numerosi artisti e che riceve il battesimo ufficiale alla Biennale veneziana del 1948, mentre Guttuso continua a dedicarsi alla sua personale sperimentazione stilistica e poetica, sostenendo un’arte realista in contrapposizione con il nascente fronte degli astrattisti e formalisti. Nascono quadri come Occupazione delle terre incolte (1947), Uccisione del capolega (1947), Battaglia al ponte dell’Ammiraglio (1952), Boogie – woogie (1954) e La spiaggia (1955). Seguono Manifestazione (1968), La notte di Gibellina (1970), Funerali di Togliatti (1972), La Vucciria (1974) e Caffè Greco (1976). Numerosi i ritratti di personaggi illustri suoi amici dipinti: Vittorini, Alicata, Mimise, Anna Magnani, Giorgio Amendola, G. Di Vittorio, Moravia, Sciascia, Levi, Manzù, Marta Marzotto. Muore il 17 gennaio 1987. stesso anno 1935 esegue il Ritratto di Guttuso in terracotta, oggi custodito alla GAM di Palermo. Nel 1936 a Milano con Guttuso e Lia Pasqualino Noto (Barbera era morto nel 1935) espone nel 1937 alla galleria La Cometa di Roma. Si stabilisce a Milano nel 1936-37 e aderisce al movimento di “Corrente” (1938-43). Finita la guerra, partecipa al “Fronte nuovo delle Arti” figurando come membro di questo gruppo alla Biennale di Venezia del 1948. Con la scultura Sammarcota, o Portatrice di pietra (1946-7), avviene il passaggio dal realismo a una sintesi plastica, alla formulazione della quale concorrono sia il confronto con la scultura europea contemporanea (H. Moore, J. Lipschitz, H. Laurens, ad esempio) sia la suggestione della scultura arcaica e classica della Sicilia. Vive a Parigi fino al 1950, dove espone nel 1949 e dove avviene il passaggio definitivo dal figurativo all’astratto, a cui contribuiscono sia le influenze delle avanguardie storiche, ad esempio quella futurista, sia l’arte dello scultore rumeno C. Brancusi che Franchina incontra a Parigi. Muore a Roma il 20 aprile 1987. dei Quattro”. Nel 1934 e nel 1935 espone con i “Quattro” presso la galleria Il Milione di Milano e presso la galleria Bragaglia di Roma, prima di morire improvvisamente nell’agosto del 1935. Tra le sculture di Barbera ricordiamo: Teste di Bimbi, Madre e figlio, Nudo di Ragazza, le opere dal titolo Amanti, Nudo sdraiato, Sogno del Pescatore e - alla GAM di Palermo, in seguito alla donazione del padre dello scultore - Adolescente, Fanciulla addormentata, Donna seduta. Nella casa della pittrice Lia Pasqualino Noto si conserva parte della breve ma pur intensa produzione dell’artista. 5 Giovanni Barbera nato a Palermo nel 1909, studia all’Accademia di Belle Arti di Palermo sotto la guida dello scultore Antonio Ugo. Nel 1928 espose il marmo L’Asceta e successivamente si dedica allo 6, 7 4 BARBERA E FRANCHINA Nino Franchina (Palmanova 1912 – Roma 1987) vive la sua giovinezza a Palermo, dove si forma. Con il Gruppo dei quattro artisti di Palermo espone nel 1934 e nel 1935, presso la galleria Il Milione di Milano e presso la galleria Bragaglia di Roma. Nello 3 studio della terracotta; è del 1931 il suo vero pubblico esordio, con la partecipazione alla “Mostra dei Dieci” tenutasi al Circolo Artistico di Palermo. Dopo le partecipazioni nel biennio 1932-33 alla terza Mostra Sindacale Siciliana, alla Mostra Interregionale di Firenze e alla “Mostra dei 20 artisti di Sicilia” tenutasi a Palermo nei saloni del Teatro Massimo di Palermo entra a far parte del “Gruppo 1. Lia Pasqualino Noto “Autoritratto” 2. Renato Guttuso “Autoritratto” 1936 3. Nino Franchina “Nudino” 4. Giovanni Barbera “Madre e figlio” 5. Lia Pasqualino Noto “Ragazze alla finestra” 1932 6. Lia Pasqualino Noto “L’infermiera” 1931 7. Renato Guttuso “Crocifissione” 1941. 7 capitolo III La Cappella della Clinica Noto La Cappella della Clinica Noto presenta una semplice aula a pianta rettangolare con copertura a volta ed è ubicata nel piano seminterrato della casa di cura. Inaugurata nel mese di Maggio dell’anno 1933, è originariamente costituita da un ambiente di limitate dimensioni, corrispondente alla parte posteriore del vano attuale; l’altare è addossato alla parete di fondo e la piccolissima area presbiteriale viene delimitata da una balaustra in ferro battuto. Sopra l’altare la pittrice Lia Pasqualino Noto, figlia del fondatore della Clinica, dipinge l’affresco raffigurante la Madonna della Speranza Intorno alla metà degli anni ’40 si avviano i lavori di ampliamento: al vano originario si annette un locale retrostante, fino ad allora utilizzato come magazzino, un arco a sesto ribassato delimita e contemporaneamente unisce i due spazi ed uno stanzino adiacente alla nuova area viene trasformato in sagrestia. L’altare viene spostato sul lato opposto, distaccato dalla parete, e la Cappella è dotata di nuovi arredi (banchi, inginocchiatoi, lo stesso altare e tabernacolo) eseguiti da un artigiano locale, tale Mastro Mimì. Contestualmente ai lavori di ampliamento, tra il 1944 e il 1945, Lia Pasqualino Noto si dedica all’esecuzione di un pregevole ciclo pittorico lungo tutte le pareti dell’aula, con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, compiendo un intervento di straordinario valore artistico; nel 1945 in occasione di una visita alla Cappella, Renato Guttuso, entusiasta dinanzi all’opera di Lia, interviene su una delle scene ancora incompiute, completando una Veronica che 8 la pittrice aveva appena abbozzato. Dagli anni ’50 la Cappella viene frequentata regolarmente dai membri delle famiglie Pasqualino e Noto, dai loro amici, dai degenti della clinica che assistono alla Messa domenicale condividendo momenti di vita religiosa ed eventi legati alla sfera personale. Negli anni ’70 la Noto interviene nuovamente sulle pitture per rimediare ai danneggiamenti arrecati dall’usura del tempo, da infiltrazioni di umidità, persino da gesti irresponsabili da parte di alcuni visitatori e restaura personalmente le immagini degradate, riportandole all’originario splendore. L’impianto architettonico, dopo l’ampliamento degli anni ’40, non ha subito significative modifiche, se non il trasferimento della sagrestia in una piccola sala adiacente il viale Regina Margherita Il ciclo pittorico Arco: Paradiso terrestre e adamo ed eva scacciati (lato madonna della speranza) Arco: Arca di noe’ e diluvio universale (lato altare) Annunciazione Nativita’ I. Gesu’ condannato a morte da pilato II. Gesu’ riceve la croce III. Gesu’ cade la prima volta IV. Gesu’ incontra la sua ss. Madre V. Gesu’ aiutato dal cireneo VI. Verorica asciuga il volto di gesu’ VII. Gesu’ cade la seconda volta Madonna della speranza VIII. Gesu’ consola le pie donne IX. Gesu’ cade la terza volta sotto la croce X. Gesu’ spogliato delle sue vesti S. Damiano e s. Cosimo (rigirata) XI. Gesu’ inchiodato sulla croce XII. Gesu’ muore sulla croce XIII. Gesu’ deposto dalla croce S. Lucia e s. Antonio (rigirata) Gesu’ posto nel sepolcro Resurrezione Cristo a braccia aperte Il ciclo pittorico della Cappella della Clinica Noto è un’opera nota solo a pochi e a cui è stata prestata una troppo debole attenzione. Il programma iconografico, sviluppato dalla pittrice Lia Pasqualino Noto con intensa partecipazione e impegno, affronta, lungo le pareti che delimitano l’aula, il tragico racconto della Passione di Cristo, a cui si legano l’Annunciazione, la Natività e la Resurrezione. Sull’arco centrale si svolgono due racconti tratti dal libro della Genesi: Il Paradiso Terreste e la cacciata dei progenitori, su un fronte, il Diluvio Universale sull’altro; sulla volta emerge un Cristo monumentale a braccia aperte, mentre sulla parete di fondo si inserisce la delicata Madonna della Speranza con Bambino. La raffigurazione di Sante e Santi, in corrispondenza delle rigirate d’ingresso, completa l’opera. Il ciclo pittorico della Cappella impegna Lia in una profonda riflessione sulla religiosità e sul tema del sacro, condotta in tempi diversi e attraverso un lungo cammino tematico e stilistico, che svela la complessità della sua ricerca artistica. La pittrice proietta sulle scene, in un’ininterrotta narrazione figurativa, tutte le sue tensioni interiori e le immagini più care, alternando tocchi rapidi e incisivi a pennellate pacate dai toni delicati. Ne deriva una visione particolarissima e al contempo tragica dell’umanità e del divino: i personaggi sono sempre segnati dalla tensione, mossi «... da un’insoddisfatta “fame” fisica, sociale e spirituale ...» (Luigi Russo) e l’esperienza religiosa viene proiettata in una dimensione tutta terrena, in una realtà sentita come attesa e disfacimento e nella quale si riflettono anche le tragiche esperienze del conflitto mondiale. Nel racconto della Via Crucis il tema sacro è vissuto come sacrificio, dolore, morte e riletto in termini strettamente umani, attraverso le esperienze personali dell’artista e collettive: un aguzzino con la svastica sulla maglia, la camicia nera dei giudei con i loro ghigni e le perfide smorfie sui volti, una suora della clinica che assiste impotente alla crocifissione accanto ad una Maddalena tragica che si nasconde il viso per non vedere, in un pathos crescente che raggiunge uno dei momenti più elevati nella cruenta immagine dell’inchiodatura sulla croce. Emerge così la grande maturità interpretativa e stilistica di Lia Pasqualino Noto, capace di distaccarsi dall’iconografia tradizionale della Passione per tramutarla in vicenda corale, con mirabili scelte cromatiche che, unite ad un linguaggio scarno e diretto, sottolineano i momenti salienti del dramma in atto. A questa umanità tragica e variegata si lega pure l’intensa Veronica inginocchiata, dipinta da Renato Guttuso in occasione della visita del 1945, alla quale fa da contrappunto una bella figura femminile che si copre il volto con un braccio. L’elemento unificatore di tutti gli eventi è il paesaggio, in cui la Noto si abbandona ad una pennellata libera, con tagli in profondità ed una ricca gamma coloristica, rinunciando alla monocromia scelta per le figure umane: ecco stendersi, dunque, il cielo cupo e tenebroso su cui spiccano dense pennellate blu e ciclamino, al di sopra di scorci con pietre, ulivi e piante grasse di ispirazione mediterranea. Nell’arco centrale, dove sono raffigurati gli episodi dell’Antico Testamento, Lia Noto cerca un effetto più pacato, privilegiando tinte tenui, come marroni, ocre e verdi chiari. Nel Paradiso Terrestre lo scenario, inquadrato simmetricamente dai due episodi con le storie dei Progenitori (il Peccato e la Cacciata), rimanda a luoghi esotici e ricrea uno zoo primitivo e composito, insolito nel repertorio della pittrice; qui all’atmosfera idilliaca e sospesa ricreata sul lato sinistro, si contrappone, sul lato opposto, la spinta dinamica degli animali in fuga sospinti dall’angelo, e il triste incedere di Adamo ed Eva che si allontanano verso l’arido paesaggio montano dello sfondo. Nella scena del Diluvio Universale il racconto biblico ancora una volta si lega al vissuto personale: nello scenario primitivo, sulla marina si staglia un cavallo, animale prediletto, attorniato da alcune figure umane che rimandano ad altre opere della pittrice (vedasi Donna e cavallo, 1936), mentre nella fisionomia del Patriarca, sul lato destro, sono leggibili i lineamenti di Antonio Pasqualino, figlio della stessa Lia. 9 1 2 capitolo V Frammenti di un sogno: Palermo capitale Una passeggiata per via Dante 1. Arco: Paradiso terrestre e Adamo ed Eva scacciati (dettaglio) 2. Arco: Arca di Noe’ e diluvio universale (dettaglio) 3. X. Gesu’ spogliato delle sue vesti (dettaglio) 4. XI. Gesu’ inchiodato sulla croce (dettaglio) 5. XIII. Gesu’ deposto dalla croce (dettaglio) 6. XII. Gesu’ muore sulla croce (dettaglio) 7 Gesu’ posto nel sepolcro (dettaglio). 3, 4 5, 6 7 10 Così come oggi la conosciamo, via Dante si forma subito dopo la conclusione della Esposizione Nazionale tenutasi a Palermo negli anni 1891-92, attraverso l’apertura del tratto compreso tra piazza Castelnuovo e l’antica via Malaspina (l’attuale piazza Virgilio). Il nuovo tratto, inizialmente denominato via della Esposizione, è il prolungamento verso la città, in linea retta, della preesistente “strada dei Lolli”, ossia il tratto di via Dante compreso tra piazza Virgilio e via Serradifalco. L’antica “strada dei Lolli” era stata allargata e rettificata già nel 1832, ma un forte impulso alla sua urbanizzazione era stato offerto a partire dal 1878 con la costruzione della nuova linea ferroviaria per Trapani e Castelvetrano e della Stazione Lolli. Il prolungamento della “strada dei Lolli” fino a piazza Castelnuovo permise così di collegare direttamente al nuovo centro cittadino non solo la nuova stazione, ma anche, attraverso un brevissimo tratto di via Serradifalco, la piazza Principe di Camporeale e la contrada della Noce. Era il 1910 quando le due strade, unificate, assunsero la nuova denominazione di via Dante. Tra gli ultimissimi anni dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo, via Dante diviene in breve un importante asse viario, centro di una lottizzazione a palazzine destinate ad accogliere le abita- zioni dell’emergente borghesia cittadina, professionale, imprenditoriale e commerciale. La tipologia edilizia che caratterizza l’intera strada è quella del palazzo a più piani diviso in appartamenti, con botteghe e magazzini al piano terra. Vi si può riscontrare una certa omogeneità nei prospetti e nella conformazione generale, ancora pienamente leggibile, nonostante la presenza di alcuni edifici del secondo Novecento, che talvolta ne interrompono la continuità. Le facciate degli edifici che vi prospettano presentano l’intero repertorio eclettico dell’architettura di fine Ottocento, con alcuni innesti che conducono alla stagione del Liberty e del Decò. Vi insistono soltanto pochissime ville, Favaloro, Caruso, Zanca, Malfitano (il villino Civiletti, sorto nel primo tratto, è stato abbattuto per far posto ad un recente condominio), cui si aggiungono i numerosi interessanti palazzi padronali o in condominio, quali il palazzo Ziino, oggi sede della gipsoteca comunale, e, alla fine, i parchi di villa Malfitano e di villa Serradifalco, che in qualche modo rimangono a testimoniare l’utilizzo di questa zona, fino alla fine dell’Ottocento, quale luogo di villeggiatura. Con qualche eccezione (l’Edificio Scolastico all’angolo di piazza Castelnuovo, l’Ospizio di Beneficienza, la Stazione Lolli, la Clinica Noto), i fronti della strada non presentano edifici o attrezzature di carattere pubblico; ciò ha conferito alla via una funzione prevalentemente residenziale e commerciale. Oggi è uno dei più trafficati assi stradali di scorrimento e di attraversamento della città in direzione Est-Ovest. Una passeggiata per via Dante può perciò costituire un modo per riappropriarsi della sua dimensione umana, ma anche di ripercorrere, attraverso uno sguardo attento ai suoi edifici, una parte di storia dell’architettura e dell’urbanistica palermitane tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo. 11 1 2, 3 10, 11 4 5, 6 13, 14 7 8, 9 15 12 12 1. Clinica Noto 2. Palazzo Morra 3. Real Ospizio di Beneficienza 4. Palazzina Civiletti 5. Palazzo Ziino 6. Palazzo Matracia 7. Palazzo D’Angelo 8. Villino Favaloro-Di Stefano 9 Palazzo Pagano 10. Stazione Lolli 11. Monumento a Giovanni Melii 12. Cinema-teatro Dante 13. Casa Zanca 14. Villa Caruso-Valenti 15. Villa Whitaker 13 Una passeggiata per via Dante Percorso 1- Palazzo Falcone 2- Palazzetto Barocchiere 3- Casello ferroviario 4- Palazzo cooperativa “Il Piave” 5- Palazzo Morra 6- Palazzo Corrao 7- Real Ospizio di Beneficienza 8- Ex Villa Civiletti 9- Palazzina Civiletti 10- Palazzo Ziino 11- Palazzo Matracia 12- Palazzo D’Angelo 13- Palazzo Visconti 14- Palazzo Arici 15- Villino Favaloro-Di Stefano 16- Palazzo Pagano 17- Stazione Lolli 18- Monumento a Giovanni Meli 19- Cinema-teatro Dante 20- Palazzina Rutelli 21- Torre dell’acqua 22- Casa Zanca 23- Villa Caruso-Valenti 24- Villa Whitaker afra Vill Via hes puc nca eS D Via 19 10 12 14 15 17 a P.zz i Loll 18 16 2 13 Vi a La 11 5 9 8 7 6 4 tin i re rlato a Via P nte 21 20 1 3 a Via D 23 22 24 14 nte a Via D 0 15 capitolo IV Frammenti di un sogno: Palermo capitale l’Olivuzza e i Florio La Clinica Pasqualino Noto sorge in un’area che, per la bellezza dei luoghi, la ricca vegetazione e il clima salubre, era prediletta, fin dal Cinquecento, per la caccia e la villeggiatura. Quest’area comprende la contrada Olivuzza. Secondo la tradizione la Contrada Olivuzza deriva il suo nome dalla signora Oliva, la proprietaria di una bettola dove i cacciatori amavano rifocillarsi nel corso delle loro battute, anche se recenti ricerche collegano il termine Olivuzza all’arabo “wali al wiznah”, cioè luogo della pestatura, denominazione della contrada durante il dominio arabo. Posta ai margini del regio parco normanno della Zisa, delimitata dalle mura dei bastioni d’Aragona e della Balata e più recentemente dal Corso Alberto Amedeo e dalla Via Goethe, era raggiungibile attraverso lo “stratuni”, ovvero l’omonima via Olivuzza (oggi Corso Finocchiaro Aprile) e la via Lolli (oggi via Dante). Già dal XVI secolo qui erano sorte costruzioni di campagna e “casene” di villeggiatura, in gran parte concentrate nei pressi della Zisa. Tra la fine del XVIII e l’inizio del secolo successivo si arricchisce di eleganti ville in stile neoclassico o neogotico, coerenti con la moda architettonica dell’epoca, e di palazzi signorili. Scelta come abituale residenza da famiglie nobilissime e da facoltosi imprenditori cittadini – tra i quali i Florio, che qui vissero i loro fasti e il loro declino – vantò prestigiosi ospiti stranieri, tra i quali lo Zar Nicola I e la Zarina Alessandra di Russia. 16 L’area oggi custodisce memorie di antiche ville e prestigiosi edifici di fine ‘800, mirabili testimonianze liberty e più recenti realizzazioni novecentesche ma mostra, altresì, i segni di un costante sviluppo edilizio che l’ha interessata fino agli ultimi decenni del secolo scorso, alterando talora i tratti signorili originari. Ecco dunque – a partire dal tratto finale della via Dante, verso la via Serradifalco - l’ultimo frammento della grandiosa tenuta Serradifalco, che vantava un grandioso parco (1) ricco di piante esotiche e custode dei ruderi della distrutta chiesa di S. Nicolò alla Kalsa, la villa Laura (2) poi rivenduta, e la villa residenziale in stile neoclassico demolita intorno al 1960; una palazzina di fine ‘800 (5) già appartenuta alla famiglia Pignone del Carretto caratterizzata in facciata da modanature architettoniche di ispirazione classica e floreale, il sobrio Palazzo Camporeale (7), dimora Pietro Paolo Beccatelli, che conserva in corrispondenza dell’ingresso un’elegante pensilina in ferro e vetro. In questa area, dove le vie Dante e Serradifalco confluiscono nella Piazza, sorgeva lo stabilimento delle Manifatture Ceramiche Florio (3), dominato da una grande ciminiera che svettava sui caseggiati; i capannoni sorgevano sulla piazza e a seguire erano presenti due palazzetti residenziali. Delle strutture originarie rimane soltanto un fabbricato residenziale a facciata rustica (4), sulla via Serradifalco. Cuore della contrada era Piazza Principe di Camporeale (6), detta “Piazza Olivuzza” o anche “Piano della Chiusa dei Lanza”, per i terreni di proprietà dell’aristocratica famiglia tra le vie Serradifalco e Noce; nel corso del ‘900 l’area fu intitolata al già citato Pietro Paolo Beccatelli, Principe di Camporeale. La piazza, progettata all’inizio del ‘900 secondo un ordinato disegno di viali rettilinei confluenti in una piazzola circolare, è conclusa da due aiuole, anch’esse circolari, che ospitano i busti commemorativi di Ignazio Florio e Francesco Paolo Ciaccio, membro del Comitato rivoluzionario del 1848. Sul lato nord-ovest è visibile una cabina Enel in stile tardo-liberty. Nel tratto finale di Piazza Principe di Camporea- le, in confluenza con la Piazzetta Sacro Cuore - di fronte alla Palazzina Naselli di Gela (14) e all’Istituto Sacro Cuore, già Villa Pignatelli (12) e nei pressi dell’ex correria Pignatelli (13) - sorgono una serie di edifici che costituirono un tempo quella vasta proprietà nota come Villa Florio all’Olivuzza, dal nome della famiglia Florio, le cui vicende imprenditoriali e personali segnarono la vita culturale, economica e sociale della città di Palermo tra ‘800 e ‘900. Facevano parte della villa: Palazzo Florio Fitalia (8), oggi sede del Convento delle Figlie di S. Giuseppe, che presenta inserti architettonici di derivazione classica e conserva il portone in ferro battuto realizzato dalla fonderia Oretea; la Palazzina Florio (9), Palazzo Florio-Wirz (10) in stile neogotico con avancorpi poligonali, e Palazzo Butera-Wilding (11) in stile neo-gotico veneziano, con una loggia ad archi ogivali in ghisa. Dopo il fallimento Florio, nel 1918 l’intera proprietà dell’Olivuzza venne acquisita dalla Società Siciliana Immobiliare Anonima, che, lottizzata, la pose in vendita. In corrispondenza della via Oberdan si apriva il viale principale del Parco Florio, la grande tenuta di famiglia che dalla Piazzetta Sacro Cuore si estendeva fino alla linea ferrata dei Lolli, con statue e vasche, un laghetto, vari padiglioni ed un tempietto monoptero su una collinetta. Nell’area della suddetta collinetta fu eretto, tra il 1900 e il 1903 su progetto di Ernesto Basile, Villino Florio (15), pregevole esempio del Liberty palermitano. L’edificio rappresenta uno straordinario esempio di “arte totale”, una perfetta sintesi di riferimenti formali e figurativi di derivazione diversa, dal repertorio medievale al moderno, in un gioco di volumi aggettanti e rientranti impreziositi da raffinate decorazioni floreali La via Oberdan confluisce in viale Regina Margherita, inizialmente denominata “via delle Palme”; la strada, tracciata nel Parco Florio (come le vie Narbone, Fischietti, Maurigi e Pasculli…) dopo la lottizzazione compiuta dalla Società Siciliana Immobiliare Anonima, ripercorre uno dei viali della tenuta. Una cortina di palazzi, palazzine e villini edificati negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta costituisce i fronti della strada e la qualifica con eleganti caratteri formali di varia ispirazione, dal classico al gotico, fino al modernismo o anticipatori di tendenze razionaliste. Tra questi, ricordiamo: Villino Bellacorte Cipolla (16), a due elevazioni ed un palazzo (17) con un’originale soluzione angolare, caratterizzata da balconi aggettanti sul piano incavato; sul fronte opposto un palazzo anni ’30 (18), con torrette angolari ed un palazzo anni ‘40 (19) con verandine laterali, quindi Palazzo Mangano (20), progettato da Salvatore Caronia Roberti alla fine degli anni ‘40 con un prospetto curvo che si lega all’andamento viario, la Casa di cure Demma (21) in stile neogotico e ad angolo con la via Dante la Clinica Pasqualino Noto (22) 1 17 3 4, 5 6 o adifalc rr Via Se 2 nte a Via D 3 erita na Margh 1 2 21 Via Regi 4 22 5 20 7, 8 1. Giovanni Boldini “Ritratto di Donna Franca Florio” 2. Casa Florio 3. Ex stabilimento delle Manifatture Ceramiche Florio e palazzetti residenziali, anni ‘60 -’70 4. Ignazio e Franca Florio con i piccoli Giovanna e Ignazio (Baby Boy) - 1895 5. Ignazio, Franca e Igiea Florio 6. Palazzo Butera-Wilding 7. Parco della Villa serradifalco - ruderi della Chiesa di S. Nicolò 8. Parco Florio 9. Piazza Principe di Camporeale, in.’900. Sulla destra le Manifatture Ceramiche Florio 10. Villino Florio 9, 10 18 17 19 P.zza P.pe di Camporeale 6 tti chie is Via F 7 16 15 18 8 n a erd Ob Via 9 14 10 P.z z aS 12 ac 11 ro C uo re 13 19 Progetto grafico Prof. Franco Reina Via A. La Marmora 66 - 90143 - Palermo tel. 091.342074 - Fax 091.6257148 [email protected] www.artisticocatalano.gov.it
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