Istituto di Spiritualità “s. Teresa di Gesù Bambino” -‐ Pisa Abramo: il padre nella fede La storia del patriarca così come ce la racconta Gen 12,1-‐25,11 Alessandro Biancalani Anno Accademico !"#!-‐!"#$ Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Presentazione La figura del patriarca Abramo abbraccia le tre grandi religioni del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’islam. È chiaro che siamo dinanzi ad un personaggio che ha lasciato traccia con la sua storia, assunta, in modi differenti, da miliardi di fedeli nel mondo. Parlare di Abramo, dunque, può essere molto semplice per la narrativa sulla sua figura e la bibliografia che lo riguarda. All’interno della tradizione cattolica, poi, abbiamo una serie di riletture continue sia dell’Antico, come del Nuovo Testamento del patriarca. A fronte di tutto ciò si potrebbe rimandare, nell’anno della fede che ci accingiamo a vivere, alla lettura di numerosi testi che lo riguardano. Sarà cosa buona e giusta poterlo fare con continuità durante tutto questo anno, per entrare in contatto con la fede di Abramo. Il presente studio, dunque, non vuole né affermare cose nuove, né, tantomeno, offrire nuovi punti di vista o di interpretazione sulla figura di Abramo. Si pone, però, come un percorso che accompagna lo studente alla scoperta delle sue scelte di vita, così come ci sono narrate nel ciclo di Genesi che lo riguarda (12,1-25,11). Non, dunque, analisi del testo per cogliere la figura di Abramo nella sua complessità biblica, ma seguire il testo di Genesi, per potersi calare nella sua vicenda umana fatta di scelte, di relazioni e di decisioni. La sua figura infatti dovrà emergere a poco a poco dal percorso testuale che il corso proporrà. Nelle conclusioni non ho previsto poi una sintesi o aperture nuove sulla sua figura perché ho semplicemente considerato concluso il percorso: egli è il padre nella fede, anche noi, come lui, siamo invitati ad iniziare il nostro viaggio alla luce della medesima fede. Un’analisi, dunque, della sua vita, che vuole attivare un duplice percorso: da una parte seguire il patriarca, dall’altra porre noi stessi in questo medesimo atteggiamento di ascolto e di obbedienza. La presente dispensa è riservata agli studenti del corso di “Spiritualità dell’Antico Testamento” dell’Istituto di Spiritualità “s. Teresa di Gesù Bambino” di Pisa, dell’anno accademico 2012-2013. 1 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Indice I. Presentazione del ciclo di Abramo: Questione letteraria, storica, culturale e religiosa 1. La questione letteraria a. Una panoramica generale b. La teoria documentaria c. La rimessa in discussione d. L’unità del testo 2. La questione storica a. Le difficoltà storiche b. Racconti non storici c. Nuovi orientamenti critici d. Il contributo dell’archeologia e. La religione dei patriarchi: testimonianza ed interrogativo II. La vocazione di Abramo: Gen 12,1-9: un nuovo inizio 1. Gen 12,1-9: un nuovo inizio a. Gen 12,1-3: una Parola divina b. Gn 12,4-9: la risposta umana 2. La vocazione di Abramo: testo chiave a. Risposta a ciò che precede b. Sfida per ciò che segue III. Il cammino di Abramo: I Parte: Gen 12,10-15,21 3. Gen 12,10-13,18: Terra a. Gen 12,10-13,1: abbandono della terra b. Gen 13,2-18: offerta del paese 4. Gen 14,1-24: Benedizione a. Gen 14,1-4.5-12: due guerre mondiali b. Gen 14,13-16: Abramo, benedizione per le nazioni c. Gen 14,17-24: benedizione personale per Abramo 5. Gen 15,1-21: Discendenza 2 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org IV. Il cammino di Abramo: II Parte: Gen 16,1-19,29 6. Gen 15,1-18,16a: Discendenza a. Gen 16,1-16: seconda soluzione umana: la madre portatrice b. Gen 17,1-27: una soluzione divina: una promessa c. Gen 18,1-16a: una soluzione divina: una promessa confermata 7. Gen 18,16b-19,29: B1 La benedizione a. Gen 18,16b-33: l’intercessione di Abramo b. Gen 19,1-29: distruzione di Sodoma, salvezza di Lot V. Il cammino di Abramo: III Parte: Gen 19,30-23,20 8. Gen 19,30-21,21: la Discendenza a. Gen 20,1-18: l’abbandono della madre del figlio promesso b. Gen 21,1-7: la nascita del figlio promesso c. Gen 21,8-21: la cacciata di una madre e di suo figlio 9. Gen 21,22-34: B2 La benedizione 10. Gen 22,1-24; C2 La discendenza a. Gen 22,1-19: l’offerta del figlio della promessa b. Gen 22,20-24: la nascita di Rebecca 11. Gen 23,1-20: A1 Il paese VI. La continuazione al di là della morte: II Parte: Gen 24,1-25,11 12. Gen 24,1-67: il matrimonio di Isacco e Rebecca 13. Gen 25,1-6: padre di una moltitudine 14. Gen 25,7-11: la morte di Abramo CONCLUSIONE 3 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Abramo: “il padre della fede” Presentazione del ciclo di Abramo Questione letteraria, storica, culturale e religiosa Premessa Leggere un testo non è mai un atto oggettivo. Ogni lettore si accosta al testo a partire dalla sua ottica, dalla sua cultura, dalla sua educazione, dalla sua esperienza, dalle sue preoccupazioni, dalle sue speranze e dalle sue delusioni. Constatiamo, anche, che il lettore cha ha letto un testo e, poi, lo rilegge in un’altra occasione vi troverà qualcosa di differente. È impossibile cercare di prevedere tutte le domande che i lettori potrebbero porsi a proposito del ciclo di Abramo (Gen 12,1-25,11). Le difficoltà principali si situano a quattro livelli: ci sono difficoltà letterarie, storiche, culturali e religiose. Tali questioni hanno talvolta dei punti in comune, ma sono tuttavia abbastanza distinte da poter essere trattate separatamente. 1. La questione letteraria a. Una panoramica generale La prima difficoltà riguarda l’origine e la composizione dei testi che ci descrivono la vita di Abramo. Si possono citare alcuni esempi che bastano a segnalare un problema, che il lettore ha, forse, già notato da sé. Si ritrovano regolarmente, nel ciclo di Abramo, racconti che si somigliano e che sembrano essere ripetizioni o doppioni. Quando Abramo discende in Egitto a causa della carestia, fa credere al Faraone, per avere salva la vita, che sua moglie Sara sia sua sorella (12,10-20). Una storia simile è raccontata in occasione del soggiorno di Abramo a Gerar (20,1-18). Un racconto descrive come Dio conclude un'alleanza con Abramo (c. 15) e due capitoli dopo si legge una seconda volta che Dio conclude un'alleanza con lui (c. 17). Dopo che Agar ha dato alla luce suo figlio Ismaele, entra in scena la gelosia: Abramo e Sara provocano l'allontanamento di Agar e di suo figlio (16,6). Un po' più avanti nel testo, Agar e suo figlio sono cacciati una seconda volta (21,8-21). Un giorno, Dio promette ad Abramo che avrà un figlio da Sara l'anno seguente (17,21). Più tardi, Abramo ricevette tre visitatori che gli annunciano un'altra volta che avrà un segno l'anno seguente (18,10). Segnaliamo inoltre che nei due racconti qualcuno ride: Abramo nel primo (17,17), Sara nel secondo (18,12-15). 4 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Un lettore un po' attento nota questi doppioni, ma un altro, più critico noterà ancora altre irregolarità nei testi. Quando Abramo, rispondendo alla chiamata di Dio, parte dalla sua terra, il testo aggiunge: “e con lui partì Lot” (12,4). Il versetto seguente prosegue: “Abram imprese Sarai, sua moglie, e Lot, figlio di suo fratello…, e si incamminarono” (12,5). Se Lot parte con Abramo, perché Abramo deve ancora prenderlo con sé? Il testo precisa che Ismaele, il figlio di Abramo: “aveva 13 anni quando si è circonciso la carne del prepuzio” (17,25). Isacco nasce un anno più tardi1. Dopo che “il bambino crebbe e fu slattato” (21,8). Ismaele derise il fratellino (21,9); fu questa la ragione della cacciata di lui e di sua madre. Ismaele aveva, dunque, allora almeno quindici anni. b. La teoria documentaria Da questi doppioni e altre irregolarità gli esperti hanno dedotto che l'origine del ciclo di Abramo doveva essere complessa. Si trovano, infatti, difficoltà letterarie simili un po' dovunque nel Pentateuco, che la tradizione giudaica chiama Torah o legge. Da molto tempo è stata abbandonata l'idea tradizionale che Mosè sia stato l'autore di tutta la Torah. Quando si parla della “legge di Mosè” non si vuole dire che egli stesso ne ha descritto tutti testi, dal primo versetto (Gen 1,1) fino all'ultimo (Dt 34,12). La tradizione ha semplicemente attribuito tutta la legge a Mosè, così come attribuisce i salmi a Davide e la letteratura sapienziale a Salomone. Sono state proposte diverse teorie, per spiegare la mancanza di unità e di logica del Pentateuco. Una prima soluzione è “l'ipotesi dei frammenti”, secondo la quale un solo editore avrebbe riunito brani indipendenti, per farne un racconto più o meno unificato. Una seconda soluzione è “l'ipotesi di complementi”: all'inizio ci sarebbe stato un racconto bene unificato, un solo autore; in seguito, altri scrittori avrebbero fatto delle aggiunte, spezzando così l'unità del racconto originario. Una terza soluzione è “l'ipotesi documentaria”, che conobbe una lunga evoluzione, a partire dalla fine del secolo scorso fino ai giorni nostri. Questa ipotesi documentaria propone che il Pentateuco sia composto da quattro documenti originariamente indipendenti, di epoche e di regioni differenti, ma che comprendono talvolta gli stessi dati. Questi documenti sarebbero stati fusi, in varie fasi, da diversi editori o redattori. Ogni documento ha il suo vocabolario, il suo stile e la sua teologia particolare, il che permette di 1 Si confrontino 17,1 e 21,5. 5 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org riconoscerlo. Siccome gli autori non sono conosciuti, sono stati dati i loro nomi fittizi: trazione Jahvista (J), Elohista (E), Deuteronomistica (D) e Sacerdotale (P)2. Un confronto con i quattro vangeli del nuovo testamento potrebbe aiutare a capire questa teoria dei quattro documenti. Ciascuno degli Evangelisti ha il suo vocabolario, il suo stile la sua teologia particolare, che il lettore non del tutto inesperto riconosce abbastanza facilmente. Ci fu un'epoca in cui si scrivevano storie di Gesù utilizzando copie attinte dai quattro Vangeli. Il lettore attento, leggendo tali opere, poteva distinguere quale passo fosse stato tratto da Matteo, quale da Marco, quale da Luca o da Giovanni. Lo stesso può dirsi del Pentateuco: i quattro documenti sono adesso mischiati, si ritiene che il lettore attento possa riconoscere. Siccome il documento D si ritrova soltanto nel libro del Deuteronomio, il ciclo di Abramo si suddivide tra i documenti jahvista (J), elohista (E) e sacerdotale (P). Gli studiosi si sono domandati inoltre a quale epoca risalgono tali documenti e per rispondere a questa domanda hanno applicato gli stessi principi che si utilizzano per trattare qualsiasi testo. Riferimenti storici, oltre che il linguaggio del testo, possono servire utilmente a tal fine. Ogni lingua, infatti, conosce l'evoluzione: il francese, per esempio, parlato oggi è molto diverso da quello di alcuni secoli fa. Altre indicazioni permettono di trovare il luogo di origine. Se in un testo si parla costantemente di Roma e in un altro sempre di Firenze, non sarà difficile scoprire da dove provengono questi due testi. Così, J viene collocato generalmente nel X sec. a. C., al tempo di Davide o, meglio ancora al tempo di Salomone, e si sottintende che proverrebbe dal regno del sud, da Gerusalemme. E sarebbe datato al secolo seguente e proverrebbe dal regno del Nord. P sarebbe stato scritto da sacerdoti di Gerusalemme e risalirebbe al VI sec. A. C., durante o dopo l'esilio. I primi studiosi all'inizio del secolo, fra i quali J. Wellhausen è il più conosciuto, parlavano di documenti, dunque di testi scritti. Ma altri studiosi, come H. Gunkel, M. Noth e G. von Rad, hanno preso in esame lo Stato, padre letterario di tali documenti. Il loro contenuto sarebbe circolato oralmente nella comunità e nella redazione scritta sarebbe, dunque, il risultato di un lungo processo della tradizione. Certi autori preferiscono così parlare di tradizioni, invece, che di documenti. Questa teoria documentaria sembra spiegare le difficoltà che sono state sollevate: dato che il ciclo di Abramo è composto da diversi documenti o tradizioni, non c'è da meravigliarsi che contenga dei doppioni. Il primo racconto nel quale Abramo fa credere che sua moglie Sara sia sua sorella (12,10-20) appartiene alla tradizione J, il secondo (20,1-18) alla tradizione E. La prima alleanza (c. 15) è J, e la seconda (c. 17) P. La prima cacciata di Agar (16,6) appartiene a J, la seconda (21,14) a E. Riguardo alla promessa che avrà ora un 2 Così siglata dal tedesco Priestercodex. 6 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org figlio l'anno seguente, il primo racconto, nel quale Abramo ride (17,17), è P; il secondo nel quale è Sara che ride (18,12) , è J. Le altre irregolarità del testo si spiegano ugualmente mediante questa teoria documentaria. Il racconto della partenza di Abramo (12,1-9) sarebbe una compilazione di frammenti J (vv. 1-4a + 6-9) e P (vv. 4b-5). Secondo J, Lot partì con Abramo (v. 4a) mentre, secondo P, Abramo prese Lot con sé (v. 5). Questo collage delle diverse tradizioni spiega anche la difficoltà sollevata dall'immagine di Agar che porta un adolescente sulle sue spalle. L'indicazione che Ismaele ha 13 anni (17,25) è P, mentre il testo che menziona che sta sulle spalle di sua madre (21,14) è E. Il redattore finale, che ha compilato questi diversi documenti non si è preoccupato di tale problema, del quale, forse, non era nemmeno consapevole. c. La rimessa in discussione Questa teoria documentaria sembrava rispondere così bene ai problemi della composizione, che era diventata la soluzione quasi universalmente accettata. È vero che restava sempre qualche esegeta in disaccordo. E ugualmente vero che certi autori proponevano delle sottigliezze circa la divisione dei documenti o la loro datazione. Ma la teoria, in una forma o nell'altra, è alla base di quasi tutte le introduzioni e dei commenti moderni dei diversi libri che lo compongono. La teoria era ovvio. Tuttavia, a partire dagli anni ’70, parecchi autori cominciarono a rimettere seriamente in discussione l'ipotesi documentaria. È stato fatto notare che questo metodo, il quale divide il testo in documenti distinti e arriva talvolta a spezzare un versetto in più parti - è stato chiamato “il metodo delle forbici della colla” -, non è confermato da nessun parallelo sicuro nella letteratura antica. Inoltre, la distinzione tra J e E è quanto mai difficile tanto che gli autori della scuola documentaria non sono d'accordo sulla fisionomia delle due tradizioni. L'affermazione che ogni documento è irriconoscibile attraverso le sue caratteristiche particolari di vocabolario, di stile e di teologia, e che tali costanti permettono precisamente di riconoscere questi documenti, è fortemente criticata. Per esempio, è stato detto spesso che la teologia di J è incentrata sulla promessa. R. Rendtorff, che ha ripreso lo studio della tradizione jahvista, mostra come questa promessa, ben presente nel ciclo di Abramo, è del tutto assente in parecchie sezioni attribuite a J, come, per esempio, la sezione che descrive il soggiorno nel deserto. Si può, dunque, parlare di un documento che ha una visione più logica, unificata ed estesa a tutto il Pentateuco? Il Pentateuco, piuttosto, sembra composto da diversi blocchi distinti, come il ciclo di Abramo, il ciclo di Giacobbe, la storia del deserto e altri ancora. 7 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La teoria documentaria parla di documenti distinti che sono stati raggruppati insieme, ma afferma che in certi racconti mancano alcuni brani di un documento. Si dice, per esempio, che il racconto del diluvio (Gen 6,5-9,17) è una mescolanza di J e di P. Il racconto P sarebbe conservato al completo, ma il racconto J sarebbe incompleto. Il racconto di base sarebbe P, nel quale sarebbero stati inseriti alcuni elementi J. Il racconto che narra la prima alleanza tra Dio e Abramo (c. 15) è suddiviso tra J ed E, ma non c'è unanimità dagli esegeti riguardo alla suddivisione. La maggior parte del capitolo è spesso attribuita a J con aggiunte E. Dire che un racconto è conservato in maniera incompleta, che mancano alcuni elementi, è una pura ipotesi. Il racconto completo è esistito? Nessuno lo può dimostrare. Non sarebbe meglio dire che un autore ha ripreso un testo anteriore nel quale ha inserito qua e là le proprie opinioni? Ci sarebbero, in tal caso, diverse fasi di edizione e di riedizione, piuttosto che diversi documenti. Abbiamo visto come certi autori preferiscano parlare di tradizioni J, E, D, P anziché di documenti, lasciando intendere che i racconti attuali erano circolati per un lungo periodo nella tradizione orale. Si sono ispirati agli studi delle saghe, e particolarmente delle saghe d'Islanda. L'applicabilità di tali studi per il ciclo di Abramo è rimessa in discussione. Certi autori respingono la presa di posizione secondo la quale alcune tradizioni orali possono essere tramandate fedelmente, in forma riconoscibile, durante un lungo periodo di tempo. Il narratore aveva molta libertà e adattava alla sua storia le circostanze dei bisogni, sempre mutevoli, della sua epoca. Così, non solo la trasmissione delle tradizioni di generazione in generazione comportava delle modifiche, ma il medesimo narratore cambiava ogni volta che raccontava la “stessa” storia. Certi autori hanno cessato di parlare di J, E ed P, per il ciclo di Abramo; altri continuano a servirsi di questa terminologia, ma dandole un senso del tutto diverso e rimettendo così in discussione la loro datazione. Molti, infatti, optano per una datazione assai più recente di quella proposta dalla teoria documentaria classica. Un esempio potrebbe illustrare quest'evoluzione. Parecchi autori criticano l'ipotesi documentaria e ne mostrano le debolezze, ma pochi sono riusciti a proporre una sintesi che possa sostituirla. J. Van Seters, invece, ha cercato di farlo. Egli propone una soluzione alquanto radicale per il ciclo di Abramo. Secondo lui, non c'è un fondamento valido per poter parlare di una tradizione orale. Basandosi sul suo studio dei doppioni nel ciclo di Abramo, conclude che non ci sono documenti paralleli, combinati insieme in seguito da un redattore. Propone piuttosto l'ipotesi che ogni fonte successiva abbia sviluppato e completato la tradizione anteriore. La tradizione jahvista non è la fonte più antica, come era stato sempre detto, perché esistono brani scritti precedentemente. Egli parla così di un primo 8 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org E, poi, di un secondo stadio prejahvista. Lo Jahvista (J) ha rielaborato questo materiale ancora molto limitato, lo ha completato inserendo le sue vedute particolari, aggiungendo molti racconti che gli sono propri. In seguito, l'autore sacerdotale (P) ha aggiunto alcuni brani, e un ultimo capitolo3 è postsacerdotale. Contrariamente all'opinione abbastanza comune secondo la quale J risalirebbe al X sec. a.C., cioè al tempo di Davide e Salomone, Van Seters situa J al tempo dell'esilio, lo stesso al quale veniva fatto risalire P. Secondo lui, tuttavia, P è postesilico. Van Seters è lungi dall'aver ottenuto l'adesione di tutti gli esegeti, ma la sua teoria dimostra chiaramente che la cosiddetta unanimità intorno alla teoria documentaria non esiste più. In certo modo, diverse soluzioni proposte sulle rovine dell'ipotesi documentaria sono più vicine alle altre due ipotesi che l'avevano preceduta, ma che erano state abbandonate, l'ipotesi dei frammenti e quella dei complementi. d. L’unità del testo Si assiste attualmente a un cambiamento piuttosto notevole negli studi biblici. C'è una tendenza a insistere maggiormente sull'unità e sulla coerenza del testo. L'abbondanza delle soluzioni proposte per spiegare la composizione del Pentateuco, e, dunque, del ciclo di Abramo, mostra bene il loro carattere congetturale. Dobbiamo ammettere che non sappiamo con certezza da chi, dove e quando questi racconti furono scritti. Ciò è piuttosto scoraggiante, dopo tanti sforzi fatti dagli studiosi biblici nel secolo scorso. Questa inversione di approccio al testo non deriva, tuttavia, dalla stanchezza delle ipotesi precedenti, ma è il risultato di un'altra concezione di quel che è un testo, la sua lettura e la ricerca del suo significato. Tutte le ipotesi precedenti, sia quelle dei frammenti, sia quelle dei complementi o quella dei documenti, appartengono ai metodi storico-critici, hanno un'impostazione storica. Sia che si cerchino i frammenti, le fonti, i documenti, le tradizioni, i livelli, sia gli stadi del testo con la loro datazione corrispondente, gli obiettivi sono l'origine del testo, la sua storia, la sua evoluzione. Sono approcci diacronici. Si fa lo studio del testo attraverso (diá) il tempo (chrónos). Quest'approccio è anche incentrato sull'autore: è lui che dà il senso del testo. Si cerca in tal modo di stabilire che cosa l'autore originario abbia voluto dire, che cosa il redattore seguente abbia voluto dire, e così di seguito. Ma questo approccio diacronico trascura l'altro aspetto del testo, la sua forma finale, quella che è presentata attualmente ai lettori. Tale approccio al testo è, dunque, sincronico e incentrato, non più anzitutto sull'autore, ma sul testo come testo quel che l'autore ha voluto dire non è necessariamente quel che il testo dice. Questa nuova tendenza meno storica, ma 3 È il testo di Gen 14, di cui quasi nessuno sa che cosa fare. 9 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org più letteraria, non nega che il testo attuale abbia potuto avere una lunga preistoria, non propone che il testo sia opera di un solo autore che lo avrebbe scritto senza fonti anteriori; afferma semplicemente che il testo c'è. Qualcuno ha dato gli ultimi tocchi al lavoro e ritenuto che il testo si leggesse bene e avesse senso. L'approccio non è, dunque, semplicistico e non può essere accusato di pseudofondamentalismo, come qualcuno ha fatto4. La suddivisione per documenti distrugge spesso le qualità letterarie e artistiche delle narrazioni del ciclo di Abramo. Ma le ragioni che hanno portato a questa suddivisione, come doppioni delle altre irregolarità, possono essere spiegate mediante approcci letterari più raffinati. I doppioni non sono ripetizioni pure e semplici. Questi racconti paralleli presentano, infatti, delle somiglianze, ma anche delle differenze. Si potrebbe, dunque, parlare di variazioni di uno stesso tema, che possono già risalire alla tradizione orale. Invece di vedere in questi doppioni una questione di origine, si può vedere in essi un'arte narrativa creatrice. La ripetizione non denuncia un cattivo autore, al contrario, e ripetere può avere un valore didattico, si legge due volte l'annuncio della nascita di Isacco per l'anno seguente (17,21 e 18,10), ma non è privo d'importanza il fatto che in un racconto rida Abramo (17,17) e nell'altro rida Sara (18,12-15). Tutti e due, il futuro padre e la futura madre, hanno riso. Possiamo porci molte domande a proposito di tutte quelle che sono state giudicate delle irregolarità nel testo. Ci si è accostati adesso a partire dalla nostra logica. Ma chi può esigere che tutti seguono la logica occidentale moderna? Alcuni studiosi hanno visto un'irregolarità nel racconto della partenza di Abramo (12,1-9). Un versetto afferma: “...e con lui partì Lot” (v. 4) il versetto seguente dice: “Abram prese…Lot, figlio di suo fratello” (v. 5). Gli studiosi concludono che il testo è una mescolanza dei due documenti, il v. 4a sarebbe J ed il v. 5 sarebbe P. Ma si dà qui veramente un problema? Dio aveva chiesto ad Abramo di lasciare la sua terra, la sua parentela (12,1); quando egli accetta l'esortazione ad andarsene dal suo paese, Lot decide di partire con lui (v. 4). Abramo vi si sarebbe potuto opporre ragione dell'ordine divino di lasciare anche la sua parentela, ma preferisce accettare che Lot parta con lui e lo prende con sé (v. 5). Le cosiddette contraddizioni del testo non erano forse tali per gli autori antichi, i quali potevano avere altre intenzioni, altri valori che erano loro più cari. Secondo la disposizione presente dei testi, c'è anche il problema di Agar che porta un adolescente sulle sue spalle (21,14). Il testo venne, dunque, suddiviso in diversi documenti, il problema sembrò risolto. Ma l'autore antico ha notato il problema? Del resto, la cosa ha poca importanza; il testo sottolinea che la madre è sempre madre: porta suo figlio. 4 Paul Ricoeur vede giusto parlando di “seconda semplicità”. 10 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Invece di insistere sulle difficoltà, sulle irregolarità sulle contraddizioni del testo, sempre più ci meravigliamo davanti al genio del redattore che ci ha lasciato questa storia letteraria, artistica e stupenda che è il ciclo di Abramo (12,1-25,11). 2. La questione storica Un altro punto controverso a proposito del ciclo di Abramo è la questione della storicità. Si discute sul valore storico di questi testi la cui composizione molto complessa, come abbiamo visto nella sezione precedente, e ciò solleva addirittura la questione della storicità di Abramo e degli altri personaggi menzionati in questi racconti. Sono veramente esistiti? a. Le difficoltà storiche Siamo ben lontani dall'epoca in cui si prendeva tutto alla lettera nella Bibbia, considerandolo come storico. Si ammette che la Bibbia contenga diversi generi letterari come una parabola comportò un messaggio vero, anche se non riferisce un avvenimento storico. Il lettore che ha studiato i capitoli della genesi che descrivono la preistoria (Gen 111) e che precedono il ciclo di Abramo (12,1-25,11), sa che non sono storici. Un testo che parla della creazione non può essere, per definizione, storico la creazione si situa prima della storia, non c'era allora nessun testimone e tutto può essere avvenuto milioni di anni fa. Ma con Abramo siamo in una situazione del tutto differente. Lo si situa spesso nel XIX sec. a.C., dunque nel tempo storico. Il lettore del ciclo di Abramo si domanda: siamo dinanzi a testi autentici? Il ciclo di Abramo infatti presenta per lo storico alcune domande piuttosto imbarazzanti. Vediamone alcuni esempi. Il testo indica regolarmente l'età che Abramo ha all'epoca di questo o di quell'avvenimento della sua vita. Abramo parte esortato da Dio all'età di 75 anni (12,4). È certamente un'età rispettabile per cominciare una seconda esistenza con la promessa per Abramo di un figlio, Isacco; Abramo avrà allora 100 anni sua moglie 90 (17,17). Notiamo per inciso che c'è una differenza di 10 anni tra i due coniugi. I visitatori si meravigliano che Sara rida di tale promessa e dicono con enfasi: “c'è forse qualcosa che sia impossibile per il Signore?” (18,4). Abramo, infine, muore all'età di 175 anni (25,7). Queste cifre sono molto modeste, se confrontate con altre della preistoria (Gen 5), ma in questa preistoria leggiamo anche che Dio decide, un certo momento, che la vita umana sarà “di centoventi anni” (Gen 6,3). Il salmo è un po' più realistico quando dice: “gli anni della nostra vita sono in sé settanta, ottanta per i più robusti” (Sl 90,90), il che corrisponde maggiormente alla nostra esperienza. 11 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Queste cifre comportano altre difficoltà. Abramo lascia la sua terra all'età di 75 anni, mentre Sara, di 10 anni più giovane di lui, ne ha in quel momento 65. Il racconto che segue immediatamente questa partenza, narra il loro arrivo in Egitto a causa della carestia (12,1020). Abramo teme che gli egiziani siano attratti dalla bellezza di Sara al punto di ucciderlo per poter prendere sua moglie e, per salvarsi la vita, propone a Sara di presentarsi come sua sorella. Infatti, la bellezza di Sara è così smagliante che la viene condotta nella casa del Faraone. Il racconto sottolinea più volte l'avvenenza di questa donna di 65 anni (vv. 11.14.15). Nel racconto che descrive la distruzione di Sodoma (19,1-29) i messaggeri dicono a Lot di partire con la sua famiglia prima che il castigo si abbatta sulla città, e aggiungono: “non guardare indietro!” (v. 17). Disgraziatamente, la famiglia di Lot non dà ascolto questa direttiva: “ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una colonna di sale” (v. 26). Un simile testo pare più folcloristico che storico. La regione del Mar Morto è estremamente calda, poiché si trova molto al di sotto del livello del mare, il che accelera l'evaporazione dell'acqua del mare che deposita così una grande quantità di sale. Le rocce di questa regione sono piene di sale. Con un po', o meglio, con molta immaginazione, si può vedere in una di esse la figura di una donna. Questi pochi esempi, che ogni lettore ha potuto notare da sé, possono bastare per concludere che il ciclo di Abramo non è un libro di storia scritto con criteri scientifici. Del resto, non c'è nulla di strano in questo; se nemmeno i Vangeli sono, perché meravigliarsi che non lo siano i racconti di Abramo? Ma la questione della storicità si può accentuare ancora di più, tenendo conto delle differenti ipotesi riguardanti la composizione del ciclo di Abramo, di cui abbiamo parlato nella sezione precedente. Infatti, la soluzione che si adotta per la composizione letteraria influisce sulla risposta che si dà alla questione storica. b. Racconti non storici La teoria documentaria, alla fine dell’800 e all'inizio del ‘900, è venuta a sconvolgere le ipotesi tradizionali sulla storicità del ciclo di Abramo. Questa scuola considera il documento jahvista (J) come il più antico dei quattro e lo situa nel X sec. a.C.. Nella sua forma originaria, questa ipotesi documentaria non teneva conto della possibilità di una tradizione orale. È facile capire quali siano le implicazioni per la storicità dei racconti di Abramo. Se, come spesso si fa, Abramo viene situato nel XIX sec. a.C., in che modo l'autore del X sec. a.C. potrebbe scrivere su di lui un testo storico affidabile? J. Wellhausen concludeva così, in modo del tutto logico secondo il suo sistema, che il valore storico dei racconti su Abramo era nullo. Nel 1878 egli scrisse: “non si può ottenere nessuna conoscenza storica sui patriarchi, ma solamente sul tempo in cui le narrazioni che 12 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org li riguardano si sono formate nel popolo israelita dell’epoca posteriore, con i suoi caratteri profondi e superficiali, proiettati inconsciamente nella notte dei tempi, in cui si riflette come un fantasma trasfigurato”5. Questi testi non ci informano sul tempo di Abramo, ma sull'epoca degli autori. Questi racconti sarebbero, dunque, testi mitici nei quali i patriarchi rappresenterebbero delle divinità; o testi etnici nei quali i patriarchi non sarebbero individui, ma tribù; o testi folkloristici che parlano di eroi popolari leggendari; oppure testi eziologici che spiegano certi fenomeni. c. Nuovi orientamenti critici Il panorama tracciato si è mantenuto pressoché intatto fino agli anni ‘60. Negli anni ‘60 e ‘70 ha cominciato a farsi sentire un certo disagio. Proprio la maturità raggiunta dal metodo storico-critico ha messo a nudo alcuni vuoti e insufficienze. Di fronte al progredire parallelo delle ricerche in campi scientifici assunti di solito come ausiliari, quali l'archeologia o l'orientalistica in genere, la sociolinguistica, l'etnologia e la psicanalisi, le risposte date da un certo uso ormai vetusto e talora meccanico, ingenuo del metodo storicocritico ai grandi problemi di ordine storico letterario sono apparse sempre più insufficienti. Contemporaneamente, proprio l'affinamento degli strumenti scientifici e il complessificarsi delle branche di ricerca hanno reso estremamente difficile una “esegesi totale”, come veniva praticata tradizionalmente, cioè l'impiego di tutto l'armamentario metodologico da parte di un solo esegeta, per esaurire l'esegesi di un testo. A queste sfide si è risposto, da una parte cercando nuove strade metodologiche, non necessariamente in contrasto, bensì complementari al metodo storico-critico: la narratologia, la semiotica, la socio-etnologia; dall'altra, il metodo storico-critico stesso ha fatto nascere dal suo interno una inevitabile evoluzione e trasformazione, che lo rendesse più idoneo a quanto oggi si può sapere circa la natura dei testi biblici. Ancora una volta, sono i testi del Pentateuco e del Deuteronomio a dominare la scena; il modo nuovo di guardare ad essi offre degli spunti promettenti, che si stabilizzano sempre più nel formare la nuova metodologia storico-critica. La cronologia L'atteggiamento di sufficienza nei riguardi dell'età più tardive della storia d'Israele, dal VI sec. a.C. in poi, qualificate come un impoverimento della religione preesilica, va 5 6 J. WELLHAUSEN, Prolegomena zur Geschichte Israel, Berlin, W. De Gruyter, 1927 , 316. Egli, poi, aggiunge su Abramo: “solo Abramo certamente non è il nome di un popolo come Isacco e Lot: qualcosa difficile da interpretare. Ciò non per dire che in un tale contesto lo si possa considerare persona storica; più probabilmente lo si potrebbe considerare come una libera creazione di arte inconscia” (p. 320). 13 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org radicalmente mutato. Esso era giustificato dalla presunta coincidenza della storia presentata dai grandi affreschi del Pentateuco e del Deuteronomio con la storia reale. Si pensava che la grandezza e l'originalità della religione israelitica spettasse al tempo dei patriarchi delle prime fasi dell'epoca storica: esodo, Sinai, ingresso e sedentarizzazione nella terra promessa, fino a Davide a Salomone; poi, nonostante la predicazione dei profeti, la storia sarebbe precipitata sempre più. Con l'esilio la fede avrebbe subito una crisi tale che il tempo postesilico non riuscì ad eliminare. Sarebbe iniziata la fase calante storicamente minore del giudaismo! Di quel periodo, si affermava, non si sa molto dell'andamento dei fatti. Oggi, la prospettiva si è capovolta. Le ricerche condotte in passato quasi esclusivamente sulle fasi alte della storia d'Israele, si sono rivelati discutibili, quando non sbagliate6. È da rivedere soprattutto l'approccio metodologico. Esposizione in forma storica della propria fede non è la stessa cosa che lo svolgimento reale dei fatti. Non che la realtà storica non posso essere rispecchiata nel racconto, ma non è questa la prospettiva più adeguata per considerare la storia d'Israele. Il popolo ebraico quale si riflette nel Pentateuco non coincide con l'oggetto d'indagine dello storico moderno, il quale, almeno in teoria, ha il dovere di descrivere, senza pregiudiziali di parte, quel che si è verificato nel passato. Israele del Pentateuco è, invece, il risultato di un processo tradizionale, letterario, lungo e complesso: è la messa per iscritto, in forma narrativa e con valori di carta costituzionale autorevole, di quello che il popolo eletto comprese e disse in un’epoca tarda, quella postesilica. Il materiale testuale è il più eterogeneo e può venire da lontano; quindi, il suo studio diacronico è ancora raccomandato per l'approfondimento dei processi storici e teologici. Ma la sistematicità dell'enunciato biblico attuale raccomanda di prendere sul serio innanzitutto la forma stessa definitivamente assunta sia per gli ebrei sia per i cristiani. Come si può vedere, la tesi di Von Rad della storia d'Israele come kerigma, si rivela curiosamente vincente. La nuova critica All'origine della nuova critica vi è una serie di motivi che qui presento molto sinteticamente. Innanzitutto la riscoperta del fenomeno Deuteronomio-Deuteronomistico (dt-dtr). Altri studiosi hanno rilevato con sorpresa come tracce consistenti di quella relazione dtr, confinata nei libri Deuteronomio-2Re, siano presenti anche nel Tetrateuco, fenomeno che del resto era stato spesso usato dallo stesso Noth. L'interesse suscitato da tale fenomeno ha comportato degli sviluppi notevoli, che hanno messo in risalto quanto pervasiva sia stata 6 A. SOGGIN, Storia d’Israele, dalle origini a Bar Kochbà, Paideia, Brescia 1984. 14 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org sull’AT l'azione dei circoli deuteronomistici. Nel frattempo si è scoperto che il deuteronomismo è un fenomeno di più gruppi, dislocati addirittura in tempi diversi. Anzi, l'operazione dtr è risultata evidente anche all'interno della letteratura profetica. Ora, se per alcuni studiosi le tracce dtr nel tetrateuco possono rappresentare una fase pre o protodeuteronomistica, per altri, invece, sono puramente e semplicemente dtr e comportano, come conseguenza, un abbassamento della datazione dei testi stabilita in base all'ipotesi documentaria. Il tetrateuco o Pentateuco andrà letto interpretato in un'ottica diversa, a partire da date basse e non da quelle alte. Un'altra conseguenza è che molte delle teorie proposte in passato, per la conoscenza del periodo premonarchico,7 hanno perso consistenza, contribuendo a rendere più problematico, più scuro quel periodo. Quest'ultimo punto, quello della storia premonarchica, è un altro motivo che alimenta la nuova critica. Sulla base di una oggettiva considerazione di dati archeologici ed epigrafici dell'antico vicino oriente, non si può che accettare una corriva spiegazione degli eventi dell'epoca dei patriarchi, che pieghi tali dati a discutibili concordismi. A risultati altrettanto critici sorprendenti circa le origini di Israele giungono studi fatti con l'ausilio dell’etnosociologia. Certo, queste analisi non vanno prese come oro colato, ma rendono più attenti a non canonizzare nemmeno quelle che sono state, anche per il passato, delle pure ipotesi di lavoro. Come in passato, anche oggi il fronte critico si dispiega su due fianchi: oltre che sul succitato fronte dtr, anche su quello pentateucale. Primo indagato e lo Jahvista. Sia attraverso una serrata critica letteraria, sia sulla base di una rinnovata critica delle tradizioni, unitamente ad un nuovo approccio linguistico e tematico, la concezione “canonica” dello Jahvista è stata messa in crisi. In vario modo, questi autori hanno dimostrato come la fonte jahvista non possa assolutamente risalire all'età salomonica, bensì a quella esilica o postesilica. Anzi, essa si incrocia con le operazioni deuteronomistiche. Persino coloro che difendono strenuamente ha datazione classica hanno ridotto di molto la consistenza della trama della teologia jahvistica, su cui tanto si è elucubrato in passato. E’, infine, da menzionare la critica profonda alla ipotesi documentaria da parte di R. Rendtorff, E. Blum e F. Crüsemann, la cosiddetta “Scuola di Heidelberg”. Questi autori indagano sulle “unità maggiori” e non sulle fasce documentarie tradizionali, da cui sarebbero venuti a opporsi sia il tetra-pentateuco che la storia dtr. In questo panorama vivace, che non può assolutamente essere trascurato, perché serio e rigoroso, viene comprensibilmente una maggiore sensibilità nei riguardi della cosiddetta “redazione finale” dei testi, comprendendo sotto questa denominazione composizioni ampie che vanno da Genesi a 2Re. 7 Il Dio dei patriarchi, la lega anfizionica delle tribù, ecc. 15 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Alla base di queste accese discussioni, vi è un bisogno di superare quell’”impasse” a cui è giunta la critica tradizionale. Quelle che erano all'inizio dell'ipotesi scientifiche, sono state più tardi canonizzate da maldestri epigoni e adoperate in modo meccanico con uno spirito tra l'ingenuo e il neopositivistico. Nell'analisi del testo ciò che già era diviso veniva diviso ancora e sempre più, fino ad ottenere un testo autorizzato, di cui ogni parte si reggeva su una spiegazione discutibile. Si era creata insomma una “para-Bibbia”, senza rispondere ai grandi quesiti che erano stati posti dai maestri del metodo storico-critico, anzi perdendoli addirittura di vista. La nuova critica ha questo grande merito, quello di valorizzare il nuovo, e su basi rigorosamente scientifiche, la configurazione attuale del testo biblico, non semplicemente per motivi dogmatici, ma soprattutto per motivi intra-esegetici, di ordine metodologico ed ermeneutico. Inclinazione verso l’interpretazione sincronica Il movimento pendolare della storia, in questo caso della storia dell'esegesi, si sta assestando in quest'epoca, quindi, su di una considerazione più attenta della superficie orizzontale di testi storici, lasciando in pregiudicato il valore delle ricerche in senso verticale o diacronico. Lasciando da parte la complessa questione circa la natura della redazione finale, se cioè sia stato P a dire l'ultima parola o un redattore deuteronomista, oppure un redattore distinto che ha adoperato le due fonti8, in realtà le conseguenze di questa nuova visione della testualità, fondata sulla natura dei testi e non su pregiudiziali ideologiche, sono notevoli: • il redattore non è più considerato solo un pio sarto, un devoto raccoglitore di pezzi di testi, bensì un autore che ha assembrato materiale vario e consistente, dandogli una configurazione che rispondesse ad un disegno teologico ben preciso, tutto da indagare. • La rivalorizzazione prioritaria di tale redattore-autore risponde anche ai criteri della contemporanea scienza linguistica, la quale avverte che un'opera letteraria ha un sistema con suo significato intrinseco autonomo. Se da essa trasformiamo degli elementi in un'altra opera letteraria, questi cambieranno significato, perché inseriti in un nuovo codice semantico proprio del nuovo sistema. Ora, non si può mettere sullo stesso piano la discusse discutibile teologia jahvistica, facente riferimento ad un sistema semantico ipotetico, con la teologia che il redattore ha voluto accreditare come Parola di Dio ai credenti, quella che abbiamo dinanzi a noi oggi. La Bibbia 8 Vedi in questo senso l'introduzione di R. Smend e E. Zenger, oltre allo studio di A. de Pury – T. Römer. 16 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org ebraica e cristiana non è costituita dallo Jahvista, dall’Elohista e dal codice sacerdotale, ma è la sequenza di Genesi, Esodo, Levitico, ecc.. Naturalmente, l'approccio scientifico va affrontato prescindendo dalla Bibbia ebraica o cristiana, canonicamente costituite come tali. Metodologicamente esso viene prima della configurazione delle Scritture canoniche; altrimenti si verificherebbe un'interferenza di piani, un incrocio metodologicamente non corretto tra il piano esegetico è quello teologico-dogmatico. • Comunque, la maggiore considerazione della redazione finale, anche in rapporto alla storia della composizione della trasmissione dei testi che, poi, sfoceranno nelle rispettive selezioni e configurazioni canoniche, conferma la sua rilevanza scientifica. Essa non è una critica eliminazione di problemi esegetici, tutt'altro; essa indaga su quelle fasi storico-redazionali, che hanno preceduto le scelte canoniche finali. Queste ultime, difatti, non si pongono sul piano della redazione finale, che è ben altro, ma su di un piano successivo di natura diversa. In riferimento alle operazioni canoniche, per intenderci, la forma che la tradizione ebraica ha conferito ai primi cinque libri della Bibbia, dopo aver staccato il Deuteronomio dalla storia dtr, è quella di una unità autonoma, autorevole e statica come può esserlo un documento d'autorità: la Torah, la legge. La forma che ha scelto, invece, la tradizione greca, seguita dalla Volgata, è quella di un progetto storico che va oltre i confini della Torah, spostandosi fino ai libri dei Re. Non per niente tale tradizione è stata scelta dai cristiani, per i quali la Torah non è la realtà teologicamente definita, bensì un'espressione autorevole della volontà di Dio, inserita in una storia, il cui vettore la porta verso la realizzazione di un progetto. L'opzione canonica differenziata per una di queste due forme, non va discussa nel quadro della redazione finale. d. Il contributo dell’archeologia L'archeologia ha conosciuto un grande sviluppo nel XX secolo. Scavi effettuati nel vicino oriente in siti come Assur, Nuzi, Mari, Ugarit, Tell-el-Amarna e altri, hanno fornito su queste culture informazioni di cui primi sostenitori della teoria documentaria, come J. Wellhhausen, non disponevano. Diversi studiosi hanno creduto che queste informazioni gettassero nuova luce sui racconti dei patriarchi. Fra gli studiosi americani ricordo soprattutto W. F. Albright, J. Bright e G. E. Wright; fra quelli francesi, si possono menzionare il nome di R. de Vaux e di A. Parrot. Essi si sono interessati e soprattutto attrezzati: i movimenti dei popoli, i nomi degli individui e dei luoghi, i costumi. La Bibbia descrive le diverse tappe della migrazione della famiglia di Abramo. Essa parte da Ur (11,31), si stabilisce dapprima a Carran (11,31), si rimette in cammino verso la 17 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org terra di Canaan (12,5) e si dirige, poi, verso l'Egitto (12,10). Ciò sembra corrispondere al quadro di un'espansione degli amorrei e all'inizio del II millennio a.C. si tratta di un grande movimento migratorio di popolazioni semitiche nomadi, che avrebbero gradualmente sommerso tutta la mezzaluna fertile, tanto in Mesopotamia quanto in Palestina, e che avrebbero minacciato anche l'Egitto. Il nome di Abram, usato all'inizio del ciclo (12,1) e che diventa, poi, Abramo (17,5), corrisponde ai nomi menzionati sulle tavolette scoperte dagli archeologi. Il cambiamento di nome sarebbe dovuto a un cambiamento dialettale. Il nome attestato nell'antico vicino oriente nel II millennio a.C. in forme differenti, come Abarama (ama il padre), o Abi-rami (mio padre è esaltato = è grande in rapporto a suo padre) e altri ancora. I nomi dei due fratelli di Abramo, Nacor e Aran (11,27), sono anch'essi attestati dai documenti. È significativo il fatto che diversi nomi di persone della famiglia di Abramo siano anche i nomi di città. Il fratello di Abramo si chiama Aran (11,27) e la famiglia decide di stabilirsi a Carran (11,31). Il nome della persona è molto simile, senza essere identico in ebraico, al nome della città. Serug (11,22), il nome di uno degli antenati di Abramo, e anche il nome di una città situata tra Carran e l’Eufrate. Nacor, il nome del nonno (11,24) e del fratello di Abramo (11,27), e anche il nome di una città a sud-est di Carran. Terach, il padre di Abramo, si ritrova anche come nome di una città. È degno di nota il fatto che tutte queste città siano vicine a Carran, nella Mesopotamia del Nord-ovest. Non possediamo finora nessun testo extrabiblico che parli dei patriarchi o dei loro clan. I nomi di per sé non dimostrano che patriarchi della Genesi siano personaggi storici. Possiamo accennare al fatto che anche i costumi di quei popoli ci aiutano a capire meglio certi avvenimenti o certe azioni riferite dai racconti dei patriarchi, come, per esempio, i matrimoni, l'acquisto di un terreno, ecc. Alcuni autori hanno concluso troppo rapidamente che l'archeologia ha dato infine ragione alla Bibbia. W. Keller, giornalista tedesco, scrisse, nel 1955, un libro dal titolo significativo: “Und die Bibel hat doch recht” e cioè “ La Bibbia aveva ragione”, con un sottotitolo ancora più esplicito: “Forscher beweisen die historische Wahrheit” e cioè “gli studiosi dimostrano la verità storica”. Il libro fece furore, fu tradotto in parecchie lingue. Altri autori, più critici, giungevano a conclusioni più sfumate. Essi formulavano l'ipotesi che tutti questi dati sull'immigrazione, i nomi, i costumi permettessero di situare patriarchi all'inizio del II millennio a.C., verso il XIX sec. A.C. Altri, basandosi sugli stessi dati, ritenevano piuttosto di doverli di situare nel XV sec. a.C. Contrariamente a Noth, il quale accetta la storicità dei patriarchi, ma aggiunge che non si può dire nulla su di loro, questi ultimi autori rivendicano una storicità abbastanza estesa, come si può vedere nell'affermazione di W. F. Albright: “Abramo, Isacco e 18 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Giacobbe non sembrano che ormai figure isolate, ancora meno riflessi della storia ebraica successiva; appaiono adesso come dei vicini del loro tempo, che portano gli stessi nomi, si spostano sullo stesso territorio, visitano le stesse città, soggetti agli stessi costumi dei loro contemporanei. In altri termini, i racconti dei patriarchi hanno dal principio alla fine un fondo storico, benché la lunga trasmissione orale dei poemi originari e, poi, delle saghe in prosa, che……alla base del testo attuale della Genesi, abbiano senza dubbio considerevolmente deformato gli avvenimenti originali”9. Questi autori che collocano i patriarchi all'inizio del II millennio ammettono, tuttavia, che i testi biblici sollevano parecchie difficoltà contro la loro ipotesi, sia rispetto ai movimenti dei popoli, sia per i nomi e i costumi. Essi collocano il movimento di Abramo nel quadro delle migrazioni degli amorrei, ponendo Abramo, in rapporto con gli aramei: “Mio padre era un arameo errante”10. I testi profani parlano degli aramei, ma in epoca abbastanza tardiva. La prima menzione si trova in un documento assiro risalente circa al 1100 a.C. Si suggerisce come soluzione che ci sia una continuità razziale tra gli amorrei del tempo dei patriarchi (Ez 16,3) e gli aramei dei sec. XI e X a.C., si potrebbe dire che erano dei “protoaramei”. Un versetto del ciclo di Abramo dice che: “Abramo soggiornò come forestiero nel paese dei filistei” (21,34), ma questi filistei si sono stabiliti in Canaan soltanto dopo il 1200 a.C. Il nome della città da cui partirono Terach e la sua famiglia, “Ur dei caldei” (11,31), pone un altro problema. La città di Ur è riconosciuta molto antica, ma il termine “Caldea” è problematico. I caldei compaiono nei testi assiri solamente nel IX sec. a.C. Inoltre il riferimento a “Ur dei caldei” presuppone la salita al potere dei caldei, vale a dire dei babilonesi, che avviene soltanto verso la fine del VII sec. a.C. All’inizio del II millennio si sarebbe dovuto dire “Ur dei sumeri”. Tale difficoltà non disturbano gli studiosi suddetti, i quali spiegano come si tratti di anacronismi che non intaccherebbero il fondo veramente storico di testi. Gli autori dei racconti dei patriarchi avrebbero sostituito i nomi antichi con i nomi in uso all'epoca in cui scrivevano. Un'altra difficoltà, per l'ipotesi dell'inizio del II millennio, è l'abitudine dei patriarchi, come Abramo, di servirsi di cammelli (12,16). Si ammette generalmente che il cammello sia stato addomesticato e utilizzato nel vicino oriente soltanto dopo il 1200 a.C., anche se è vero che si conoscono alcuni rari casi anteriori. Si potrebbe così ricorrere a questi casi eccezionali e dire che i patriarchi facevano un uso ristretto del cammello, ma si preferisce, in generale, spiegare anche questi riferimenti come anacronismi. Si formò anche l'ipotesi che i testi al principio parlassero degli asini, sostituiti in seguito con i cammelli. 9 W.F. ALBRIGHT, L’archéologie de la Palestine, Paris, Cerf, 1955, 256. Dt 26,5; cf. Gen 25,20; 28,5; 31,20.24. 10 19 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Tutti questi dati archeologici avevano fatto sì che molti lettori tornassero ad avere fiducia nel valore storico dei racconti dei patriarchi nell'antichità dei patriarchi. Ma due autori soprattutto vennero ben presto a turbare tale fiducia. Essi effettuarono le loro ricerche indipendentemente l'uno dall'altro e ne pubblicarono i risultati a un anno di intervallo: Thomas L. Thompson nel 197411 e John Van Seters nel 197512. Il loro intento era quello di rivedere gli argomenti principali sui quali si basano gli esperti per stabilire il valore storico dei racconti dei patriarchi nella Genesi. Van Seters studia soprattutto il ciclo di Abramo. I due autori rifanno lo studio dettagliato, minuzioso degli stessi documenti antichi sui quali si erano basati gli autori precedenti, e ne aggiungono altri. Prendono di petto gli stessi tre: dopo i movimenti dei popoli, i nomi degli individui e dei luoghi, i costumi. Il movimento dei patriarchi era stato ricollegato ai movimenti degli amorrei all'inizio del II millennio. Riprendendo tutto il dossier, Thompson conclude che, contrariamente alla posizione accettata da molti, nulla nell'archeologia palestinese attesta l'esistenza di un'invasione amorrea. Di conseguenza, se non c'è stata un'invasione amorrea, è impossibile associare il movimento della famiglia di Abramo. Van Seters è molto più positivo riguarda a questa migrazione o a questa espansione amorrea, ma rifiuta di ammettere che i racconti dei patriarchi li riflettano in qualche modo. Thompson e Van Seters sono, dunque, concordi nel dire che non si può minimamente affermare che i racconti dei patriarchi risalgano a tradizioni storiche e che patriarchi siano personaggi storici. Le tradizioni bibliche sui patriarchi non avrebbero intenti storici, ma ideologici, sociologici, politici e religiosi. Gli studi dei due autori non hanno affatto convinto tutti gli storici. Molti di loro hanno mostrato i punti deboli delle analisi di Thompson e Van Seters, e hanno insistito sul carattere arcaico dei testi sul loro contenuto storico. Essi affermano che patriarchi non sono semplici invenzioni letterarie13. e. La religione dei patriarchi: testimonianza ed interrogativo Lo sforzo, dunque, per risolvere il problema della storicità dei patriarchi attraverso i paralleli biblici è giunto a conclusioni molto differenti persino contraddittorie. Un altro approccio di studio è stato proposto da R.W.L. Moberly. La Bibbia, egli afferma, può confermarsi tramite se stessa, confrontando certi testi biblici fra loro, più particolarmente 11 T.L. THOMPSON, The Historicity of the Patriarchal Narratives. The Quest for the Historical Abraham, Beihefte zur Zeitschrift fur die alttestamentliche Wissenschaft, Berlin, W. De Gruyter, 1974. 12 J. VAN SETERS, Abraham in History and a Tradition, New Haven, Yale University Press, 1975. 13 Cf. J.E. HUESMAN, Archaeology and Early Israel: the Scene Today, in Catholic Biblical Quarterly, 37(1975) 1-‐16; J.T. LUKE, Abraham and the Iron Age. Reflections on the New Patriarchal Studies, in Journal for the Study of the Old Testament, 4(1977) 35-‐47; M. DAHOOD, Ebla, Ugarit and the Old Testament, in The Month, 138(1978) 271-‐276. Dahood ricorre alle scoperte di Ebla, nella Siria del nord, non molto lontano da Carran, dove sono stati trovai archivi del III millennio. E. A. WCELA, The Abraham Stories, History and Faith, in Biblical Theology Bulletin, 10(1980) 176-‐181; J. J. SCULLION, Some Reflection on the Present State of the Patriarchal Studies, in Abr-‐Nahrain, 21(1982-‐1983) 50-‐65. 20 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 14 per quanto riguarda la religione . L'autore parte da una osservazione estremamente evidente: la religione dei patriarchi, quale descritta nei racconti della genesi, è molto differente dallo jahvismo mosaico, che si trova nel resto della Bibbia a partire da Es 3. Autori come Wellhausen, Thompson e Van Seters, che negano ogni valore storico, affermano che i racconti dei patriarchi ci informano unicamente sull'epoca in cui questi testi furono redatti. Ciò è contraddetto almeno per quanto riguarda la religione dei patriarchi. Se gli autori biblici avessero inventato le tradizioni dei patriarchi, ispirandosi alla religione intorno a cui essi stessi gravitavano, i racconti sarebbero stati molto differenti. I patriarchi praticavano, secondo i testi biblici, una religione preisraelitica, premosaica. Alcuni punti possono dimostrarlo: • Non c'è antagonismo religioso tra i patriarchi delle popolazioni con le quali entrano in contatto. Nel resto della Bibbia l'opposizione tra YHWH, il Dio di Israele, e Baal, è normale. Nei racconti dei patriarchi si direbbe che tutti adorino lo stesso Dio. Melchisedek, re di Salem, benedice Abramo in nome del “Dio Altissimo” (14,18-20), e Abramo alzò la mano nel nome del “Dio Altissimo” (14,22). • La Bibbia distingue frequentemente tra Israele, il popolo eletto, e le reazioni con i popoli pagani, il che non si ritrova nei racconti dei patriarchi. Abramo crede che non ci sia timore di Dio a Gerar (20,11), ma il testo dimostra proprio il contrario. Il popolo di Gerar è composto da gente che è giusta (20,4) e il re Abimèlech agisce con la semplicità del suo cuore e l'innocenza delle sue mani (20,5-6). Tutti sono uguali davanti a Dio; la prospettiva, nei racconti dei patriarchi, è più universalistica che nel resto della Bibbia. • Anche le pratiche culturali sono molto differenti. Non c'è nessuna indicazione che i patriarchi osservassero il sabato e le leggi riguardanti il cibo, il che era molto importante al tempo dell'esilio. Se le tradizioni patriarcali fossero state inventate in quell'epoca, molto probabilmente gli autori avrebbero fatto vivere i patriarchi secondo tali leggi. Lo stesso può dirsi dei luoghi di culto. Abramo costruisce altari dove vuole (12,7-8; 13,18) e pianta alberi sacri (21,33). Simili pratiche erano proibite dalla legge mosaica, che prescrive il luogo del culto (Dt 12,2-5) e condanna questi alberi sacri (Dt 16,21). • La religione dei patriarchi non conosce mediatori, sacerdoti o profeti. I patriarchi non pagano gli altri alla maniera di Mosé o dei profeti, e nessuno parla loro in nome di Dio; essi sono in contatto diretto, personale, con Dio (17,1). I patriarchi offrono i 14 R. W. L. MOBERLY, The Old Testament of the Old Testament. Patriarchal Narratives and Mosaic Yahwism, Overtures to Biblical Theology, Minneapolis, Fortress Press, 1992. Id., Genesis 12-‐50, Old Testament Guides, Sheffield, Jsot Press, 1992. 21 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org propri sacrifici (22,13) e non hanno bisogno di sacerdoti che lo facciano in nome loro. • Nella religione di Israele la legge occupa un posto centrale. La sua osservanza provoca le benedizioni, e il suo rifiuto le maledizioni. Nella religione dei patriarchi si trovano promesse e benedizioni (12,2-3), ma Dio le concede, senza porre ai patriarchi delle condizioni da osservare per ottenerle. Non vi sono nemmeno minacce di giudizio, nel caso in cui non fossero fedeli ad esse. Questi pochi esempi, fra gli altri, illustrano la differenza tra la religione descritta nei racconti dei patriarchi dalla religione mosaica del resto del Pentateuco. I patriarchi seguivano certe usanze religiose condannate dalla legge. È, dunque, difficile immaginare che questa religione sia stata inventata da un fedele jahvista. Se avesse “inventato” la storia di Abramo, avrebbe scritto una storia più “ortodossa”. I testi confermano una forma antica di religione pre-jahvistica. Tutto ciò non “dimostra” la storicità delle tradizioni patriarcali, ma Moberly ritiene che sarebbe ragionevole ammettere che queste tradizioni contengono veramente materiale antico. Se da una parte le pratiche appena accennate sono una testimonianza importante riguardo l'antichità della religione descritta in questi testi, dall'altra la differenza tra certe pratiche culturali dei patriarchi e di altre narrate nel resto della Bibbia conduce all'affermazione che tale religione può essere definita premosaica o preisraelitica. Il lettore si confronta con un mondo patriarcale fin dalle prime parole del ciclo di Abramo. Il testo afferma: “Il Signore [YHWH] disse ad Abramo” (12,1). Il Dio che parla ad Abramo è presentato come Signore YHWH. Ciò è difficile da conciliare con i testi biblici ulteriori. Quando Mosé riceve la missione di far uscire gli israeliti dall'Egitto, dice a Dio: “Ecco, io vado dai figli di Israele e dico loro: il Dio dei vostri padri mi ha inviato a voi. Mi diranno: qual è il suo nome? Che cosa risponderò loro?” (Es 3,13). Dio gli risponde rivelando il suo nome, YHWH, cioè “Io Sono” (Es 3,14-16). Ciò dimostra che il nome YHWH era sconosciuto prima di Mosé e a fortiori al tempo di Abramo. La difficoltà è confermata e resa ancora più esplicita in un altro racconto della vocazione di Mosé: “Dio disse a Mosé: Io sono il Signore [YHWH]: sono apparso ad Abramo, Isacco e Giacobbe come Dio onnipotente [El Šaddaj]; ma il mio nome di Signore [YHWH] non l'ho fatto loro conoscere” (Es 6,2-3). È difficile essere più chiari: Abramo non conosceva YHWH. La teoria documentaria ha spiegato queste contraddizioni attribuendo i testi a documenti o a tradizioni differenti. Es 3,14-15 apparterrebbe al documento elohista (E), Es 6,2-3 al codice sacerdotale (P), e il versetto dell'inizio del ciclo di Abramo (12,1), come pure tutti gli altri passi di questo ciclo in cui compare il nome YHWH, apparterrebbero alla 22 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org tradizione jahvista (J). La questione dei nomi divini ha avuto del resto un ruolo importante nell'ipotesi documentaria per distinguere le tradizioni del Pentateuco. E e P riallacciano la rivelazione del nome di YHWH a Mosè; J, invece, situa questa conoscenza del nome divino molto prima, facendola risalire agli inizi dell'umanità: “Anche a Set nacque un figlio, e lo chiamò Enos. Allora si cominciò ad invocare il nome del Signore [YHWH]” (Gen 4,26). Anche Caino e Abele avevano presentato un'offerta a YHWH (Gen 4,3-4) e YHWH era già all'opera nel paradiso dell'Eden (Gen 2-3). Certi autori, basandosi su J, hanno creduto che YHWH sia stato conosciuto prima di Mosé. Attualmente gli autori ammettono sempre più che il nome di YHWH sia veramente legato al periodo di Mosé. E e P avrebbero rispettato la storia, e la menzione di YHWH in J sarebbe, dunque, un anacronismo. Anche se la teoria documentaria è fortemente criticata, e poco importa l'interpretazione letteraria che si adotta per la composizione del Pentateuco, il problema del nome divino conferma la sua importanza. I riferimenti a YHWH prima di Mosé sono anacronismi. Se Abramo non ha mai conosciuto YHWH, qual è allora il Dio che egli venerava? La domanda è inutile, infatti, per quelli che negano ogni storicità ai racconti patriarcali e che considerano la persona di Abramo un'invenzione tardiva. Il Dio di Abramo fittizio è il Dio dell'autore. Ma se si ammette che Abramo sia una figura storica, la domanda si può porre: chi è questo Dio di Abramo? Più che dimostrare cercherò di illustrare. Il Dio del padre e El La Bibbia afferma esplicitamente che i patriarchi praticavano il politeismo: “Al di là del fiume abitavano anticamente vostri padri, Terach padre di Abramo e padre di Nacor; essi servivano ad altri dèi” (Gs 24,2; cf. 24,14-15). Se ne trova un'indicazione anche nei racconti dei patriarchi stessi. Quando Giacobbe fugge via dal suocero Làbano, il testo dice: “Rachele rubò gli idoli che appartenevano suo padre” (Gen 31,19). La lunga discussione che ne consegue dimostra che tutti attribuivano loro come grande importanza (Gen 31,3035). Certi nomi della famiglia dei patriarchi confermano che essi erano politeisti e ci informano sull'identità dei loro dèi. La moglie di Abramo si chiama Sarai o Sara, che corrisponde a Šarratu, e significa “la regina”. Il nome è una traduzione in lingua semitica del sumerico Ningal, nome della sposa del Dio Sin, il dio luna. Altri nomi della famiglia dei patriarchi, come Terach, il padre di Abramo (Gen 11,26-27), Milca, nome della cognata della nipote di Abramo (Gen 11,29), e Làbano, il nome del fratello di Rebecca e della parentela di Milca (Gen 24,15.29), orientano tutti verso questo culto lunare. Tale culto era praticato a Ur, la città da cui è partita la famiglia di Terach, e anche a Carran, la città in cui 23 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org si è stabilita (Gen 11,31). Il passaggio dal politeismo al monoteismo è avvenuto gradualmente (Gen 35,2-4), attraverso la fase della monolatria: anche se Israele credeva in un solo Dio, accettava ancora che altri popoli potessero avere i loro dèi. Il ciclo di Abramo non fa più riferimento a diversi dèi, ma parla di un solo Dio. Tale Dio è concepito vicino all'essere umano. Egli parla ad Abramo, gli appare, lo benedice gli fa delle promesse (Gen 12,1-9); Abramo sta davanti a Dio, gli risponde, lo prega (Gen 18,2223) e si costruisce altari (Gen 12,8). Tutto sottolinea il carattere personale di questo Dio che si occupa di Abramo, lo dirige lo guida. Si potrebbe affermare che è il dio personale di Abramo. Quando Dio, più tardi, parla ad Isacco, il figlio di Abramo, afferma: “Io sono il Dio di Abramo, tuo padre” (Gen 26,24) e a Giacobbe, il figlio di Isacco, si rivela come il “Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco” (Gen 28,13). Nei racconti dei patriarchi si trova spesso l'espressione “Il Dio di mio/tuo/suo padre” (Gen 31,5.29; 43,23; 46,3; 50,17). Quando Dio rivela il suo nome di YHWH, “Io sono”, a Mosé, dice di se stesso che è il “Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, di Isacco e Dio di Giacobbe” (Es 3,15.16). Il dio personale di Abramo, il “Dio del padre”, è diventato il dio tribale, è “il Dio dei padri” (Es 3,13.15.16). Un altro nome per la divinità compare spesso nel ciclo di Abramo. Il testo afferma che YHWH appare ad Abramo e gli disse: “Io sono Dio onnipotente” (El Šaddaj, Gen 17,1). Il primo elemento di questo nome, El, ricorre più volte nei testi biblici. Lo ritroviamo nel nome di un luogo menzionato fin dall'inizio del ciclo di Abramo, “Betel” (12,8;13,3). Il nome composto da “bet” (casa) e da “El” (dio). El è conosciuto nei documenti e all'antico vicino oriente. Pressoi cananei era il dio supremo al vertice del Pantheon, il re degli dèi, il padre degli dèi e degli uomini, il creatore. Siccome i cananei erano agricoltori e, dunque, sedentari avevano santuari in diversi luoghi, ma adoravano sempre questo medesimo Dio El, pur attribuendogli qualifiche differenti. Se ne trovano tracce nel ciclo di Abramo. A Betel, lo si doveva chiamare semplicemente El (Gen 28,12) oppure El Betel (Gen 31,13). A Salem (Gerusalemme?), Questo Dio era venerato come El ‘Eljôn (Dio altissimo, Gen 14,18-20). Agar chiama il Dio che le è apparso El Ro’î (El che mi vede); da qui il nome che si dà al pozzo in questo luogo (Gen 16,13). Questo El si rivela ad Abramo come El Šaddaj (El della montagna o El onnipotente, Gen 17,1). A Bersabea si venerava El ‘Ȏlam (El eterno, Gen 21,33). C'era anche El Berît, che significa El dell’alleanza, che si venerava a Sichem (Gdc 9,4), o che significa forse El della steppa, di cui non si sa se, fosse, riferito ad un luogo preciso; alcuni lo collegano a Mamre. I nomi di parecchie persone nei racconti dei patriarchi confermano che essi veneravano questo Dio El. Abramo chiama il figlio che Agar gli dà Ismaele (El intende, Gen 16,15) e si vede El anche nel nome Israele (che El si mostri forte, Gen 32,29). 24 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org I patriarchi e le loro famiglie hanno probabilmente identificato il “Dio del padre” che le aveva condotte in Canaan, con il dio supremo El. Il loro Dio, che era un Dio senza nome, ne riceve uno, con differenti qualifiche, secondo i diversi santuari. I testi sembrano, infatti, lasciare intendere che Dio si è rivelato così ad Abramo (Gen 17,1). Le famiglie dei patriarchi non hanno abbandonato il culto del Dio del padre, ma lo hanno arricchito. Si è sviluppato un certo sincretismo religioso. Si può trovare questa assimilazione nel nome che Giacobbe dà a Dio a Sichem. Lo chiama “El, Dio d’Israele” (Gen 33,20), che significa forse “El, il Dio del [patriarca] Israele”, il nome nuovo di Giacobbe (Gen 32,28-29). Abbiamo visto in precedenza come il testo che narra la rivelazione del nome divino YHWH, “Io sono” a Mosè, sottolinei che YHWH è lo stesso Dio che il Dio dei padri (Es 3,13-16). L'altro testo, che riferisce questa rivelazione del nome YHWH a Mosé, precisa che YHWH è identico al Dio El conosciuto dai patriarchi: “Io sono il Signore [YHWH]: sono apparso ad Abramo, Isacco e Giacobbe come Dio onnipotente [El Šaddaj], ma il mio nome di Signore [YHWH] non ho fatto loro conoscere” (Es 6,2-3). YHWH e i Patriarchi Il Dio dei patriarchi, quale è descritto nel ciclo di Abramo, ha dei punti in comune con ciò che sappiamo delle divinità dell'antico vicino oriente. Questi documenti extrabiblici gettano nuova luce sui testi biblici. Si può così seguire nelle sue grandi linee l'evoluzione della religione di Abramo e della sua famiglia. I loro antenati a Ur e a Carran praticavano un culto lunare. Un giorno, Abramo ha udito la chiamata del suo Dio personale: “Vattene dalla tua terra” (Gen 12,1). Partendo da Carran, Abramo ha lasciato dietro di sé non solo il suo paese, ma anche il culto lunare che, come ogni culto dei sedentari, era collegato al luogo. Abramo si è messo in cammino sotto la guida del suo Dio personale, il Dio del padre. Arrivato in Canaan, Dio gli è “apparso” (Gen 12,7) e si è rivelato come El (Gen 17,1). Abramo ha riconosciuto il suo Dio personale nel grande Dio El venerato, sotto qualifiche distinte, nei vari santuari che egli frequentava. I due testi del libro dell'Esodo, che menzionano la rivelazione del nome di YHWH, confermano questa crescita della conoscenza di Dio. Il Dio dei padri è diventato El, e a partire da Mosé è stato assimilato a YHWH. Abramo e la sua famiglia, secondo i testi, veneravano un solo Dio. Il ciclo di Abramo menziona solamente El, non parla mai dei Baal e delle Asere, le divinità cananee della fertilità che, per tanto tempo, furono la grande tentazione idolatrica di Israele (Gdc 3,7). Si noti, anche, che nessun membro della famiglia dei patriarchi porta un nome formato con Baal. 25 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Conclusione I riferimenti a YHWH nei racconti dei patriarchi sono senza dubbio degli anacronismi. Non sono tuttavia innocui anacronismi come ne facciamo tutti; sono anacronismi teologici. La religione dei patriarchi non è ancora la religione del resto della Bibbia. Moberly suggerisce così che i racconti dei patriarchi (Gen 12-50) costituiscano, rispetto allo jahvismo di Mosé a partire da Es 3, ciò che egli chiama “L’antico testamento dell'antico testamento”. Israele ha conservato questo primo antico testamento nella sua Bibbia, così come i cristiani hanno conservato l'antico testamento con il nuovo testamento nella loro. I cristiani hanno conservato l'antico testamento non solo perché c'è continuità con il nuovo testamento; lo hanno incluso nella loro Bibbia per il suo valore proprio, come testimonianza di fede. I cristiani non seguono più tutte le pratiche dell'antico testamento, ma ne accettano ancora i princìpi e valori. Apprezzano le ricchezze dell'antico testamento, senza il quale non ci sarebbe nemmeno il nuovo testamento, ma vedono anche i suoi limiti, particolari che infastidiscono e talvolta perfino scandalizzano, e dei quali del resto neppure l'uomo è privo! Essi riconoscono che c'è un'evoluzione tra l'antico e il nuovo testamento. Israele ha avuto un approccio analogo nei confronti di quest'antico testamento dell'antico testamento; non seguiva più tutte le sue costumanze, ma ne accettava ancora princìpi e valori che regolavano la vita sotto la guida di Dio. La storia d'Israele si collocava nella continuazione della storia dei patriarchi. Israele vedeva anche dei limiti in questo primo antico testamento e accettava che, rispetto ad esso, ci fossero crescita ed evoluzione. Gli autori biblici hanno veduto certi nessi tra la storia di Abramo e la storia di Israele e hanno così introdotto nel testo degli anacronismi teologici. Il lettore, dopo aver finito la lettura di tutta la Bibbia, può ancora tornare indietro nel rileggere il ciclo di Abramo: vi scoprirà altri nessi. La lettura di un testo non è mai finita e ogni rilettura offre un arricchimento. 26 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La vocazione di Abramo Gen 12,1-9: un nuovo inizio Premessa Ogni testo letterario è generalmente composto da tre parti elementari: l'introduzione, il corpo del testo, la conclusione. Nel ciclo di Abramo (12,1-25,11) ritroviamo questa stessa struttura. L'inizio del ciclo presenta la partenza di Abramo con il suo nuovo programma di vita (12,1-9), la fine descrive la morte di Abramo, dopo che egli si è assicurato che il suo programma continuerà al di là della sua morte (cc. 24-25). Il corpo del ciclo, tra quest'inizio e questa fine, descrive il lungo cammino di Abramo (12,10-23-20). Una delle caratteristiche del ciclo è la frequenza dei doppioni. Tutto comincia con una parola divina “Vattene” (12,1: ֛ )לְֶך־לְָךche, verso la fine, viene ripetuta: “Va’” (22,2: לְֶך־ ֛)לְָך. Tra queste due parole divine analoghe si collocano parecchi grandi avvenimenti della vita di Abramo. • Due volte egli lascia la terra promessa e presenta la moglie Sara come sua sorella (12,10-20; c. 20). • Due volte le vie di Abramo e di Lot si separano (c. 13; 19). • Due volte Abramo interviene in favore di Lot (cc. 14; 18-19). • Dio conclude 2 volte un’alleanza con Abramo (cc. 15; 17). • Agar lascia due volte la casa di Abramo (cc. 16; 21). • Abramo ha due figli, Ismaele ed Isacco (cc. 16; 21,1-10). • La nascita di Isacco è annunciata due volte (cc. 17; 18). • È significativo anche il fatto che il protagonista della storia e sua moglie abbiano due nomi: Abram, il nome iniziale, è cambiato in Abramo (17,5), e Sarai diventa Sara (17,15). L'approccio storico-critico, che è diacronico, spiega questi doppioni attribuendoli a tradizioni diverse. Gli approcci più letterari e sincronici insistono sull'importanza delle ripetizioni nei testi letterari. Il lettore superficiale può essere portato a sorvolare sul secondo racconto, affermando che non fa che ripetere il primo e non dice, di conseguenza, nulla di nuovo. Il lettore attento, invece, nota che questi doppioni non sono semplici ripetizioni, vi trova certe somiglianze, ma anche differenze significative. 27 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 1. Gen 12,1-9: un nuovo inizio Ogni autore presta un'attenzione particolare alle prime righe del suo testo, poiché consapevole dell'importanza del loro effetto. L'introduzione, infatti, può suscitare la curiosità del lettore, stimolarlo a proseguire la lettura, oppure scoraggiarlo fin dal principio. Essa dà, inoltre, un orientamento a tutto ciò che segue. L'inizio del ciclo di Abramo merita, dunque, un'attenzione particolare. Il brano si divide nettamente in due parti: - Una Parola divina (vv. 1-3) o v. 1: un comando o vv. 2-3: promesse - Una risposta umana (vv. 4-9) o v. 4: una partenza o v. 5: verso la terra di Canaan o vv. 6-7: verso Sichem o v. 8: verso Betel o v. 9: verso il Negheb Vedremo in primo luogo le due parti del testo, poi, vedremo il ruolo chiave che questo testo ha nell'insieme del ciclo di Abramo e anche in tutta quanta la Bibbia. a. Gen 12,1-3: una Parola divina v. 1: Il Signore disse ad Abram: “Vattene dalla 1tua terra, dalla 2tua parentela e dalla 3casa di tuo padre, a verso la terra bche io cti mostrerò, v. 2 v. 3 cosicché - faccia di te una grande nazione e - ti benedica e - faccia grande il tuo nome, e - tu possa essere una benedizione. - benedirò coloro che ti benediranno e - maledirò chi ti maledirà, e - in te acquisteranno benedizione - tutte le tribù della terra”. 28 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Vista l'importanza del brano, ho voluto dare una rappresentazione schematica del testo, per rendere ben visibile la sua struttura. Questa Parola di Dio comporta un comando (v. 1) e alcune promesse (vv. 2-3). Un comando (v. 1) La storia dei grandi personaggi prima di Abramo, e, dunque, dei suoi lontani antenati, comincia sempre con: “Questa è tôledoth (”)תּוֹל ְ֖ד ֹת15 di Adamo (5,1), di Noè (6,9), dei figli di Noè, Sem, Cam e Iafet (10,1), di Sem (11,10), o di Terach, padre di Abramo (11,27). Lo stesso può dirsi della storia dei patriarchi dopo di lui, e, dunque, dei suoi successori: “Questa è tôledoth ( ”)תּוֹ ְל ֖ד ֹתdi suo figlio Ismaele (25,12), di suo figlio Isacco (25,19), di Esaù (36,1.9) e di Giacobbe (37,2). È degno di nota il contrasto con la storia di Abramo. Essa comincia con una parola di Dio, e questo Dio è YHWH, il Signore, il Dio di Israele. YHWH è all'origine della storia di Abramo. È lui che dirige il gioco come dimostra la ripetizione del pronome “Io”, che è il soggetto della maggior parte dei verbi. L’”Io” ritorna fino a sei volte, quasi sette, la cifra che esprime la perfezione. Infatti, l’”Io” compare nel testo una settima volta, ma soltanto dopo che Abramo ha accettato l'esortazione di Dio (v. 7). Si parla sempre del ciclo di Abramo con riferimento al protagonista umano principale, ma l'inizio mostra che Dio è quanto Abramo, e forse più di lui, il personaggio centrale. YHWH è intervenuto nella vita di Abramo con una parola: “Il Signore disse…”; Un po' più tardi: “Il Signore apparve ad Abram” (v. 7).YHWH parla anche in visione (15,1), e gli appare sotto forma di tre uomini (18,2). Il dialogo tra un “Io” e un “tu” è lo sfondo naturale di tutto il ciclo. Il testo ripete “Io” in riferimento al Dio che parla, ma ripete anche “il tuo”, “la tua”, “ti”, “te”, in riferimento all'uomo al quale Dio si rivolge. Perché Io abbia deciso di parlare ad Abramo resta un mistero. Nei capitoli precedenti della genesi si può leggere l'elenco dei nomi dei discendenti dei tre figli di Noè che popolano la terra (Gen 10). Poi, questo elenco si restringe con la discendenza di Sem, uno dei figli di Noè (11,10-26), per restringersi ancor più e parlare solamente di Terach e della sua famiglia (11,27-32). YHWH decide di rivolgersi ad Abramo, uno dei tre figli di Terach. Perché a lui? Perché non a suo fratello Nacor? Perché non ad Aran, che sarebbe morto giovane (11,28)? Sappiamo che Dio ha scelto Noè perché era il solo giusto in un mondo corrotto (6,9). Difficile capire perché YHWH abbia gradito Abele e la sua offerta e non Caino con la sua relativa offerta (4,4-5). Anche se questo è per noi un mistero, sappiamo almeno che Abele, come del resto Caino, aveva fatto un'offerta a Dio si era preso l'iniziativa di comunicare con Dio. Nulla di simile per Abramo. Egli non si era rivolto a Dio; non è 15 Tradotto con “la storia” o “la discendenza” o “la genealogia”. 29 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org descritto come un uomo più giusto degli altri; non è il più giovane dei tre figli di Terach, quello che Dio preferisce talvolta, è, anzi, maggiore. L'intervento di Dio nella sua vita non si spiega con un merito da parte sua, né appare come una ricompensa. Siamo davanti al mistero della libera scelta di Dio, di un'inaspettata elezione gratuita. Questo mistero è all'origine di uno dei titoli di Abramo: egli è “l’amico di Dio” (Is 41,8). Ma una tale elezione divina è pericolosa, perché comporta generalmente delle esigenze. Lungi dall'essere un titolo di gloria o di onore personale, configura normalmente una chiamata a un servizio. Ciò si verifica nel caso di Abramo: la parola che Dio gli rivolge precisa la sua missione. I commentatori danno spesso al testo il titolo “la vocazione di Abramo”. La prima parola di Dio è “vattene” o “lascia” (12,1: ֛)לְֶך־לְָך, il che implica una rottura, una separazione. Dio enumera del resto tutto ciò che Abramo è esortato a lasciare. La sequenza di quest'enumerazione è contraria a quel che ci si aspetterebbe. La successione logica sarebbe lasciare anzitutto la casa paterna, poi tutta la parentela e, infine, la propria terra, ma la sequenza segue piuttosto un ordine psicologico: va dal più facile al più difficile. È relativamente facile, per un nomade o un seminomadi, lasciare la propria terra: ne ha l'abitudine. Diventa già un po' più difficile lasciare la propria tribù, i parenti più stretti. Ma andarsene dalla casa del proprio padre, impone di lasciare dietro di sé ogni sicurezza. Dio chiederà sempre di più alla persona pronta a dargli qualcosa. “Lasciare” implica un “partire da”, ma anche un “andare verso”. Dio invita ad Abramo a dirigersi “verso la terra che io ti mostrerò”. L'oscurità della destinazione contrasta con la chiarezza di ciò che Abramo deve abbandonare. Il paese non è nemmeno nominato; non è, dunque, facile sapere quale strada prendere per recarvisi. Ogni chiamata a una nuova missione significa lasciare dietro di sé ciò che è conosciuto, la propria sicurezza, per addentrarsi nell'ignoto e affrontare il rischio. Promesse (vv. 2-3) Rifiutare il rischio significherebbe rifiutare di partire, accettarlo apre orizzonti nuovi inaspettati. YHWH annuncia per quale ragione vuole che Abramo parta. La struttura del brano indica che questa ha partenza uno scopo immediato, ma che questo scopo, a sua volta, tende verso un altro, più lontano. “Cosicché” introduce delle proposizioni consecutive che sono portatrici di un risultato, ma anche di un'intenzione. Esse specificano quel che Dio vuole, quel che risulterà dalla partenza di Abramo. Ma tutto ciò in vista di altro ancora: “cosicché…in te acquisteranno benedizione”. Questo testo così bene strutturato annuncia un programma di grande portata teologica. 30 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org YHWH indica il risultato immediato della partenza: “cosicché [Io] faccia di te una grande nazione”. Sappiamo dal resto della Bibbia che questa nazione sarà Israele. Il testo dice letteralmente: “Io ti farò una grande nazione”. Abramo sarà una grande nazione. Il “ti” del resto si applica così all'individuo e al popolo. L'individuo rappresenta il gruppo e il gruppo è rappresentato nell'individuo. Ciò che è detto di Abramo si applica ugualmente a Israele. Dio prosegue: “[Io] ti benedica”. YHWH promette ad Abramo la felicità, la salvezza e il successo personale. Quello che il non credente chiamerebbe la fortuna nella vita, la Bibbia lo chiama una benedizione di Dio. Dio è la fonte di ogni bene. Dio aggiunge un'altra promessa ad Abramo: “[Io] faccia grande il tuo nome”. Davide riceverà una promessa simile (2Sm 7,9); ma altrove nella Bibbia, solo il nome di Dio è detto “grande”16. Il nome della persona, così YHWH renderà grande Abramo/Israele. Il testo usa per la seconda volta la parola “grande”. La grandezza di Abramo/Israele non è la sua forza militare, politica o economica, la sua grandezza è di un altro ordine: “Difatti qual è quella grande nazione che abbia dèi così vicini, come il Signore nostro Dio è vicino a noi quando lo invochiamo? Qual è quella grande nazione che abbia prescrizioni e decreti così giusti come tutta questa legge che oggi io vi presento?” (Dt 4,7-9). Questa grandezza tende ad uno scopo particolare: “e tu possa essere una benedizione”. Ecco l'intenzione ultima di questa missione di Abramo: egli è chiamato ad essere una fonte di salvezza per gli altri. YHWH si fa garante del comportamento che gli altri uomini avranno nei confronti di Abramo: “Benedirò coloro che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà”. La differenza è significativa e confortante. C'è un plurale per coloro che benediranno, ma un singolare per chi maledirà. Quelli salvati saranno più di quelli respinti. La conseguenza e l'intenzione ultima della missione di Abramo recano l'impronta di un grande universalismo: “e in te acquisteranno benedizione tutte le tribù della terra”. Tutti potranno trovare la salvezza in Abramo (cf. Is 19,24). Il dialogo tra un “io” e un “tu” ha avuto inizio. Il testo indica una relazione particolare tra YHWH e Abramo, ma la missione di Abramo è per gli altri. Egli è posto in una relazione particolare con gli altri uomini, anzitutto con quelli del suo popolo, poi, con quelli di tutto il mondo. Il progetto di Dio ha uno scopo immediato, ma tende anche a uno scopo più lontano. La missione di Abramo non è limitata alla creazione di Israele, è come una ri-creazione di tutta l'umanità. Ci sono parecchie differenze tra ciò che viene chiesto ad Abramo di lasciare e ciò a cui è destinato. Egli deve andarsene dalla sua terra, dove Dio adesso gli parla, e dirigersi 16 Gs 7,9; 1Sm 12,22; Sl 76,2; Ml 1,11. 31 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org verso la terra che Dio gli mostrerà, in cui Dio non solo gli parlerà, ma gli apparirà. Egli si dirige così verso un paese di Dio e, al di là, verso tutta la terra. Nel suo paese Abramo ubbidisce a Dio, ma nel paese promesso gli renderà un culto. Deve lasciare la casa di suo padre, per diventare egli stesso padre, non soltanto di una casa, ma di una nazione. Deve lasciare la sua parentela, per diventare fonte di salvezza per le famiglie, non di un solo paese, ma di tutta la terra. Quale sarà la risposta di Abramo? Accetterà il rischio dell'ignoto anche se sembra promettente, o preferirà la sicurezza di ciò che conosce di cui è sicuro? Anche lì ha rischiato scegliendo Abramo. Ha fatto la scelta giusta? Dio, e con lui il lettore, attendono con ansia. b. Gen 12,4-9: la risposta umana Una partenza (v. 4). La risposta è breve e chiara v. 4: “Allora Abram partì, come gli aveva detto il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva 75 anni quando lasciò Carran”. La Bibbia riferisce diversi racconti di vocazione, distinguibili in quattro tipi. Uno di questi, ben conosciuto, mostra il chiamato, che risponde soltanto dopo aver esitato: “si, voglio, ma…”, Come nella chiamata di Mosé (Es 3,7-12) e di Geremia (Ger 1,1-10). Il racconto della vocazione di Abramo appartiene a un altro tipo: la risposta è immediata, senza alcuna esitazione o obiezione. Il testo sottolinea questa prontezza della risposta di Abramo usando lo stesso verbo nel riferire la chiamata di Dio e la risposta dell'uomo. YHWH aveva detto ad Abramo: “vattene” (12,1: ֛)לְֶך־לְָך, ed Abramo “parte” (12,4: ) ַו ֵיּ֣לְֶך. Il testo aggiunge anche che lo fa: “come gli aveva detto il Signore”, mettendo così in evidenza che Abramo segue esattamente i termini dell'esortazione. Egli accetta la chiamata, rischia: “Abram partì” e “lasciò” la sua terra, Carran. Questa risposta non è tuttavia evidente. Il testo precisa che Abramo ha “settantacinque anni”, che non è esattamente l’età migliore per cominciare una nuova vita. Abramo non sa nemmeno verso quale paese si deve dirigere. Per di più, come il lettore è stato informato, “Sarai era sterile, non aveva figli” (11,30). Tutte le circostanze sembrano il contrario del contenuto delle promesse. È un invito ragionevole? È possibile accondiscendere ad esso? Il testo introduce un altro personaggio: “e con lui partì Lot”. Anche Lot “parte”. Il testo usa lo stesso verbo, ma la sua partenza è differente. Abramo parte “come gli aveva 32 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org detto il Signore”, mentre Lot parte “con lui”. La differenza è degna di nota: la partenza di Abramo è una risposta a una chiamata divina, mentre la partenza di Lot è un'iniziativa umana. Lot segue Abramo. La figura di Lot compare, poi, diverse volte nel ciclo di Abramo. Il lungo viaggio di Abramo è cominciato e il testo ne descrive le diverse tappe. Il cammino di Abramo corrisponde al suo pellegrinaggio spirituale, quale è vissuto da ogni credente. I luoghi attraverso i quali passa Abramo avranno, poi, un ruolo importante nel resto del ciclo di Abramo e, dopo di lui nella vita di Isacco, di Giacobbe e nella storia del popolo d'Israele. In cammino verso Canaan (v. 5) Dopo aver sottolineato che Abramo ha risposto alla chiamata, il testo prosegue: “Abram prese Sarai, sua moglie, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i loro beni che avevano acquistato in Carran e tutte le persone che (lì si erano procurate) avevano comprate in Carran”. Che Abramo prenda sua moglie con sé è naturale, così come prenda i beni materiali, gli animali e i suoi servi. Ma Lot fa problema. Dio aveva detto ad Abramo di lasciare la sua parentela e la casa di suo padre, e allora come può Abramo prendere Lot con sé? Primo conflitto, nella vita di Abramo, tra una parola di Dio e una situazione concreta. Abramo ha veramente lasciato la sua parentela, non ha chiesto a Lot di partire con lui. È Lot che ha preso l'iniziativa e Abramo non replica: non era tenuto a questo, e accoglie il nipote. “E si incamminarono verso la terra di Canaan”. Il testo rivela il nome del paese verso il quale YHWH ha invitato Abramo. Questo paese di Canaan apparterrà un giorno a quella grande nazione di cui Abramo diventerà il padre. Verso Sichem (vv. 6-7) “Abram attraversò il paese fino al santuario di Sichem, presso la Quercia di More”. La città di Sichem avrà, poi, un ruolo importante nella vita di Giacobbe17 e, più tardi, nella storia del popolo. Le tribù vi formeranno una federazione (Gs 24) ed essa diventerà la capitale del regno del Nord, al momento dello scisma tra il Nord e il sud, dopo la morte di Salomone (1Re 11-12). Doveva esserci un luogo sacro regionale, nel quale la quercia era oggetto di una venerazione speciale (Dt 11,30), forse per la divinazione (Gdc 9,37). Il nome vuol dire “insegnante” e lascia intendere che in quel luogo venivano annunciati degli oracoli. Ma Abramo è alle prese con un altro problema, che lascia presagire un possibile conflitto: “Allora nel paese si trovavano i cananei”. Abramo è in un paese che appartiene a 17 Cf. Gen 33,18-‐20; 35,1-‐4. 33 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 18 un popolo. YHWH appare ad Abramo e gli parla una seconda volta indicandogli la soluzione: “Alla tua discendenza io darò questa terra”. Dio gli conferma così che avrà una discendenza e gli rivela che il paese misterioso verso il quale è diretto, senza conoscerlo, è Canaan. La certezza viene dopo l'accettazione del rischio. Ma nel testo c'è una contraddizione. Dio aveva detto ad Abramo che gli avrebbe fatto vedere questa terra (v. 1), qui Dio promette che la darà non ad Abramo, ma alla sua discendenza. Abramo costruisce un altare al Signore a Sichem. Il luogo sacro cananeo è così consacrato al Dio di Abramo. Costruì un altare, che sempre è un'espressione della devozione del costruttore mostrando così la sua riconoscenza per una teofania o per una protezione ricevuta. Abramo lo fa quattro volte, prima a Sichem (12,7), poi a Betel (12,8; 13,4), a Ebron (13,18) e a Moria (22,9). Tutti i grandi personaggi della Bibbia lo fanno ugualmente: Noè (8,20), Isacco (26,25), Giacobbe (35,7), Mosè (Es 17,15; 24,4), Giosuè (Gs 8,30), Samuele (1Sm 7,17), Saul (1Sm 14,35), Davide (2Sm 24,21), Salomone (1Re 9,25), ed altri ancora. Verso Betel (v. 8) Da Sichem, che si trova a nord della terra di Canaan, Abramo scende verso il centro, verso Betel. Anche lì costruisce un altare a Yhwh e gli rivolge una preghiera invocando il suo nome19. Abramo riconosce come suo il Dio Yhwh che gli ha parlato. Betel è anche un luogo legato a Giacobbe, dove ebbe il suo sogno20. Il luogo avrà ugualmente un ruolo importante nella storia di Israele e diventerà il centro religioso del regno del Nord, in competizione con Gerusalemme (1Re 12,26-33). Verso il Negheb (v. 9) Abramo continua a scendere di accampamento in accampamento verso il sud di questa terra promessa. È arrivato nel paese, ma non ha fatto che attraversarlo entrandovi da nord uscendovi nel sud. Abramo prende possesso del paese in maniera simbolica, costruendo gli altari, convinto che la sua discendenza potrà ritornarvi per i bisogni del culto, per condurvi le sue greggi e per insediarvisi un giorno. Questi altari sono altrettanto segni che lo legano a questa terra, ma egli stesso, vi rimane fondamentalmente uno straniero e un passante. 18 Il verbo alla lettera è “vedere” () ַויּ ָ ֵ֤רא, alla lettera, dunque, da tradurre: “Yhwh si fece vedere ad Abramo”. Questo stesso verbo sarà utilizzato da Abramo nella prova dell’offerta del figlio (Gen 22,6). Ma sarà anche la medesima modalità utilizzata dal Nuovo Testamento per indicare le apparizioni del risorto, alla lettera da tradurre con “fu visto”. 19 Sl 105,1-‐2; 116,3-‐4. 20 Gen 28,10-‐22; cf. 35,1-‐15. 34 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 2. La vocazione di Abramo: testo chiave a. Risposta a ciò che precede Il ciclo di Abramo (12,1-25,11) forma di per sé un'unità letteraria ma, d'altra parte, rientra in un insieme più grande. Segue alla preistoria (1-11), con la quale è intimamente legato. Il racconto della vocazione di Abramo fa da ponte (12,1-9). Quest'inizio del ciclo di Abramo è, dunque, un testo chiave. La preistoria dell'umanità (1-11) termina in un vicolo cieco. La storia della torre di Babele descrive come gli uomini non si capiscono più e sfocia nella massima confusione: “Colà il Signore mescolò il labbro di tutta la terra e di là il Signore li disperse sulla superficie di tutta la terra” (11,9). La preistoria spiega attraverso le sue numerose genealogie che nulla, nemmeno gli errori delle debolezze umane, ha potuto fermare la procreazione umana, frutto della benedizione divina (1,28; 9,1.7). Improvvisamente, verso la fine di questa preistoria, compare una nozione mai menzionata prima, la sterilità: “Sarai era sterile, non aveva figli” (11,30). L'umanità aveva preso molte iniziative, per conquistare il mondo che le era stato affidato. Anche Terach aveva un progetto: aveva cominciato l'emigrazione, ma si era fermato a metà strada. L'umanità sembra stanca della conquista del mondo, e rinuncia: “[Terach] li fece uscire da Ur dei caldei, per andare nella terra di Canaan.ma arrivati a Carran, vi si stabilirono” (11,31). In questa situazione il racconto della vocazione di Abramo è l'iniziativa di Dio per una restaurazione, ma la riuscita del progetto divino dipende dalla risposta di Abramo. La prima parola di Dio ad Abramo è: “Vattene dalla tua terra” (12,1). Abramo è invitato a lasciare questa città di Carran dove l'umanità si era stabilita, abbandonando a mezza strada il viaggio verso Canaan. Abramo acconsente: “Abram partì” (12,4). Suo padre Terach aveva abbandonato il cammino, Abramo lo prosegue: “e si incamminarono verso la terra di Canaan” (12,5). Dopo aver esortato Abramo ad andarsene dalla sua terra, Dio gli fa una promessa: “cosicché faccia di te una grande nazione” (12,2). E dopo che Abramo si è messo in cammino, Dio gli promette che darà il paese alla sua “discendenza” (12,7). Quest'ultima promessa non riguarda più direttamente l'esistenza di discendenti, che è data per certa. Una donna sterile e un uomo di 75 anni avranno la discendenza, che diventerà perfino una “grande” nazione. Dio farà nascere la vita dalla sterilità. È degno di nota il fatto che la promessa ricompare più tardi rivolta a Mosé, dopo l'infedeltà nel deserto21. Il progetto dell'umanità a Babele era sfociato nella confusione nella disperazione “sulla superficie di tutta la terra” (11,9).Yhwh promette ad Abramo che egli diventerà una fonte di benedizione per l'umanità: “e in te acquisteranno benedizione tutte le tribù della 21 Es 32,10; Nm 14,12; Dt 9,14. 35 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org terra” (12,3). Al momento della creazione e all'inizio del nuovo mondo dopo il diluvio, Dio aveva benedetto l'umanità in vista della procreazione e della conquista della terra: “Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogata” (1,28)22. Attraverso Abramo Dio offre una nuova benedizione all'umanità. Il termine benedizione, che è sempre rapporto con la salvezza, è al centro della chiamata di Abramo, nella quale è ripetuto cinque volte (12,2-3). La preistoria è cominciata con una benedizione (1,28), ma la maledizione vi è diventata predominante: la ritroviamo fino a cinque volte23. È possibile che le cinque benedizioni della chiamata di Abramo vogliano annullare le cinque maledizioni della preistoria. La salvezza sostituisce la condanna. Questa introduzione del ciclo di Abramo annuncia così un nuovo inizio pieno di speranza per l'umanità. b. Sfida per ciò che segue La chiamata di Abramo non funge soltanto da nesso con la preistoria che la precede, ma stabilisce anche un programma per tutto ciò che segue. La parola di Yhwh chiede ad Abramo di partire, gli fa delle promesse. Abramo ha risposto all'ordine: è partito. Resta da vedere che ne sarà delle promesse. Yhwh ha fatto tre grandi promesse ad Abramo. Gli ha promesso che farà di lui una grande nazione, il che implica che Abramo avrà una discendenza. Gli ha promesso che lo condurrà verso un paese destinato alla sua discendenza. Infine, ha promesso non solo che benedirà personalmente Abramo, ma che Abramo, a sua volta, diventerà una benedizione per gli altri. Tutto il ciclo di Abramo è così incentrato su queste tre promesse: la terra, la discendenza, la benedizione personale e la benedizione per gli altri Queste tre promesse formano l'oggetto di tutto il ciclo di Abramo; coinvolgono Dio che le ha fatte e l'uomo che vi corrisponde. Da una parte, le promesse tardano a realizzarsi, sono minacciate da conflitti e tensioni, sono messe alla prova, sono riprese, confermate e chiarite da Dio, si realizzano parzialmente o interamente. Dall’altra parte, c’è la risposta di Abramo a tali promesse. Egli accetta, crede, dubita, si preoccupa, s’impazientisce. Ogni pericope del ciclo parla di queste promesse, spesso di due o tre insieme, ma di frequente è una sola a predominare. Il racconto della vocazione di Abramo parla anche di suo nipote Lot, il quale si ritrova spesso come nemico e ugualmente in rapporto con le stesse tre promesse, ma come dalla parte opposta. Si potrebbe dire che i due illustrino lo stesso tema, Abramo in positivo e 22 Cf. Gen 5,2; 9,1.7. Gen 3,14.17; 4,11; 5,29; 9,25 (2 volte). 23 36 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Lot in negativo. Abbiamo già notato, esaminando il momento della partenza, che Abramo parte seguendo una chiamata divina, Lot parte seguendo Abramo. Il passo della vocazione di Abramo presenta un sommario delle sue imprese future e serve così da grande introduzione al ciclo. Le promesse della terra, della discendenza, della benedizione non si limitano ad Abramo, ma vengono riaffermate ai patriarchi che lo seguono, ad Isacco (26,2-4), a Giacobbe (28,3-4; 13-14; 32,13; 35,9-12), a Giuseppe e ai suoi figli (48,15-16). La ripetizione del nome di Abramo nel resto del Pentateuco illustra l'adempimento della promessa, fatta da Dio, di rendere grande il suo nome. Anche al di là dei patriarchi, nel resto della Bibbia, queste promesse riguardano tutto il popolo d'Israele e le nazioni. I temi della terra, della discendenza, della benedizione vi occupano un posto importante. 37 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Il cammino di Abramo I Parte: Gen 12,10-15,21 Premessa Abbiamo presentato la figura di Abramo nella sua complessità riguardo agli studi critici sul Pentateuco ed in particolare sul ciclo di Abramo. Dopo aver, dunque, posto le basi di una sua possibile lettura oggi, abbiamo visto il fondamento di questo ciclo nella vocazione del patriarca. Questa dialettica, inaugurata dalla chiamata di Dio, si articola intorno a tre grandi temi: la terra, la benedizione, la discendenza. A seguito della chiamata di Dio, Abramo si mette in cammino. Questa peregrinazione, però, conduce il patriarca lontano dalla sua famiglia e dalla sua terra, ma non lontano dalle promesse di Dio. Anzi, tali promesse scandiscono il percorso concreto del patriarca. Nell'ottica, dunque, di questo cammino, vedremo il tema della terra in Gen 12,1013,18, il tema della benedizione Gen 14,1-24, ed il tema della discendenza Gen 15,1-18,16a. Questo percorso scandirà la vita di Abramo: avendo accolto nella chiamata la parola che lo conduce fuori della sua terra e della sua famiglia, l'unico orizzonte che rimane al patriarca è quello delle promesse di Dio. In questo percorso, però, Abramo dovrà scoprire, nel suo cammino concreto, la logica delle promesse di Dio. Tutto ciò non gli sarà chiaro immediatamente, ma in maniera graduale dovrà, volta per volta, ritornare su quella prima parola che lo ha chiamato all'inizio. 3. Gen 12,10-13,18: Terra a. Gen 12,10-13,1: abbandono della terra Il primo testo che troviamo, dopo la vocazione, menziona subito un problema, la carestia, con il comportamento di Abramo quanto mai singolare. Il racconto assomiglia ad un altro episodio della vita di Abramo e di Sara (20,1-18), e della vita di Isacco e di Rebecca (26,1-14). Sono state fatte molte ricerche su questi tre testi, si sono indagati i rapporti fra di loro, le loro somiglianze e differenze, la loro interdipendenza, la tradizione alla quale ciascuno di essi apparterrebbe. L'inizio della pericope è facile da identificare (12,10), ma si può discutere sulla sua fine. La struttura d'insieme farebbe pensare che alla fine non sia in 12,20, ma in 13,1. Il testo comincia con una discesa, una partenza, e finisce con una risalita, un ritorno. Vediamone la struttura: 38 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org a a1 12,10: la discesa in Egitto b 12,11-13: il discorso di Abramo c 12,14-16: l'arrivo in Egitto e l'azione degli egiziani d 12,17: l'intervento del Signore 1 b 12,18-19: il discorso del faraone c1 12,20: la partenza dall'Egitto e l'azione degli egiziani 13,1: la risalita verso Canaan Gen 12,10: la discesa in Egitto Abramo attraversa questo paese da nord a sud, come per prenderne simbolicamente possesso, ed ecco la prima disavventura che gli capita: “Venne una carestia nel paese”. La siccità è frequente in Canaan, la valle del Nilo, in Egitto, produce, invece, molto grano. Si legge spesso che gli stranieri vi andavano per procurarsi provviste. Così in Gen 42,1-5 e 43,1 è detto che Giacobbe mandi i figli in Egitto presso Giuseppe, per comperare grano. Abramo, tuttavia, non discende in Egitto per comperarvi di che sopravvivere alla carestia, ma per soggiornarvi. Il verbo ( )י ַָרדindica che egli vi si stabilirà come immigrato e ciò implica che ha l'intenzione di restarvi per un periodo prolungato, forse per sempre. Un giorno Israele, per la stessa ragione, soggiornerà in Egitto (Gen 47,4). La decisione di Abramo desta stupore, dopo la promessa che la sua discendenza possederà la terra di Canaan. Il testo non emette un giudizio morale sull'azione di Abramo, non lo accusa di una mancanza di fede o di fiducia, non si preoccupa delle sue intenzioni. La sola spiegazione fornita per l'azione di Abramo è: “perché la carestia gravava sul paese”. Abramo non è andato seguendo l'invito divino, come al momento della partenza dal suo paese di origine. Ha preso una decisione umana, spinto dalle circostanze. Questo primo versetto ripete la parola “carestia” e la parola “paese”, lasciando intendere chiaramente che la promessa del paese è centrale nel racconto. Gen 12,11-13: il discorso di Abramo Vicino alla frontiera, Abramo si rivolge a Sara. Ciò che lo preoccupa è che, a causa della sua bellezza, gli egiziani possano fare del male a lui. Abramo afferma chiaramente: “Per causa tua” che potrebbe anche essere tradotto con “a prezzo di te”. Il sedicente fratello vuole vendere la “sorella” come i ricchi vendono i poveri “a conto di due sandali” (Am 2,6; 8,6). Per la prima volta nel ciclo, si presume che Sara parli. Abramo insiste: “Certo, tu sai”, ma la richiesta di Abramo a Sara è il rinnegamento della sua stessa identità, una parola prima di menzogna e non di verità. Il comportamento del patriarca è rivoltante. Egli ha messo in pericolo la promessa della terra abbandonando la terra promessa, e mette 39 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org ugualmente in pericolo la promessa della discendenza, consegnando Sara nelle mani degli egiziani. Gen 12,14-16: l'arrivo in Egitto e l'azione degli egiziani Quello che Abramo aveva previsto accade. Sara, che non è menzionata per nome, “fu presa” nella casa del faraone. La Bibbia usa l'espressione “prendere una donna” per diversi atti in rapporto con il matrimonio (25,1). Il testo richiama alla memoria la storia di Eva, la quale vide che il frutto era “seducente per gli occhi”, e così lo “prese” (3,6). Il testo non ci dice se Sara abbia parlato oppure no: essa è ormai chiamata “la donna”. Accade quello che Abramo aveva sperato “fu trattato bene per causa di lei” o “come prezzo di lei”. Il Faraone dona ad Abramo: “greggi, armenti ed asini, schiavi e schiave, asini cammelli”; menzionati fra gli animali si trovano pure esseri umani. Gen 12,17: l'intervento del Signore Yhwh, all'origine del cammino di Abramo, interviene nel racconto provocandone una svolta: “Il Signore colpì il Faraone e la sua casa con grandi piaghe”, come più tardi colpirà con piaghe un altro faraone, per aver abusato di Israele (Es 7,8-11,10). Yhwh interviene “per il fatto [ ]עַל־דְּ בַ ֥ר שׂ ַ ָ֖ריdi Sarai”. L'espressione dbr non indica soltanto la “faccenda” o “l'avvenimento” riguardante Sara, ma fa riferimento anche ad una “parola”. Del resto, ella non aveva nessuno a cui parlare, non poteva opporsi a suo marito né al faraone. Ma Yhwh accoglie il grido di disperazione (cf. 1Sm 13,19), la preghiera di supplica, come quella che Israele rivolge a Yhwh durante la sua schiavitù in Egitto (Es 2,23). Il testo giunge così al tema della benedizione: “Benedirò coloro che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà” (12,3). Gli egiziani sono stati una minaccia per la vita di Abramo; adesso ne subiscono le conseguenze. Il comportamento di Abramo non ha favorito una benedizione per gli egiziani. Questo intervento di Dio dimostra che Sara è una persona rispettata da Dio, che è, nel progetto di Dio, la compagna di Abramo. Gen 12,18-19: il discorso del faraone “Il faraone chiamò Abram”, come Yhwh, “chiamò” l’uomo (Gn 3,9). La sua parola consiste in un'accusa: “che cosa mi hai fatto?”. È la stessa domanda che il Signore Dio aveva rivolto ad Eva (3,13) ed è molto simile a quello rivolta a Caino (4,10). L'accusa del faraone riguarda l'inganno di Abramo sull'identità di Sara. La narrazione contiene qui diverse lacune: il faraone sa che le piaghe sono inflitte da Yhwh? E soprattutto, come ha finalmente scoperto la vera identità di Sara? Nel testo 40 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Abramo e Sara non hanno mai parlato al faraone. È interessante che negli altri due episodi paralleli una risposta, invece, esista. Nel primo, Abimèlech riceve in sogno la rivelazione divina che Sara è la moglie di Abramo (20,3). Nel secondo, lo stesso Abimèlech si rende conto che Rebecca e la moglie di Isacco, dopo aver visto il comportamento intimo che avevano fra loro (26,8). Il faraone dice di aver agito basandosi sulla parola di Abramo: “in modo che io me la sono presa per moglie”. Il re, che in base al suo potere, prende in moglie chi vuole, avrebbe agito in un modo differente sapendo la vera identità di Sara? Oppure avrebbe fatto come Davide con Uria, il marito di Betsabea? (2Sm 11,14-15). In realtà il faraone è colpito da piaghe nel suo corpo. Questo sovrano dà allora un ordine, introducendo il verdetto, come accade spesso al giudizio di Dio (Gen 3,22; 4,11), con “ora”. La sentenza è breve: “Eccoti tua moglie; prendila e vattene!”. Le parole del faraone esprimono rigetto disgusto: la donna è un affare fra questi due uomini. Carestia o non carestia in Canaan, Abramo deve lasciare quel Egitto dove era venuto a rifugiarsi. In questo modo Abramo è riunito a su moglie Sara, e la promessa della discendenza ritrova la possibilità di realizzarsi. Abramo, che voleva soggiornare in Egitto, ne viene scacciato. L'ordine del faraone: “Vattene” è identico alla prima parola che il Signore aveva rivolto ad Abramo: “Vattene” (12,1). Gen 12,20-13.1: partenza e risalita verso Canaan Il faraone fa accompagnare Sara e Abramo dai suoi uomini per la prima parte del viaggio “fuori della frontiera”: Abramo e Sara vengono mandati via dall'Egitto, come Adamo ed Eva furono scacciati dal paradiso (Gen 3,23). Abramo era partito dal suo paese d'origine seguendo l'ordine del Signore (12,4); adesso parte dall'Egitto seguendo l'ordine del faraone: “Dall’Egitto Abram risalì verso il Negheb”. Abramo era già giunto nel Negheb al tempo in cui percorreva la terra promessa (12,9), e da lì era “disceso” in Egitto (12,10); adesso “risale” dall'Egitto verso il Negheb. Il versetto ripete: “con la moglie e tutto il suo avere”, aggiungendo: “Lot era con lui”. Lot non è mai stato menzionato nel racconto, se ne era parlato solamente nell'introduzione del ciclo. Quando Abramo era partito secondo l'ordine divino, il testo aveva precisato: “e con lui partì Lot” (12,4). Egli fa adesso la stessa cosa: è l'uomo che segue. Quest'avventura si è conclusa ed il racconto presenta numerose somiglianze, sia con quello del paradiso, nel quale l'armonia (Gen 2) è infranta dal peccato (Gen 3), sia con quello della permanenza di Israele in Egitto. Il racconto riguarda le tre promesse. La struttura d'insieme della pericope mostra che essa sviluppa anzitutto il tema della terra, come Abramo l'ha abbandonata e come vi è ricondotto. Quest'abbandono porta Abramo in un paese dove teme che gli abitanti lo uccidano. Si giunge così al tema della benedizione. 41 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Dio, infatti, maledice quelli che maledicono Abramo. La paura porta Abramo a mentire e a mettere in pericolo la promessa della discendenza. Abramo ha tratto vantaggio da questa vicenda. Era disceso in Egitto a causa della carestia, e ne ritorna arricchito dei doni che il faraone gli ha fatto e gli ha, poi, permesso di prendere con sé. Ciò somiglia a quello che accadrà agli israeliti al momento della partenza dall'Egitto. Gli schiavi riusciranno a spogliare gli egiziani e ripartiranno con le ricchezze dei loro oppressori (Es 12,35-36). Il comportamento di Abramo, rimane inaccettabile. Ha conservato la vita, sua moglie Sara, ha tratto vantaggio materiale dal suo atteggiamento, ma dovrà ancora comprendere che con Sara dovrà condividere la benedizione di Dio. b. Gen 13,2-18: offerta del paese Dopo l'apertura del ciclo di Abramo con la sua chiamata il primo racconto che abbiamo incontrato è quello relativo alla promessa della terra (12,10-13,1). La promessa della discendenza sembrerebbe la più urgente da soddisfare, ma i redattori continuano a trattare il tema del paese (13,2-18). La delimitazione del racconto è molto chiara. Dall’inizio alla fine parlano di una migrazione di Abramo, il che ben si addice ad un testo imperniato sul tema del paese. 13,2-5: verso Betel 13,6-7: la lite 13,8-9: la soluzione proposta 13,10-13: la scelta di Lot 13,14-17: la promessa fatta ad Abramo 13,18: verso Ebron Gen 13,2-5: Verso Betel L'inizio collega il racconto non solo con quello precedente, ma anche con l'introduzione del ciclo di Abramo. Egli aveva lasciato la terra promessa a causa della carestia che “gravava sul paese” (12,10). Dopo quell'infelice avventura Abramo è ritornato con “tutto il suo avere” (12,10; 13,1). Il testo specifica ora questi possedimenti: “Abram era molto ricco di bestiame, di argento di oro”. L'ebraico usa, nei due casi la medesima parola: la prima volta la carestia che gravava sul paese era “pesante [ ;”]כִּ ֽי־כָבֵ ֥דadesso Abramo è ricco, è “pesante [ ”]כָבֵ ֥דdi possedimenti. C'è stato un vero capovolgimento nella sua vita di Abramo. La risalita di Abramo dall'Egitto verso il Negheb (13,1), che formava la fine del racconto precedente, serve anche da inizio a questo. Dal Negheb Abramo continua a risalire, all'interno della terra promessa, verso un luogo ben preciso. Nel suo cammino attraverso la terra promessa, in seguito alla chiamata di Yhwh, era arrivato nella regione di Betel, dove 42 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org aveva rizzato la sua tenda, costruito un altare, invocato, per la prima volta, il nome del Signore (12,8). Da lì era disceso verso il Negheb (12,9), e dal Negheb in Egitto (12,10). Il ritorno si effettua esattamente in senso inverso: dall'Egitto Abramo è risalito verso il Negheb (13,1), e dal Negheb verso la regione di Betel (13,2). Il testo riprende, parola per parola, tutto ciò che Abramo ha fatto la prima volta. Egli è risalito verso il centro della terra promessa, verso il luogo più vicino in cui ritrovare un altare da lui stesso costruito e, come la prima volta: “Abram invocò il nome del Signore”. Abramo ritorna alle origini, ritorna a Yhwh. Egli ha molte ragioni per voler invocare rapidamente il nome del Signore dopo l'avventura in Egitto. In quella terra Sara aveva detto una “parola” (12,17) di cui non si conosce il contenuto e che il lettore può soltanto immaginare. Nemmeno qui il testo precisa il contenuto della parola, che Abramo rivolge a Yhwh. Questa parola è, forse, un rendimento di grazie per la felice conclusione dell'avventura o, chissà, la confessione della propria colpa e una domanda di perdono. Quel che è sicuro, è che Abramo vuole ritrovare Yhwh, il quale era stato poco menzionato nel racconto precedente. Una volta ancora, si parla di Lot che, come nei casi precedenti: “viaggiava con Abram”. Lot è l'uomo che è “con Abram”. Con lui partito da Carran (12,4), con lui ritornato dall'Egitto (13,1): vi era, dunque, disceso con lui al momento della carestia, risale adesso con lui all'interno della terra promessa. E poiché Lot è stato con Abramo, anche lui è ritornato arricchito dall'Egitto. Ma questo sodalizio sta per finire. Abramo e Lot sono i due personaggi principali del racconto, che non contiene più nessun riferimento a Sara. Gen 13,6-7: la lite Ma ecco che si presenta un nuovo problema: il territorio non bastava a una loro abitazione comune; il testo ne indica la ragione: “perché avevano beni troppo grandi per poter abitare insieme”. Il decreto contiene un'inclusione con la formula “abitazione comune” – “abitare insieme”. Il verbo “abitare”, “risiedere”, “stabilire” è il verbo chiave del brano, nel quale ricorre più volte (Gen 13,6.7,12 [2 volte].18). Si assiste a un capovolgimento strano, ma ironico. Prima, Abramo e Lot non potevano abitare nel paese e lo avevano abbandonato a causa della carestia che vi gravava (lett. pesante []כָבֵ ֥ד, 12,10). Adesso ritornano, ma le loro ricchezze sono troppo “pesanti [( ”]כָבֵ ֥דGn 13,2), perché possano abitare insieme nel paese. Tra i pastori del bestiame di Abramo e quelli di Lot nasce una “lite”. In certi testi biblici il termine fa riferimento a una vera contesa giudiziaria (Es 23,3), come probabilmente non è ancora il caso qui. Per questi uomini, che vivono in regioni aride, i pascoli dei corsi d'acqua costituiscono un problema, come vedremo un'altra volta, più tardi, nella vita di Abramo (21,25). Le grandi ricchezze di Abramo e di Lot rendono la coabitazione impossibile e, per di più, essi questi non sono i soli in questo paese 43 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org che non è nemmeno il loro. Altri lo “abitano”. Il testo fa riferimento un'altra volta ai cananei (12,6) e vi aggiunge i perizziti. Gen 13,8-9: la soluzione proposta Abramo sceglie una soluzione pacifica: “Non ci sia discordia tra me e te, tra i miei pastori e i tuoi”. Ci sono altri tre episodi di lite nella storia dei patriarchi, un secondo nella vita di Abramo (21,25-34), uno nella vita di Isacco (25,15-25), uno nella vita di Giacobbe (31). È da notare che in questi tre casi la lite viene risolta non per mezzo delle armi, ma in maniera pacifica, mediante un'intesa. Si decide di concludere un'alleanza (21,27.32; 26,28; 31,44). È questa la soluzione proposta anche da Abramo: “perché [d’ora innanzi] noi siamo fratelli”. Abramo e Lot non sono fratelli. È vero che il termine “fratello” può avere talvolta un significato più ampio di alludere a un parente, ma altrove Lot è presentato come il nipote di Abramo24. Il testo li chiama “fratelli” perché hanno concluso un patto di fratellanza (Am 1,9). Il criterio adottato da Abramo è quello di lasciare la scelta a Lot. In Egitto, Abramo aveva pensato soltanto al proprio interesse; qui, si mostrò più generoso. Dopotutto, è il più anziano e ha ricevuto la promessa della terra; potrebbe esigere di scegliere per primo e, invece, lascia l'iniziativa al nipote più giovane. Gen 13,10-13: la scelta di Lot Il testo sottolinea che l'atto di Lot è puramente umano. Non si tiene conto di Yhwh, egli non interviene, non è consultato e nemmeno menzionato. I verbi usati danno risalto acquistato strettamente umano: “Lot alzò gli occhi”, il che significa spesso “desiderare”, “bramare”. “Osservò” e “scelse”, e il testo insiste “per sé”. Lot passa all'azione, “trasportò le tende” e “risiedette”, verbo chiave del brano. Il testo descrive perfettamente il processo psicologico: dall'osservazione, Lot passa al desiderio, alla decisione e all'esecuzione. Il testo sottolinea ciò che spinge Lot a fare questa scelta. Egli vuole tutto, vuole il meglio, la terra più bella: “Osservò tutta la valle del giordano, perché era tutta irrigata…scelse per sé tutta la valle del giordano”. L'atto di Lot è paragonabile a quello di Eva “nel giardino del Signore”. Ella: “vide che l'albero era buono da mangiare, seducente per gli occhi e attraente... prese del suo frutto ne mangiò” (3,6). È ugualmente paragonabile a quello degli egiziani nel racconto precedente; anch’essi: “videro che la donna era molto avvenente”, ne “fecero lodi” al faraone, ed ella “fu presa” (12,15). Abramo e Lot si separano e ciò determina un cambiamento radicale nella vita di quest'ultimo. Lot non partecipa più al cammino dell'uomo portatore delle promesse; 24 Il “figlio di suo fratello”, 12,5; cf. 11,27-‐32. 44 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org ciascuno va per la sua strada. Il limite orientale della terra promessa di Canaan erano il Mar Morto e il Giordano (Nm 34,2-12). Scegliendo la valle del Giordano, Lot sceglie veramente il limite, e, forse, passa anche questo limite. Lot non è, dunque, solamente separato dalla persona portatrice delle promesse, ma vive anche al limite, forse al di fuori del paese promesso. Lot è veramente lontano dalla promesse. Gen 13,14-17: la promessa fatta ad Abramo Questo paragrafo scorre parallelamente al paragrafo della scelta di Lot e nello stesso tempo contrasta con esso (13,10-13). Se nell'atto di Lot tutto si svolge al di fuori di Yhwh, senza di lui, qui la prima parola del paragrafo è: “Il Signore…”. Yhwh parla: “ad Abram, dopo che Lot si fu separato da lui”. Il testo insiste, la parola di Dio si rivolge al solo Abramo. Prima, Lot era “con” Abramo, partecipava, dunque, in un certo modo alle promesse. Adesso le parole rivolte ad Abramo non lo riguardano più, Lot non ha più alcuna parte alle promesse. Il parallelo tra l'invito che Yhwh fa ad Abramo e l'atteggiamento di Lot nella sua scelta è degno di nota: “Alza gli occhi, e…spingi lo sguardo”. Sono ripetuti gli stessi verbi “alzare gli occhi” e “osservare, spingere lo sguardo”, ma qui si tratta di un invito divino e non di una scelta umana. Mentre Lot aveva “scelto” per sé tutta la valle, qui, per contrasto, il paese è un dono di Dio: “ io lo darò a te”. La terra promessa è un dono di Dio, non una scelta umana. Il parallelo non si limita ai verbi, ma avverte anche su altri dettagli. Il presente paragrafo, come quello della scelta di Lot, insiste sull'idea di “totalità”: “spingi lo sguardo verso settentrione mezzogiorno, verso oriente Occidente”, “tutto il paese… Io lo darò a te”, “il paese in lungo e in largo”. C'è ancora un altro contrasto. La scelta umana di Lot non gli permetterà di godere per molto tempo del paese da lui scelto. Se ne presagisce l'imminente distruzione, il redattore ha avvertito il lettore. Il dono divino ad Abramo, invece, è permanente: “Io lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre”. Yhwh non si limita a rinnovare la promessa del paese, ma ripete anche la promessa della discendenza. La prima volta aveva formulato questa promessa in termini abbastanza generici: la discendenza di Abramo (12,7) sarebbe stata una “grande nazione” (12,2). Adesso specifica questa promessa: la discendenza di Abramo sarà numerosa quanto la polvere della terra (13,16; lett.: paese [)]ה ָ ָ֑א ֶרץ, sarà impossibile contarla, tutto il paese sarà coperto da un'immensa discendenza. 45 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Gen 13,18: verso Ebron Abramo riprende il suo cammino e va verso il sud del paese (12,6-9; 13,1-4). Da notare ancora una volta il parallelo, e nello stesso tempo il contrasto, con Lot: “Lot risiedette nelle città della Valle acquistò il diritto di pascolare vicino a Sodoma”, la città dei peccatori (13,12-13). Abramo “acquistò il diritto di pascolare di andarsi a stabilire alla Quercia di Mamre, che è ad Ebron, e vi costruì un altare al Signore”. Lot si è avvicinato al peccato, Abramo si avvicina a Dio. Costruisce un altare vicino ad un albero sacro, come aveva fatto a Sichem e nella regione di Betel (12,6-7.8). Abramo si stabilisce a Ebron, il luogo in cui si svolgeranno molti episodi della sua vita. Lì possederà il suo primo pezzo di terra e lì saranno seppelliti tutti i patriarchi e le matriarche. Il ciclo di Abramo contiene così due episodi nei quali, in un atto di fede-fiducia, Abramo è pronto a sacrificare le promesse, prima quella del paese, poi, quella della discendenza. È stato certamente difficile per Abramo, all'epoca della sua chiamata, lasciare dietro di sé la sicurezza del passato (12,1), ma è ancora molto più impegnativo sacrificare l'avvenire. Questo sacrificio dell'avvenire inquadra tutta la vita di Abramo dopo la sua chiamata. Il primo si colloca all'inizio della sua vita, il secondo verso la fine; tra i due racconti appare tuttavia chiaramente una differenza importante: Abramo fra il sacrificio del paese a Lot, suo “fratello”, mentre fa il sacrificio della discendenza direttamente a Dio. La separazione tra Abramo e Lot si può leggere veramente come un'offerta del paese o un sacrificio del paese. In entrambe le prove della sede Abramo, che è pronto ad offrire l'oggetto stesso della promessa, è confermato in questa promessa. Il paese e suo figlio sono, dunque, veramente il dono della grazia, non frutto di un'azione umana qualunque: da ciò il permanere di questo dono divino. La preistoria descrive come l'uomo, in un primo atto, rifiuti l'obbedienza a Yhwh e si ribelli contro Dio, volendo diventare simile a lui (Gen 3). La preistoria contino mostrando che più nulla si conserva nella pace dopo questo rifiuto della sottomissione a Dio. Infatti, subito dopo la rivolta contro Dio, l'uomo si ribella contro l'uomo. Caino per gelosia uccide suo fratello Abele (Gen 4,1-16). Il ciclo di Abramo vuole porre fine a questo disordine creato dall'uomo. Perciò rifà lo stesso cammino, ma in senso inverso. Prima di poter ritrovare l'amicizia con Dio, bisogna anzitutto che l'uomo ristabilisca l'ordine con il prossimo. Abramo fa a Lot, divenuto suo “fratello” (13,8), il sacrificio di una delle sue promesse. Abramo sarà pronto, in un atto supremo di obbedienza a Dio, ad offrire l'altra promessa, quella della discendenza (Gen 22). Così il rifiuto di Dio conduce al rifiuto dell'uomo, ma il dono di sé al prossimo dispone al dono di sé a Dio. Ritroviamo questa idea lungo tutta la Bibbia (cf. Mt 5,23-24). 46 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 4. Gen 14,1-24: Benedizione Il ciclo di Abramo ha sviluppato finora soprattutto il tema del paese. La storia che segue è facile da delimitare. Il testo comincia con “quando” (14,1) che è un'introduzione classica per una nuova storia. E l'inizio del capitolo seguente: “in seguito a questi fatti” (15,1), mostra che la storia in questione finisce con il versetto precedente (14,24). Il racconto, che si trova in Gen 14,1-24, è strano e molto differente dagli altri racconti del ciclo. Il racconto ci parla di diversi re stranieri, che non sono stati mai menzionati prima e delle loro spedizioni. Bisogna arrivare alla metà del testo per ritrovare personaggi conosciuti, Lot (14,12) e Abramo (14,13). Si possono sottolineare gli argomenti di carattere letterario, di composizione complessa, di carattere storico. Dal punto di vista letterario Abramo viene qui chiamato “l’ebreo” (14,13). È l'unico testo del ciclo che lo fa. Il termine “ebreo” viene raramente attribuito dagli israeliti a se stessi. Nella Bibbia ricorre sempre quando si tratta dei loro rapporti con stranieri, qualche volta quando gli israeliti si rivolgono agli egiziani (Gen 40,15; Es 1,19), ma soprattutto quando gli stranieri parlano degli israeliti. Gli egiziani chiamano così gli israeliti quando sono schiavi in Egitto25; anche i filistei usano questo termine (1Sm 4,6-9; 13,3.19). Il titolo “ebreo” sembra, dunque, peggiorativo. Inoltre il testo spiega più volte alcuni toponimi26. All'occorrenza il testo aggiunge altre informazioni utili per il lettore (14,12.13.18). Anche interi brani sembrano aggiunti; la sezione di Melchisedek (14,18-20) ne è nel miglior esempio. Oltre a questioni letterarie, il testo solleva questioni storiche. I diversi re sono difficile da identificare, certi nomi geografici sono misteriosi, non abbiamo nessuna informazione o documento extrabiblico, che menzioni le spedizioni di cui parla il testo. Non sorprende il fatto che il lettore moderno e anche i commentatori siano portati a sorvolare su questo testo così differente. Tuttavia il racconto fa parte del ciclo ed è chiaramente connesso con quel che precede. Il presente racconto, come il precedente, narra un avvenimento nei rapporti tra Lot e Abramo. Lot è sempre a Sodoma (13,12 e 14,12) e Abramo è sempre alla quercia di Mamre (13,18 e 14,13). La narrazione è collegata anche con quella seguente, come vedremo. Così, la storia si inserisce perfettamente nel ciclo, è collocata in questo punto particolare; qui, di conseguenza, deve avere la sua funzione e la sua importanza. Il testo si divide nettamente nelle parti che seguono le fasi militari del racconto: • 14,1-12: la conquista 25 Gen 39,14.17; 41,12; Es 1,16; 2,6. Gen 14,2; cf. 3,7.8.17. 26 47 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org • 14,13-16: la missione di salvataggio • 14,17-24: il ritorno a. Gen 14,1-4.5-12: due guerre mondiali La prima parte del testo menziona due spedizioni militari nelle quali sono coinvolti gli stessi protagonisti. Il testo si allarga al “mondo” e presenta una collezione di quattro re. I nomi di almeno alcuni dei loro paesi sono conosciuti. Il primo viene da Sennaar, regione in cui si erano stabiliti i costruttori della torre di Babele (11,2), dunque in Babilonia o Sumer (10,10). Chedorlàomer, apparentemente il capo della coalizione (v. 4), viene da Elam, ugualmente in Mesopotamia (10,22). Tutti e quattro vengono da oriente, sono quattro re dell'est. Decidono di entrare in “guerra”. È la prima volta che questa parola compare nella Bibbia. I quattro attaccano una colazione di altri cinque re. I re di Sodoma e di Gomorra portano nomi significativi: Bera (bera’ = nel male)e Birse (birša’ = nella malvagità). Tre dei cinque re regnano nei luoghi menzionati nel racconto precedente: Sodoma, Gomorra e Zoar (13,10). Questi tre luoghi, come del resto gli altri due. Adma e Zeboim, sono situati nella valle del Giordano, nella regione del Mar Morto, dunque l'ovest, perché tutti … nella parte orientale di Canaan. Lot aveva scelto questa regione, perché gli sembrava che fosse il paradiso (13,10-11). Il ciclo di Abramo ama ripetere le stesse storie, nelle quali si trovano somiglianze, ma anche differenze. La storia di questa guerra, ai vv. 5-12, si ripete, ma si aggrava. La coalizione dell’Est, sotto la guida di Chedorlàomer, attacca verso altri popoli (vv. 5b-7) e la guerra si estende a tutte le nazioni. La coalizione dell'ovest è sconfitta la seconda volta, la disfatta totale. Alla fine di questa campagna: “presero tutte le possessioni di Sodoma e Gomorra in tutti i loro averi se ne andarono” (14,11). Il testo aggiunge che: “presero anche Lot, figlio del fratello di Abramo, e i suoi beni. Egli risiedeva appunto in Sodoma” (14,12). b. Gen 14,13-16: Abramo, benedizione per le nazioni Abramo diventa improvvisamente il centro del racconto è, perciò, il centro della storia mondiale. Risiede sempre alla quercia di Mamre, dove si era stabilito dopo la separazione da Lot (13,18). Vi ha potuto prendere dimora non facendo guerre, ma alleanze con gli abitanti del luogo, come farà con altre più tardi (21,22-34; 23). È nella terra promessa, risparmiato da questa guerra distruttrice. Abramo viene a conoscenza della cattura di suo fratello. Il testo di Lot in questi termini, sapendo, però, che in realtà è suo nipote (cf. 11,27-32; 12,5). Abramo insegue gli aggressori dell'est fino a Dan, che è il punto più a nord della Terrasanta: “Da Dan a Bersabea” (Gdc 20,1), giungendo fino a Damasco. Questi re, con il loro attacco, 48 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org “sconfissero” (v. 5) tutti gli altri re; Abramo, invece, “recuperò…tutta la roba e anche Lot…e i suoi beni”. La corrispondenza tra questi versetti, con la ripetizione dei verbi che indicano la vittoria la conquista, e con quella delle parole “beni” e “Lot” è degna di nota. C'è, però, una differenza: i re avevano preso i “viveri” (v. 11), Abramo recupera “le donne e il rimanente personale”. “Tutto” ciò che è stato “preso” dagli aggressori è stato “recuperato” e riportato da Abramo nel suo luogo originale. Il verbo ַו ָ֕יּשֶׁבindica spesso il ripristino della situazione. Il seguito del racconto sottolinea che Abramo non si è assunto il rischio di questa spedizione di salvataggio, per arricchirsi, ma unicamente per riconsegnare tutto agli aventi diritto. Il racconto di queste due guerre mondiali, di questa missione di salvataggio riguarda una delle promesse del ciclo di Abramo. Il patriarca è una sorgente di salvezza per le nazioni, è veramente una benedizione per gli altri. Lo è qui mediante un intervento militare, lo sarà tutto in tutt'altro modo. c. Gen 14,17-24: benedizione personale per Abramo La sezione del racconto, che descrive il ritorno di Abramo dalla campagna militare, si concentra adesso soltanto su tre personaggi. L'apparizione e le parole di due re sono presentate in ordine chiastico, il tutto finisce con la parola di Abramo, che costituisce così l'apice del racconto. a a1 Gen 14,17: il Re di Sodoma esce b Gen 14,18: il Re Melchisedek fa uscire 1 b Gen 14,19-20: il Re Melchisedek parla Gen 14,21: il Re di Sodoma parla c Gen 14,22-24: Abramo parla Al momento della campagna militare di Sodoma “uscì” (v. 8) per opporsi a Chedorlàomer (v. 9); adesso “esce” incontro ad Abramo, vincitore di Chedorlàomer. L'incontro si svolge nella Valle dei re (2Sm 18,18), che si colloca nelle vicinanze di Gerusalemme, la città in cui le nazioni verranno un giorno a cercare la salvezza, da cui uscirà la salvezza per le nazioni. Con i re di Sodoma un altro re, mai menzionato prima si presenta davanti ad Abramo. Il suo nome “Melchisedek”, può avere diversi significati: “(il dio) Sedeq è il mio re”, “(il dio) Milku è giusto” o “il mio re giusto”. Il suo nome fa così riferimento alla giustizia, che è una dimensione importante del racconto, e alla quale i più forti sono venuti meno, appropriandosi di tutto quello che desideravano. E il re di “Salem”. La tradizione giudaica 49 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org ha identificato Salem con Gerusalemme (Sl 76,3). La parola Salem/šalem somiglia anche a šalôm/pace. Il re di Sodoma “uscì”, ma Melchisedek fa di più. Egli “fa uscire”, fa portare pane e vino. Melchisedek, come re, offre un buon quarto ad Abramo, dopo la sua missione di salvataggio. Lo accoglie secondo la vera ospitalità orientale: non gli offre semplicemente pane e acqua, ma pane e vino, un pasto degno di un re (1Sm 16,20). Oltre ad essere re, Melchisedek è sacerdote di El ‘Eljôn, il Dio Altissimo. È il primo sacerdote menzionato nella Bibbia e, come sacerdote, benedice Abramo. Per tre volte ripete il verbo “benedire”. Abramo è benedetto dal sacerdote dell’altissimo Dio in Gerusalemme, perché è stato sorgente di salvezza per gli altri, sconfiggendo i nemici e riparando una situazione di ingiustizia. Melchisedek riconosce che la mano del Dio altissimo ha operato nella persona di Abramo. Ha scoperto che Abramo è stato una benedizione per le nazioni. Dopo la benedizione il testo aggiunge: “gli diede la decima di tutto”. In tutto il brano il soggetto dei verbi indica sempre Melchisedek. Secondo alcuni autori, Melchisedek dà così ad Abramo il suo salario, un decima di tutto il bottino che ha potuto recuperare dalla guerra. Altri autori suppongono che il soggetto sia qui Abramo e che sia lui che dà la decima a Melchisedek, perché questi è re o anche perché è sacerdote. Di tutto quello che ha recuperato dalla guerra, Abramo darebbe un decimo a Melchisedek. Quel che lì fa, del resto, sarebbe allora spiegato in ciò che segue. Il re di Sodoma interviene e dice ad Abramo: “Dammi le persone, e prendi pure per te i beni”. Egli suggerisce di spartire ciò che Abramo ha recuperato, persone e beni (v. 16). Il gioco dei verbi è significativo: “dare” e “prendere”. Quest'ultimo verbo ricorda quello che i vincitori avevano fatto: essi “presero” (vv. S1.12). Ma Abramo ha altre vedute. Egli giura per il Dio del re Melchisedek, che identifica con il suo Dio Yhwh: “Ho alzato la mano davanti al Signore, Dio altissimo”. Non è interessato alla proposta del re di Sodoma, non vuole arricchirsi: “né alcunché di ciò che è tuo io prenderò” (cf. 1Sm 30). Abramo è diverso dai re venuti per prendere tutto. Ma il patriarca parla soltanto per se stesso, non vuole imporre la propria scelta ai suoi compagni, i quali sono andati con lui all'inseguimento dei razziatori e che “hanno consumato” (v. 24) i “viveri” che quelli avevano preso (v. 11). Il racconto, che all'inizio sembrava così estraneo al ciclo di Abramo, vi ha insomma un ruolo importante; sviluppa il tema della benedizione personale di Abramo e del suo ruolo di strumento di benedizione per gli altri. Le nazioni, rappresentate dal re di Sodoma, che è certamente un degno rappresentante delle nazioni pagane, incontrano alla fine del racconto Abramo, il padre di Israele. Questo incontro ha luogo nella regione di Gerusalemme, in cui Abramo è benedetto da Dio altissimo. Il comportamento di Abramo contrasta con il comportamento egoistico da lui tenuto in Egitto (12,10-20) ed è più simile a quello disinteressato tenuto con Lot (c. 13). 50 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Il personaggio misterioso di Melchisedek ha suscitato grande attenzione nella tradizione sia giudaica, sia cristiana, sia biblica che extrabiblica. Se Melchisedek ha benedetto Abramo, ciò significa che è più grande del padre di Israele. La tradizione ha visto in Melchisedek una perfetta prefigurazione del messia re e sacerdote. 5. Gen 15,1-21: Discendenza Il racconto del ciclo di Abramo fino ad ora si è incentrato sul tema della terra e nell'ultimo racconto su quello della benedizione. Tutta la sezione che segue Gen 15,118,16a si occuperà adesso del tema della discendenza. Gen 15,1-21: prima soluzione umana: adozione Il racconto è imperniato su due personaggi, Abramo e Yhwh, di cui riporta le parole, le azioni con le reazioni. L'alternanza tra questi elementi permette di seguire lo svolgimento della storia. Procedendo in tal modo, si nota anche che il racconto si divide in due parti: vv. 1-5 e vv. 7-21, con il v. 6 al centro. I paralleli tra le due parti sono numerosi e mostrano l’unità del racconto: I. vv. 1-5 II. vv. 7-21 v. 1 Introduzione v. 12 v. 1 Una promessa di Yhwh v. 7 vv. 2-3 Abramo chiede un segno v. 8 v. 4a Espulsione di un elemento estraneo vv. 10-11 v. 4b Yhwh conferma la promessa vv. 13-16 v. 5a Azione di Yhwh come segno visibile v. 17 v. 5b Yhwh specifica la promessa vv. 18-21 v. 6: riflessione teologica La struttura delle due parti, praticamente identica, consiste in un dialogo tra Yhwh e Abramo. È questo il primo testo nel quale Abramo parla a Dio. Ogni parte comincia con una promessa che provoca domande, risposte e reazioni da parte dei due protagonisti. Le due parti del testo prendono in esame l'argomento della discendenza di Abramo, la seconda parte si interessa anche al paese. Abramo e Sara hanno atteso inutilmente una discendenza, che Yhwh aveva promesso loro più volte (12,2.7; 13,16). Abramo si rende conto di avvicinarsi rapidamente alla morte: “io me ne vado”. La coppia è ricorsa a una soluzione umana. Abramo soggiunge: “vedi che a me non è dato discendenza”. Riprende lo stesso verbo “donare”, “dare” insiste sulla “discendenza”, che è l'oggetto della promessa divina fin dall'inizio del ciclo. 51 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Yhwh reagisce in maniera categorica: “Non costui…ma…”. Come Abramo aveva menzionato due volte l'erede, così Dio ripete: “Non costui sarà il tuo erede, ma colui che uscirà dalle sue viscere, lui sarà il tuo erede”. Abramo non ha nulla da rispondere. Yhwh, allora, fa seguire queste parole al silenzio di Abramo: “Tale sarà la tua discendenza”. Per noi è particolarmente interessante la riflessione teologica del v. 6: “Egli credette al Signore che glielo accreditò a giustizia”. La forma del verbo implica diversi atti di fede ripetuti. La fede di Abramo significa che egli accetta con la massima fiducia la promessa di Dio il che equivale a dire che egli è capace di fare l'impossibile. Dio reagisce positivamente a questa fede di Abramo. Ne riconosce il merito e “glielo accreditò a giustizia” (cf. Dt 24,13; Sl 106,31). Questa riflessione teologica del redattore costituisce la degna conclusione della prima parte del racconto, incentrata sulla promessa della discendenza (vv. 1-5) e introduce nello stesso tempo la seconda parte (vv. 7-21). La fede incondizionata di Abramo lo predispone ad accogliere, con altrettanto fiducioso abbandono, le promesse che vi saranno fatte. Numerosi sono i paralleli tra la prima la seconda parte del racconto. Quest'ultima, come la precedente, inizia con una parola di Dio, che comprende due elementi. Dio comincia con qualificarsi, con ricordare il passato: “Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei caldei”. Il testo rimanda così all'inizio della storia di Abramo, anche prima della sua chiamata. Un giorno Terach prese suo figlio gli altri membri della famiglia, e “li fece uscire da Ur dei Caldei, per andare nella terra di Canaan” (11,31). Nessuno era consapevole, in quel momento, che nella migrazione ci fosse un personaggio nascosto. Adesso Dio rinnova la promessa del paese. La prima volta Dio aveva promesso di dare il paese alla discendenza (12,7); in seguito, lo aveva promesso ad Abramo, e alla sua discendenza (13,15). Il presente testo conferma che all'inizio Dio promette il paese ad Abramo (v. 7) e alla fine alla sua discendenza (v. 18). Abramo non lo avrà a titolo personale, ma nella sua discendenza. La promessa del paese è intimamente legata a quella della discendenza. La prima parola di Yhwh è simile ad una formula biblica classica: “Io sono il Signore…che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto” (Es 20,2), e ciò in vista di “dare la terra” (Es 6,6-8). Tale formula costituisce il prologo storico dell'alleanza sinaitica tra Yhwh ed Israele, che somiglia anche a una parola di Dio nell'alleanza davidica (2Sm 7,8). Abramo reagisce, come nella prima parte, rivolgendo la domanda a Dio con lo stesso appellativo: “Signore mio Dio, come potrò conoscere che ne avrò il possesso [lett. lo erediterò?]”. Abramo crede, ma vuole anche conoscere, vuole maggiori informazioni, chiede un segno. Chiedere un segno è inaccettabile nella Bibbia, se questa richiesta è fatta da una persona che manca di fede e cerca così una prova (Es 17,2.7; Dt 6,16). Ma questa 52 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org richiesta è accettabile se viene fatta da un credente; il segno serve allora da conferma (Gdc 6,17-18; Is 38,7-8.22). Dio accetta la domanda di Abramo, il che prova che Abramo non dubita, ma crede veramente alla promessa di Dio, come il redattore aveva affermato (v. 6). Dopo aver preparato gli animali per il rituale dell'alleanza, Abramo è pronto a ricevere la profezia che Yhwh gli fa (vv. 13-16) e a concludere con lui l’alleanza: “quando il sole fu tramontato…”. Il fumo e il fuoco sono due simboli che manifestano la presenza di Dio (Es 3,2; 13,21; 19,18). Con il passaggio del solo Dio attraverso gli animali, il presente racconto descrive un'alleanza unilaterale. Dio s'impegna in tal modo solennemente a mantenere la sua promessa: “Alla tua razza io do questo paese”. Il racconto è il primo del ciclo di Abramo a prendere in considerazione la promessa della discendenza. Ciò è molto chiaro nella prima parte. La seconda riguarda anche la promessa del paese, ma la discendenza vi rimane ancora come tema importante. Il testo annuncia quello che accadrà a questa discendenza che, come popolo, avrà bisogno di una terra per viverci. L’insieme del racconto sottolinea che la discendenza non è il frutto di un'iniziativa umana, ma sarà un dono gratuito di Dio. Dio non si limita a promettere, ma si impegna solennemente con un contratto, senza imporre nessun obbligo ad Abramo. Al centro di questa storia si trova, dunque, la fede/fiducia di Abramo. Egli credette in questo Dio, che afferma di essere capace di rendere possibile l'impossibile. 53 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Il cammino di Abramo II Parte: Gen 16,1-19,29 Premessa Analizziamo ora il capitolo 15, che prende in considerazione la promessa della discendenza. Abbiamo catalogato come umana la soluzione proposta da Abramo, qui Dio risponde con un'alleanza personale con il patriarca, assumendosi unilateralmente gli impegni. Dio, dunque, è garante del percorso di Abramo e lo accompagna con la sua promessa. Al patriarca chiede di fidarsi di lui, di possedere una giustizia che ripone in Yhwh ogni speranza. 6. Gen 15,1-18,16a: Discendenza Questa sezione è delimitata dalla pericope Gen 15,1-18,16a. La parte relativa alla promessa di Gen 15,1-21, l'abbiamo già vista la volta scorsa. Addentriamoci, ora, in quella che possiamo definire una seconda soluzione umana. a. Gen 16,1-16: seconda soluzione umana: la madre portatrice Abramo e Sara, coppia senza figli, sono ricorsi a una prima soluzione umana adottando Eliezer. Yhwh, però, ha promesso ad Abramo che il vero erede sarà non già Eliezer, ma un figlio del suo stesso sangue (15,1-5). Abramo lo ha creduto (15,6), ma gli anni passano. Il testo afferma che l'evento che segue avviene “al termine di 10 anni dal suo soggiorno nella terra di Canaan” (16,3). Abramo ha ora 85 anni e Sara 75, e non c'è ancora un figlio. La coppia ricorre allora a un secondo espediente umano. Al centro del racconto sono due donne: Sara e Agar. • 16,1: il problema • 16,2-6: l’iniziativa umana • 16,7-14: l’intervento divino • 16,15-16: la risoluzione Gen 16,1: il problema Dopo il racconto nel quale Abramo ha ricevuto la promessa di un figlio veramente suo (15,4), il presente testo inizia ricordando l'ostacolo che si oppone alla realizzazione di tale promessa: “Sarai, la moglie di Abram, non gli aveva dato figli”. Il testo prosegue, in connessione con questo problema di Sara: “ma aveva [lett. possedeva] una schiava egiziana, di nome Agar”. Vengono sottolineati i diritti di proprietà di Sara. Il nome della schiava è significativo: “Hagar” fa pensare a un gioco di parole sul termine ebraico ger, lo straniero. 54 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Gen 16,2-6: l’iniziativa umana Sara, che finora è stata presentata come passiva nel ciclo di Abramo, prende l'iniziativa. Parla per la prima volta. Sappiamo che aveva già rivolto la parola a Yhwh, ma non ne abbiamo mai conosciuto il contenuto (12,17): “Ecco, il Signore mi ha impedito di partorire; accostati alla mia schiava; forse da lei sarò costruita [lett.]”. Agisce secondo l'usanza praticata in quel tempo, che, del resto, potrebbe contribuire parzialmente alla realizzazione della promessa, che gli aveva fatto dopo la prima soluzione umana. Yhwh aveva detto che l'erede di Abramo sarebbe stato del suo stesso sangue (15,4). L'ordine di Sara, “accostati”, somiglia all'ordine divino: “Vattene…verso” (12,1). Sara spera di essere costruita dalla schiava, che non nomina per nome. Il verbo bnh [ ] ָבּנָהsignifica “edificare/costruire”. La discendenza è presentata spesso nella Bibbia in termini di casa. È tuttavia significativo che Sara qui non usi il verbo “dare figli”, “partorire”. Essa cerca, anzitutto e soprattutto, la sua promozione e grandezza. A ciò devono servire la sua schiava il figlio che questa partorirà eventualmente chi, di diritto, non sarà di sua madre, ma della padrona di sua madre. Sia Abramo che Agar non conferiscono nessuna parola. I verbi “prendere” e “dare” lo sottolineano. Sono gli stessi verbi usati nel racconto della campagna dei tre saccheggiatori (14,11.12.21). Sara è la persona che domina il racconto sino a questo momento, è la donna forte. Ma improvvisamente Agar prende il posto centrale nel racconto: “restò incinta”. Una schiava diventa moglie-sposa, diventerà, per di più, madre. Sara l'aveva voluto, ma non aveva previsto un'altra conseguenza: “quando essa si accorse di essere incinta, la sua padrona non contò più nulla per lei”. La schiava è consapevole di essere diventata superiore alla padrona. Sara rimprovera Abramo, anche se egli ha semplicemente ubbidito alla moglie. Il patriarca parla per la prima volta in questo racconto e rimanda il caso sua moglie. Agar è la schiava di lei, non la sua: “Ecco, la tua schiava è in tuo potere; fate quello che ti pare bene”. Sara riprende il suo ruolo: “la maltrattò in modo che quella fuggì dalla sua presenza”. Il verbo “maltrattare” implica un'oppressione dura severa; corrisponde al trattamento che aspetta la discendenza di Abramo in Egitto e che il racconto precedentemente aveva predetto (15,13; cf. Es 1,11.12). La schiava fugge, prende in mano la propria vita. Ma con la madre parte anche il figlio che deve nascere. C'è separazione, come ci fu separazione fra Lot e Abramo (c. 13). 55 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org b. Gen 17,1-27: una soluzione divina: una promessa Inaspettatamente entra in scena il Signore che fino ad ora era rimasto defilato: “La trovò l'angelo del Signore presso una sorgente d'acqua, nel deserto, sulla strada di Sur”. Come Israele sarebbe fuggito nel deserto, così Agar vi si è rifugiata, in direzione di Sur, al confine dell'Egitto, suo paese natio (cf. Es 15,22). Il messaggero di Yhwh inizia un dialogo con lei. Per la prima volta qualcuno parla ad Agar e si rivolge a lei chiamandola per nome. E per la prima volta Agar stessa parla. Il messaggero del Signore la invita a riconoscere l'autorità di Sara su di lei. Parlando del “potere”, il messaggero la rimanda allo stesso potere di cui aveva parlato Abramo (v. 6). Il futuro del bambino sarà nel deserto, come vedremo più tardi in un altro episodio della vita di Agar (21,14-16). Dopo aver ordinato ad Agar di ritornare dalla sua padrona (v. 9), il messaggero di Yhwh le fa due promesse (vv. 10.11-12). C'è anche somiglianza tra le promesse fatte a Agar e quelle fatte ad Abramo. In ambedue i casi esse si riferiscono alla discendenza: “Moltiplicherò assai la tua discendenza e non la si potrà contare” (cf. 13,16; 15,5; 22,17). È interessante in questa promessa fatta da Yhwh ad Agar, perché in futuro egli rinnoverà tale promessa ad Isacco (26,4) e per bocca di Isacco, a Giacobbe (28,3); sempre, dunque, ai patriarchi e non alle matriarche. Qui la promessa viene fatta ad Agar, l'egiziana, la schiava, la quale è la sola donna che la riceve. Questa prima promessa è garantita da una seconda, che verte sulla nascita imminente del bambino di cui Agar è incinta (vv. 11-12). Il testo contiene una prima annunciazione di una nascita, di cui si trovano altri esempi nella Bibbia27. L'annuncio è fatto sempre dal messaggero di Dio e comprende tre elementi fondamentali: la constatazione che la donna incinta partorirà un figlio, la menzione del suo nome, il ruolo importante che gli avrà per il suo popolo. Agar, la straniera, ha il privilegio di essere la prima donna che riceve una tale annunciazione. Il messaggero di Yhwh aveva detto ad Agar quale nome dare a suo figlio. Adesso Agar, sua volta, decide di dare un nome “al Signore che le aveva parlato”. Il testo, che ha ripetuto più volte che l'angelo del Signore ha parlato (vv. 8.9.10.11), dice ora che il Signore ha parlato. Ciò mostra chiaramente che l'angelo del Signore è il Signore stesso. Il parallelo tra Agar e Abramo è di nuovo istruttivo. Abramo, dopo aver ricevuto l'ordine di partire, seguito da promesse, “invoca” il nome del Signore (12,8; cf. 13,4). Agar, dopo l'ordine ricevuto da Dio per le sue promesse, “diede” un nome a Dio. Agar è la sola persona nella Bibbia che dà un nome a Dio: “Tu sei El Ro’î”, che può significare “Dio della visione”, il Dio che vede tutto; o “Dio che mi vede”; o anche “Dio della mia visione”, vale a dire Dio che ho veduto. La donna è tutta sorpresa di essere sopravvissuta all'incontro con Dio, perché 27 Gen 17,19; Gdc 13,5.7; Is 7,14-‐17; Mt 1,20-‐21; Lc 1,13-‐20.26-‐38. 56 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org non si può vedere Dio e vivere; vedere Dio è morire (Es 33,20). Ciò spiega il nome del luogo. La sorgente (v. 7) è chiamata il “pozzo di Lacai-Roi” (v. 14), il “pozzo del vivente che mi vede”. Ritroveremo questo luogo unicamente nei racconti di Isacco (Gen 24,62; 25,11). Adesso (vv. 15-16), dopo che le due donne hanno occupato fino a questo momento il posto centrale del racconto, Abramo entra di nuovo in scena da protagonista. Prima di tutto è Abramo che dà il nome al figlio di Agar, mentre lei aveva ricevuto l'ordine da Dio (v. 11). Il racconto, inoltre, specifica adesso la sua età e sottolinea che il bambino gli appartiene: “Abram aveva 86 anni quando agar partorì Ismaele”. Il racconto è imperniato sul tema della discendenza, ma la storia è poco edificante. Sara agisce per disperazione, orgoglio gelosia, commette ingiustizia, domina e opprime. Abramo appare privo di volontà propria, obbedisce senza reagire, conosce bene l'ingiustizia che sarà fatta ad Agar, ma non vi si oppone, lascia fare. Agar ottiene la simpatia del lettore, ma nemmeno lei è perfetta, perché disprezza la sua padrona. Yhwh, da parte sua, è crudele nell'esigere che Agar ritorni sotto il potere oppressivo di Sara, tuttavia le dà speranza con le sue promesse. In tutta questa storia un particolare positivo c'è, Abramo ha un figlio. Il progetto divino si è realizzato mediante un espediente umano. Il racconto illustra un altro punto: Yhwh non è unicamente il Dio di Abramo e della sua discendenza, ma anche il Dio dell'egiziana e della sua discendenza. È il Dio delle nazioni. Il racconto riguarda così, indirettamente, il tema della benedizione universale (12,3). Il testo tratta anche in breve il tema del paese. Menziona dove Ismaele “abiterà” (v. 12). Egli dimorerà nel deserto, come Lot si era stabilito vicino a Sodoma e Abramo nel paese di Canaan (13,12). c. Gen 17,1-27: una soluzione divina: una promessa Una delle caratteristiche del ciclo di Abramo è la frequenza dei doppioni ed è importante notare le loro somiglianze, ma anche le loro differenze. Risalta un'evoluzione: il precedente racconto sembrava aver risolto il tema della discendenza con la nascita di Ismaele; il presente racconto, invece, mette al centro l'azione di Dio. Abbiamo un nuovo racconto di alleanza, di cui si era già trattato in precedenza (c. 15), e il testo che segue (18,115) rievocherà la promessa che Dio fa ora. Questo racconto presenta alcune somiglianze con la chiamata di Abramo all'inizio del ciclo (12,1-4) e tutto ciò indica la sua importanza. 57 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org a a1 17,1-3a: l’apparizione di Yhwh b 17,3b-8: la promessa e il cambiamento del nome di Abramo c 17,9-14: l'ordine 1 b 17,15-21: la promessa ed il cambiamento del nome di Sara 17,22: la sparizione di Yhwh c1 17,23-27: l'esecuzione dell'ordine Gen 17,1-3a: l’apparizione di Yhwh Yhwh ha parlato già diverse volte ad Abramo, ma questa è soltanto la seconda volta che gli appare, la prima era stata l'occasione della chiamata (12,7). Ci sono subito due elementi che risaltano all'attenzione: l'età dichiarata di Abramo in 99 anni e il nome con il quale si presenta Dio “El Šaddaj” e cioè “Io sono Dio onnipotente”. Il Signore chiede ad Abramo esplicitamente: “Cammina nella mia presenza [lett.: “davanti al mio volto”]”. Il suo comportamento deve somigliare a quello di Enoch e di Noè, poiché erano ancora più vicini a Dio, poiché “camminavano con Dio” (Gen 5,24; 6,9). Inoltre aggiunge: “Sii integro [ ;”]הִתְ הַלֵּ ְ֥ך ְלפ ַָנ֖י ֶו ְה ֵי ֥ה תָ מִ ֽיםanche in questo caso Abramo deve somigliare a Noè (6,9). Dio fa due richieste e offre due promesse: “Stabilirò la mia alleanza tra me e te”. Nella prima alleanza Yhwh solo era passato in mezzo agli animali divisi (15,7), lui solo si era impegnato in un'alleanza unilaterale. L'alleanza di cui si parla adesso è bilaterale. Yhwh si impegna a “stabilirla”, ma anche Abramo deve impegnarsi. Dio aggiunge una seconda promessa: “ti moltiplicherò [ ]אוֹתְ ָך֖ ִבּ ְמ ֥א ֹד ְמ ֽא ֹדgrandemente”. Questa numerosa discendenza è il tema principale di tutto racconto e la formulazione della promessa gioca, fin da adesso, sul nome nuovo che Abramo riceverà. Gen 17,3b-8: la promessa che il cambiamento del nome di Abramo Dio specifica adesso le promesse fatte nel primo discorso. Soprattutto questa parte ha somiglianze con l'altro racconto dell'alleanza (c. 15). La parola “alleanza” è ripresa tre volte (vv. 4.7 [2 casi]). Yhwh aveva promesso di “stabilirla” (v. 2), adesso promette di “farla sussistere” (v. 7) e non soltanto “tra me e te” (v. 2), ma “con te e con la tua discendenza dopo di te” (vv. 7.8). Essa sarà “perenne” (v. 7; cf. vv. 13.19), il che non è detto nel primo racconto (c. 15). Questa alleanza con Abramo somiglia così a quella con Noè (9,9.11.16). Un grande privilegio è legato a questa alleanza: “per essere il tuo Dio e della tua discendenza dopo di te” (vv. 7.8). Questo accenno a “te” e alla “tua discendenza” ricorre come un ritornello nel racconto (vv. 7 [2 casi].8.9.10.19). 58 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La seconda promessa dell'inizio, “ti moltiplicherò grandemente” (v. 2), è ugualmente sviluppata. Abramo diventerà “padre di una moltitudine di nazioni [’abh hamôn]” (vv. 4.5.6); da ciò il suo nome nuovo: non più Abram, ma Abramo. Si nota facilmente il gioco di parole: il nome allude anche al verbo “moltiplicare” (rbh). “Abramo” è un'espansione di “Abram”. Si potrebbe dire che Dio ha fatto letteralmente quello che aveva promesso al momento della chiamata: “e faccia grande il tuo nome” (12,2). Il nome nuovo, che Dio dà ad Abramo, determina il suo destino. I genitori erano portati a dare ai loro figli un nome, che esprimesse qualcosa della natura o del destino del bambino (Gen 4,1.25; 16,15). Yhwh aveva promesso in precedenza: “cosicché faccia di te una grande nazione” (12,2), talmente grande che non la si potrà contare (13,16; 15,5). Adesso Abramo diventa padre di una moltitudine di nazioni e anche di re, è chiamato ad avere un ruolo universale (12,3). Io aveva detto che avrebbe moltiplicato Abramo “grandemente” (12,2), qui afferma: “e ti renderò fecondo assai assai” (17,6). Yhwh riprende i due verbi “moltiplicare” e “rendere fecondo” che aveva rivolto all'umanità all'inizio della creazione (1,28) e a Noè dopo il diluvio, dunque, all'inizio della nuova creazione (9,1.7). Il cambiamento del nome di Abramo conferma, così, che anche con lui si attua un nuovo inizio per l'umanità. A questa promessa, che era soprattutto in rapporto con la discendenza, Yhwh aggiunge la promessa della terra. Yhwh “darà” questa terra ad Abramo e alla sua discendenza in proprietà perenne (v. 8), come aveva promesso precedentemente (12,7; 13,15; 15,18). Gen 17,9-14: l'ordine Dio ha cominciato il suo secondo discorso con: “Ecco la mia alleanza” (v. 4), adesso comincia il terzo con: “da parte tua”. Yhwh specifica ciò che si aspetta da Abramo, il patriarca deve “osservare”, rispettare l'alleanza che Yhwh “stabilisce”, deve rimanere fedele agli obblighi inerenti. Poiché l'alleanza è promessa ad Abramo e alla sua discendenza (v. 7), gli obblighi si estendono anche a quest'ultima. Le parole “alleanza” (vv. 9.10 [2 casi].11.13 [2 casi].14) e circoncisione (vv. 10.11.12.13.14 [2 casi]), che ricorrono più volte, dominano la sezione. L'obbligo dell'alleanza consiste nella circoncisione di tutti maschi (v. 10). Dio esplicita così la richiesta che aveva rivolto ad Abramo all'inizio (v. 1). La circoncisione si applica ai propri figli, ma anche quelli degli schiavi che fanno parte della famiglia (vv. 1213) e avrà luogo quando essi avranno otto giorni (v. 12). Diversi popoli praticavano la circoncisione per ragioni igieniche e ad essa è, quindi, legata la nozione di purità (cf. Ger 9,24-25). La circoncisione veniva fatta all'età della pubertà, come rito di iniziazione ed era, 59 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org dunque, legata anche alla fertilità: veniva recisa l'estremità dell'organo della paternità. Praticata dopo otto giorni, la circoncisione assume un altro significato. Perde la sua connessione con la fertilità, è per Israele un dono di Dio, e diventa un segno visibile di appartenenza al popolo dell'alleanza (v. 11), così come l'arcobaleno fu il segno dell'alleanza con Noè (Gen 9,12-17). Il gesto di recidere l'estremità dell'organo sessuale fa ricadere simbolicamente sul bambino le maledizioni dell'alleanza, se egli non è fedele. Il gesto ha un significato simbolico simile all'azione di passare in mezzo alle parti degli animali divisi (c. 15). L'ottavo giorno è significativo, poiché il bambino ha vissuto già sette giorni, i giorni della creazione (Gen 1). Ritroviamo questa importanza attribuita all'ottavo giorno, quando la Bibbia tratterà dell'offerta degli animali (Es 22,29; Lv 22,27). Questa operazione della carne del prepuzio è per sempre, è un segno perenne per un'alleanza perenne (v. 13). Yhwh aveva chiesto ad Abramo di essere “integro [( ”]תָ מִ ֽיםv. 1); la stessa parola è usata spesso in testi rituali. L'animale sacrificale doveva essere integro, “senza difetto” (Lv 1,3.10). La circoncisione toglie dall'uomo il difetto, l'impurità, e lo rende così senza macchia ed integro agli occhi di Dio. L’incirconciso ha “violato” l'alleanza, ha fatto il contrario di “osservare” l'alleanza e di conseguenza “sarà eliminato dal suo popolo”. Ritroviamo questa formula in diversi testi giuridici (Lv 18,29; 19,8), il che potrebbe far pensare che la comunità dovesse scomunicarlo. Ma in certi testi, Dio è il soggetto del verbo (Lv 20,3.5.6), e ciò fa pensare che Dio stesso si occuperà del castigo. L’incirconciso, colui il cui prepuzio non è stato tagliato e chi si è escluso dall'alleanza, che Dio ha “tagliato” (15,18) con Abramo attraverso gli animali divisi (15,18), sarà “tagliato”, eliminato da Dio, che agirà come vuole e quando vuole. Una minaccia di morte pesa su quest’uomo. Gen 17,15-21: la promessa e il cambiamento del nome di Sara Yhwh decide di cambiare anche il nome di Sarai, che d'ora in poi si chiamerà Sara. È un cambiamento semplicemente dialettale, perché i due nomi significano “principessa”. Singolare il fatto che Yhwh comunichi questo non a Sara, ma ad Abramo. Come Abramo, Sara riceve una benedizione con una portata dapprima immediata, poi più universale. La benedizione immediata è una sorpresa totale: “un figlio ti darò da lei”. Abramo si era lamentato che Dio non gli avesse dato una discendenza (15,2-3) ed era ricorso ad un primo espediente umano adottando Eliezer, ma Dio aveva detto che il vero erede sarebbe stato uno del sangue di Abramo (15,4). Abramo era allora ricorso ad un secondo espediente umano e aveva avuto Ismaele con Agar (16,15-16). Dio gli fa adesso capire che la sua discendenza non sarà il risultato di iniziative umane, ma il frutto di una promessa. Dio 60 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org “darà” il paese (12,7; 13,15; 15,18), “stabilirà” l’alleanza (17,2), e “darà” un figlio ad Abramo da Sara, sua moglie, che ha adesso 89 anni e che è sempre sterile. La benedizione di Sara è anche universale. La reazione di Abramo (vv. 17-18) interrompe questo quarto discorso di Dio. Abramo reagisce all’inizio con un atto (v. 3), “si prostrò col viso a terra”. Questo gesto corrisponda all'atteggiamento di meraviglia davanti alla grandezza della promessa di Dio. Ma ci si può domandare se questo gesto esteriore esprime davvero ciò che Abramo vide interiormente, poiché si aggiunge un altro particolare, egli “rise”. Il testo non dice se questo riso esprime la sua sorpresa, la sua gioia, il suo dubbio, un misto di tutto ciò. Ma nel commentare la promessa di Dio, il suo riso (in ebraico: jiṣḥaq = “egli ride”, è il nome ebraico di Isacco) annuncia il futuro bambino e conferma così la promessa. Poi, per la prima volta in tutto racconto, che è stato una connessione di discorsi di Dio, Abramo parla. Comincia col parlare fra sé e sé. Ciò che dice sembra far supporre che egli dubiti: “Ad uno di 100 anni nascerà un figlio? E Sara, all'età di novant'anni, potrà partorire?”. Le due domande sottolineano che un simile evento è umanamente impossibile. Abramo continua con una parola rivolta a Dio: “Che almeno Ismaele, possa vivere sotto lo sguardo”. La preghiera può sorprendere. Se Abramo e Sara avranno un figlio loro, ciò implica la morte dell'altro? E per la prima volta s'intravede il possibile conflitto tra due fratelli. Non c'è posto per tutti e due insieme? Abramo dubita, vuole andare sul sicuro; non è più lo stesso padre che era stato al momento della prima alleanza (15,6). Abramo, che è prostrato “col viso a terra” (lett. “sulla sua faccia”) davanti a Dio, prega perché suo figlio Ismaele possa vivere “sotto lo sguardo” (lett. “davanti alla faccia”) di Dio. C'è un gioco di parole intorno a “faccia”, come all'inizio del racconto, quando Abramo doveva camminare “nella presenza” (lett. “davanti alla faccia”) di Dio (v. 1) e “si prostrò col viso a terra” (lett. “cadde sulla sua faccia”) (v. 3). Dopo questa reazione di Abramo, Dio prosegue il suo quarto discorso (vv. 19-21). In quest'ultima parte, Dio rassicura Abramo. La struttura è concentrica. a a1 Gen 17,19a: “Sara…ti partorirà un figlio…Isacco” b Gen 17,19b: “Io farò sussistere la mia alleanza con lui” c Gen 17,20: “Riguardo a Ismaele” 1 b Gen 17,21a: “Farò sussistere la mia alleanza con Isacco” Gen 17,21b: “Sara ti partorirà…l’anno venturo” 61 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La parola di Yhwh segue la struttura dei racconti di annunciazione di una nascita. Somiglia, quindi, all'annuncio che il messaggero di Yhwh aveva fatto ad Agar (16,11-12). Qui, però, esso non viene fatto a Sara, la futura madre, ma ad Abramo. Troviamo tre elementi tipici delle enunciazioni: a) “Sara tua moglie ti partorirà un figlio”. Questo bambino non sarà unicamente del sangue di Abramo (15,4), come Ismaele, ma anche del sangue di Sara. b) “lo chiamerai Isacco”. Il nome Isacco significa “egli ride” e può, dunque, fare riferimento al riso di gioia, di sorpresa o di dubbio dei genitori. Ma può essere anche l'abbreviazione di “Isaac-el”, un nome composto da “El” e dal verbo “ridere”, paragonabile al nome di Ismaele (16,11). In tal caso significherebbe “Dio ride”, “Dio è favorevole”. c) Il terzo elemento dell'annunciazione riguarda il destino del nascituro: l'alleanza perenne promessa ad Abramo e alla sua discendenza (v. 7) passerà attraverso Isacco e non attraverso Ismaele. Al centro della struttura concentrica di questa parte del discorso si trova Ismaele, per il quale Abramo aveva pregato (v. 18): “Anche riguardo a Ismaele ti ho esaudito”. Il testo gioca ancora una volta sul significato di questo nome: “Dio ha ascoltato” (16,11). Anche se Yhwh non stabilisce la sua alleanza con lui, gli riserva un avvenire importante. Yhwh esplicita il destino di Ismaele, al quale il suo messaggero aveva già fatto cenno (16,12). Come figlio di Abramo, egli partecipa ad alcune delle promesse fatte al padre28. Yhwh conclude il discorso (v. 21) riaffermando quel che aveva detto prima (v. 19), ma aggiungendo, come ultime parole, che la nascita del figlio di Sara avverrà: “in questo tempo, l'anno venturo”. Gen 17,22: la sparizione di Yhwh Di solito, dopo che Yhwh ha parlato o è apparso, il racconto passa senza altra forma di transizione alla scena seguente (12,1-7). Qui il testo dà una conclusione solenne al discorso e all'apparizione: “Dio terminò così di parlare con lui levandosi in alto, lasciando Abramo”. Se Dio sale, significa che era sceso all'inizio (v. 1), come fa in altre apparizioni (Es 19,11.18). Gen 17,23-27: l'esecuzione dell'ordine Yhwh ha parlato lungamente del suo precetto della circoncisione (vv. 9-14), ma un solo versetto descrive l'esecuzione (v. 23); la conclusione del racconto lo riprende (vv. 26 28 Cf, 17,2.6; 1,28; 9,1.7; 25,12-‐16. 62 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 27). Il testo sottolinea la sollecitudine di Abramo ad obbedire: lo fa “in quello stesso giorno” (vv. 23-26) e “come Dio gli aveva detto” (v. 23). L'inizio del racconto (vv. 1-3a) ha alcune somiglianze con il racconto delle chiamate di Abramo, e la conclusione ugualmente. Abramo aveva risposto alla sua chiamata con la stessa prontezza ed esattezza: “Abram partì, come gli aveva detto il Signore” (12,4). Tutti i maschi delle diverse categorie specificate da Dio (vv. 12-13) e che formano la casa di Abramo vengono circoncisi, secondo quanto ricevuto da Dio, ma non con un rito culturale. L'inizio del ciclo annunciava che Abramo sarebbe diventato il padre di una grande nazione; adesso, Abramo e Sara saranno il padre la madre di una moltitudine di nazioni e di re. Il racconto parla così dell'elezione di Israele e nello stesso tempo della sua vocazione universale. Il testo accenna la promessa del paese in un versetto soltanto, ma di questo paese definisce più chiaramente le peculiarità: sarà “tutta la terra di Canaan”, e Dio la darà, inoltre, “quale possesso perenne” (v. 8). Anche il tema della benedizione fa una nuova e breve comparsa (vv. 16-20). d. Gen 18,1-16a: una soluzione divina: una promessa confermata Dio gli dice che stabilirà la sua alleanza con un figlio che non è ancora nato e di cui Abramo ha soltanto la promessa. Abramo ha bisogno di una conferma, e Dio rinnova la sua promessa. Il ciclo continua ad interessarsi al tema della discendenza e conferisce ai racconti che ne parlano un bel parallelismo. Ai due racconti che descrivono gli accorgimenti umani (cc. 15; 16), corrispondono due racconti che propongono la soluzione divina del problema (c. 17; 18,1-15). • Gen 18,1-8: la visita o vv. 1-2: l’apparizione o vv. 3-5: l’invito o vv. 6-8: il pranzo • Gen 18,9-16a: la promessa Gen 18,1-8: la visita La prima parte del racconto contiene soprattutto azione e l'ambientazione è principalmente sotto un albero. Abramo è la figura centrale, mentre Sara rimane in ombra. Il racconto comincia con la descrizione di una nuova apparizione (vv. 1-2). È la terza volta che “il Signore apparve a lui” (lett.: “si fa vedere”) (12,7; 17,1). Quest'affermazione serve da titolo al racconto e rivela al lettore che l'avvenimento è un'apparizione divina, cosa che Abramo e Sara scoprono soltanto gradualmente. L'incontro ha luogo “alle Querce di 63 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Mamre”, dove Abramo si era stabilito con le sue tende e dove aveva costruito un altare al Signore (13,18). Il racconto propriamente detto comincia con: “mentr’egli sedeva”. Abramo è seduto all'ingresso della tenda “nell'ora più calda del giorno”, ossia verso la metà della giornata. “Egli alzò gli occhi ed ecco...”. Le parole qui usate fanno tornare in mente il racconto dell'offerta del paese (13, 10.14); l'espressione “ed ecco” indica una specie di sorpresa. Ogni manifestazione di Dio è, infatti, sorprendente. Abramo vede “tre uomini”; questi visitatori gli sembrano esseri umani, la loro apparenza non ha nulla di speciale. È strano che essi viaggino in quel momento così caldo della giornata, che è piuttosto l'ora della siesta. “Corse loro incontro...e si prostrò fino a terra”. I due verbi sottolineano l'ospitalità di Abramo. Egli prende l'iniziativa, corre verso di loro, come si fa per un membro della famiglia, che non si è visto da molto tempo (Gen 29,13; 33,4)29. Prostrarsi è un gesto di rispetto (Gen 23,12; 42,6), e quando Dio ne è l'oggetto questo verbo significa “adorare”(24,26). Abramo, con il suo gesto di rispetto verso questi tre uomini, adora senza saperlo colui che essi rappresentano. La sua reazione, d'altra parte, è simile al suo comportamento nell'apparizione precedente (17,3.17). Abramo rivolge un invito ai visitatori (vv. 3-5). Anzitutto augura loro il benvenuto rivolgendosi ad essi al singolare (v. 3) e parlando così specificamente a uno di loro (il capo?). Il testo gioca continuamente su un doppio senso. Si può intendere tutto come se i visitatori fossero uomini, ma anche come se fossero Dio. Abramo crede di parlare a degli uomini, ma il lettore, che conosce la vera identità dei visitatori, sa che egli parla a Dio. Abramo si rivolge a uno di loro dicendo “Mio Signore”, che è un titolo di rispetto per il capo dei tre, ma anche un titolo per Dio (15,2.8). Abramo chiama sé stesso il “tuo servo”, poiché vuole mettersi al servizio dei visitatori, ma in realtà egli è il “servo” di Dio, titolo che Dio gli darà più tardi (Gen 26,24). L'espressione “se ho trovato grazia ai tuoi occhi”, che è una formula solenne prima di una domanda importante30, prende ugualmente un significato più profondo. È una domanda di Abramo per essere gradito a Dio come lo fu Noè (Gen 6,8). Abramo crede di accogliere degli uomini, ma, senza saperlo, accoglie Dio. Dopo questa parola di benvenuto al singolare, Abramo si rivolge ora a tutti e tre gli ospiti, al plurale (vv. 4-5). Offre loro acqua per bere e per lavarsi i piedi (Gdc 19,21; cf. Lc 7,44), e li invita a riposarsi all'ombra dell'albero. Questa sezione si conclude con l'accettazione dell'invito da parte dei visitatori. 29 Cf. Lc 15,20: il racconto presenta diverse somiglianze con la parabola del figliol prodigo. Gen 19,19; 30,27; 32,6; 33,8.10.15; 47,29; 50,4. 30 64 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Gen 18,9-16a: la promessa Dopo aver illustrato il racconto del pranzo (vv. 6-8), la seconda parte del racconto è composta soprattutto da discorsi e si svolge principalmente nella tenda. Sara è adesso la figura centrale, mentre Abramo rimane in ombra. Abramo ha superato la prova, si è mostrato ospitale verso gli stranieri. Dio rinnova la sua promessa, come fa spesso dopo un'azione generosa di Abramo; riprende quella del racconto precedente (17,15-21), ma dando maggiore importanza a Sara. Il pranzo è finito e comincia la conversazione, che rivela la vera intenzione di questa visita. Abramo e Sara stanno per scoprire l'identità dei visitatori. La prima parola riguarda Sara e costituisce una domanda retorica: “Dov’è Sara, tua moglie?” (cf. Gen 3,9; 4,9). Se Sara ha preparato il pranzo, i visitatori sanno dov'è, ma la domanda permette d'iniziare la conversazione. È strano che essi sappiano il suo nome; comincia così a rivelarsi che non sono uomini comuni. Il testo continua al singolare: “Tornerò di sicuro da te”. L’ospite rivela maggiormente il suo carattere divino. Questo ritorno non deve essere necessariamente inteso in senso letterale, come se l'ospite alludesse a una nuova visita, ma Dio verrà con la sua grazia (Zc 1,3), Dio realizzerà ciò che adesso promette. Questa visita di Dio avverrà “al tempo della vita” (lett. cf. 2Re 4,16-17). Questa espressione viene spesso tradotta con “fra un anno”; il ritardo nella realizzazione della promessa sarà, infine, colmato prossimamente. L'espressione può essere tradotta anche con “al tempo del rinnovamento”, il che può fare riferimento alla primavera o all'autunno, quando le piogge ridanno vita alla natura, o anche ai nove mesi della gravidanza. La promessa “Sara, tua moglie, avrà un figlio” sviluppa la promessa anteriore di Dio (12,2; 13,16; 15,4) e conferma quella del racconto precedente (17,21). L'identità del visitatore non lascia più alcun dubbio. Nel racconto precedente, Dio diceva: “Un figlio ti darò da lei” (17,16.19.21); qui, invece, la promessa è incentrata sulla madre, essa avrà un figlio. La conversazione si svolge tra i visitatori e Abramo, ma “Sara stava ad ascoltare”. Prima di indicare la reazione di Sara, il testo ricorda, ancora una volta, il problema dell'età (17,17) e aggiunge, sottolineando di nuovo l'importanza di Sara, che non ha più mestruazioni. Tutto ciò dimostra l'impossibilità umana di partorire. Il lettore sapeva già che Sara era sterile e anziana, ma il testo precisa che ha passato la menopausa. La reazione di Sara è, quindi, molto comprensibile. Come Abramo aveva riso (17,17), così anche Sara “rise dentro di sé”. Il testo continua a giocare sul nome d'Isacco (“egli ride”). E come Abramo aveva parlato tra sé e sé (17,17), così anche Sara parla: “Proprio adesso che sono vecchia dovrò provare piacere”, il piacere di avere finalmente un figlio o di avere di nuovo il godimento dei rapporti sessuali col marito che “è vecchio” (v. 12)? 65 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Dio aveva reagito al dubbio di Abramo riaffermando la promessa (17,19-21); reagisce anche al dubbio di Sara. Lo dice ad Abramo, ma il discorso è in realtà rivolto a Sara. Abramo non parla più, soltanto Sara parla. Il testo toglie ogni dubbio circa l'identità dell'ospite: “il Signore disse...”. Dio si meraviglia del dubbio di Sara: “C'è forse qualche cosa [o una parola] che sia impossibile per il Signore?”. Dio può promettere (parola) e fare (cosa) quel che umanamente parlando è impensabile. Il racconto giunge al suo apice: l'impossibile può diventare possibile. Credere in ciò è la vera fede (15,6). Ma la domanda può significare anche: “C'è forse qualche cosa [o parola] che sia nascosta per il Signore?”. Dio ha dimostrato che conosce i pensieri segreti. Sara ha difficoltà a credere, perciò smentisce di aver riso. E Dio riprende la promessa del v. 10, ma aggiungendo “al tempo fissato”, che richiama “in questo tempo” del racconto precedente (17,21). Il racconto non nasconde il lato umano dei protagonisti. Abramo aveva mentito a proposito dell'identità di sua moglie (12,13), anche Sara (s)mentisce, “nega”. Agisce così, come suo marito e anche come Adamo ed Eva (Gn 3,10), per “paura”. Dopo il dialogo, il testo prosegue: “Poi quegli uomini si alzarono...”. Quest'annotazione serve da conclusione al racconto, che era cominciato con il loro arrivo e fa anche da introduzione al racconto seguente. La narrazione che termina, imperniata sul tema della discendenza, illustra nella prima parte la fretta delle azioni umane (vv. 1-8), poi, nella seconda parte, l'attesa dell'azione divina. Abramo e Sara non possono fare più nulla, non resta loro che credere (vv. 9-16a). Il “fare per” deve cedere il posto al “ricevere da”. Il ciclo di Abramo aveva cominciato col trattare della promessa del paese (12,1013,18) e, poi, di quella della benedizione (c. 14). Aveva lasciato il lettore in sospeso a proposito della promessa della discendenza, che tuttavia sembrava la più urgente. In seguito, questa promessa ha ricevuto grande attenzione. Dato che essa tardava a realizzarsi, Abramo e Sara erano ricorsi a un primo espediente umano adottando Eliezer (c. 15). Quando Dio promise che l'erede non sarebbe stato Eliezer, ma un figlio del sangue di Abramo, Abramo e Sara ricorsero a un secondo espediente umano. Abramo ebbe allora Ismaele, generatogli da Agar, la schiava di Sara (c. 16). Ma nemmeno lui sarà il figlio dell'alleanza: Dio promette che Sara avrà un figlio. Come per negare le due iniziative umane, Dio promette due volte, una volta più direttamente ad Abramo (c. 17) e una seconda volta anche a Sara (18,10-14). È ugualmente detto due volte che questo figlio nascerà l'anno successivo. C'è proprio di che “ridere”. 7. Gen 18,16b-19,29: B1 La benedizione Dopo questa duplice promessa che Abramo e Sara avranno un figlio l'anno successivo, non resta che aspettare la nascita imminente. Ma il redattore del ciclo di Abramo 66 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org decide di lasciare il lettore in sospeso. Invece di raccontare adesso la nascita di Isacco, il ciclo riprende il tema della benedizione, un'altra delle tre promesse. I tre visitatori venuti da Abramo (18,2) continuano ad avere un ruolo in alcuni dei racconti che seguono. I capitoli 18 e 19 formano così un'unità che presenta molte somiglianze con la storia del diluvio (Gen 6,5-9,17) e nella quale si possono distinguere diverse pericopi. a. Gen 18,16b-33: l’intercessione di Abramo La partenza dei visitatori (v. 16a), che forma la conclusione del racconto precedente (l8,1-16a), è nello stesso tempo l'inizio della storia che segue: a a1 Gen 18,16: Abramo accompagna i visitatori b Gen 18,17-21: una rivelazione ad Abramo c Gen 18,22: Abramo con Yhwh 1 b Gen 18,23-32: obiezione e preghiera di Abramo Gen 18,33: ritorno di Abramo Gen 18,17-21: una rivelazione ad Abramo Abramo accompagna i visitatori (v. 16) ed il testo ci presenta una riflessione di Yhwh fra sé e sé (vv. 17-19). Yhwh si domanda se non debba coinvolgere Abramo nel suo progetto su Sodoma e Gomorra: “Forse io celerò ad Abramo quello che sto per fare?”. Si direbbe che Abramo sia chiamato ad avere un ruolo profetico. Il profeta, infatti, è introdotto nel consiglio divino, in cui è informato dei disegni di Yhwh (Am 3,7; Ger 23,18) e proclama, poi, questa parola, per invitare il popolo alla conversione ed evitare così il castigo di Dio. Il profeta intercede ugualmente per il popolo (Am 7,1-6; Ger 14,7-9). Il testo richiama alla memoria la storia del diluvio, quando Yhwh rivelò il suo progetto di distruzione a Noè (Gn 6,5-13). C'è tuttavia una grande differenza tra le due storie. Yhwh rivelò il suo segreto a Noè perché questo uomo giusto potesse essere salvato. Adesso la ragione è diversa: può, forse, il Signore celare quello che sta per fare “mentre Abramo diventerà certamente una nazione grande e potente, e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra?” Yhwh vuole rivelare il suo progetto a causa della promessa che ha fatto ad Abramo al momento della sua chiamata e che riprende adesso, quasi alla lettera, con qualche piccolo cambiamento (12,23). Abramo, e dopo di lui Israele, sono chiamati a essere una fonte di benedizione per le nazioni. Dio ha un progetto che coinvolge le nazioni, come può nasconderlo ad Abramo? Il testo spiega più esplicitamente che questa promessa fatta ad Abramo è basata su una scelta: “Infatti l'ho scelto [lett.: “saputo”]” (cfr. Am 3,2). 67 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Dopo questa riflessione Yhwh passa alla rivelazione: “Disse allora il Signore...” (vv. 20-21). Sale a Dio un “grido” che è “troppo grande” perché il peccato “è molto grave”. La situazione ricorda il comportamento dell'umanità al momento del diluvio (Gen 6,5), mentre Noè era “giusto” (Gen 6,9), come deve esserlo Abramo. Il peccato di Sodoma e di Gomorra corrisponde a una mancanza fondamentale di giustizia e di diritto, una mancanza di rispetto per una legge morale, alla quale è obbligata tutta l'umanità. Gen 18,22: Abramo solo con Yhwh “Poi quegli uomini partirono di lì e andarono verso Sodoma, ma il Signore stava tuttora davanti ad Abramo”. L'identità dei visitatori si svela gradualmente. L'inizio del testo annuncia che il Signore appare ad Abramo (18,1), ma che Abramo vede tre uomini (18,2). Abramo si rivolge ad essi talvolta al singolare (18,3), talvolta al plurale (18,4). I tre parlano (18,9), ma uno solo fa la promessa (18,10). Quest'ultimo è identificato come “il Signore” (18,13)31. Qui il testo chiarisce un po’ il mistero: gli uomini se ne vanno e il Signore resta. I tre visitatori sono, dunque, Yhwh accompagnato da due uomini. La confusione apparente illustra, a suo modo, la difficoltà di parlare del contatto tra il mondo divino e il mondo umano. Il credente non può ricorrere che a delle immagini. Il testo ebraico dice che “Abramo stava davanti a Yhwh”, il che sembra più normale, ma una versione molto antica dice: “il Signore stava davanti ad Abramo”. Abramo si accinge a interpellare Yhwh sulla sua teologia. Egli deve giustificarsi davanti ad Abramo. Un copista ha giudicato questa affermazione troppo forte e l'ha “corretta”. Il testo illustra l'atteggiamento, in apparenza disinvolto, ma coraggioso di Abramo. Gen 18,23-32: obiezione e preghiera di Abramo Mentre i due uomini scendono a Sodoma, per verificarvi il “sì o no” dei peccati di quella città, Abramo vuole approfittare della possibilità che sia “no”. Egli inizia un dialogo con Yhwh, che comprende sei domande sue, seguite ciascuna da una risposta di Dio. La triplice ripetizione è frequente (Is 6,3); qui la preghiera di Abramo raddoppia questa cifra, sottolineando la gravità della sua preghiera. Il testo ripete e varia un certo numero di verbi nelle domande e nelle risposte, il che permette di vedere una progressione, tanto nella preghiera di Abramo quanto nella risposta di Dio. La prima domanda è la più lunga, contiene tutti gli argomenti ed è costruita in maniera veramente degna di nota (vv. 23-25). 31 Cf. 18,16: “quegli uomini”, e 18,17: “il Signore”. 68 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 32 Abramo “gli si avvicinò e gli disse”, come si fa alla corte reale per una petizione . Abramo si avvicina veramente a Dio, poiché è il primo uomo nella Bibbia a prendere l'iniziativa di una conversazione con Dio. Abramo ha già parlato tre volte a Dio, ma rispondendogli (15,2.8; 17,18), e sempre in rapporto con il proprio interesse. Abramo, nella sua richiesta, si spinge oltre e propone una novità. Dio potrebbe optare per un'altra soluzione. Potrebbe perdonare a tutti per cinquanta giusti; la sua misericordia potrebbe essere una nuova maniera di essere giusto. Sono gli empi oppure i giusti che determinano l'avvenire? La volontà di Dio di punire prevale forse sulla sua volontà di salvare? La risposta del Signore (v. 26) è espressa in forma condizionale: “Se io trovo...”. Incontriamo per la prima volta il verbo che domina tutto il dialogo: si troverà il numero voluto? Dio promette: “perdonerò”, se troverà cinquanta giusti a Sodoma. La prima risposta è la sola in forma affermativa, tutte le altre sono in forma negativa: “non”33. Un certo numero di giusti è dunque capace di salvare un gran numero di peccatori. Nella sua seconda domanda (vv. 27-28) Abramo si umilia34 per tentare di diminuire di cinque il numero richiesto. La risposta di Dio è interessante. Egli non parla dei cinque, ma dei quarantacinque: Dio sa contare. La terza domanda, che riduce a quaranta il numero di giusti (v. 29), è la più breve. Si direbbe che debba essere l'ultima. Tre, infatti, è già una cifra perfetta, è il massimo che ci si possa permettere. Ma Abramo riprende una seconda serie di tre domande. Comincia la prima di questa serie (v. 30) cercando di prevenire la possibile irritazione di Dio, che egli chiama “mio Signore”. Prende tutte le precauzioni necessarie per ottenere un favore particolare da un grande35. Fare tre domande era davvero più che sufficiente; tuttavia Abramo non solo continua, ma osa diminuire di dieci il numero richiesto, mentre nella prima serie lo diminuiva di cinque. Il numero è ridotto a trenta giusti eventuali. La quinta domanda (v. 31), dunque la seconda del secondo ciclo, somiglia alla seconda del primo. Abramo riconosce di essere ben ardito, insistendo nella richiesta e diminuendo il numero a venti. Infine, la sesta domanda (v. 32) è simile alla quarta, e Abramo annuncia che sarà l'ultima. Così egli ha fatto due volte tre domande. Perché si fermi adesso rimane misterioso. Yhwh non lo ha rimproverato e non ha rifiutato. Abramo stesso ha dovuto concludere che dieci giusti sono veramente il minimo cui può ragionevolmente scendere. Dieci è una cifra tonda, che simboleggia il minimo richiesto per un gruppo sociale (Rt 4,2). Sotto i dieci non c'è più un 32 Cf. Gen 43,19; 44,18; Is 41,1. “fare” [2 casi]; “distruggere” [3 casi], il che ricorda il “distruggere” di Dio al momento del diluvio (Gen 6,13.17; 9,11.15). 34 Cf. Gb 30,19; 42,6; Sir 10,9. 35 Cf. Gen 31,35; 44,18. 33 69 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org gruppo, ci sono soltanto degli individui. Geremia (5,1) e Ezechiele (22,30) diranno più tardi che un solo giusto può bastare, perché Dio perdoni a Gerusalemme. Può anche darsi che Abramo si fermi perché la sua proposta è accettata. Alcuni giusti, poco importa il numero esatto, possono salvare i peccatori. La salvezza non dipende da un calcolo umano. E Yhwh accetta. Gen 18,33: ritorno di Abramo La conversazione è finita e i due si separano. Il Signore se ne va, non è detto dove e Abramo ritorna alla sua residenza, dunque alle Querce di Mamre (18,1). Il racconto ha illustrato il tema della benedizione. Abramo era stato fonte di benedizione e di salvezza per Sodoma una prima volta. Lo era stato allora mediante le armi (c. 14). Il ciclo di Abramo ama ripetere alcune scene: adesso questo secondo racconto presenta Abramo destinato da Dio a essere benedizione per le nazioni. Questa volta egli interpella Dio per ottenere la salvezza della città di Sodoma. Questo racconto è intitolato spesso “l’intercessione” o “la preghiera di Abramo” , ma è anche una rimessa in discussione del comportamento di Dio e della sua risposta. Il testo finisce con un grande punto interrogativo: che cosa accadrà a Sodoma? Il “forse”, ripetuto a ogni domanda da Abramo, e il “se io trovo” della risposta di Dio sono inquietanti. b. Gen 19,1-29: distruzione di Sodoma, salvezza di Lot Il racconto che segue dà la risposta alla domanda precedente. Il testo è incentrato su Lot, e Abramo scompare quasi completamente dalla storia, per riapparire soltanto alla fine. Ma, come abbiamo già notato, il ciclo di Abramo ama confrontare l'atteggiamento di Lot con quello di Abramo riguardo agli stessi temi. Il racconto presenta così molte somiglianze con i testi precedenti riguardanti Abramo e somiglia ugualmente al racconto del diluvio (Gen 6,5 - 9,17). Tutti e due narrano una distruzione terribile causata dai peccati umani, alla quale fugge, salvata da Dio, una persona con la sua famiglia. Il presente racconto si suddivide come segue: • Gen 19,1-3: la visita di Lot • Gen 19,4-11: la protezione degli ospiti • Gen 19,12-17: l’ordine di lasciare Sodoma • Gen 19,18-22: l’obiezione e la preghiera di Lot • Gen 19,23-26: la distruzione di Sodoma • Gen 19,27-28: Abramo testimone • Gen 19,29: conclusione 70 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Alla fine di questa storia, Abramo comparirà improvvisamente e per la prima volta nel racconto. Era stato l'intercessore prima della distruzione (18,16-33), e ne è il testimone dopo (vv. 27-29). Così, anche se non è mai menzionato durante l'azione (19,1-26), Abramo rimane una figura dominante del racconto. Sempre in quello stesso mattino, Abramo, alzatosi “presto”, si reca al luogo dove tutto era cominciato (18,16), là dove aveva ricevuto la rivelazione del progetto divino su Sodoma e aveva interceduto per salvare la città. Lì i visitatori divini erano andati “a contemplare dall'alto il panorama di Sodoma” (18,16). Tocca ora ad Abramo “guardare dall'alto il panorama di Sodoma”, per constatare che il suo intervento non è servito assolutamente a niente. Egli è vissuto di speranza, ma questa speranza è adesso infranta: allo sguardo non si offre che la più totale distruzione. Abramo deve porsi delle domande sulla sorte di Lot e della sua parentela, che al momento della loro lite (13,2-18), dopo aver volto lo sguardo su quella regione quando era ancora così attraente, aveva scelto di stabilirvisi. Il contrasto tra quello che Lot vedeva allora e quello che Abramo vede adesso merita di essere messo in evidenza: “[Abramo] andò... per guardare dall'alto il panorama di Sodoma e Gomorra e di tutta la terra del circondario e vide che saliva un fumo dal paese, come il fumo della fornace” (19,28). “[Lot] alzò gli occhi ed osservò tutta la valle del Giordano, perché era tutta irrigata - prima che il Signore distruggesse Sodoma e Gomorra - come il giardino del Signore, come il paese d'Egitto, fin verso Zoar” (13,10). Il contrasto è sconvolgente. “Tutto” era così bello prima, un vero paradiso. Adesso, come sottolinea il testo (cf. v. 25), “tutto” è perduto, un vero deserto. Il testo si conclude in 19,29 ponendo diverse domande al lettore. Si sa perché la città di Sodoma è stata distrutta, ma si ignora perché Lot sia stato risparmiato. Il versetto finale lo spiega: “Così avvenne che quando Dio distrusse la città della valle, si ricordò di Abramo e fece fuggire Lot di mezzo alla catastrofe”. Ancora una volta, il testo può essere paragonato alla storia del diluvio, nel bel mezzo della quale “Dio si ricordò di Noè” (Gen 8,1). C'è, però, una grande differenza: Noè è stato salvato perché Dio si è ricordato di lui, Lot viene salvato non perché Dio si ricorda di lui, ma perché di lui si ricorda di Abramo. L'intercessione di Abramo non è stata completamente inutile. Non ha potuto salvare la città, perché non c'erano nemmeno i dieci giusti richiesti, ma Lot è stato salvato perché, lui almeno, era un giusto (18,23). Il racconto lo ha lasciato intendere discretamente. Lot ha ricevuto i suoi visitatori esattamente come aveva fatto Abramo. Li ha invitati, cosa che nessuno di Sodoma ha fatto; è uscito dalla sua casa da solo per affrontare la folla. Lot somiglia, dunque, ad Abramo, è molto diverso dagli abitanti di Sodoma e questi gli rimproverano di insegnar loro la giustizia (v. 9). Certamente Lot non è perfetto, manca di rispetto per le proprie figlie, esita a lasciare la città, ma è un uomo giusto, e come Noè e 71 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Abramo ha trovato “grazia” agli occhi di Dio (v. 19). Perché allora quest'unico giusto non ha potuto salvare la città? Anche se Dio non avesse richiesto dieci giusti e si fosse contentato di uno solo, la città non avrebbe potuto essere salvata. Gli abitanti di Sodoma stessi hanno escluso questa possibilità. Hanno preso le distanze da Lot, lo considerano come uno straniero, non è uno dei loro, e dunque nessun abitante di Sodoma è giusto. Il racconto della salvezza di Lot e della distruzione di Sodoma si ricollega anch'esso al tema della benedizione. Abramo non è potuto essere fonte di salvezza per Sodoma, poiché la città era completamente corrotta, egli è soltanto il testimone della sua distruzione. Tuttavia è stato fonte di salvezza, per la seconda volta, per Lot e per le sue due figlie. I generi e la moglie hanno avuto come Lot un'ultima possibilità, ma se la sono lasciata sfuggire per mancanza di fede e di obbedienza. Il racconto è pieno di contrapposizioni: giusti/peccatori; grazia, pietà, misericordia/giustizia; peccato/castigo; vita/morte; salvezza/distruzione. La distruzione è stata grande, ma un piccolo resto è stato salvato. Il testo parla di Lot e di Abramo, ma separatamente. Sono come due protagonisti che si ignorano. Abramo ha pregato per Sodoma, ma non ha mai menzionato Lot. Ci si può anche domandare se sappia che Lot è stato salvato. Allo stesso modo, Lot non parla mai di Abramo. Prega per rifugiarsi a Zoar, non ha nessuna intenzione di ritornare da Abramo. Dopo la loro separazione (cc. 13-14) non ci sono più stati rapporti tra loro, sono diventati come estranei l'uno per l'altro. Abramo è stato, tuttavia, fonte di salvezza per Lot e per le sue due figlie, è stato una benedizione per i due popoli che discenderanno da esse e di cui parla il racconto seguente. 72 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Il cammino di Abramo III Parte: Gen 19,30-23,20 Premessa Il ciclo di Abramo aveva lungamente sviluppato il tema della discendenza (15,118,16). Il redattore invece di concentrarsi sullo sviluppo di questa promessa, aveva preferito soffermarsi sul tema della benedizione (18,16-19,29). Finalmente decide di riprendere il tema della discendenza, ma con sorpresa, s'interessa anzitutto alla discendenza di Lot, prima di trattare della discendenza di Abramo e di Sara. 8. Gen 19,30-21,21: la Discendenza Il racconto, che parla della discendenza di Lot (19,30-38) è la conclusione del grande insieme riguardante i visitatori divini (cc. 18-19) e riprende il tema della discendenza che era stato già trattato nella prima parte di quest'insieme. Il tema della discendenza costituisce, così, un'inclusione in tutto il racconto dei visitatori e inquadra il tema della benedizione. Questa storia ha la seguente struttura: a a1 Gen 18,1-15: la discendenza di Abramo b Gen 18,16-33: Abramo intercessore c Gen 19,1-26: Sodoma distrutta – Lot salvato 1 b Gen 19,27-29: Abramo testimone Gen 19,30-38: la discendenza di Lot La duplice iniziativa umana è riuscita, le due figlie di Lot, di cui il testo non menziona mai il nome, “concepirono dal padre loro”. Dopo il duplice concepimento, ciascuna delle figlie partorisce un figlio e gli dà un nome, come il testo riferisce usando, una volta ancora, le stesse parole per l'una e per l'altra. Il racconto enumera i tre momenti importanti della vita del bambino: il concepimento, la nascita e la denominazione, come per Ismaele (16,11) e Isacco (17,19). I due nomi sono spiegati attraverso etimologie popolari fantasiose: “Moab” (me’abh), “È da mio padre”, e “Ben-‘Ammi”, “Figlio del mio popolo”, “Figlio del mio congiunto”. Il racconto offre così una spiegazione dell' origine di due popoli vicini a Israele, i moabiti e gli ammoniti, che occupano la regione montuosa a est del Giordano, dove Lot era fuggito. Essi si ricollegano ad Abramo, poiché sono la discendenza di suo nipote. Il racconto è chiaramente imperniato sul tema della discendenza e descrive come la discendenza di Lot sia il frutto di due iniziative umane. Il ciclo di Abramo contrappone, ancora una volta, Lot e Abramo. La discendenza di Abramo non sarà il frutto dei due 73 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org progetti umani ai quali era anch'egli ricorso, ma sarà un puro dono di Dio. Il racconto accenna anche brevemente al tema del paese. Il ciclo ha ricordato spesso che Dio darà il paese ad Abramo; Lot, invece, aveva scelto di stabilirsi, prima, vicino alla città di Sodoma (13,10-13) e, in seguito, nella città stessa (19,1-2). Sceglieva così la propria rovina. Lot ha perduto ogni fiducia, non sa più dove stabilirsi. Quando Dio gli offre la montagna, preferisce la città di Zoar (19,17-22). Quando Dio gli garantisce che è al sicuro in questa città, sceglie la montagna e si stabilisce in una caverna (19,30). D'ora innanzi, il ciclo non parlerà più di Lot, lo lascia in questa caverna. Come Abramo, quindi Lot finisce in una caverna: vi è entrato ancora vivo, ma non “sa” nemmeno ciò che gli accade, è un vivo morto. Abramo, invece, vi entrerà soltanto da morto. I due personaggi, Lot e Abramo, compaiono nel ciclo fin dall'inizio (11,27.31; 12,4) e vi ricompaiono parecchie volte, ma il loro cammino è molto diverso. Il redattore, mettendo i due personaggi in parallelo, ha voluto mostrare due atteggiamenti umani contrari. Lot è presentato come l'antitipo di Abramo. Con Lot, il redattore illustra al negativo ciò che mostra al positivo in Abramo. Si potrebbe dire che Abramo è “il padre dei credenti” e Lot “il padre degli increduli”. a. Gen 20,1-18: l’abbandono della madre del figlio promesso Dopo la storia della discendenza di Lot, che conclude la grande storia dei visitatori (18-19), il ciclo ritorna ad Abramo e Sara. Il redattore racconta una storia nella quale Abramo mette in pericolo sua moglie, facendo credere che sia sua sorella. Il testo somiglia alla narrazione che abbiamo letto all'inizio del cammino di Abramo (12,10-13,1). Il ciclo di Abramo ama ripetere le stesse storie e non esita nemmeno a ripetere quelle più impressionanti. Apparentemente Abramo non ha imparato nulla. Questi doppioni del ciclo presentano somiglianze, ma anche differenze, il che richiede tutta l'attenzione del lettore. Questa volta Abramo, mettendo sua moglie in pericolo, mette in pericolo la futura madre del figlio promesso. Sia essa già incinta o sul punto di esserlo, Abramo abbandona la donna che deve dargli il figlio della promessa. 74 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La storia, i cui personaggi sono differenti da quelli della storia parallela, ha la sua struttura propria. a a1 Gen 20,1: Abramo discende a Gerar b Gen 20,2a: Abramo parla di Sara (ad Abimèlech) c Gen 20,2b: Abimèlech prende Sara d Gen 20,3-7: Dio avverte Abimèlech e Gen 20,8: Abimèlech avverte i suoi servi 1 d Gen 20,9-13: Abimèlech rimprovera Abramo 1 c Gen 20,14: Abimèlech restituisce Sara 1 b Gen 20,15-16: Abimèlech parla ad Abramo e Sara Gen 20,17-18: Abramo intercede per Abimèlech e la sua famiglia La storia di Abramo a Gerar sembra, a prima vista, molto simile all'avventura di Abramo e di Sara in Egitto (12,10-13,1), ma leggendo il racconto attentamente si notano grandi differenze. Il primo racconto sviluppa soprattutto il tema del paese. Il testo descrive la partenza di Abramo e di Sara dalla terra promessa e il loro ritorno a questa terra. Così ho intitolato il racconto: “L'abbandono della terra”. Il secondo racconto si ricollega maggiormente al tema della discendenza, tanto che possiamo intitolarlo: “L'abbandono della madre del figlio promesso”. Fa seguito al racconto che parla della discendenza di Lot e delle promesse che Sara avrà un figlio e finisce con l'argomento dell'impotenza e della sterilità. Sara è incinta o sul punto di esserlo, in ogni modo, è la futura madre del figlio della promessa. Tuttavia Abramo non esita a esporla al rischio e lascia che diventi la moglie del re Abimèlech. La realizzazione della promessa è messa in pericolo, ma Dio protegge Sara, impedendo ad Abimèlech di toccarla o di accostarsi a lei (vv. 4.6) e rendendolo impotente. Sara avrà un figlio da Abramo e non da Abimèlech; la paternità di Isacco deve essere senza ambiguità. La fine della storia pone una domanda: Abramo ha potuto intercedere affinché Dio guarisse le donne di Gerar dalla loro sterilità, perché non aveva potuto ottenere in precedenza la stessa guarigione per sua moglie? D'altra parte, questa conclusione dà speranza. Se Dio può guarire la sterilità delle donne di Gerar, può guarire anche quella di Sara, è veramente capace di adempiere la sua promessa. Il testo accenna anche al tema del paese. Abramo è arrivato a Gerar come straniero; il re gli offre adesso di stabilirsi nel suo territorio, che fa parte della terra promessa. Abramo non è ancora in possesso della terra promessa, ma è più vicino all'adempimento di questa 75 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org promessa. Il tema della benedizione è ugualmente presente. Il lettore del primo racconto non aveva molta simpatia per il faraone, né per Abramo, presentato come un uomo che ha paura. Nel secondo racconto il lettore prova simpatia per Abimèlech, che pare anche più giusto di Abramo. Quest'ultimo fa una figura meschina: agisce per paura, ma una paura non fondata. Non è venuto fra gente di cattivi costumi, ma fra gente che teme Dio. Non tutte le nazioni sono corrotte, alcune hanno conservato il timore di Dio, Gerar non è Sodoma. Abramo non ha nemmeno l'onestà di ammettere di aver emesso un giudizio erroneo sugli abitanti di Gerar, adduce delle scuse che non sono vere scuse. E tuttavia questo profeta, pur essendo un uomo imperfetto, svolge un ruolo d'intercessore per Abimèlech e i suoi, che sono più giusti di lui, ottiene per loro la guarigione. Abramo era stato benedizione e fonte di salvezza per Lot, a due riprese (14,19; 19,29); lo è qui per una delle nazioni della terra (12,3; 18,18). b. Gen 21,1-7: la nascita del figlio promesso Finalmente dopo tanta attesa, il ciclo narra la nascita di Isacco, il figlio della promessa: Il testo è molto breve, consiste in un'enumerazione di avvenimenti che si susseguono sottolineando che tutto si è svolto come promesso e atteso dai tre protagonisti. Vengono così riprese diverse frasi dei racconti precedenti (c. 17; 18,1-15). • Gen 21,1-2: Yhwh mantiene le sue promesse • Gen 21,3-5: Abramo mantiene i suoi impegni • Gen 21,6-7: Sara mantiene il suo riso Gen 21,1-2: Yhwh mantiene le sue promesse “Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso”. Dio “visitò” Sara secondo la sua promessa: “Tornerò di sicuro da te, fra un anno” (18,10.14). La visita di Dio può essere portatrice di giudizio o di salvezza. La salvezza che Dio apporta è la nascita di un bambino, come per Anna, un'altra donna sterile (1Sm 2,21). E Yhwh “fece” quello che aveva promesso due volte: che Abramo e Sara avrebbero avuto un figlio (17,16; 18,10). Siccome ci sono state due promesse, il testo ripete che l'adempimento è del tutto conforme alla parola di Dio. Questo bambino è veramente un dono di Dio. “Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella sua vecchiaia, al tempo che Dio gli aveva detto”. Il ciclo ha sottolineato spesso l'impossibilità nella quale essi si trovavano di avere un figlio a causa della loro età avanzata (17,17.24; 18,11-12). L'impossibile è diventato possibile, esattamente alla data predetta da Dio (17,21; 18,10.14). 76 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Gen 21,3-5: Abramo mantiene i suoi impegni Come il testo sottolinea, fino a tre volte, che Dio ha mantenuto la parola, così sottolinea ugualmente che Abramo agisce “secondo quanto Dio gli aveva comandato”. Il ciclo ha già mostrato che Abramo è capace di tale obbedienza (12,4; 17,23). “Pose nome Isacco al figlio”, come Dio gli aveva detto (17,19). Abramo, il padre, dà il nome, come aveva già fatto per il suo primo figlio, Ismaele (16,15). “Circoncise suo figlio Isacco quando questi ebbe otto giorni”, esattamente come Dio aveva ordinato (17,12). Abramo ha adesso due figli circoncisi, Isacco circonciso l'ottavo giorno e Ismaele all'età di tredici anni (17,25). Ciò conferma la differenza tra i due ragazzi. Tali avvenimenti accaddero quando Abramo aveva cento anni, e anche questo prova che Dio ha mantenuto la parola e che l'impossibile è diventato possibile. Abramo aveva novantanove anni quando Dio gli apparve (17,l) e gli promise che avrebbe avuto un figlio l'anno seguente. La Bibbia sottolinea spesso l'età alla quale un uomo ha il suo primo figlio (Gen 5; 11,10-26). Abramo lo ha avuto quando aveva cento anni, come il suo antenato alla lontana Sem (Gn 11,10), dopo venticinque anni di cammino sotto la guida di Yhwh (12,4), in un momento in cui credeva che ciò fosse impossibile (17,17). Il testo sottolinea anche più volte che Sara ha partorito, ricollegandosi così al racconto precedente (20,1-18). Come Yhwh aveva guarito la sterilità delle donne di Gerar (20,17-18), così guarisce finalmente Sara (si noti il nesso tra 20,17 e 21,2). Dopo l'avventura a Gerar, in cui Sara è stata presa da Abimèlech, il testo conferma esplicitamente che è Abramo il padre, e non Abimèlech. Gen 21,6-7: Sara mantiene il suo riso Sara fa più che partorire: pronunzia due brevi componimenti poetici. Questo cambiamento di stile dalla prosa alla poesia sottolinea la meraviglia e la gioia (Gen 1,27; 2,23). Il racconto ha insistito sulla fedeltà di Dio e sull'obbedienza di Abramo, insiste adesso sulla gioia di Sara. “Un sorriso ha fatto Dio per me! Quanti lo sapranno rideranno di me!”. Ogni volta che il ciclo ha menzionato il nome “Isacco” (“egli ride”), qualcuno ha riso: prima Abramo (17,17), poi Sara (18,12-15). Il loro era stato un riso provocato dal dubbio e, quando Sara era stata rimproverata per il suo riso, aveva negato di avere riso. Adesso essa ammette e ostenta il suo riso, ma è un riso di gioia. Allo stesso modo, quelli che udranno che Sara ha partorito “rideranno” di lei. La nostra traduzione interpreta, dunque, questo riso come una derisione, la gente ironizzerebbe sul fatto che una donna così vecchia partorisca o si burlerebbe dell'incredulità di Sara. È, forse, più probabile che gli altri ridano perché si rallegrano insieme a Sara (“rideranno con me”, secondo altre traduzioni). 77 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org E Sara aggiunge, ancora in forma poetica: “Chi avrebbe mai detto?”. Questa storia, infatti, sembrava incredibile non solo a Sara e ad Abramo, ma a chiunque l'udisse. Sara non soltanto ha concepito e partorito, ma è capace, anche alla sua età, di dare il seno al suo bimbo. Il testo termina sottolineando la “vecchiaia” di Abramo, come aveva fatto all'inizio (v. 2). Il breve racconto della nascita di Isacco è interamente incentrato sul tema della discendenza. Il lettore era stato informato, anche prima dell'inizio del ciclo di Abramo, che Sara, sua moglie, era sterile (11,29-30). Tuttavia, dopo solo pochi versetti, nel racconto della chiamata, si legge che Abramo riceve la promessa di una discendenza (12,2) e che questa promessa gli viene confermata poco dopo (13,16). Sembra la promessa più urgente, vista la sterilità di Sara e l'età avanzata, settantacinque anni, di Abramo (12,4). Nondimeno il ciclo la trascura nel corso di diversi capitoli. Così Abramo e Sara s'impazientiscono e optano per una prima soluzione umana adottando Eliezer (c. 15). Dio promette allora che il vero erede sarà un figlio dello stesso sangue di Abramo (15,4). Dopo una vana attesa di dieci anni (16,3), essi ricorrono a un'altra soluzione umana. Agar diventa una madre portatrice e dà un figlio ad Abramo, il quale ha ottantasei anni. Ismaele è dunque un vero figlio di Abramo (c. 16), ma nemmeno questo corrisponde all'intenzione di Dio. Egli promette due volte che l'impossibile si realizzerà: Abramo avrà un figlio da Sara, all'età di cento anni (cc. 17; 18). Nulla può impedire questo piano divino, nemmeno l'imprudenza di Abramo, che abbandona Sara nelle mani di Abimèlech a Gerar. Ci saremmo potuti aspettare un lungo racconto, per descrivere il frutto di questo lungo cammino. Il redattore preferisce, invece, un racconto molto breve, ma denso. Il testo mostra la fedeltà di Dio alla sua parola e l'obbedienza di Abramo ai suoi impegni. Questi due elementi insieme rendono possibile l'impossibile, il riso di dubbio si muta allora in riso di gioia. c. Gen 21,8-21: la cacciata di una madre e di suo figlio Anche se la promessa della discendenza si è adesso realizzata, il ciclo continua sul tema della discendenza e si sofferma su Ismaele, l'altro figlio di Abramo. Il ciclo di Abramo ama ripetere le stesse storie, anche quelle poco edificanti. Il presente racconto riferisce la cacciata di Agar e di suo figlio e ricorda quella della fuga di Agar (16,1-16). Ci sono somiglianze, ma anche differenze. La differenza principale è l'aumento del numero dei personaggi. La prima volta, Sara era ancora sterile e Agar era incinta di Ismaele, adesso ciascuna delle due donne ha un figlio. Il racconto riprende anche la promessa che Dio ha fatto ad Abramo riguardo all'avvenire dei suoi due figli, Ismaele e Isacco (17,15-21). 78 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org a a1 Gen 21,8-9: il problema b Gen 21,10-14a: la cacciata c Gen 21,14b-16: vicino alla morte 1 b Gen 21,17-19: il salvataggio Gen 21,20-21: la conclusione Nella conclusione del racconto di Gen 21,20-21 Dio si occupa di Ismaele: “Dio fu col ragazzo che crebbe”, egli è il benedetto da Dio. Il testo ripete che “abitò nel deserto”, dove diventerà “un arciere” (16,12). E infine Agar, come madre, fa un'ultima cosa per suo figlio divenuto adulto, “gli prese una moglie del paese d'Egitto”. Essa fa quello che Abramo, come padre, farà per Isacco, cercando per lui una moglie nel suo paese d'origine (c. 24). La prima volta, il messaggero divino le aveva promesso in Ismaele una discendenza innumerevole (16,10), promessa, poi, anche ad Abramo (17,20; 21,13). Agar l'egiziana vuole avere la sicurezza che la discendenza d'Ismaele sarà egiziana. Il racconto della cacciata di Agar continua a trattare il tema della discendenza. Non c'è nulla di edificante nel comportamento di Sara, né in quello di Abramo. Egli sembra affezionato a suo figlio, ma è troppo debole per resistere alla moglie. Dio prende dapprima le parti dell'oppressore e soltanto in seguito si occupa con sollecitudine anche della misera condizione dell'oppresso; salva Ismaele dalla morte all'ultimo momento. Tuttavia, malgrado queste imperfezioni umane, Ismaele avrà una discendenza, gli ismaeliti, legata ad Abramo e nello stesso tempo agli egiziani. 9. Gen 21,22-34: B2 La benedizione Il ciclo ha narrato la storia della discesa di Abramo a Gerar, dove aveva affermato che Sara era sua sorella (20,1-18). Questa storia era incentrata soprattutto sul tema della discendenza, ma conteneva anche un cenno al tema della benedizione. Abramo, infatti, vi ha avuto un ruolo d'intercessore per Abimèlech e per i suoi. Il ciclo ha continuato a svolgere il tema della discendenza nel racconto della nascita di Isacco (21,1-7) e in quello della cacciata di Agar e Ismaele (21,8-21). Riprende ora l'argomento del rapporto tra Abramo e Abimèlech. Il racconto non menziona più né le due donne né i due figli di Abramo. I personaggi sono Abramo, Abimèlech, il re di Gerar accompagnato da Picol, il capo del suo esercito, e Dio. Un testo parallelo si trova nella storia di Isacco (Gen 26,26-31). 79 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Questa la struttura del testo: a a1 Gen 21,22a: l’arrivo di Abimèlech b Gen 21,22b-24: il patto tra Abimèlech e Abramo c Gen 21,25-26: la lite 1 b Gen 21,27-31: l’alleanza tra Abramo e Abimèlech Gen 21,32-34: la partenza Il racconto non parla più della discendenza di Abramo, menziona, invece, quella di Abimèlech. Tratta anzitutto del tema della benedizione. Abimèlech, re di una nazione, riconosce che Abramo è benedetto da Dio. Vorrebbe che lui stesso e la sua discendenza potessero vivere in armonia con Abramo, per avere così parte alla sua benedizione. Il racconto accenna ugualmente al tema del paese. Abramo è sempre un forestiero, ma esercita adesso il suo primo diritto di proprietà, giuridicamente riconosciuto, su una porzione di terra promessa. Ha accesso a un pozzo in Bersabea, il che gli dà una certezza di sopravvivenza nel paese. 10. Gen 22,1-24; C2 La discendenza Il ciclo di Abramo ha raccontato la nascita di Isacco (21,1-7), che costituisce l'adempimento della promessa della discendenza. Aveva narrato anche la cacciata di Ismaele, il possibile rivale del figlio della promessa (21,8-21). Si sarebbe potuto credere che il ciclo avesse esaurito il tema della discendenza. Invece, dopo il racconto dell'alleanza tra Abramo e Abimèlech (21,22-34), incentrato sul tema della benedizione, il ciclo riprende un'ultima volta il tema della discendenza. a. Gen 22,1-19: l’offerta del figlio della promessa La novità di questo testo sta nel fatto che il redattore si occupa ancora della discendenza, ma questa volta in una maniera veramente sorprendente. Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio promesso, che gli ha finalmente dato contro ogni speranza umana. La storia è, forse, la più conosciuta e la più studiata di tutto il ciclo; è anche la più commovente e nello stesso tempo la più sconvolgente, anche se si cerca d'inquadrarla nella cultura dell'epoca. Il racconto è stato ampiamente interpretato nel corso dei secoli. La tradizione cristiana è portata a intitolarlo: “II sacrificio di Isacco” e in tale sacrificio ha visto una prefigurazione della morte di Gesù. Ma poiché Isacco non viene sacrificato, lo si potrebbe altrettanto bene intitolare “Il non sacrificio di Isacco”. La tradizione giudaica lo chiama piuttosto “La legatura [aqedah] di Isacco” (v. 9). In realtà è “L'offerta del figlio 80 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org della promessa”, che si può mettere in parallelo con il racconto dell'inizio del ciclo: “L'offerta del paese” (13,2-18). Il testo è assai bene strutturato e ha molti punti di collegamento con gli altri racconti del ciclo. a a1 Gen 22,1a: introduzione b Gen 22,1b-2: l’ordine c Gen 22,3-10: l’esecuzione - vv. 3-5: il viaggio - vv. 6-8: la domanda di Isacco - vv. 9-10: la preparazione 1 b Gen 22,11-14: la sospensione c1 Gn 22,15-18: la promessa Gen 22,19: conclusione Gen 22,1a: introduzione La formula “Dopo queste cose [“parole”]...” introduce un nuovo racconto (15,1) e lo collega, senza precisare, a quel che precede, dove è detto che Abramo “soggiornò come forestiero nel paese dei filistei, per molto tempo” (21,34). Isacco doveva avere almeno tre anni al momento della cacciata d’Ismaele, che era allora chiamato “fanciullo” (21,12). Il racconto chiama adesso Isacco “ragazzo” (22,12): è dunque almeno un adolescente. “Dio tentò Abramo”. “Il Signore” aveva parlato ad Abramo al momento della sua chiamata (12,1); adesso il testo usa la parola “’Elohîm”, con in più l'articolo: “Il Dio” (ugualmente vv. 3.9), sottolineando la trascendenza di questo Dio che “tentò” Abramo. Una tentazione, una prova serve a mostrare il vero valore di una persona (Dt 8,2), le è utile, malgrado la sofferenza che causa (Dt 8,16). Che l'avvenimento sia una prova, a saperlo è il lettore, non Abramo. Lo scopo dell'azione di Dio è la prova di Abramo e non il sacrificio di Isacco. La storia riguarda Abramo e la sua obbedienza, non Isacco. La fede di Abramo è più grande del suo amore per il figlio? La prova di Abramo somiglia a quella di Giobbe, che è anch'egli provato, senza che se ne renda conto, riguardo al suo amore disinteressato per Dio (Gb 1,9). Gen 22,1b-2: l’ordine In altri racconti del ciclo, Dio comincia direttamente con l'ordine (12,1; 17, l); qui, Dio apostrofa prima Abramo, chiamandolo per nome. Abramo risponde con una sola parola, “Eccomi!”, che mostra la sua ricettività e la sua apertura a Dio. L'ordine divino verso la fine 81 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org della sua vita somiglia molto all'ordine che ha ricevuto al momento della sua chiamata (12,1). “Prendi tuo figlio”. Di quale figlio si tratta? Abramo ne ha tre: Eliezer e Ismaele, i due figli dell'iniziativa umana, e Isacco, il figlio della promessa. Dio specifica: “il tuo diletto”, il solo che sia veramente figlio di Abramo e di Sara. Dio aggiunge: “che tu ami”. È questa la vera prova: come conciliare l'amore per il proprio figlio e l'obbedienza a Dio? Per evitare e prevenire ogni ambiguità, Dio precisa il nome: “Isacco”. Questa volta non è più possibile alcun dubbio. Il verbo “va' [”] ְולְֶך־ל ְָ֔ך, qui, è identico a quello della prima chiamata (12,1). Adesso Abramo sa dove va. Deve andare “nel territorio di Moria”, che la tradizione ha identificato con la collina del tempio di Gerusalemme (2Cr 3,1), anche se il testo parla di un “territorio”. Dio aggiunge ciò che egli vi dovrà fare: “e offrirlo ivi in olocausto”. Un olocausto implica il tagliare un animale e il bruciarlo tutto sull'altare. La prima volta che Abramo fu invitato a partire, dovette sacrificare il suo passato per cominciare una nuova vita; adesso deve partire per sacrificare il proprio avvenire. Deve offrire il figlio che costituisce l'adempimento della promessa, che questo stesso Dio gli aveva fatto. La richiesta è incomprensibile da ogni punto di vista. Abramo ha dovuto aspettare tanto tempo, per vedere realizzata la promessa di un figlio, ed ecco che ora gli si impone di uccidere questo figlio. Ha perduto il primo figlio del proprio sangue (21,8-21), ora è sul punto di perdere il secondo. Dovrà offrirlo “su di un monte che io ti dirò”, il che ricorda ugualmente la chiamata, quando Abramo doveva partire “verso la terra che io ti mostrerò” (12,1). Gen 22,3-10: l’esecuzione Questa sezione del racconto è la più lunga e comprende tre parti: il viaggio (vv. 3-5), che è una risposta alla richiesta di Dio: “prendi ... va'“; la preparazione del sacrificio (vv. 910), che è la risposta alla richiesta di “offrire in olocausto”; e al centro, tra il viaggio e la preparazione del sacrificio, si trova la domanda di Isacco (vv. 6-8). La prima parte dell'esecuzione: il viaggio (vv. 3-5). “Abramo si alzò di mattino per tempo”, questo potrebbe far pensare che Dio gli abbia parlato in sogno, ma indica soprattutto la prontezza della sua obbedienza. Abramo agisce esattamente, come al momento in cui Dio gli aveva chiesto di cacciare l'altro suo figlio (21,14; cf. 19,27; 20,8). Ci sono del resto varie somiglianze tra il racconto della cacciata d'Ismaele (21,8-21) e il racconto dell'offerta di Isacco. Agar, la madre, andava con suo figlio verso la morte (21,14); adesso Abramo, il padre, cammina con suo figlio verso la morte. È da notare l'assenza di Sara in tutto il racconto. 82 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Il testo riprende gli stessi verbi dell'ordine divino: “prese... si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva detto”. Ciò ricorda, ancora una volta, il racconto della chiamata, che sottolinea anche la corrispondenza tra l'ordine (12,1) e l'esecuzione (12,4-5). Allora Abramo, come figlio, sacrificava suo padre per Dio; adesso, come padre, sacrifica suo figlio per Dio. Allora, la sua obbedienza lo ha condotto alla nascita di un figlio; adesso, la sua obbedienza lo conduce verso la morte di suo figlio. Ma Abramo è maturato tra questi due grandi momenti della sua vita. È stato molto umano, talvolta troppo umano, a momenti irresponsabile, perfino riprovevole (12,10-20; 20); adesso è eroico. Si è completamente donato a Dio. Il testo riassume in un solo versetto tutti i preparativi del viaggio e un cammino di tre giorni, poiché il versetto seguente si situa “al terzo giorno”. Abramo ha viaggiato tre giorni per giungere fino al monte, come Israele farà prima di recarsi al Sinai (Es 3,18; 19,11.16). Improvvisamente il ritmo del testo rallenta, per descrivere quello che avviene il terzo giorno. “Abramo, alzando gli occhi, vide da lontano il luogo”, come lui e Lot avevano fatto, in precedenza, per contemplare il paese (13,10.14; 19,28). Lascia dietro di sé i due servi, così come Mosè salirà solo sul Sinai, lasciando il popolo dietro di sé (Es 19,20.24). Le parole che Abramo rivolge ai servi sono ambigue: “io e il ragazzo andremo fin là, faremo adorazione e poi ritorneremo da voi”. “Fare adorazione” è meno preciso di “offrire in olocausto”, il verbo può significare semplicemente “prosternarsi”. Soprattutto è sorprendente il “ritorneremo”. La seconda parte dell'esecuzione: la domanda di Isacco (vv. 6-8). Poco importano i sentimenti di Abramo, egli continua il suo cammino, e ciò sembra indicare che ha l'intenzione di andare sino in fondo. Il ritmo del testo rallenta un'altra volta. Abramo scarica la legna dall'asino e la carica su suo figlio. Isacco porta il legno sul quale sarà legato (v. 9). Abramo prende “il fuoco” e il coltello con il quale sarà pronto a colpire (v. 10), “e s'incamminarono tutt'e due insieme”. La frase lascia intuire un pesante silenzio durante la salita. Un padre e suo figlio camminano insieme, ma vanno verso la loro separazione. Isacco rompe il silenzio e comincia un dialogo. Il testo insiste sul fatto che si tratta di un dialogo tra un padre (2 volte) e un figlio (2 volte); inoltre, le espressioni “padre mio” e “figlio mio” sottolineano l'affetto tra i due. Isacco è, infatti, il figlio “diletto” (v. 2). Isacco domanda: “Dov'è l'agnello per l'olocausto?”. Si rende, dunque, conto che salgono sul monte per farvi un sacrificio; è così che ha inteso quello che Abramo aveva detto ai servi (v. 5). La risposta di Abramo, “Dio si provvederà da sé l'agnello dell'olocausto”, è oscura quanto la sua parola ai servi (v. 5). La risposta deve essere sembrata ad Isacco molto evasiva, ma egli non insiste. Questa parte si conclude così come era cominciata: “e proseguirono tutt'e due insieme”. 83 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La terza parte dell'esecuzione: la preparazione del sacrificio (vv. 9-10). “Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva detto”. Dio aveva detto “prendi” e “va'“ (v. 2). Abramo ha ubbidito, ha “preso” Isacco e si è messo “in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva detto” (v. 3). Adesso è arrivato e non gli resta più che adempiere il terzo ordine: “offrilo ivi in olocausto” (v. 2). Il ritmo del testo rallenta ancora una volta. Una serie di verbi descrive tutte le minuziose azioni di Abramo preparatorie al sacrificio. Il testo dice due volte che si tratta di “suo figlio”, sottolineando di nuovo la dimensione drammatica della storia. Non viene scambiata una sola parola. Stiamo per assistere a un'azione incomprensibile. Gen 22,11-14: la sospensione All'ultimo minuto Dio interviene. Il dialogo ha la stessa struttura dell'ordine divino (vv. 1 b-2) e della domanda di Isacco (vv. 6-8). “Dio” aveva dato l'ordine ad Abramo di andare a sacrificare suo figlio; adesso un “angelo del Signore” lo chiama dal cielo. Al “Dio” trascendente che tentò Abramo, subentra il “Signore”, il Dio vicino, fedele alle sue promesse. Ancora una volta si nota il parallelismo con il racconto della cacciata d'Ismaele. In entrambi i casi un angelo del Signore interviene all'ultimo minuto, per salvare la vita del ragazzo (21,17). Al v. 1 e al v. 11 la risposta di Abramo è la stessa, “Eccomi!”, ma qui il comando è opposto al precedente: “Non stendere la mano...non fargli alcun male”. La ragione: “Ora so che rispetti Dio e non mi hai risparmiato il tuo figliolo, l'unico tuo”. Yhwh sa qualcosa su Abramo, come aveva acquisito una conoscenza su Sodoma (18,21). Abramo ha veramente il “rispetto” di Dio, è completamente sottomesso a lui (Gb 1,1.8), ha la qualità che credeva assente a Gerar (20,11). Lo ha dimostrato non risparmiando suo figlio, l'unico suo. Il testo riprende le specificazioni del comando iniziale (v. 2). Abramo non ha immolato suo figlio, ma lo ha veramente offerto a Dio. Egli lo “tentò”, e Abramo “rispetta”. Questi due verbi, che dominano il testo, si troveranno sulle labbra di Mosè, quando spiegherà al popolo perché Dio ha dato loro i dieci comandamenti36. Sono questi i due soli testi dell'AT in cui i due verbi sono usati insieme. Il comando divino è una prova che invita a una maggiore ubbidienza. Abramo sembra avere ubbidito alla legge, prima che questa venisse promulgata. “Abramo alzò gli occhi e guardò”, come aveva fatto all'inizio (v. 4). Allora aveva visto il monte del sacrificio, adesso vede un ariete e lo prende per offrirlo “in olocausto al posto del suo figliolo”. Anche questo dettaglio riprende l'esperienza di Agar, alla quale Dio 36 Es 20,20, dove sono tradotti con “provare” e “temere”: “Mosè disse al popolo: “Non abbiate timore [ ֒יראוּ ָ ִ]אַל־תּ: Dio è venuto per mettervi alla prova [ ]נ ַ֣סּוֹת ֶאתְ ֶ֔כם e perché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate”. 84 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org aprì gli occhi, facendole vedere un pozzo e consentendole così di salvare Ismaele da una morte certa (21,19). Abramo chiama il luogo: “Il Signore provvede [ְהו֣ה׀ י ְִר ֶ ֑אה ָ ”]י. Dio ha fatto quello che Abramo aveva detto, nella sua fede o nel suo dubbio, ad Isacco (v. 8). E il testo aggiunge: “Onde oggi si dice: “Sul monte il Signore provvede”37. Il testo gioca sui verbi “vedere” e “provvedere” e fa riferimento al nome di “Moria” (v. 2). Si tratta dello stesso Dio che ha salvato Agar, la quale lo aveva chiamato “El Ro’î”, dallo stesso verbo “vedere” (16,13-14). Gen 22,15-18: la promessa Come il racconto della cacciata d'Ismaele contiene una promessa ad Agar riguardante suo figlio (21,18), così il messaggero di Yhwh ripete le promesse ad Abramo. L'angelo chiama una seconda volta dal cielo e dice: “Giuro per me stesso”. Fa qualcosa di più che promettere: s'impegna per la prima volta con un giuramento. I testi biblici ricorderanno spesso la fedeltà di Dio a questo giuramento38. E aggiunge: “oracolo del Signore”, come dicono soprattutto i profeti. Specifica la ragione del rinnovamento delle promesse: “Perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato il tuo figliolo, l'unico tuo”, ripetendo così ciò che aveva detto prima (v. 12; cf. v. 2). Le promesse non sono completamente gratuite, sono connesse all'azione di Abramo. Yhwh, infatti, ricorda parecchie volte nel ciclo le sue promesse, dopo un'azione virtuosa di Abramo. Ritroviamo qui tutte le promesse, che Dio ha fatto ad Abramo al momento della sua chiamata e che ha ripetuto di tanto in tanto: la promessa della benedizione personale di Abramo: “io ti benedirò con ogni benedizione”, (cf. 12,2; 14,9), la promessa della discendenza39, la promessa della terra40 e la promessa che Abramo-Israele sarà una benedizione per le nazioni. Ma la realizzazione di questa promessa è rimandata alla sua discendenza e la formulazione è leggermente diversa: “Si diranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra” (cf. 12,3; 18,18). Dio riafferma in conclusione che queste promesse sono connesse all'azione di Abramo: “in compenso del fatto che tu hai ubbidito alla mia voce”. Il Signore aveva chiesto ad Abramo: “Cammina nella mia presenza…stabilirò la mia alleanza” (17,1-2). Abramo lo ha veramente fatto, perciò, Dio giura di osservare le clausole della sua alleanza (c. 17). 37 Secondo altre versioni: “Sul monte il Signore è visto”. Gen 24,7; 26,3; 50,24; Es 13,5.11; Dt 1,8.35. 39 Il primo testo che paragona la discendenza alla sabbia sul lido del mare: “moltiplicherò assai la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia ch' è sul lido del mare”; cf. 12,2; 15,5; 17,2. 40 “la tua discendenza s'impadronirà della porta [ossia delle città] dei suoi nemici”; cf. 12,1.7; 13,15-‐17; 15,7-‐8; 17,8. 38 85 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Gen 22,19: conclusione Il racconto termina, come parecchi altri del ciclo,41 con la menzione del luogo dove Abramo va e si stabilisce. Ritorna a Bersabea da cui era partito (21,32-34). Il testo nomina soltanto Abramo e i servi, omettendo Isacco, il che sorprende dopo la duplice menzione “s'incamminarono tutt'e due insieme” (vv. 6.8). Abramo ha veramente offerto suo figlio. Il racconto è imperniato sul tema della discendenza. È un apice del ciclo. Dio chiede ad Abramo di sacrificare Isacco. Questa richiesta viene subito dopo il racconto nel quale Abramo perde suo figlio Ismaele. Abramo ha accettato, al momento della sua chiamata, di seguire Dio sacrificando il proprio passato. È esortato, verso la fine del ciclo, a sacrificare il proprio avvenire, l'oggetto stesso della promessa. Come era stato pronto a offrire il paese a suo “fratello” Lot (c. 13), così si è mostrato pronto ad offrire la sua discendenza a Dio. Il cammino di Abramo è paragonabile al cammino di Agar (21,8-21). Abramo ha superato la prova della sua vita; è l'esempio dell'obbedienza alla legge di Dio, disposto ad offrire ciò che gli è più caro, nel luogo stesso in cui Israele, in seguito, offrirà i suoi sacrifici, a Gerusalemme. Ma il testo accenna anche a tutte le altre promesse, quella della benedizione personale e della benedizione universale, e quella del paese. Esse sono diventate più che semplici promesse, Dio si è impegnato con giuramento ad esservi fedele a motivo dell'azione di Abramo. Il nesso tra l'obbedienza umana e le promesse divine non è mai stato così chiaro. Abramo, tuttavia, non “merita” le promesse, poiché queste esistevano già prima della sua azione. Dio le conferma e le convalida, così Abramo esce arricchito dalla prova. b. Gen 22,20-24: la nascita di Rebecca I pochi versetti che seguono sembrano, a prima vista, interrompere il ciclo di Abramo. Presentano la discendenza di Nacor e di Milca. Il testo è collegato a quel che precede con la formula vaga, già trovata altrove: “Dopo queste cose” (15,1; 22,1). “Ad Abramo fu portato un rapporto”: la notizia deve essere importante per lui, ma è buona o cattiva? “Ecco, Milca ha partorito anch'essa dei figli a Nacor tuo fratello”. Il testo aveva parlato di questa coppia in parallelo con la coppia Abramo e Sara (11,29). Come Sara ha partorito un figlio ad Abramo (21,1-7), così viene sottolineato che Milca ha partorito “anch’essa” dei figli a Nacor. Il testo è sempre legato al tema della discendenza. La prima parte presenta gli otto figli che Nacor ebbe da sua moglie Milca (vv. 2123). La seconda parte presenta i quattro figli che ebbe dalla sua concubina Reuma (v. 24). Anche in questo c'è una somiglianza con Abramo, che aveva avuto pure lui un figlio da Agar, la quale non era, però, la sua concubina. Questi dodici figli di Nacor rappresentano le 41 Cf. Gen 12,9; 13,18; 18,33; 21,34. 86 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org tribù aramaiche, di cui viene così mostrato il legame con Abramo-Israele. La notizia ha messo Abramo davanti alla realtà della sua vita. Dio gli ha confermato che la sua posterità sarebbe stata molto numerosa (v. 17), ma egli non ha che un solo figlio. Ha cacciato Ismaele e ha quasi perduto Isacco. Il padre di una moltitudine è piuttosto suo fratello Nacor. L'elenco comprende soltanto figli maschi, con un'eccezione. Il testo dice che “Betuèl” - uno dei figli - “generò Rebecca”, la quale sarà la futura moglie di Isacco, come vedremo in uno dei racconti seguenti (c. 24). Il testo è, dunque, veramente importante per il ciclo di Abramo. Affinché la discendenza di Abramo possa moltiplicarsi (vv. 16-18), Isacco si deve ammogliare. Rebecca è della famiglia, è, dunque, una sposa conveniente. Il parallelo tra Ismaele e Isacco continua. Come la moglie d'Ismaele fa parte della parentela di sua madre, così la moglie di Isacco farà parte della parentela di suo padre. 11. Gen 23,1-20: A1 Il paese L'inizio del ciclo di Abramo ha sviluppato il tema del paese, contro l'attesa del lettore, impaziente di sapere se la promessa della discendenza si sarebbe realizzata. Dopo il racconto dell'abbandono del paese (12,10-13,1) e dell'offerta del paese (13,2-18), il ciclo si è soffermato sul tema della benedizione e, poi, su quello della discendenza. Lo ha fatto a tre riprese. Il tema del paese è stato talvolta accennato, senza assumere un ruolo predominante. L'ultimo racconto del cammino di Abramo si riallaccia al tema iniziale, la promessa del paese, dando così una specie d'inclusione all'insieme. Il ciclo volge alla fine: Sara muore e Abramo cerca un terreno per seppellirla. La morte e la sepoltura di Sara sono narrate brevemente. Tra questi due avvenimenti, il testo si attarda a descrivere le trattative giuridiche, secondo le usanze dell'epoca, per l'acquisto di un terreno: • Gen 23,1-2: la morte di Sara • Gen 23,3-6: la richiesta di un terreno • Gen 23,7-11: la scelta del terreno • Gen 23,12-18: l'acquisto del terreno • Gen 23,19-20: il seppellimento di Sara Gen 23,1-2: la morte di Sara Il ciclo ha menzionato Sara per l'ultima volta, quando aveva chiesto la cacciata di Agar e d'Ismaele (21,12). Essa non viene mai nominata nel racconto dell'offerta di Isacco. Tuttavia la sua morte viene dopo questa storia e la tradizione ha collegato talvolta i due avvenimenti. Vedendo arrivare Abramo solo con i suoi servi (22,19), Sara ne avrebbe 87 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org dedotto che suo figlio era morto. Oppure, Abramo o Isacco le avrebbe raccontato la storia. Sara avrebbe avuto una crisi cardiaca in seguito a tutte queste emozioni e sarebbe morta. Muore all'età di centoventisette anni, dunque, trentasette anni dopo aver partorito Isacco (17,17). Se la morte di Sara è legata all'offerta di Isacco, questi aveva allora trentasette anni. Essa muore tre anni prima del matrimonio di Isacco a quarant'anni (25,20). Abramo era ritornato a Bersabea dopo l'offerta (22,19). Sara muore a “Kiriat-Arba, che è Ebron”. Vivevano separati? Oppure Abramo era ritornato a Ebron, vicino a Mamre, dove aveva risieduto prima (13,18; 14,13.24; 18,1) e ricevuto diverse promesse? Il testo sottolinea che si è “nella terra di Canaan”. I cananei sono sempre i proprietari del paese (12,6). “Abramo entrò”, probabilmente nella tenda dove era il cadavere “per far lutto per Sara e per piangerla”. Gen 23,3-6: la richiesta di un terreno L'acquisto del terreno si svolge in tre fasi: la richiesta, la scelta e la compera. Ogni atto comporta un dialogo, che presenta la medesima struttura. Abramo comincia con una proposta che viene accettata. Dopo i riti funebri, Abramo “si alzò dalla presenza del suo morto” e si rivolse “agli hittiti”, discendenti di Canaan (Gen 10,15; 15,20) e proprietari della regione. “Io sono forestiero e residente tra voi”. Abramo risiede nella terra di Canaan in qualità di straniero, come lo è stato in Egitto (12,10) e a Gerar (20,1). Non è un proprietario terriero e non ha, dunque, un terreno. Abramo lo ricorda loro per introdurre la sua richiesta: “Datemi la proprietà di un sepolcro, sotto la vostra autorità”. Il testo riprende diversi termini della promessa che Dio aveva fatto ad Abramo: “E darò a te e alla tua discendenza dopo di te la terra dove soggiorni come straniero, tutta la terra di Canaan, quale possesso perenne” (17,8). In quel tempo la gente era molto attaccata al terreno famigliare e non era propensa a cederlo facilmente ad altri. Abramo ne è consapevole, chiede soltanto una piccola parte della terra di Canaan e ne precisa bene i motivi: “sicché io possa portar via il mio morto e seppellirlo”. È una specie di ritornello che ricorre nel testo (vv. 4.6 [2 casi).8.11.13.15.19) e rende difficile il rifiuto. Ma una tale proprietà sepolcrale ha un carattere perenne, poiché servirà da tomba anche per la futura discendenza. La risposta degli hittiti mostra la loro larghezza di vedute. Essi affermano la loro onestà: “Ascolta noi”. Quest'appello ad ascoltare, caratteristico nelle trattative giuridiche, ricorre spesso nel racconto. Gli hittiti trattano Abramo con molto rispetto. Egli aveva detto: “Io sono forestiero... tra voi”. Ma essi dicono: “O signore! Tu sei un principe eccelso in mezzo a noi!”. Lo considerano come uno di loro e come un “principe”, capo di una tribù 88 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org (17,20). Si potrebbe tradurre anche “un principe potente”. Riconoscono forse che Dio ha benedetto Abramo (21,22). Abramo aveva chiesto di poter seppellire la sua morta, e gli hittiti accettano; aveva chiesto anche una proprietà sepolcrale in mezzo a loro, ma gli rispondono che può seppellire la sua morta in uno dei loro sepolcri: esitano a cedere un terreno a questo forestiero. Il racconto parla brevemente della morte di Sara e delle sue esequie (vv. 1-2.19), ma riferisce in lungo e in largo l'acquisto del terreno (vv. 3-18.20), sottolineando come il trasferimento del terreno dagli hittiti ad Abramo sia avvenuto nel rispetto delle usanze legali. Abramo è diventato veramente proprietario di un pezzo del “paese di Canaan” (vv. 2.19). Abramo ha ottenuto quello che voleva fin dall'inizio (v. 4): è diventato proprietario di un terreno per seppellire la sua morta, e anche i morti futuri. Vi saranno sepolti Abramo stesso (25,9), suo figlio Isacco (Gen 35,29) e sua moglie Rebecca (Gen 49,31), suo nipote Giacobbe (Gen 50,13) e la moglie di lui Lia (Gen 49,31). Il racconto, chiaramente imperniato sul tema del paese, presenta la realizzazione della promessa che Abramo e la sua discendenza avranno la terra di Canaan in proprietà. La proprietà sepolcrale non è che un piccolo inizio, è un'anticipazione di quello che si realizzerà pienamente più tardi. Per il momento, Abramo possiede due pezzetti di terreno in Canaan, ha un diritto giuridico su un pozzo a Bersabea (21,22-34) ed è proprietario di una tomba. Da vivi, Abramo e Sara erano forestieri in Canaan; da morti, riposano nella propria terra e non in una tomba hittita. In tutto il racconto un personaggio è il grande assente: Dio. Egli non vi è mai menzionato, salvo nel titolo che la gente dà ad Abramo: “principe di Dio” - secondo alcune versioni -, che può anche essere tradotto con “principe eccelso”, o “potente”, v. 6. Tutto si svolge senza Dio. Nelle sue promesse circa il paese, Dio aveva sempre detto che lo avrebbe “dato” (12,7; 13,15; 15,7; 17,8). Nel racconto Abramo parla di “pagare”, vuole essere sicuro. È ricorso a due accorgimenti umani, per ottenere la realizzazione della promessa della discendenza, prima per Eliezer (15,1-21), poi per Ismaele (16,1-16). Isacco, il vero figlio della promessa, è un puro dono. Anche per la promessa della terra, Abramo è ricorso a due iniziative umane. Ha concluso un'alleanza con Abimèlech, per avere diritto al pozzo di Bersabea (21,22-34) e ha fatto una transazione giuridica con gli hittiti, per ottenere una proprietà sepolcrale. Abramo stesso non riceverà mai il dono di tutto il paese, Dio lo darà alla sua discendenza. Anche se Abramo è qui intimamente legato alle nazioni, non c'è nessun accenno al suo ruolo di benedizione per esse. 89 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La continuazione al di là della morte Conclusione: Gen 24,1-25,11 Premessa Il ciclo di Abramo è cominciato con la chiamata di Abramo, al quale Dio ha fatto tre grandi promesse: la benedizione, la discendenza e il paese. Abramo ha compiuto un lungo cammino. Ha sperimentato la realizzazione, almeno iniziale, di queste promesse. Contro ogni speranza umana, ha una discendenza, è diventato padre di un figlio, Isacco, ma non è ancora il padre di una grande nazione, quale quella promessa da Dio. Dio aveva promesso che lui e la sua discendenza avrebbero avuto tutto il paese di Canaan in proprietà. Abramo non vi possiede che un pozzo e una tomba. Dio ha benedetto Abramo in parecchi dei suoi atti, e Abramo è potuto essere, all'occorrenza, una benedizione per altri. Sara è morta e anche Abramo va verso la morte, ma deve ancora assicurarsi che l'opera di restaurazione della salvezza dell'umanità, iniziata in lui, possa continuare e giungere al suo compimento totale. 12. Gen 24,1-67: il matrimonio di Isacco e Rebecca Abramo si è occupato dei morti, ha seppellito Sara, sua moglie; ora pensa ai vivi e all'avvenire. Prima di morire, vuole trovare una moglie per Isacco, senza di che non ci sarà mai quella numerosa discendenza alla quale è promesso il paese e che dovrà diventare fonte di benedizione per le nazioni. È in gioco l'adempimento delle promesse fatte ad Abramo. Il racconto, che narra questa ricerca della moglie di Isacco, è il più lungo di tutti quelli del ciclo di Abramo. La lunghezza eccezionale e i numerosi riferimenti agli altri racconti del ciclo sottolineano l'importanza di trovare la moglie ideale per il figlio della promessa. Seguendo il cambiamento dei personaggi e dei luoghi, si può dividere il racconto in quattro grandi parti: a a1 Gen 24,1-9: Abramo e il servo in Canaan b Gen 24,10-27: l’incontro con Rebecca al pozzo 1 b Gen 24,28-61: l’ottenimento di Rebecca nella casa Gen 24,62-67: Isacco, Rebecca e il servo in Canaan L'introduzione del racconto (v. l) sottolinea che il ciclo volge alla fine: “Abramo era vecchio, avanzato negli anni”. La formula introduce spesso le ultime azioni o parole di un personaggio importante (Gs 13,l; 23,1; l Re 1,1). Il ciclo lo aveva già detto a proposito di Abramo e di Sara parecchi anni prima, quando venne loro promesso che avrebbero avuto il figlio Isacco (18,11). Adesso la formula introduce le ultime parole attribuite ad Abramo, 90 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org anche se egli vivrà ancora diversi anni e compirà ancora altre azioni. Le sue parole contengono il suo testamento, esprimono le sue ultime preoccupazioni e i suoi ultimi desideri. Contemplando la lunga vita di Abramo, l'autore osa affermare: “Il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa”. La vita di Abramo sotto la guida di Yhwh è cominciata con una promessa di benedizione: “cosicché...ti benedica” (12,2). Il ciclo è tornato diverse volte su questa promessa e ha mostrato come si sia realizzata gradualmente (22,17). Davvero, nell'insieme, malgrado le imperfezioni manifestate lungo il cammino, Abramo è stato benedetto “in ogni cosa”. Questa affermazione sembra dire in anticipo che la storia, che il lettore sta ora per leggere, avrà anch'essa buon esito. Abramo formula una richiesta (vv. 2-4) “al suo servo, il più anziano della sua casa, che amministrava tutti i suoi beni”. Il nome di questa persona non viene indicato, importano soltanto le sue qualifiche. In tutto il racconto, egli è chiamato il “servo di Abramo”, titolo che rimanda, dunque, costantemente ad Abramo. Deve essere stato un uomo fedele, se ha servito Abramo per tanto tempo. Inoltre, la sua età avanzata lascia intendere la sua esperienza e la sua saggezza. Deve aver dato prova di tali qualità, se Abramo lo ha nominato amministratore di “tutti” i suoi beni (Gen 39,4.6; 41,41; 42,6), beni abbondanti (v. 35), poiché Dio ha benedetto Abramo in ogni cosa. Si sarebbe portati a credere che si tratti di Eliezer di Damasco, che Abramo, con una prima scelta umana, aveva adottato come figlio e di cui aveva detto che sarebbe stato l'“erede della mia casa” (15,2). Queste ultime parole di Abramo costituiscono l'ultima missione di questo confidente, una missione da cui dipende la continuazione o il fallimento delle promesse. Abramo gli chiede, dunque, di prestare giuramento: “Metti la tua mano sotto il femore mio”; in parola: “ti farò giurare”. Questa richiesta di giuramento sottolinea l'importanza della missione, il successo è vitale per il servo. Il contatto con le parti genitali dell'uomo, che sono la sede della vita e della procreazione (Gen 47,29), dà una forza particolare al giuramento, in questa missione di trovare una moglie per Isacco. Si tratta della .discendenza e della vita. Ci può essere anche un'allusione alla circoncisione. Toccando l'organo circonciso, “il segno dell'alleanza” (17,11), si fa appello a Yhwh, il partner di questa alleanza. Il servo deve giurare “per il Signore, Dio del cielo e della terra”, Dio è preso a testimone del giuramento. La formulazione è unica, ma il contenuto è simile a 14,22: mette insieme il nome del Dio dell'alleanza, “il Signore”, Yhwh che sottolinea la vicinanza e la fedeltà di Dio, con una formula che ricorda il Dio creatore (Gen 1,1; 2,1.4a) e sottolinea la sua grandezza e la sua potenza. Il giuramento verte sull'azione di “prendere una moglie”, che è la formula ufficiale del matrimonio vista dalla parte dell'uomo. Qui, “prendere una moglie per il figlio mio” indica il ruolo del padre nella scelta della sposa. 91 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Abramo usa questa formula due volte. In primo luogo al negativo: il servo non può prendere una “moglie tra le figlie dei cananei, in mezzo ai quali io abito”. Abramo risiede sempre in qualità di forestiero, come il racconto precedente ha sottolineato, fra i “cananei”, i padroni del paese (12,6; 13,7; 23, 1.19). Poi, in maniera positiva: “Andrai al mio paese e alla mia parentela a prendere una moglie per il figlio mio Isacco”. Il servo deve percorrere il cammino inverso a quello che Abramo aveva fatto, per ordine di Dio, al tempo della sua chiamata: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti mostrerò ... Abram partì... prese Sarai, sua moglie” (12,1.4-5). La somiglianza tra i due testi è notevole. C'è però una piccola differenza: Abramo non chiede al servo di trovare una moglie “nella casa di suo padre”. Tuttavia, accadrà proprio questo. Isacco è il figlio del sangue di Abramo e di Sara, sua moglie sarà dello stesso sangue tribale. Agar l'egiziana aveva scelto anch'essa una moglie dello stesso suo sangue per il figlio Ismaele (21,21). Abramo rifiuta il matrimonio con i cananei, e Isacco farà la stessa cosa per suo figlio Giacobbe (Gen 28,1-2). La legge riprenderà questo principio e ne dirà la ragione (Es 34,16; Dt 7,3-4). Si può essere sorpresi da quest'atteggiamento di Abramo, il quale aveva tuttavia ricevuto la promessa di essere una benedizione per tutte le nazioni. Abramo vuole che la discendenza, che gli è promesso, sia armoniosamente configurata. Il servo risponde con un'obiezione (v. 5): “Può darsi che”. Questa prima parola del servo colpisce il lettore, il servo non è sicuro di poter riuscire. Non dubita di trovare una moglie, il suo dubbio verte piuttosto sul consenso di questa donna a partire: “Può darsi che quella donna non si senta di seguirmi in questo paese”. Essa non vorrà forse adattarsi a ciò che Abramo aveva accettato al momento della sua chiamata. Il servo fa allora una controproposta: “Dovrò forse ricondurre tuo figlio alla terra donde sei tu uscito?” (15,7). Egli intravede la possibilità di un ritorno al punto di partenza del percorso di Abramo. Tutto il cammino di Abramo sarebbe stato inutile. Il servo propone così ad Abramo di salvaguardare almeno la promessa della discendenza, a costo di sacrificare quella del paese. Abramo replica con una conferma (vv. 6-8). Apparentemente deve scegliere tra la promessa della discendenza e quella del paese, ma lui non la pensa così. Comincia con una proibizione assoluta: “Guardati dal ricondurre colà il mio figlio”. Ricorda la propria esperienza della partenza dalla sua terra in termini molto simili all'ordine che Yhwh gli aveva dato (12,1) e ripete parola per parola la promessa che Yhwh gli aveva allora fatto: “Il Signore...mi ha parlato ...alla tua discendenza darò questo paese” (12,7; cf. 13,15; 15,18; 17,8). Ma Dio ha fatto più che parlare, “mi ha giurato”, Dio ha confermato la sua promessa con un giuramento (15,18; 22,16-18). Dio è logico con sé stesso, il passato è una garanzia per l'avvenire. Così Abramo dice al servo: “Egli stesso manderà il suo angelo davanti a te, 92 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org cosicché tu possa prendere di là una moglie per il mio figlio”. Yhwh ha inviato più volte un messaggero ad Abramo e alla sua famiglia in alcune situazioni delicate (16,7-13; 18-19; 21,17-18; 22,11-14.15-18) e Abramo crede fermamente che Dio lo farà di nuovo in questa importante missione. Abramo non può esigere che il servo condivida questa stessa fede, ma vuole così tranquillizzarlo. Poi, riprende l'obiezione del servo: “Se la donna non si sentirà di seguirti, allora” - gli promette - “sarai libero dal giuramento fatto a mio favore”. Conclude ripetendo quel che aveva detto all'inizio: “Soltanto non devi ricondurre colà il mio figlio”, e dà così un'inclusione alla sua conferma (v. 6 = v. 8). Abramo si ricorda che un giorno ha lasciato la terra promessa (12,10-13,1), compromettendo così la promessa del paese. A nessun costo Isacco deve fare la stessa cosa, ritornando verso il paese da cui Abramo è uscito. La storia cominciata al momento della sua chiamata non è un ritorno, ma un cammino in avanti. Il dubbio del servo, il suo “può darsi che”, contrasta con la sicurezza della fede di Abramo, ma corrisponde maggiormente al comportamento anteriore di Abramo (15,2-3.8; 17,17). Abramo rifiuta di scegliere, come il suo servo aveva proposto, tra le due promesse. Sa che il servo troverà una moglie per Isacco, il che assicurerà la promessa della discendenza, e crede anche fermamente che questa donna partirà dalla sua terra, assicurando la promessa del paese. Questa ricerca di una moglie per Isacco non è basata su un ordine di Dio, tuttavia non è un intervento puramente umano. Abramo ne ha preso l'iniziativa ma, citando la propria chiamata (v. 7), lascia intendere che la sua azione s'inscrive nella continuazione di questa chiamata. Dio non parla mai in questa storia, non interviene direttamente, la sua azione è nascosta. Abramo non ricorre a una strategia umana, come aveva fatto in precedenza, sa che Yhwh è coinvolto nella missione che egli affida al suo servo. Il resto del racconto mostrerà che la missione riesce grazie all'azione di Yhwh. Il credente attribuirà questa riuscita a Dio, l'incredulo parlerà del caso e della fortuna. Questa storia comporta dunque un'iniziativa umana e una risposta divina. Essa illustra, da una parte, la responsabilità umana basata sulla saggezza umana e impregnata della fede e, dall'altra, la fedeltà di Dio. Il servo finisce col dare la sua accettazione (v. 9) e fa esattamente quello che Abramo gli aveva chiesto all'inizio (cf. vv. 2-3): “Il servo mise la mano sotto la coscia di Abramo, suo padrone”: “e gli prestò giuramento riguardo a questo affare [“parola”] “. La prima parte del racconto (vv. 1-9) presenta il progetto e la missione, il resto ne descriverà l'esecuzione e il risultato. Questa parte del racconto, posta alla fine della vita di Abramo, contiene numerosi riferimenti alla sua chiamata, all'inizio del suo cammino, il che dà una bella unità al ciclo. 93 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org L'incontro con Rebecca al pozzo (vv. 10-27) vede come protagonista i due personaggi, che sono il servo e Rebecca, e la scena si svolge al pozzo, vicino alla città di Nacor. - La partenza del servo (vv. 10-11) - La preghiera del servo che specifica la prova (vv. 12-14) - Rebecca supera la prova (vv. 15-22) - L'identità di Rebecca (vv. 23-25) - La preghiera del servo (vv. 26-27) Il testo mostra come Rebecca supera la prova (vv. 15-22). Infatti Dio esaudisce la preghiera ancora prima che sia terminata (cf. Is 65,24). “Ora egli non aveva ancora finito di parlare, quand'ecco Rebecca...usciva”. Il servo ricorre alla prova che si era proposto. Dice alla giovinetta (v. 17) quello che aveva programmato di dirle (v. 14a), essa risponde e fa (vv. 18-20) quello che egli aveva preteso che facesse per superare la prova (v. 14b). Ci sono alcune differenze nei dettagli, ma queste non fanno che sottolineare come tutto vada al di là di ogni aspettativa. Il testo insiste sulla rapidità con la quale si svolge la scena. Rebecca è apparsa ancora prima della fine della preghiera (v. 15), il servo le “corse incontro” (v. 17), anche Rebecca “si affrettò” (vv. 18.20), e “corse” (v. 20). La sua ospitalità somiglia a quella di Abramo, anch'egli “si affrettò” e “corse” (18,6-7). Oltre alle qualità menzionate (vv. 1516), essa è servizievole. Il servo aveva detto che, se la giovinetta avesse superato la prova, egli avrebbe conosciuto di essere riuscito nella sua missione (v. 14c). Così, l'uomo “la contemplava in silenzio, in attesa di conoscere se il Signore avesse o no fatto riuscire il suo viaggio”. Apparentemente decide di sì, poiché offre doni a Rebecca per ricompensarla dei servizi resi e per disporla favorevolmente ad accettare di diventare la moglie di Isacco. Il servo non esita più, anche se non conosce ancora l'identità della giovinetta: il fatto che essa abbia superato la prova gli basta. Sa che Dio ha esaudito la sua preghiera. Oltre al servo e a Rebecca, compaiono successivamente altri personaggi: Làbano, il fratello di Rebecca, Betuèl, il padre, e la madre. La scena si svolge soprattutto nella casa. - Rebecca e il servo entrano in casa (vv. 28-33) - Il servo spiega la sua missione (vv. 34-49) - Il consenso della famiglia (vv. 50-54a) - Rebecca e il servo partono (vv. 54b-61) Alcune dichiarazioni, con i verbi “venire” e “benedire”, spiccano in questa parte del racconto e le danno forma. Làbano: “Vieni, o benedetto dal Signore!” (v. 31). Il servo: “Il Signore ha molto benedetto il mio padrone” (v. 35). Ancora il servo: “benedissi il Signore” (v. 48). Làbano: “È dal Signore che la cosa procede [“viene”]” (v. 50). 94 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La scena al pozzo è finita, Rebecca e il servo entrano in casa (vv. 28-33). Il servo, e con lui il lettore, sanno che Rebecca è la futura moglie di Isacco secondo il piano di Dio. Bisogna adesso ottenere il consenso della famiglia. La giovinetta si rende conto che il servo prova verso di lei un interesse particolare. Vuole annunciare essa stessa quello che è accaduto. “La giovinetta corse”: il racconto riprende il ritmo accelerato dell'azione proprio della scena al pozzo (vv. 17.20). Il servo aveva parlato della casa di suo padre (v. 23), ma essa corre “alla casa di sua madre” (cf. Ct 3,4; 8,2). Vuole parlarne prima alla madre, e questa è, forse, una via più sicura per preparare il padre. Improvvisamente Làbano, il fratello di Rebecca, balza in primo piano: “corse fuori da quell'uomo alla sorgente”. Egli dà prova della stessa sollecitudine e dello stesso senso dell'ospitalità, che sua sorella aveva mostrato verso il servo (vv. 18.20.28) e che Abramo aveva manifestato in precedenza verso i suoi visitatori (18,6-7). Ma la motivazione di Làbano è forse meno nobile. Egli lo fa “quando infatti ebbe visto il pendente e i braccialetti” che Rebecca aveva ricevuto (v. 22). Questo visitatore non è povero, possiede forse altri doni che si potrebbero ottenere da lui. Làbano non ha tempo da perdere, corre dal servo e, fortunatamente, lo trova ancora alla sorgente. Allora Làbano gli dice: “Vieni, o benedetto dal Signore! Perché te ne stai fermo, fuori?”. L'introduzione del racconto ha ricordato che il Signore aveva benedetto Abramo in ogni cosa (v. 1); Làbano è il primo a riconoscere la cosa in questo servo di Abramo: lo saluta come Melchisedek aveva salutato Abramo (14,19-20). Il servo accetta l'invito: “Allora l'uomo entrò in casa”. Làbano lo riceve come Abramo e Lot avevano ricevuto i loro visitatori, gli offre acqua per lavarsi i piedi e cibo (cf. 18,1-8; 19,1-3). Dà anche cibo e foraggio ai cammelli; Rebecca aveva detto, infatti, all'ospite che ce n'era in quantità (v. 25). Al contrario dei visitatori di Abramo, che avevano annunciato la loro missione dopo il pranzo (18,9-15), il servo rifiuta di mangiare prima di comunicare il suo messaggio. Ritiene che il suo incarico sia troppo importante, non può aspettare. Notiamo di nuovo la rapidità del racconto. Làbano accetta di ritardare il pranzo e il servo spiega la sua missione (vv. 34-49). Il discorso del servo non è una semplice ripetizione di tutto ciò che precede (vv. 1-27). Il racconto, infatti, ha mostrato, finora, come il servo si sia convinto di avere trovato la donna destinata da Dio a Isacco. Il discorso che segue serve a convincere di ciò la famiglia di Rebecca. La lunghezza di questo discorso e le differenze di particolari, tra il racconto degli avvenimenti e il discorso che li riferisce, hanno lo scopo di convincere la famiglia. Successivamente il racconto descrive il consenso della famiglia (vv. 50-54a). “Allora Làbano e Betuèl risposero”. Fino ad ora è stato Làbano, il fratello, a condurre le trattative. Più avanti la madre, presso la quale Rebecca era ritornata (v. 28), farà la sua parte (vv. 95 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 53.55). Qui, improvvisamente, compare il padre, nominato però per secondo. Era, forse, molto anziano e aveva delegato la propria autorità al figlio. È stata anche formulata l'ipotesi che Betuèl sia un'aggiunta nel testo e che Làbano e Rebecca siano i figli di Nacor, il fratello di Abramo (cfr. vv . 24.47-48; 29,5). La risposta dei familiari comprende tre parti, arrivando al punto critico: “Vuoi forse partire con quest'uomo?”. La domanda richiama l'obiezione che il servo aveva fatto ad Abramo: “Può darsi che quella donna non si senta di seguirmi” (v. 5). E Rebecca risponde: “Partirò”. Accettando di partire, essa accetta anche di diventare la moglie di Isacco e conferma così il consenso dato dalla famiglia. La sua accettazione somiglia alla risposta di Abramo alla sua chiamata: “Vattene...allora Abram partì” (12,1.4). Il cammino di Rebecca insieme a quello di Isacco, è simile al cammino di Abramo. Tutti e due sono partiti da Carran per recarsi nella terra di Canaan. Abramo è partito rispondendo ad una chiamata diretta di Dio, Rebecca parte rispondendo alla guida di Dio negli avvenimenti. La famiglia s'inchina davanti alla decisione di Rebecca e acconsente alla richiesta del servo: “Allora essi lasciarono partire Rebecca con la sua balia, insieme col servo di Abramo e i suoi uomini”. (tutta questa parte in verde è da confrontare con pagina 98) La nutrice è la donna che si era occupata di Rebecca fin dalla sua infanzia, si chiamava Debora (Gen 35,8). Ma prima della separazione, “benedissero Rebecca...o tu, sorella nostra, diventa migliaia di miriadi [rebhabhah]”. C'è un gioco di parole sul nome di Rebecca (ribhqah). Il ciclo ha menzionato spesso che Dio avrebbe moltiplicato (rabah) la discendenza di Abramo (17,2; 22,17). Ed essi aggiungono: “E la tua stirpe conquisti la porta dei tuoi nemici”, il che riprende quasi parola per parola la promessa fatta ad Abramo (22,17). Le promesse fatte ad Abramo cominceranno a realizzarsi attraverso Rebecca. Rebecca parte come ha fatto Abramo, ed è benedetta come lo è stato Abramo (12,2-3). Il viaggio di ritorno può incominciare: “Rebecca e le sue ancelle...seguirono quell'uomo”. Il servo non deve più temere che essa non parta con lui (v. 5). “Il servo prese con sé Rebecca e partì”, facendo così esattamente quel che Abramo gli aveva chiesto. Il racconto si conclude con Rebecca e il servo in Canaan (vv. 62-67). I personaggi della quarta e ultima parte del racconto sono il servo e Rebecca, ma adesso si aggiunge Isacco. La scena si svolge nella terra di Canaan, dove il racconto era cominciato (vv. 1-9). Ebron era, secondo il testo, l'ultimo luogo in cui dimorava Abramo (23.2). Adesso il racconto dice: “Isacco era venuto nel deserto di Lacai-Roi; abitava infatti nel territorio del Negheb”. Abramo aveva forse cambiato residenza, oppure Abramo e Isacco non vivevano più insieme. Lacai-Roi è il luogo in cui Agar aveva ritrovato il coraggio di vivere (16,14); Isacco vi farà la stessa esperienza e vi troverà di che dare un nuovo senso alla propria vita. 96 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org “Isacco uscì, sul far della sera, per divagarsi”. Il verbo, di significato incerto, tradotto qui con “divagarsi”, pone un problema. Sono state proposte una dozzina di possibilità, per esempio: “lamentarsi”, “passeggiare”, “accovacciarsi”, “meditare”, “pregare”, o “urinare”. Isacco cerca di distrarsi, oppure si lamenta con Dio a causa della morte di sua madre; sarà consolato soltanto alla fine del racconto, quando avrà trovato Rebecca, e potrà allora finire il suo periodo prolungato di lutto. Isacco: “alzando gli occhi, vide venire dei cammelli”; anche Rebecca “alzò gli occhi” e “vide Isacco”. II testo mette in parallelo l'azione di Isacco e quella di Rebecca, lasciando intendere che sono simultanee. L'espressione “alzare gli occhi e vedere” significa sempre, che si è sul punto di vedere qualcosa d'importante (22,4). I due si vedono per la prima volta, e sanno intuitivamente che sono fatti l'uno per l'altra. Rebecca, secondo la sua abitudine di agire rapidamente “subito scivolò giù [lett. “cadde”] dal cammello”, e s'informò dal servo sull'identità dell'uomo “che viene...incontro a noi”. La risposta del servo è alquanto sorprendente: “È il mio signore”. In tutto il racconto il suo signore era Abramo, tuttavia Isacco merita questo titolo, poiché è il solo erede di suo padre (v. 36). Va del resto notato che la fine del racconto non fa più alcun riferimento ad Abramo. Rebecca “prese il velo e si coprì”. Il giorno del matrimonio la sposa era presentata velata a suo marito (Gen 29,23-25). “Poi il servo raccontò ad Isacco tutte le cose che aveva fatto “. Il lettore ha già udito la storia due volte, inutile raccontarla una terza volta. Ma Isacco non sa nulla dei fatti avvenuti, deve sapere anch'egli che sono opera di Dio. Nemmeno lui dubita; approva, e la sua risposta è pronta: “Isacco introdusse Rebecca nella tenda ch'era stata di Sara sua madre”. Non la conduce ancora nella propria tenda, ma in quella di sua madre che è morta. Rebecca succede così ufficialmente a Sara. “Si prese Rebecca in moglie e l'amò”. In questo mondo talvolta duro dei patriarchi si notano anche sentimenti di amore. Il ciclo ha parlato una prima volta dell'amore tra padre e figlio (22,2), adesso evoca l'amore tra moglie e marito. Isacco ha amato anche sua madre, poiché soltanto allora “si consolò dopo la morte della madre sua” (23,1-2). Isacco (“Egli ride”, 17,17; 18,12-15; 21,6.9), che passeggia lamentandosi e cercando distrazione (v. 63), può di nuovo ridere, la morte cede davanti alla vita. La fine del racconto indica chiaramente che la nuova generazione, Isacco e Rebecca, è pronta a prendere il posto della generazione precedente, Abramo e Sara. Questo lunghissimo racconto può sembrare ripetitivo a una lettura superficiale, ma la ripetizione, per l'appunto, ne sottolinea l'importanza. Il ciclo di Abramo è arrivato a una svolta. Sara è morta e Abramo è diventato molto vecchio. Una grande domanda si pone: l'opera cominciata con Abramo proseguirà o cesserà? Affinché la promessa della discendenza possa realizzarsi, occorre che Isacco si sposi e che quest'unione sia vissuta nella 97 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org terra promessa. Il racconto si sofferma su tale domanda e sottolinea anche più volte come la promessa della benedizione si sia realizzata in Abramo (vv. 1.27.31.48). La ricerca della moglie ideale passa attraverso iniziative umane, ma è nello stesso tempo opera di Dio. Fin dall'inizio Abramo è convinto che Dio interverrà. Il servo, che dapprima ha esitato, riconosce che la sua missione è veramente riuscita. Tutti i membri della famiglia, uno dopo l'altro, cedono all'evidenza: Làbano, Betuèl, la madre e anche Rebecca. E infine Isacco, dopo aver udito il resoconto degli avvenimenti, non chiede un periodo di riflessione, ma si sposa con Rebecca senza esitazioni né obiezioni. L'opera cominciata con Abramo proseguirà. Il racconto mette in parallelo Abramo e Rebecca. Abramo era partito da Carran verso la terra di Canaan (12,4), il servo fa il cammino inverso, da Canaan si reca a Carran, e Rebecca parte da Carran alla volta di Canaan. Essa riceve le stesse benedizioni di Abramo (v. 60). (vedi p. 98) 13. Gen 25,1-6: padre di una moltitudine L'inizio del racconto precedente faceva supporre che Abramo fosse vicino alla morte (24, l). Il servo, alla fine di tale racconto, parla di Isacco come del suo signore (24,65) e ciò potrebbe far pensare che Abramo fosse morto prima del ritorno del servo. Il lettore si aspetta dunque di leggere il racconto della morte di Abramo, ma non è così poiché, secondo le cifre bibliche, egli è vissuto ancora trentacinque anni. Isacco ha sposato Rebecca a quarant'anni (25,20), Abramo di conseguenza aveva allora centoquarant'anni ed è morto all'età di centosettantacinque anni (25,7). Il racconto che segue narra quello che Abramo ha fatto durante quel tempo. • Il matrimonio con Chetura (v. 1) • La discendenza (vv. 2-4) • L'eredità (vv. 5-6) Il matrimonio con Chetura (v. 1). “Abramo prese un'altra moglie: essa aveva nome Chetura”. Il fatto avviene dopo la morte di Sara (c. 23), alla quale l'ultimo versetto del racconto precedente fa riferimento (24,67). Abramo, rimasto vedovo, si risposa. Il testo non indica l'origine di questa donna. Che si sia trattato di una cananea? La cosa sarebbe alquanto sorprendente, dopo le esigenze manifestate da Abramo al momento di scegliere la moglie di Isacco (24,3). Abramo avrà altri figli da questo matrimonio. Tutto ciò è un po' strano, poiché molti anni prima egli si credeva già troppo vecchio per generare (17,17). Ma la storia non è biografica, essa serve a legare le tribù, che costituiscono la discendenza di questa unione, alla persona di Abramo. Israele si sentiva vicino a questi popoli. 98 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org La discendenza (vv. 2-4). Come Agar partorì Ismaele ad Abramo (16,15), come Sara gli partorì Isacco (21,2), così Chetura “gli partorì”. Ma essa gli dà sei figli. Il testo menziona anche i nomi della seconda e della terza generazione, da cui hanno origine dieci nipoti. Questa discendenza rappresenta alcuni popoli dell' Arabia: per esempio, da Madian, i madianiti (Es 2,15); da Saba, i sabei (Gen 10,7; 1Re 10,1); da Dedan, i dedaniti (Gen 10,7; Is 21,13). “Tutti questi sono i figli di Chetura”. L’eredità (vv. 5-6). “Abramo diede tutti i suoi beni a Isacco”, come il servo aveva già detto (24,36). Isacco è veramente il figlio della promessa, riceve “tutto”, è l'erede secondo il piano di Dio (15,3-4; 17,17-21). “Quanto ai figli che Abramo aveva avuto dalle concubine, diede loro doni”. Agar era la “schiava” di Sara (16,1-2), che l'aveva data ad Abramo in “moglie” (16,3). A rigore di termini, non è, dunque, una “concubina”. Nemmeno Chetura è una concubina; Abramo, rimasto vedovo, l'ha sposata. Dato che il testo la chiama concubina, alcuni autori ne deducono che Abramo l'abbia dovuta sposare prima della morte di Sara. Ma il testo vuole piuttosto sottolineare fortemente che “la” moglie di Abramo è Sara e che “il” figlio è Isacco. Tutti gli altri suoi figli non sono della discendenza divina e non sono veri eredi. Essi ricevono tuttavia doni, partecipano ai beni di Abramo. “Mentre era ancora in vita, li licenziò, mandandoli lontano da Isacco suo figlio, verso oriente, nella terra d'oriente” cioè nelle regioni desertiche a est di Israele. Altri traducono “nel paese di Qedem” che è la regione nordorientale di Israele, verso il sud di Damasco, una parte del deserto di Siria. Questi pochi versetti riprendono il tema della discendenza. Isacco è il figlio della promessa, è un puro dono di Dio. Dopo questa nascita straordinaria, Abramo ha ritrovato la fecondità umana per via naturale, come per la nascita di Ismaele. Abramo, che aveva avuto tante difficoltà ad avere un figlio, si circonda di prole verso la fine della sua vita. Il testo non si limita al nome dei sei figli, menziona anche le generazioni successive. Dopo la morte di Abramo, il testo biblico parlerà della discendenza d'Ismaele, gli ismaeliti, le tribù dell'Arabia del Nord (25,12-18), e anche della discendenza di Isacco (25,19): da Esaù, gli edomiti (Gen 36,9-14), e da Giacobbe, gli israeliti (Gen 35,22b-26). Abramo è veramente il padre di una moltitudine di nazioni, come Dio aveva promesso (17,5). Esse partecipano tutte alle benedizioni di Abramo (17,6). Il testo parla così dell'elezione e dell'universalismo. 99 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org 14. Gen 25,7-11: la morte di Abramo Possiamo dividere così il testo: • La morte (vv. 7-8) • I funerali (vv. 9-10) • La successione di Isacco (v. 11) La morte di Abramo (vv. 7-8). Abramo muore all'età di “centosettantacinque” anni. È partito da Carran quando aveva settantacinque anni (12,4). La sua seconda carriera in Canaan, sotto la guida di Dio, è durata cento anni. Ha avuto suo figlio all'età di cento anni (21,5). È vissuto, dunque, settantacinque anni con suo padre Terach, settantacinque anni con suo figlio Isacco, e venticinque anni da solo, senza padre né figlio. Ha assistito al quindicesimo compleanno dei suoi nipoti (25,26). “Morì dopo una felice vecchiaia, vecchio e sazio di giorni e fu riunito ai suoi antenati”, esattamente come Dio gli aveva promesso (15,15). I funerali (vv, 9-10). “Lo seppellirono i suoi figli Isacco e Ismaele nella caverna di Macpela”. Malgrado Ismaele sia stato mandato via dalla famiglia (21,8-21; 25,6) e, di conseguenza, i due fratelli vivano separati, essi si ritrovano per i funerali del loro padre. Tuttavia Isacco è nominato per primo, anche se Ismaele è più anziano di lui. Isacco è “il” figlio della promessa. La descrizione della tomba riprende tutti i dettagli dell'acquisto di tale terreno da parte di Abramo all'epoca della morte di Sara (c. 23). l due fratelli sono riuniti, e lo sono anche i due morti. La successione di Isacco (v. 11). “Dopo la morte di Abramo, Dio benedisse il figlio di lui Isacco”. La storia cominciata con Abramo non finisce con la sua morte, ma prosegue nel figlio suo. Dio trasmette la benedizione del padre al figlio, come aveva promesso (17,21). La nota serve da conclusione al ciclo di Abramo e da introduzione alla storia di Isacco (Gen 25,19-35,29; cf. 26,12). Isacco comincia il suo cammino sotto la guida di Dio a “Lacai-Roi” (24,62; 16,14). CONCLUSIONE Il ciclo di Abramo è incentrato su alcune promesse divine. Dio le fa ad Abramo al momento stesso della sua chiamata (12,1-3), e le ripete più volte precisandole sempre. Abramo è partito con assoluta fiducia, ma ha conosciuto i suoi momenti di dubbio. Ha preso iniziative umane, che hanno messo in pericolo tali promesse. Ha anche escogitato stratagemmi umani, per affrettare l'adempimento delle promesse, ma facendo ciò ha complicato la loro realizzazione e ha suscitato rivalità tra le due madri e i due figli. Si è anche dimostrato capace di azioni eroiche. Durante la sua vita ha sperimentato l'inizio della 100 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org realizzazione delle promesse, ma senza intravedere l'adempimento completo di tutto ciò che gli era stato promesso in principio. È morto fiducioso che Dio proseguirà la propria opera nella sua discendenza. Le promesse danno al ciclo una bella unità. Schema Generale 12,1-9: introduzione 12,10-23,20: il cammino A 12,10-13,18: il paese B 14,1-24: la benedizione C 15,1-18,16a: la discendenza 1 B 18,16b-19,29: la benedizione C1 19,30-21,21: la discendenza 1 B 21,22-34: la benedizione C1 22,1-24: la discendenza 1 A 23,1-20: il paese 24,1-25,11: la continuazione al di là della morte La promessa della discendenza occupa un posto particolare nel ciclo, come possiamo vedere dal numero di testi che ne parlano. La discendenza ha, infatti, un'importanza fondamentale; senza di essa, le altre promesse perderebbero il loro significato. Abramo è il padre di un figlio speciale, ma anche il padre di altri figli. È ad un tempo padre di una nazione particolare e padre di altre nazioni. Porta in sé la tensione tra l'elezione e l'universalismo. Abramo è in relazione costante con Dio, ma lo è in maniera spontanea: il testo non dà indicazioni di una religione strutturata e di istituzioni. Non c'è polemica religiosa tra lui e gli stranieri con i quali egli è in contatto. Lui stesso non è il fondatore di una religione; può così essere il padre di tutti i credenti, degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. Ciò che queste tre religioni hanno in comune, ciò che considerano fondamentale, esse lo trovano nella figura di Abramo. 101 Istituto di Spiritualità S. Teresa di Gesù Bambino (PI) Anno Accademico 2012/2013 Prof. Alessandro Biancalani http://www.daras.org Bibliografia generale W. F. 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