Porto a tutti voi il saluto dell’ANPI, in questo appuntamento in Val Barbarena che è ormai diventato annuale e che vuole commemorare la figura del magg. inglese Freccia (Wilkinson) che qui cadde combattendo. Apparteneva al SOE (Special Operations Executive), un’organizzazione segreta, creata dagli inglesi per operare alle spalle dei nazifascisti. Era stato paracadutato in Paù (comune di Caltrano) a metà agosto del ’44. Oggi c’è una targa commemorativa sul posto e ogni anno si tiene in Bocchetta Paù una cerimonia simile a questa. Aveva come compito di tenere i collegamenti tra formazioni partigiane del Vicentino e Comandi alleati. Tentò invano di dar vita tra le formazioni vicentine un comando partigiano unico. Cosa utile ed auspicata dagli Alleati, ma non riuscì a realizzarlo. Fu sorpreso in un’imboscata da parte di una pattuglia della polizia tedesco-bolzanina mentre era in marcia di trasferimento da Tonezza verso Laghi. Cadde in località Gorgo del Becco, sul vecchio sentiero che da Tonezza per Val Barbarena sale alle Malghe Zolle, trenta metri più in basso da qui, nei pressi del greto del torrente. Cadde combattendo. E’ un nostro partigiano a tutti gli effetti. Questa, in estrema sintesi, la vicenda di Freccia sulle montagne vicentine. Nel mentre porto il saluto dell’Ampi, concedetemi due riflessioni. A qualcuno potrà sembrare ripetitiva, fine a se stessa questa annuale scadenza, come le decine altre scadenze che nel corso dell’anno si fanno in provincia. Ma non è vero. Perché, mentre si ricordano i combattenti che caddero, si fa testimonianza anche di quelle idee che li spinsero alla lotta e a sacrificarsi: no alla violenza, sì alla comprensione e alla pace, no alle discriminazioni sì alla tolleranza, no alle dittature sì alla libera espressione delle idee. Noi con la nostra presenza qui continuiamo l’opera di Freccia, di Chilesotti, di Silva, di Brandellero, di Armonica, di Arnaldi. Noi qui oggi con la nostra testimonianza facciamo ancora concretamente Resistenza ed abbiamo loro, Freccia e gli altri Caduti, al nostro fianco. Freccia, come tanti altri combattenti partigiani, è morto, per aprire le porte ad un periodo di pace, dopo le tante guerre scatenate dai nazifascisti. Ma la pace oggi non c’è neanche entro i limitati confini del Mediterraneo (basti pensare all’Ucraina, alla Libia, a Gaza, in Siria). Come non c’è in modo rassicurante la giustizia e la tolleranza. Anche recentemente sono sparite decennali dittature, si sperava in una primavera nuova e invece al loro posto si affacciano all’orizzonte, organizzazioni politico militari di un’intolleranza medioevale e sanguinaria. Alle quali, usando tecnologie d’avanguardia, si risponde con violenza altrettanto distruttiva. Uomini di stato che si pensava ormai ragionevoli, avvertiti e dotati di un rassicurante grado di saggezza, li vediamo lì pronti a rischiare una guerra nella prospettiva di poter controllare qualche centinai di Km quadrati di territorio. Di fronte alle rovine ed alle sconcezze dell’ultima guerra, spesso, quando ero insegnante, commentavo con gli allievi la celebre poesia di Salvatore Quasimodo “Uomo del mio tempo”. Il poeta nel 1946 esclamava sconsolato: “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”. Passano i secoli, ma la mentalità della clava non passa mai. Quel fagotto nero di odio che alberga sempre in fondo all’animo di ogni uomo troppe volte prende il sopravvento e persuade alla voracità, alla sopraffazione, alla vendetta. E Quasimodo si rivolgeva ai figli, cioè ai giovani della nuova generazione, perché uscissero dal solco di sangue tracciato dai padri, perché scappassero dai loro cimiteri. E i figli oggi siamo noi, ma anche noi ci diamo da fare ad allargare cimiteri. E allora uno può scoraggiarsi e dire che tutto è inutile, che è insignificante stare qui a far discorsi e a commemorare i Giusti che sono caduti. E invece occorre stare vigili ed essere presenti. La storia dimostra che la pace, come la tolleranza, la giustizia sociale, la democrazia stessa non esistono mai in assoluto (né mai ci saranno, aggiungo). L’assoluto nelle vicende umane è un’utopia . Ma noi con l’impegno sociale dobbiamo continuare la Resistenza per difendere (o talora solo un po’ allargare) quella FETTA di pace, quella FETTA di tolleranza e comprensione, quella PORZIONE di giustizia sociale che siamo riusciti ad affermare. E’ una trincea fluttuante quella che si deve difendere, talora arretra ma talora anche avanza. Lo starci è un impegno gravoso, ma da questa presenza dipende l’esistenza stessa della civiltà e dei valori in cui tutti noi crediamo. Liverio Carollo
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