25 4. IL REGIME NAZISTA IN GERMANIA La repubblica di

4. IL REGIME NAZISTA IN GERMANIA
La repubblica di Weimar e la crisi della società tedesca dopo la Prima guerra
mondiale
La crisi del 1929 in Germania e la fine della repubblica di Weimar
Hitler al potere
La repubblica di Weimar e la crisi della società tedesca dopo la Prima guerra
mondiale
La Germania, appena uscita sconfitta dalla Prima guerra mondiale, visse un Il dopoguerra e la repubblica di
dopoguerra particolarmente difficile. Il 9 novembre 1918 il kaiser Guglielmo II Weimar
aveva abdicato ed era fuggito. Nelle principali città il potere era nelle mani dei
consigli degli operai e dei soldati legati ai socialisti. Le altre forze politiche,
quelle della destra conservatrice ma anche quelle del Zentrum (Centro), composto
la liberali e cattolici, apparivano deboli e disorientate. Per trovare una soluzione
alla crisi politica, fu formato un governo provvisorio composto da sei commissari
del popolo, tutti appartenenti all'ala moderata del Spd (Partito socialdemocratico
tedesco). Subito fu scartata l'ipotesi di costruire una «repubblica socialista»,
come voleva la Lega di Spartaco, l’ala radicale dello stesso Spd3. Nacque così la
repubblica di Weimar (così fu chiamata dal nome della città dove fu convocata
l'Assemblea costituente). Essa rimase in vigore fino al 1933, quando Hitler prese
il potere, e Weimar divenne una capitale culturale di straordinaria vitalità (il
grande architetto W. Gropius vi eresse, ad esempio, tra il 1919 e il 1925, il
Bauhaus, uno dei fondamentali centri propulsori dell'architettura e dell'arte
moderne).
Fu una soluzione di compromesso, concordata fra Spd ed esercito: permise di
avviare importanti risultati sul piano sociale (giornata lavorativa di otto ore,
assistenza ai disoccupati, divieto dei licenziamenti arbitrari, suffragio universale
maschile e femminile, ecc.), ma evitò qualsiasi ridimensionamento dei precedenti
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La linea moderata scelta dalla Spd portava fatalmente allo scontro con le correnti più radicali del
movimento operaio tedesco: i rivoluzionari della Lega di Spartaco (nucleo originario del Partito
comunista tedesco). Questi ultimi si opponevano infatti alla convocazione della Costituente e puntavano
tutto sui consigli, visti come cellule costitutive di una nuova «democrazia socialista». Gli spartachisti
erano però consapevoli di essere nettamente minoritari, anche all'interno dei consigli operai, e avrebbero
evitato volentieri un'immediata prova di forza contro i socialdemocratici. Fu l'iniziativa spontanea delle
masse della capitale a spingerli verso lo scontro.
II 5-6 gennaio 1919, centinaia di migliaia di berlinesi scesero in piazza per protestare contro la
destituzione di un esponente della sinistra dalla carica di capo della polizia della capitale. I dirigenti
spartachisti e alcuni leader «indipendenti» decisero allora di approfittare di questa mobilitazione di massa
e diffusero un comunicato in cui si incitavano i lavoratori a rovesciare il governo. Ma la risposta del
proletariato berlinese fu inferiore alle aspettative. Durissima fu invece la reazione del governo socialdemocratico che affidò l'incarico di fronteggiare la rivolta al commissario alla Difesa Gustav Noske.
Questi, non potendo contare su un esercito efficiente, si servì per la repressione di squadre volontarie (i
cosiddetti Freikorps, ossia «corpi franchi») formate da soldati smobilitati e inquadrate da ufficiali di
orientamento nazionalista e conservatore. Nel giro di pochi giorni i Freikorps schiacciarono nel sangue
l'insurrezione berlinese. I leader del movimento spartachista, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, furono
arrestati e trucidati da ufficiali dei corpi franchi.
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poteri (quello dell'esercito, guidato da generali conservatori, o quello degli
industriali). La nuova repubblica si rivelò dunque fragile e incapace di
convogliare il consenso dell'ala della sinistra più intransigente; mentre una destra
forte e radicale si opponeva alla sua politica riformista. Alle elezioni del 1920
l'opposizione di sinistra ottenne il 20% dei consensi; quella di destra il 28%: le
basi sociali del riformismo weimariano apparivano assai incerte.
La fragilità della repubblica di Weimar, oltre che dallo scontro civile fra
socialdemocrazia e spartachisti, era aggravata anche dalle umilianti condizioni
imposte alla Germania sconfitta secondo le quali il paese avrebbe dovuto privarsi,
per quasi mezzo secolo, di un quarto del suo prodotto nazionale per pagare i debiti
di guerra.
I governi di coalizione che si succedettero fra il '21 e il '23 si impegnarono comunque a pagare le prime rate delle riparazioni; ma, per non rendersi
ulteriormente impopolari agli occhi di un'opinione pubblica già esasperata,
evitarono interventi troppo drastici sulle tasse e sulla spesa pubblica: quindi
furono costretti ad aumentare la stampa di carta-moneta. Il risultato fu che in
pochi mesi il valore del marco precipitò a livelli impensabili (5 milioni di marchi
per un dollaro in luglio, 200 miliardi in settembre, 4000 miliardi in novembre) e il
suo potere d'acquisto fu praticamente annullato: un chilo di pane giunse a costare
400 miliardi, un chilo di burro 5000. Le conseguenze di questa polverizzazione
della moneta furono sconvolgenti. Lo Stato stampava banconote in quantità
sempre maggiore e con valore nominale sempre più alto (un milione, un miliardo,
cento miliardi e così via).
Dall’inflazione furono colpiti duramente i lavoratori salariati, ma anche l'intero
ceto medio (dipendenti pubblici a reddito fiso, piccoli risparmiatori, pensionati,
piccoli imprenditori, ecc.), trascinato improvvisamente nella miseria. Se ne
avvantaggiarono invece i proprietari di immobili e i grandi gruppi industriali
(l'inflazione azzerava i loro debiti presso banche o privati). La società tedesca si
polarizzava: i ceti medi si declassavano, avvicinandosi alle temute condizioni di
vita del proletariato, anch'esso tra l'altro sempre più disgregato - massificato, e la
ricchezza si concentrava nelle mani dei grandi gruppi industriali, i cartelli chimici
(IG Farben), elettromeccanici (Philips) o siderurgici (Krupp). Le sanzioni
scaturite dalla pace di Versailles vennero denunciate da una virulenta campagna
propagandistica delle forze di destra. Esse, tacevano le responsabilità tedesche
sull’avvio della Prima guerra mondiale, accusavano i socialisti di essere i
responsabili sia della sconfitta militare che dell'accettazione di una pace umiliante
e, inoltre, attaccavano gli ebrei (gli «affaristi ebraici»), indicati quali colpevoli del
disastro economico.
Intanto molti ex ufficiali e sottufficiali, frustrati dalla smobilitazione imposta
all'esercito tedesco, aderivano ai Freikorps (`corpi franchi', formazioni militari),
che ormai operavano senza il controllo del governo, uccidendo più di 350 persone
in attentati terroristici. È in quest'area operava anche la piccola formazione di
estrema destra del Partito operaio tedesco, poi rinominata National Sozialistische
Deutsche Arbeiter Partei (Nsdap, Partito operaio tedesco nazionalsocialista) di
Adolf Hitler, che nel 1921 si dotava di un apparato militare, le Sa (Sturm
Abteilungen, `sezioni d'assalto') o «camicie brune». Affascinato da Mussolini, nel
1923 Hitler tentava un putsch (rivolta) a Monaco in Baviera.
La grande inflazione del '23 avevano comunque lasciato segni profondi nella
società tedesca, infatti la classe dirigente tedesca si spostò su posizioni sempre più
conservatrici e le grandi potenze capitalistiche occidentali si impegnarono per
evitare che la crisi tedesca potesse provocare ripercussioni internazionali
destabilizzanti.
Una vera stabilizzazione infatti non sarebbe stata possibile senza un accordo con i
vincitori sulle riparazioni. L'accordo fu trovato, all'inizio del 1924, sulla base di
Le conseguenze delle sanzioni
internazionali e il rafforzamento
delle forze di destra
La svolta conservatrice della
repubblica
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un piano elaborato da un finanziere e uomo politico statunitense, Charles G.
Dawes. Il piano si basava sul principio che la Germania avrebbe potuto far fronte
ai suoi impegni solo se fosse stata messa in grado di far funzionare al meglio la
sua macchina produttiva: prevedeva quindi che l'entità delle rate da pagare fosse
graduata nel tempo e che la finanza internazionale, in particolare quella
statunitense, sovvenzionasse lo Stato tedesco con una serie di prestiti a lunga
scadenza.
Due governi, quello del conservatore Stresemann e del cattolico Wilhelm Marx,
si posero l'obiettivo della stabilità politica e monetaria della Germania di
Weimar. Questi provvedimenti favorirono la ripresa economica, ma a prezzo di
altre scelte antipopolari. Le forze conservatrici riprendevano il controllo del
paese: nel 1925, dopo la morte di Friedrich Ebert, presidente dal 1919 al 1925, fu
eletto presidente un tipico esponente del conservatorismo tedesco, il maresciallo
Hindenburg. La sua elezione fu favorita anche dalla mancata alleanza fra
moderati e comunisti (questi presentarono infatti un loro candidato).
La Germania tornava a essere un paese fortemente industrializzato, con un
proletariato esteso, un nuovo ceto medio più moderno e ristretto (impiegati d'alto
livello, funzionari, manager) e una potente borghesia. La ristrutturazione
industriale aveva ridotto il numero degli operai professionalizzati e sindacalizzati
(base tradizionale della socialdemocrazia), facendo emergere un proletariato
dequalificato e politicamente più instabile. La socialdemocrazia, che aveva nel
1919 sottoscritto il compromesso con esercito e industriali e aveva eliminato le
spinte rivoluzionarie alla sua sinistra, si trovò sempre più in difficoltà, mentre le
organizzazioni del movimento operaio continuavano a declinare.
La crisi del 1929 in Germania e la fine della repubblica di Weimar di Weimar
Su questa Germania socialmente e politicamente impoverita ma in ripresa
economica, si abbatté la crisi mondiale del 1929; essa scatenò processi sociali
incontrollabili, che portarono alla paralisi del sistema politico e all’ascesa
travolgente del nazionalsocialismo, il quale fino ad allora era stato una forza del
tutto minoritaria nella società tedesca. «Fu la Grande crisi a trasformare Hitler da
personaggio ai margini della scena politica nel padrone potenziale, e infine
effettivo, del paese» (Hobsbawm). L'avanzata dei nazisti e il complementare
disfacimento della debole e impopolare democrazia di Weimar avvennero in tre
fasi. Gli storici le hanno così indicate: 1) la «crisi di efficienza» del governo di
Heinrich Brüning (1930-32); 2) la «crisi d’autorità» dei governi di Franz von
Papen e Kurt von Schleicher (1932-33); 3) la «presa del potere» da parte di Hitler
(1933).
La «crisi di efficienza» del governo di H. Brüning (1930-32). La crisi del 1929
aumentò di colpo la disoccupazione in Germania. Il numero dei senza lavoro
raggiunse i sei milioni, la produzione industriale crollò, diminuirono le entrate fiscali. Il governo di centro-sinistra del socialdemocratico Hermann Muller, in
carica dal 1928, non riuscì a gestire una credibile politica sociale e nel 1930 si
dimise. Allora il presidente Hindenburg nominò cancelliere Brüning, leader del
Zentrum gradito alla destra conservatrice. In due giorni questi formò il nuovo
governo, inaugurando una pratica di gestione extraparlamentare della crisi,
divenuta poi consuetudine. Egli però non aveva la maggioranza in parlamento.
Costretto a chiedere appoggi ora a destra ora alla Spd, governò aggirando il
controllo del parlamento. Ma la politica economica di Brüning restò lo stesso contraddittoria e debole, aggravando l'indebitamento dello stato. Né seppe opporsi
alla propaganda della destra e al rafforzamento delle Sa, che continuavano le loro
La crisi del ’29 e la salita al
potere di Hitler: le fasi
1 - La «crisi di efficienza» del
governo di Heinrich Brüning
(1930-32)
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aggressioni criminali contro gli avversari politici. Le elezioni del settembre 1930
segnarono il suo fallimento: invece di rafforzare il suo governo, come Brüning
sperava, le elezioni indebolirono tutti i partiti del centro (Spd, Zentrum,
liberaldemocratici e liberalnazionali) che non superarono il 47% dei seggi.
La «crisi d'autorità» dei governi di Franz von Papen e Kurt von Schleicher (1932- 2 - La «crisi d'autorità» dei
33). Mentre Brüning e i suoi sostenitori (il «fronte di Brüning») s'indebolivano, la governi di Franz von Papen e
Germania era sempre meno governabile. La crisi economica radicalizzava le mas- Kurt von Schleicher (1932-33)
se degli elettori e le spingeva a votare i partiti estremi: nazionalsocialisti e
comunisti. Ne trasse vantaggio soprattutto il partito nazionalsocialista di Hitler.
Esso riuscì ad ampliare le sue alleanze, trascinando con sé gli altri partiti di
destra, la «destra nobile» (alcuni principi, alti ufficiali) e i rappresentanti della
grande finanza e dell'industria pesante, nel cosiddetto «fronte di Harzburg» (l'11
ottobre 1931, a Bad Harzburg, queste forze tennero una grande adunata
dimostrativa). Si arrivò così alle presidenziali dell'aprile 1932: l'ultraottuagenario
Hindenburg, votato persino dai suoi tradizionali avversari socialdemocratici,
ottenne il 53% dei voti, Hitler circa il 37% e il candidato comunista appena il
10%. Poco dopo Hindenburg, senza per nulla rispettare il mandato del suo
elettorato, costrinse Brüning dimettersi e lo sostituì con un proprio uomo di
fiducia, il maggiore di cavalleria Franz von Papen cattolico e vicino alla destra
agraria tedesca.
Il governo von Papen durò sette mesi. Alle elezioni del luglio 1932, richieste
esplicitamente da Hitler per decidere se appoggiare o meno il governo
dall'esterno, il partito nazionalsocialista ottenne la maggioranza relativa con il
37,4% e 230 seggi in parlamento. Hitler allora respinse sdegnato la carica di
vicecancelliere offertagli da von Papen e pretese tutto il potere.
Dopo una temporanea sostituzione di von Papen con il generale Kurt von
Schleicher, altro collaboratore di Hindenburg ed esponente della medesima ala
conservatrice dell'esercito, il 30gennaio 1933 Hitler fu nominato cancelliere.
Come nel caso di Mussolini nell'Italia del 1922, il governo di coalizione di Hitler,
oltre a due ministri nazisti, comprendeva esponenti dei partiti conservatori e
dell'esercito e molti s'illusero che le nuove responsabilità di governo avrebbero
«normalizzato» il nazismo.
Hitler al potere
La «presa del potere» da parte di Hitler (1933). Hitler, invece, ristrutturò rapidamente lo stato secondo i criteri del nazismo. Sciolse il parlamento e indisse nuove
elezioni per il 5 marzo del 1933. Creò anche un corpo di polizia ausiliaria di
fedelissimi del partito. Epurò sistematicamente la pubblica amministrazione e fece
chiudere più di 150 giornali d'opposizione. Inoltre le Sa ebbero mano libera
contro gli oppositori di sinistra e di centro da Herman Goering, allora ministro
dell'Interno della Prussia. Quando poi il 27 febbraio 1933, a pochi giorni dal voto,
fu appiccato un incendio al Reichstag (sede del parlamento tedesco), Hitler ne
attribuì la responsabilità ai comunisti (solo più tardi fu provata la responsabilità di
un olandese isolato), e, denunciando un presunto tentativo di insurrezione, sospese i diritti fondamentali e fece arrestare oltre 4.000 militanti comunisti.
Le elezioni del 5 marzo 1933, svoltesi in un clima d'intimidazione, diedero il
43,9% al Partito nazionalsocialista, che, insieme all'8% dei voti del Partito
nazionale tedesco, aveva ormai la maggioranza assoluta. Messo fuori legge il
partito comunista, contro Hitler votarono in parlamento solo i 94 deputati
socialisti. Nessuno più tentò di ostacolarlo politicamente: fu una capitolazione
senza lotta. Anche il potente sindacato socialdemocratico - che, sperando di
3 - La «presa del potere» da
parte di Hitler (1933)
La costruzione dello stato
totalitario
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salvare il suo apparato, aveva accettato di partecipare alla manifestazione governativa del 1° maggio - vide il giorno dopo tutte le sue sedi occupate e i suoi
dirigenti arrestati. Il 14 luglio 1933 tutti i partiti erano posti fuori legge. Hitler
poté così vantarsi di averli annientati ed estirpati dal popolo tedesco.
La costruzione dello stato totalitario nazista passò anche attraverso l'eliminazione
fisica di esponenti del Partito nazionalsocialista. Quelli fra loro che più avevano
preso sul serio la componente «socialista» del partito e usato un linguaggio
accesamente anticapitalista, ora che il potere era conquistato s'illusero di poter
realizzare una «seconda rivoluzione» nazionalizzando interamente l'economia o
addirittura integrando l'esercito tedesco nelle Sa. Ma, nella notte del 30 giugno
1934 («la notte dei lunghi coltelli»), l'intero stato maggiore delle Sa di Ernst
Röhm fu convocato con un espediente e massacrato da reparti di Ss, le formazioni
militarizzate del Partito nazista. Questa drastica epurazione nello stesso partito di
Hitler tranquillizzò definitivamente esercito e industria. E il 2 agosto 1934, morto
Hindenburg, abolendo il titolo di Presidente dela repubblica, Hitler poté
autonominarsi Fiihrer e cancelliere (Reichkanzler). Era solo a lui che i soldati
giuravano fedeltà e lui solo poteva legiferare. Lo stato come emanazione diretta
della volontà del suo capo (secondo la formula nazionalsocialista «un unico
popolo, un unico movimento, un unico Führer») diventava una realtà, mentre i
ministeri più importanti passavano tutti in mano nazista.
Contemporaneamente, fin dai primi giorni della presa del potere, era cominciata
sistematica quella persecuzione antisemita tanto spesso annunciata dalla
propaganda nazista, e che assumerà con il tempo e soprattutto durante la Seconda
guerra mondiale le forme del genocidio razzista. La discriminazione fu
ufficialmente sancita, nel settembre 1935, dalle cosiddette leggi di Norimberga
che tolsero agli ebrei la parità dei diritti conquistata nel '48 e proibirono i
matrimoni fra ebrei e non ebrei (largamente diffusi nella Germania prenazista).
Alla discriminazione «legale» si accompagnava una crescente emarginazione
dalla :vita sociale: il che spinse molti ebrei — circa 200.000 fra il '33 e il ad
abbandonare la Germania.
La persecuzione anti-semita subì un'ulteriore accelerazione a partire dal novembre
1938, quando, traendo pretesto dall'uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi
per mano di un ebreo, i nazisti organizzarono un gigantesco pogrom in tutta la
Germania. Quella fra 1'8 e il 9 novembre '38 fu chiamata «notte dei cristalli» per
via delle molte vetrine di negozi appartenenti a ebrei che furono infrante dalla
furia dei dimostranti. Ma vi furono conseguenze ben più gravi: sinagoghe
distrutte, abitazioni devastate, decine di ebrei uccisi e migliaia arrestati.
Il regime di Hitler affrontò la crisi economica con misure militari e tecniche
efficaci, che colpirono enormemente l'opinione pubblica. Fu attuato un imponente
programma di lavori pubblici (soprattutto autostrade e canali). Fu imposto il
lavoro coatto a decine di migliaia di disoccupati e fu rilanciata la produzione
industriale di automobili. L'intervento dello stato nell'economia non divenne però
mai predominante. S'intrecciò invece saldamente con il sistema privato, tanto che
al vertice della burocrazia statale si ritrovavano spesso alti esponenti di imprese
private. Anche il lavoro delle campagne fu riorganizzato secondo l'ideologia
ruralista e razzista del partito: un terzo delle fattorie, per esempio, doveva
appartenere a tedeschi «purosangue». Ma a determinare la ripresa economica
tedesca fu soprattutto il massiccio sforzo che Hitler compì per riarmare la
Germania, contravvenendo alle clausole del Trattato di Versailles. Così, in breve
tempo, la Germania raggiunse la piena occupazione: i circa sei milioni di
disoccupati del 1933 si ridussero a un milione nel 1936, e nel 1938 l'industria
tedesca dichiarò un deficit occupazionale di circa un milione di lavoratori, mentre
i salari (almeno della manodopera specializzata) aumentavano.
Hitler non si preoccupò, come i precedenti governi, di pareggiare il bilancio né di
«La notte dei lunghi coltelli»
La persecuzione antisemita
La politica economica, sociale e
militare del Terzo Reich
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procurare la copertura finanziaria per le enormi spese richieste da questa politica
di riarmo: il bilancio dell'esercito, che era del 4% nel 1933, salì al 18% nel 1934,
al 39% nel 1936 e toccò il 50% nel 1938. Sempre nel 1938 i debiti del Terzo
Reich raggiunsero i 57 miliardi di marchi. I suoi creditori internazionali, dichiarando più o meno in buona fede che i «favori» da loro concessi alla Germania
le avrebbero evitato avventure belliche, non posero mai vincoli alla concessione
di prestiti. E Hitler, forte del consenso popolare e del sostegno dei grandi gruppi
economici mondiali, poté rafforzare l'industria pesante e quella chimica in alcune
zone chiave del territorio tedesco e collegare Berlino ai nuovi centri industriali
con una gigantesca rete viaria, che gli servirà poi per il rapido spostamento delle
truppe durante le già guerre di conquista.
5. VERSO LA SECONDA GUERRA MONDIALE
La crisi del ’29 e l’instabilità politica degli anni trenta
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale
La crisi del ’29 e l’instabilità politica degli anni trenta
Le conseguenze della crisi del ’29 non investirono solo le strutture economiche (il Le conseguenze della crisi del
mercato e la produzione) e istituzionali (lo Stato) del capitalismo. Ne risentirono ’29: l’instabilità politica tra
anche gli equilibri politici e le formule governative dei vari Paesi.
fascismo e Fronti popolari
A parte la Germania, in cui la crisi fu determinante per la salita al potere di Hitler,
anche negli altri paesi europei nelle lacerazioni aperte dalla crisi affiorarono
pulsioni incontrollabili, che rilanciavano il fascino seduttivo della violenza
ereditato dalla Prima guerra mondiale. Furono soprattutto i movimenti di estrema
destra a sfruttare questo clima incandescente. In Francia, proprio a partire dal
1929, si delineò la virulenta presenza dell'Action Française, diretta da Charles
Maurras, che opponeva ai simboli della tradizione rivoluzionaria (libertà,
uguaglianza, fraternità) quelli del nuovo fascismo (ordine, autorità, nazione).
La strategia politica dei partiti del movimento operaio venne invece determinata
dalla svolta che si registrava in quegli anni nella politica estera dell’URSS. Fino al
'33 la sua politica estera si era ispirata a una linea dura e spregiudicata: rifiuto dei
trattati di Versailles, nessuna distinzione fra Stati fascisti e democrazie borghesi. I
successi di Hitler, che non aveva mai fatto mistero di quali fossero i suoi progetti
nei confronti della Russia, indussero Stalin a modificare radicalmente le precedenti
impostazioni. Nel settembre '34 l'Urss entrò nella Società delle nazioni e nel
maggio '35 stipulò un'alleanza militare con la Francia.
Questa brusca svolta diplomatica ebbe immediato riscontro in un altrettanto rapido
capovolgimento della linea seguita dal Comintern e dai partiti comunisti europei.
Fu improvvisamente accantonata la tattica della contrapposizione frontale nei
confronti delle forze democratico-borghesi e più ancora delle socialdemocrazie (già
accusate di favorire «oggettivamente» il fascismo o addirittura di costituire «un'ala
del fascismo», da cui l'espressione polemica socialfascismo): tattica che tanto
aveva contribuito a isolare il movimento comunista e a spianare la strada al
nazismo in Germania. La nuova parola d'ordine, lanciata ufficialmente nel VII
congresso del Comintern (Mosca, agosto 1935) fu quella della lotta al fascismo,
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indicato ora come il primo e il principale nemico. Ai partiti comunisti spettava il
compito di riallacciare i rapporti non solo con gli altri partiti operai, ma anche con
le forze democratico-borghesi, di favorire ovunque possibile la nascita di larghe
coalizioni dette fronti popolari (dove l'aggettivo stava a indicare il passaggio in
secondo piano degli obiettivi più propriamente socialisti), di appoggiare i governi
democratici decisi a combattere il fascismo.
L'avvicinamento fra l'Urss e le democrazie e il rilancio della politica di sicurezza
collettiva non bastarono a fermare, nel '35, l'aggressione dell'Italia fascista
all'Etiopia; né poterono impedire che, nella primavera del '36, Hitler violasse
un'altra clausola di Versailles reintroducendo truppe tedesche nella Renania
«smilitarizzata».
Il solo risultato concreto della politica dei fronti popolari fu quello di restituire un
minimo di unità al movimento operaio europeo, per la prima volta dopo la grande
rottura della rivoluzione russa, e di ridare così alla sinistra l'opportunità di
assumere il governo nelle democrazie occidentali. Nel febbraio 1936, una
coalizione di fronte popolare comprendente anche i comunisti vinse le elezioni
politiche in Spagna. Nel maggio dello stesso anno, in Francia il netto successo
elettorale delle sinistre aprì la strada alla formazione di un governo composto da
radicali e socialisti, sostenuto dall'esterno dai comunisti e presieduto dal socialista
Léon Blum.
In Francia gli effetti della crisi erano giunti più tardi e in parte attenuati, ma il Il Fronte popolare in Francia
livello di stabilità istituzionale ne era stato comunque investito in pieno. Dopo il
ritiro di Raymond Poincaré (1929), alla guida del governo erano andati esponenti
conservatori poi, tra il 1932 e il 1938, si susseguirono coalizioni di partiti
eterogenee e diverse; nel 1932, le elezioni fecero registrare la vittoria delle sinistre
e due successivi governi in cui erano i radicali ad avere la maggioranza; a questi
subentrarono due governi di "unione nazionale" (coalizione di tutti i parti ti tranne
le sinistre) e, nel 1936, il Fronte popolare: l'alleanza di tutte le forze di sinistra
(comunisti e socialisti compresi) formò il governo capeggiato da Léon Blum
(1936-1937). Proprio in questo periodo, con gli accordi sindacali di Palais
Matignon (7 giugno 1936), si vararono i provvedimenti più significativi per
attenuare gli effetti sociali della crisi: riconoscimento dei contratti collettivi di
lavoro e dei diritti sindacali; maggiorazione dei salari più bassi del 15%, dei più
alti del 7%; istituzione dei delegati operai negli stabilimenti con più di dieci
dipendenti; orario di lavoro fissato a quaranta ore settimanali, con due settimane
di ferie all'anno.
Quello del Fronte popolare fu però un intermezzo di breve durata. Ampi strati
della popolazione, soprattutto tra i ceti medi urbani, manifestavano apertamente la
propria insofferenza per la democrazia parlamentare, giudicata corrotta e
inefficiente, lasciandosi sedurre dal miraggio di soluzioni autoritarie. Le forze di
sinistra erano a loro volta divise: i comunisti premevano su Blum per rendere più
incisiva la sua azione governativa, mentre molto più cauti sulla via delle riforme
erano i radicali. Il Fronte popolare era così due volte debole: per i dissidi interni
alla sua coalizione e per la pressione di uno schieramento di opposizione in cui si
riconosceva tutto il blocco economico dominante. Lo "sciopero del capitale",
come allora fu definita la scelta del grande padronato di esportare i capitali
all'estero e bloccare gli investimenti, diede a Blum il colpo di grazia (si dimise nel
giugno 1937). Nel 1938, il nuovo governo Daladier sconfessò gli accordi di
Matignon. I partiti di sinistra erano allo sbando e il sindacato dei socialisti e dei
comunisti, la CGT (Confederation Generale du Travail), si frantumò, perdendo
oltre metà dei propri iscritti.
Nella Spagna, dominata dal latifondo e da poche isole di sviluppo industriale, un La Guerra civile spagnola
forte conflitto di classe, che aveva già portato nel 1931 all'esilio volontario del re (1936-39)
e alla proclamazione della repubblica, arrivò al suo culmine, dopo la vittoria alle
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elezioni del 1936 del cosiddetto «Fronte popolare», composto dalle sinistre
(repubblicani, socialisti, comunisti). Il suo programma di governo era abbastanza
moderato; ma la destra spagnola (grandi proprietari e mondo cattolico
conservatore) rifiutò il risultato elettorale, si unificò attorno alla Falange, un
partito di tipo fascista fondato nel 1933 dal generale Primo de Rivera, e ricorse ad
azioni terroristiche, minacciando il colpo di stato.
Nei mesi successivi, mentre il governo delle sinistre si rivelava debole e diviso e
in tutto il paese si svolgevano disordinatamente scioperi, occupazioni di terre e di
fabbriche e azioni violente contro i rappresentanti più odiati del precedente regime, la chiesa e gli antichi proprietari terrieri, un gruppo di ufficiali a capo
dell'esercito di stanza in Marocco, capeggiati dai generali conservatori Francisco
Franco ed Emilio Mola, si sollevò contro la legittima repubblica, occupando
l'Andalusia e iniziando la guerra civile.
Le ripercussioni sul piano internazionale furono immediate: Franco ottenne aiuti
sostanziosi da Hitler e da Mussolini. L'Urss sostenne le Brigate Internazionali di
volontari filo repubblicani; reparti volontari composti in buona parte da comunisti
ma aperti ad antifascisti di tutte le tendenze e di tutti i paesi (fra questi non pochi
intellettuali di prestigio, come l'americano Hemingway, il francese Malraux,
l'inglese Orwell). Le potenze democratiche, invece, scelsero o l'equidistanza (gli
Usa, per esempio, posero l'embargo contro entrambi i belligeranti) o l'ipocrita
politica del "non intervento" del primo ministro francese, Blum, il quale fece anche
chiudere le frontiere del suo paese con la Spagna su pressione del governo inglese.
La Repubblica spagnola, malgrado le simpatie suscitate a livello internazionale
soprattutto fra intellettuali e artisti democratici, si ritrovò perciò isolata, mentre le
forze antifranchiste furono dilaniate da scontri interni.
Mentre Franco, insignito del titolo di caudillo (duce, condottiero), si guadagnava
l'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche, dell'aristocrazia terriera e di buona parte
della borghesia moderata e realizzava l'unità di tutte le destre in un partito unico
chiamato Falange nazionalista (ma con i veri falangisti ridotti in posizione
subalterna), il Fronte popolare vedeva allontanarsi quei settori della borghesia
progressista che, favorevoli in un primo tempo alla Repubblica, erano ora
spaventati dagli eccessi di violenza cui si abbandonavano soprattutto gli anarchici.
Mentre i nazionalisti mettevano in piedi nei loro territori uno Stato dai chiari
connotati autoritari, i repubblicani si scontravano fra loro sull'organizzazione
presente e futura della società e sul modo stesso di combattere la guerra. Particolarmente grave era il contrasto che divideva gli anarchici — insofferenti di
qualsiasi disciplina militare e di ogni compromesso politico - dagli altri partiti della
coalizione: a cominciare dai comunisti, favorevoli — in omaggio alla strategia dei
fronti popolari — a una linea relativamente moderata, tale da non rompere l'unità
con le forze democratico-borghesi.
Il contrasto assunse toni drammatici soprattutto nella primavera del '37, quando, a
Barcellona, gli anarchici si scontrarono armi in pugno con i comunisti e l'esercito
regolare repubblicano.
Nell'autunno del 1937, tutto il nord-ovest della Spagna passò sotto il controllo dei
franchisti. Tra gennaio e marzo del 1939 cadevano Barcellona Madrid, le due
roccaforti della repubblica. A guerra conclusa, il vincitore Francisco Franco
continuò indisturbato la repressione, procedendo alla cosiddetta «feroz matanza»
(feroce massacro). Furono eliminati fisicamente 200.000 antifascisti, mentre altre
centinaia di migliaia ebbero condanne a pene varie e 300.000 furono costretti
all'esilio. In quello stesso 1939, che vide la fine della Repubblica spagnola, a
Franco giunse non solo il riconoscimento delle democrazie europee, ma anche la
benedizione da parte del nuovo papa Pio XII.
32
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale
La Conferenza di Versailles doveva in teoria garantire un futuro di pace in
Europa. Fu subito chiaro, invece, che punendo la Germania e deludendo alcuni
paesi dell'Intesa, come l'Italia e il Giappone, le cui mire espansionistiche erano
state sacrificate, aveva creato nuove occasioni di conflitto. Innanzitutto tra paesi
vincitori e paesi vinti. E, infatti, prima ancora dell'affermarsi di regimi fascisti in
Europa e in Giappone, gli stati sconfitti (soprattutto la Germania) si mossero per
una revisione del Trattato di Versailles, suscitando le reazioni degli stati vincitori
(in particolare la Francia), contrari a ogni aggiustamento.
Ma nuove tensioni si ebbero fra le stesse potenze vincitrici, specie fra le due più
grandi, Francia e Inghilterra. La Francia pretese un ruolo egemonico sul
continente; e l'Inghilterra ne controbilanciò puntigliosamente il peso politico,
spalleggiando le rivendicazioni della Germania. Anche l'Italia, potenza vincitrice
ma insoddisfatta e dal 1922 retta dal fascista Mussolini, sostenendo
ambiguamente ora la Francia (fino al 1924) ora l'Inghilterra (fino alla guerra
d'Etiopia del 1935), alimentò l'incertezza politica europea.
Restavano infine irrisolte per tutti gli Stati europei le questioni economiche,
aggravatesi con la Prima guerra mondiale. Nel modo di affrontarle, apparve
chiaro il limite politico degli stati-nazione del Vecchio continente. Ciascuno di
essi, infatti, privilegiò caparbiamente il proprio interesse nazionale, quando per
favorire la ripresa economica sarebbe stata necessaria una maggiore
collaborazione. La volontà di realizzarla mancò ai governanti europei; come
mancò agli Usa, che si rifiutarono di concedere loro l'annullamento dei debiti di
guerra contratti durante il precedente conflitto e imposero rigidamente il libero
scambio, subordinando così le economie dei Paesi europei al loro più potente
sistema produttivo. Nonostante queste tensioni, tuttavia, nel corso degli anni
Venti non erano mancati segnali favorevoli a un clima di pace, con accordi sui
confini contesi (soprattutto quelli meridionali e orientali della Germania).
La svolta bellicista si profilò all’inizio degli anni trenta, in coincidenza non
casuale con i pesanti effetti della crisi economica del 1929. Dapprima la guerra
s'affacciò su terre lontane dall'Europa. Nel febbraio 1932, infatti, il Giappone
aggredì la Manciuria cinese e impose nella regione un suo governo fantoccio. Ma
tre anni dopo fu una nazione europea, l'Italia fascista, a creare un secondo
focolaio di guerra. Mussolini, che si era presentato in politica estera come un
politico ambiguo, fautore ora della pace stabilita alla Conferenza di Versailles ora
della revisione dei trattati là sottoscritti, superò le sue incertezze: il 3 ottobre 1935
iniziò una guerra spietata, inutile e costosa contro l'Etiopia. La palese impotenza
della Società delle Nazioni, che comminò all'Italia sanzioni formali e inefficaci, lo
indusse a insistere in una politica aggressiva e a legarsi ben presto alla Germania
nazista, stipulando un'intesa con Hitler, l'asse Roma-Berlino (ottobre 1936). Si
trattava di un'intesa formale e non di una vera e propria alleanza, ma indicava la
propensione dell'Italia fascista a seguire in politica estera il bellicoso esempio
nazista. Nello stesso anno si accese poi in Europa il terzo focolaio di guerra: la
guerra civile in Spagna.
I passi determinanti verso la guerra in Europa vennero compiuti però soprattutto
dalla Germania nazista. Hitler, infatti, uscita la Germania dalla Società delle
Nazioni, annunciò nel 1935 la reintroduzione della coscrizione obbligatoria
(preclusa ai tedeschi dagli accordi di Versailles) e penetrò nel marzo 1936 con le
sue truppe nella Renania, che secondo gli accordi doveva restare smilitarizzata.
Nel marzo del 1938, poi, occupò con un atto di forza l'Austria; e il 10 aprile dello
stesso anno un plebiscito sanzionò l'Anschluss, l'annessione dello Stato austriaco
all'Impero tedesco, che fu accettata prima da Mussolini e poi dalla stessa Gran
Il trabocchetto del Trattato di
Versailles
Le tensioni fra i vincitori della
Prima guerra mondiale
I limiti politici degli statinazione
Anni Trenta: i primi venti di
guerra
Le prime iniziative hitleriane
33
Bretagna.
Alle mosse bellicose della Germania nazista le grandi potenze democratiche
europee risposero a lungo con la cosiddetta politica di appeasement, una politica
basata sul presupposto che fosse possibile «ammansire» Hitler accontentandolo
nelle sue rivendicazioni più «ragionevoli» e risarcendo in qualche modo la
Germania del duro trattamento subìto a Versailles. Il presupposto era
fondamentalmente sbagliato, visto che i programmi di Hitler non erano affatto
«ragionevoli». Ma l'idea dell'appeasement, portata avanti soprattutto dal primo
ministro inglese Chamberlain riscosse ugualmente notevole successo perché
rispondeva a una tendenza diffusa nella classe dirigente e nell'opinione pubblica
inglese, incline al pacifismo.
La più coerente opposizione alla politica di Chamberlain venne da un'esigua
minoranza di conservatori che facevano capo a Winston Churchill. Questi
sostenevano che l'unico modo per fermare Hitler fosse quello di opporsi con
decisione a tutte le sue pretese, anche a costo di affrontare subito una guerra.
La Francia, che restava almeno sulla carta la prima potenza militare d'Europa, alle
presa con i problemi di stabilità interna si adattò a una politica timida e oscillante,
sostanzialmente subalterna a quella della Gran Bretagna. E ciò consentì alla
Germania di cogliere una serie di grossi successi senza nemmeno dover mettere alla prova le sue forze armate ancora in fase di ricostituzione.
Esemplare della condiscendenza delle potenze europee fu l’atteggiamento delle
potenze europee a riguardo della questione dei sudeti. La questione austriaca si era
appena chiusa, e già Hitler metteva sul tappeto una nuova rivendicazione anch'essa
fondata su motivi etnici: quella riguardante i sudeti, ossia gli oltre tre milioni di
tedeschi che vivevano entro i confini della Cecoslovacchia. Hitler mirava
apertamente all'annessione della regione dei Sudeti e alla distruzione dello Stato
cecoslovacco e il governo inglese si mostrò ancora una volta propenso ad
accontentare Hitler in quella che avrebbe dovuto essere la sua «ultima richiesta».
Due volte, nel settembre del '38, Chamberlain volò in Germania per sottoporre invano a Hitler ipotesi di compromesso.
Alla fine di settembre, quando ormai l'Europa si stava preparando a una guerra che
sembrava inevitabile, Hitler accettò la proposta di un incontro fra i capi di governo
delle grandi potenze europee (Russia esclusa), lanciata in extremis da Mussolini su
suggerimento dello stesso Chamberlain. Nell'incontro, che si svolse a Monaco di
Baviera il 29-30 settembre 1938, Chamberlain e il primo ministro francese
Daladier accettarono un progetto presentato dall'Italia che in realtà accoglieva quasi
alla lettera le richieste tedesche e prevedeva l'annessione al Reich dell'intero
territorio dei Sudeti. Ai cecoslovacchi, che non erano stati ammessi alla conferenza
e nemmeno consultati, non restò che accettare un accordo che li lasciava alla mercé
della Germania e apriva la strada al dissolvimento della loro Repubblica. I
sovietici, anch'essi tenuti fuori dal tavolo delle trattative, capirono di non poter
contare sulla solidarietà delle potenze occidentali in caso di aggressione tedesca e
ne trassero le conseguenze, abbandonando la politica di alleanza con le democrazie
adottata negli ultimi anni.
L'atteggiamento arrendevole delle potenze europee di fronte al nazismo parve
arrestarsi solo quando, nel marzo 1939, Hitler, proseguendo la sua politica
espansionistica, diede un ultimatum alla Polonia perché gli cedesse la città di
Danzica. Egli voleva cancellare così la «vergogna di Versailles», e cioè il
"corridoio" verso il mare concesso alla Polonia dopo la Prima guerra mondiale.
Francia e Inghilterra minacciarono la guerra in caso di attacco alla Polonia, pur
ammorbidendo subito dopo la loro posizione. Ma nei mesi successivi (tra l'aprile e
l'agosto del 1939) l'incertezza dominò fra i governanti europei. Nel frattempo però
Hitler concluse due patti che, almeno quello con la Russia di Stalin,
dimostravano chiaramente la volontà della Germania nazista di attaccare Francia e
La politica di appeasement
La questione dei sudeti
La Conferenza di Monaco
L’ultimatum alla Polonia
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Inghiltera.
Il primo rinsaldò l'alleanza "naturale" e da tempo avviata tra fascisti italiani e Il Patto d'acciaio e il Patto
nazisti. Mussolini firmò il 22 maggio 1939 il Patto d'acciaio con il Reich, Ribbentrop-Molotov
secondo il quale, se uno dei contraenti fosse stato coinvolto (per propria iniziativa
o in seguito a un'aggressione altrui) in operazioni belliche, l'altro doveva
sostenerlo. A causa dell'impreparazione militare dell'Italia, Mussolini era in una
posizione debole rispetto a Hitler. Tuttavia accettò il patto, pensando di ritardare
al massimo l'intervento militare italiano, malgrado la Germania, senza contare
troppo né sull'Italia né sul Giappone, marciasse spedita verso la guerra, alla quale
si era preparata da tempo. Il secondo, sottoscritto il 27 agosto 1939, prese il nome
dei due ministri degli Esteri che l'avevano firmato: il tedesco Ribbentrop e il
sovietico Molotov. Stalin si era deciso a questo passo, giudicando ormai
improbabile l'alleanza da lui vanamente tentata con Francia e Gran Bretagna. Era
un patto di non aggressione, ma apparve subito più "innaturale" e scandaloso.
Era, infatti, un accordo tra due stati — la Germania nazista e l'Urss comunista —
ideologicamente inconciliabili e, come poi si seppe, un suo protocollo segreto
prevedeva anche la spartizione della Polonia fra Urss e Germania. Inoltre,
mutando ancora una volta rotta, Stalin sacrificava la precedente politica
antifascista dei Fronti popolari avviata dal 1934-35 e spiazzava di fronte
all'opinione pubblica dei loro paesi gli stessi partiti comunisti europei che
l'avevano seguita. Il patto si rivelò un fallimento per la stessa Unione Sovietica:
Hitler non rinunciò ad attaccarla di lì a poco, come invece sperava Stalin, e il
paese si trovò del tutto impreparato di fronte all'aggressione nazista.
VERSO LA SECONDA GUERRA MONDIALE
1924
Piano Dawes rinegoziazione dei debiti di guerra
1925
accordi di Locarno la Germania accettò la perdita di Alsazia e Lorena, inaugurando un clima di
distensione con la Francia
1933
Salita al potere di Hitler
1935
Hitler reintroduce la coscrizione obbligatoria
Conferenza di Stresa (aprile) condanna del riarmo tedesco
URSS e Francia stipulano un'alleanza militare
L’Italia invade l’Etiopia
I936
Hitler rimilitarizza la Renania
Asse Roma-Berlino (ottobre): accordo tra Italia e Germania
Guerra civile in Spagna (1936-39)
1938
Hitler occupa con un atto di forza l'Austria
Hitler occupa i Sudeti
Conferenza di Monaco (29-30 settembre) Francia, Inghilterra e Italia riconoscono l’annessione dei
Sudeti
1939
Patto d'acciaio tra Germani e Italia (maggio)
Patto Ribbentrop – Molotov tra Germania e URSS (agosto)
Invasione tedesca della Polonia (settembre)
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6. LA FORMAZIONE DEI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI E DELLA
QUESTIONE MEDIORIENTALE
In Medio Oriente, dopo il crollo dell'Impero ottomano, si assistette al diffondersi di
movimenti nazionalisti arabi, alimentati dal mancato mantenimento delle promesse di
indipendenza e dall'insofferenza per l'imposizione del sistema dei mandati,
attraverso cui veniva affidato dalla Società delle Nazioni alle maggiori potenze
l’amministrazione di paesi e popoli a cui si prometteva una futura indipendenza.
L'Inghilterra, pur riconoscendo l'indipendenza di Iraq, Transgiordania ed Egitto,
mantenne su questi territori un forte controllo economico e commerciale, mentre i
francesi dovettero fare delle concessioni in Siria e in Libano a seguito delle
numerose rivolte anticoloniali.
In Palestina, incoraggiate tra l'altro dalle dichiarazioni del ministro inglese Balfour
(1917), che affermava di guardare con favore alla fondazione di uno Stato
ebraico, si moltiplicarono le comunità ebraiche immigrate aderenti al movimento
sionista (fondato da Herzl nel 1897). Questo processo innescò presto forti tensioni
con la popolazione araba.
La Turchia trovò le forze per riscattarsi sotto la guida di Mustafa Kemal, un
ufficiale appartenente al movimento politico dei Giovani turchi. Conquistata
l'indipendenza, la Turchia ottenne, con il trattato di Losanna (1920) il riconoscimento del suo controllo sull'Anatolia e sugli Stretti; e Kemal (denominato
Atatürk, “padre dei turchi”) si dedicò a trasformare il suo paese in una repubblica
improntata a principi di laicità (nonostante l'opposizione dei musulmani
tradizionalisti) e ad assecondarne la modernizzazione.
Anche in India, deluse le aspettative di trasformazione in dominion alimentate
dall'Inghilterra durante la guerra, si inasprirono le rivendicazioni autonomistiche. In
questo contesto, l'iniziativa di Gandhi, che faceva leva sul recupero
dell'induismo e delle istanze di rigenerazione dell'intera società attraverso gli
strumenti della lotta non violenta, della disobbedienza civile e della resistenza
passiva (satyagraha), raccolse una vasta adesione di massa. La battaglia per
l'indipendenza, ancorché repressa violentemente dagli inglesi (come nel massacro di
Amritsar) riuscì tuttavia a conseguire risultati positivi, come il primo Government
of India Act (1935), che concedeva una più ampia autonomia ai rappresentanti
locali.
Traendo vantaggio dagli esiti della guerra e dall'alleanza vittoriosa con Francia e
Inghilterra, il Giappone invece iniziò la sua ascesa in Asia conquistando ampie zone
di controllo in Estremo Oriente. In politica interna il paese si presentava come un
sistema parlamentare caratterizzato da un profondo conservatorismo, all'interno del
quale maturò un movimento nazionalista fondato sul culto dell'imperatore e su
un'ideologia imperialista.
In seguito alla crisi del '29, per rispondere alle difficoltà economiche del paese venne
intrapresa, col sostegno dell'esercito, una politica espansionistica verso la Cina, che
prese avvio nel 1931 con l'occupazione della Manciuria. I militari assunsero un peso
crescente nella vita pubblica giapponese, fino alla costruzione di un regime
autoritario. La politica estera aggressiva perseguita dal governo si basava inoltre
su una concezione esplicitamente bellicistica e razzista.
In Cina, nel corso degli anni venti, l'alleanza tra i nazionalisti del Guomindang e i comunisti, prima uniti nella lotta contro il governo di Pechino dominato dai “signori”
della guerra, si incrinò quando, alla morte di Sun-Yat-sen (1925), il capo dell'esercito
nazionalista Chiang Kai-shek divenne il massimo leader politico. L'esercito
nazionalista si scontrò nel 1927 con l'esercito comunista per i controllo di Pechino:
dopo averla conquistata, i nazionalisti misero fuori legge il partito comunista e
spostarono la sede del governo a Nanchino. I nazionalisti di Chiang Kai-shek
36
aspiravano a una modernizzazione del paese sul modello occidentale, ma di fronte
a diverse difficoltà furono costretti ad abbandonare i progetti di riforma, a
cominciare da quella agraria. I comunisti nel frattempo si riorganizzarono in
clandestinità sotto la guida di Mao Zedong, cercando consensi fra i contadini delle
campagne. Di fronte alle “campagne di annientamento” lanciate dai
nazionalisti nell'ambito di quella che era diventata una sanguinosa guerra civile,
l'Armata rossa di Mao iniziò un ripiegamento nel Nord del paese, che durò circa un
anno (la “lunga marcia”). Solo di fronte alla sempre più pressante minaccia
giapponese, entrambe le parti conclusero nel 1937 un accordo per la costituzione
di un fronte comune contro l'invasore.
CRONOLOGIA 1918- 1940
1918
Conferenza di pace di Parigi (18gennaio)
Viene promulgata la Costituzione della Repubblica federale socialista russa
Guerra civile russa (1918-21)
1919
“Biennio rosso” (1919-20)
Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento (23 marzo)
Elezioni politiche
G. D’Annunzio occupa Fiume(settembre)
Don Sturzo fonda il Partito popolare italiano
Nasce la società delle nazioni (28aprile)
Trattato di Versailles (28 giugno)
Repubblica di Weimar (1919-33)
1920
Occupazione delle fabbriche (settembre)
Trattato di Rapallo (12 novembre)
Gandhi inizia la resistenza non violenta contro la Gran Bretagna
1921
Scissione dal Partito socialista e nascita del Partito comunista d’Italia(gennaio)
I Fasci italiani si costituiscono in Partito nazionale fascista (Pnf) (novembre 1921)
Elezioni politiche
Lenin inaugura la nuova politica economica (Nep)
1922
Sciopero legalitario (agosto)
Marcia su Roma(28 ottobre)
Mussolini presidente del Consiglio dei Ministri
Nasce il Gran consiglio del fascismo (dicembre)
Nasce l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (30 dicembre)
Stalin è eletto segretario del Pcus
1923
Istituzione della «Milizia volontaria per la sicurezza nazionale» (gennaio)
Riforma Gentile della scuola pubblica
Legge Acerbo e introduzione sistema elettorale maggioritario
Il generale Miguel Primo de Rivera prende il potere in Spagna
Nasce la repubblica turca
1924
Affermazione del «listone» fascista alle elezioni (aprile 1924)
37
Omicidio Matteotti (10 giugno)
Secessione dell’Aventino
Piano Dawes rinegoziazione dei debiti di guerra della Germania
1925
Mussolini rivendica alla camera dei deputati la responsabilità morale del delitto Matteotti ( 3 gennaio)
Promulgazione delle «leggi fascistissime» (1925-26)
Accordi di Locarno
Hindenburg eletto presidente in Germania
1927
Promulgazione della «Carta del Lavoro» (aprile)
Trotzkij, Zinov'ev e Kamenev vengono fatti espellere e poi esiliati da Stalin
Guerra civile in Cina (1927-34)
1929
Firma dei Patti lateranensi (11 febbraio)
Plebiscito del 24 marzo
Crollo della borsa di New York e crisi dell’economia mondiale
In URSS viene lanciato il primo Piano quinquennale
1931
Proclamazione della repubblica in Spagna (1931-1939)
1932
Roosevelt presidente USA
Salazar instaura un regime dittatoriale in Portogallo (1932-1974)
Occupazione giapponese della Manciuria cinese
1933
Hitler diventa cancelliere (30 gennaio)
1934
Conferenza di Stresa (aprile) condanna del riarmo tedesco
URSS e Francia stipulano un'alleanza militare
Hitler diventa presidente della Repubblica e capo dell’esercito
Iniziano le “grandi purghe” staliniane
“Lunga marcia” di Mao Zedon
1935
Mussolini invade l’Etiopia(3 ottobre)
Leggi di Norimberga (15 settembre)
Government of India Act
1936
Asse Roma-Berlino
Il Fronte popolare di Léon Blum vince le elezioni in Francia (1936-1937)
Guerra civile spagnola (1936-39)
1938
Introduzione delle leggi razziali in Italia (1 settembre)
Hitler occupa con un atto di forza l'Austria
Hitler occupa i Sudeti
Conferenza di Monaco (29-30 settembre)
1939
Patto d’Acciaio tra Italia e Germania (maggio)
Patto Ribbentrop – Molotov tra Germania e URSS (agosto)
Hitler invade la Polonia: inizia la II Guerra Mondiale (1 settembre)
1940
L’Italia entra in guerra (10 giugno)
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