4. IL REGIME NAZISTA IN GERMANIA La repubblica di Weimar e la crisi della società tedesca dopo la Prima guerra mondiale La crisi del 1929 in Germania e la fine della repubblica di Weimar Hitler al potere La repubblica di Weimar e la crisi della società tedesca dopo la Prima guerra mondiale La Germania, appena uscita sconfitta dalla Prima guerra mondiale, visse un Il dopoguerra e la repubblica di dopoguerra particolarmente difficile. Il 9 novembre 1918 il kaiser Guglielmo II Weimar aveva abdicato ed era fuggito. Nelle principali città il potere era nelle mani dei consigli degli operai e dei soldati legati ai socialisti. Le altre forze politiche, quelle della destra conservatrice ma anche quelle del Zentrum (Centro), composto la liberali e cattolici, apparivano deboli e disorientate. Per trovare una soluzione alla crisi politica, fu formato un governo provvisorio composto da sei commissari del popolo, tutti appartenenti all'ala moderata del Spd (Partito socialdemocratico tedesco). Subito fu scartata l'ipotesi di costruire una «repubblica socialista», come voleva la Lega di Spartaco, l’ala radicale dello stesso Spd3. Nacque così la repubblica di Weimar (così fu chiamata dal nome della città dove fu convocata l'Assemblea costituente). Essa rimase in vigore fino al 1933, quando Hitler prese il potere, e Weimar divenne una capitale culturale di straordinaria vitalità (il grande architetto W. Gropius vi eresse, ad esempio, tra il 1919 e il 1925, il Bauhaus, uno dei fondamentali centri propulsori dell'architettura e dell'arte moderne). Fu una soluzione di compromesso, concordata fra Spd ed esercito: permise di avviare importanti risultati sul piano sociale (giornata lavorativa di otto ore, assistenza ai disoccupati, divieto dei licenziamenti arbitrari, suffragio universale maschile e femminile, ecc.), ma evitò qualsiasi ridimensionamento dei precedenti 3 La linea moderata scelta dalla Spd portava fatalmente allo scontro con le correnti più radicali del movimento operaio tedesco: i rivoluzionari della Lega di Spartaco (nucleo originario del Partito comunista tedesco). Questi ultimi si opponevano infatti alla convocazione della Costituente e puntavano tutto sui consigli, visti come cellule costitutive di una nuova «democrazia socialista». Gli spartachisti erano però consapevoli di essere nettamente minoritari, anche all'interno dei consigli operai, e avrebbero evitato volentieri un'immediata prova di forza contro i socialdemocratici. Fu l'iniziativa spontanea delle masse della capitale a spingerli verso lo scontro. II 5-6 gennaio 1919, centinaia di migliaia di berlinesi scesero in piazza per protestare contro la destituzione di un esponente della sinistra dalla carica di capo della polizia della capitale. I dirigenti spartachisti e alcuni leader «indipendenti» decisero allora di approfittare di questa mobilitazione di massa e diffusero un comunicato in cui si incitavano i lavoratori a rovesciare il governo. Ma la risposta del proletariato berlinese fu inferiore alle aspettative. Durissima fu invece la reazione del governo socialdemocratico che affidò l'incarico di fronteggiare la rivolta al commissario alla Difesa Gustav Noske. Questi, non potendo contare su un esercito efficiente, si servì per la repressione di squadre volontarie (i cosiddetti Freikorps, ossia «corpi franchi») formate da soldati smobilitati e inquadrate da ufficiali di orientamento nazionalista e conservatore. Nel giro di pochi giorni i Freikorps schiacciarono nel sangue l'insurrezione berlinese. I leader del movimento spartachista, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, furono arrestati e trucidati da ufficiali dei corpi franchi. 25 poteri (quello dell'esercito, guidato da generali conservatori, o quello degli industriali). La nuova repubblica si rivelò dunque fragile e incapace di convogliare il consenso dell'ala della sinistra più intransigente; mentre una destra forte e radicale si opponeva alla sua politica riformista. Alle elezioni del 1920 l'opposizione di sinistra ottenne il 20% dei consensi; quella di destra il 28%: le basi sociali del riformismo weimariano apparivano assai incerte. La fragilità della repubblica di Weimar, oltre che dallo scontro civile fra socialdemocrazia e spartachisti, era aggravata anche dalle umilianti condizioni imposte alla Germania sconfitta secondo le quali il paese avrebbe dovuto privarsi, per quasi mezzo secolo, di un quarto del suo prodotto nazionale per pagare i debiti di guerra. I governi di coalizione che si succedettero fra il '21 e il '23 si impegnarono comunque a pagare le prime rate delle riparazioni; ma, per non rendersi ulteriormente impopolari agli occhi di un'opinione pubblica già esasperata, evitarono interventi troppo drastici sulle tasse e sulla spesa pubblica: quindi furono costretti ad aumentare la stampa di carta-moneta. Il risultato fu che in pochi mesi il valore del marco precipitò a livelli impensabili (5 milioni di marchi per un dollaro in luglio, 200 miliardi in settembre, 4000 miliardi in novembre) e il suo potere d'acquisto fu praticamente annullato: un chilo di pane giunse a costare 400 miliardi, un chilo di burro 5000. Le conseguenze di questa polverizzazione della moneta furono sconvolgenti. Lo Stato stampava banconote in quantità sempre maggiore e con valore nominale sempre più alto (un milione, un miliardo, cento miliardi e così via). Dall’inflazione furono colpiti duramente i lavoratori salariati, ma anche l'intero ceto medio (dipendenti pubblici a reddito fiso, piccoli risparmiatori, pensionati, piccoli imprenditori, ecc.), trascinato improvvisamente nella miseria. Se ne avvantaggiarono invece i proprietari di immobili e i grandi gruppi industriali (l'inflazione azzerava i loro debiti presso banche o privati). La società tedesca si polarizzava: i ceti medi si declassavano, avvicinandosi alle temute condizioni di vita del proletariato, anch'esso tra l'altro sempre più disgregato - massificato, e la ricchezza si concentrava nelle mani dei grandi gruppi industriali, i cartelli chimici (IG Farben), elettromeccanici (Philips) o siderurgici (Krupp). Le sanzioni scaturite dalla pace di Versailles vennero denunciate da una virulenta campagna propagandistica delle forze di destra. Esse, tacevano le responsabilità tedesche sull’avvio della Prima guerra mondiale, accusavano i socialisti di essere i responsabili sia della sconfitta militare che dell'accettazione di una pace umiliante e, inoltre, attaccavano gli ebrei (gli «affaristi ebraici»), indicati quali colpevoli del disastro economico. Intanto molti ex ufficiali e sottufficiali, frustrati dalla smobilitazione imposta all'esercito tedesco, aderivano ai Freikorps (`corpi franchi', formazioni militari), che ormai operavano senza il controllo del governo, uccidendo più di 350 persone in attentati terroristici. È in quest'area operava anche la piccola formazione di estrema destra del Partito operaio tedesco, poi rinominata National Sozialistische Deutsche Arbeiter Partei (Nsdap, Partito operaio tedesco nazionalsocialista) di Adolf Hitler, che nel 1921 si dotava di un apparato militare, le Sa (Sturm Abteilungen, `sezioni d'assalto') o «camicie brune». Affascinato da Mussolini, nel 1923 Hitler tentava un putsch (rivolta) a Monaco in Baviera. La grande inflazione del '23 avevano comunque lasciato segni profondi nella società tedesca, infatti la classe dirigente tedesca si spostò su posizioni sempre più conservatrici e le grandi potenze capitalistiche occidentali si impegnarono per evitare che la crisi tedesca potesse provocare ripercussioni internazionali destabilizzanti. Una vera stabilizzazione infatti non sarebbe stata possibile senza un accordo con i vincitori sulle riparazioni. L'accordo fu trovato, all'inizio del 1924, sulla base di Le conseguenze delle sanzioni internazionali e il rafforzamento delle forze di destra La svolta conservatrice della repubblica 26 un piano elaborato da un finanziere e uomo politico statunitense, Charles G. Dawes. Il piano si basava sul principio che la Germania avrebbe potuto far fronte ai suoi impegni solo se fosse stata messa in grado di far funzionare al meglio la sua macchina produttiva: prevedeva quindi che l'entità delle rate da pagare fosse graduata nel tempo e che la finanza internazionale, in particolare quella statunitense, sovvenzionasse lo Stato tedesco con una serie di prestiti a lunga scadenza. Due governi, quello del conservatore Stresemann e del cattolico Wilhelm Marx, si posero l'obiettivo della stabilità politica e monetaria della Germania di Weimar. Questi provvedimenti favorirono la ripresa economica, ma a prezzo di altre scelte antipopolari. Le forze conservatrici riprendevano il controllo del paese: nel 1925, dopo la morte di Friedrich Ebert, presidente dal 1919 al 1925, fu eletto presidente un tipico esponente del conservatorismo tedesco, il maresciallo Hindenburg. La sua elezione fu favorita anche dalla mancata alleanza fra moderati e comunisti (questi presentarono infatti un loro candidato). La Germania tornava a essere un paese fortemente industrializzato, con un proletariato esteso, un nuovo ceto medio più moderno e ristretto (impiegati d'alto livello, funzionari, manager) e una potente borghesia. La ristrutturazione industriale aveva ridotto il numero degli operai professionalizzati e sindacalizzati (base tradizionale della socialdemocrazia), facendo emergere un proletariato dequalificato e politicamente più instabile. La socialdemocrazia, che aveva nel 1919 sottoscritto il compromesso con esercito e industriali e aveva eliminato le spinte rivoluzionarie alla sua sinistra, si trovò sempre più in difficoltà, mentre le organizzazioni del movimento operaio continuavano a declinare. La crisi del 1929 in Germania e la fine della repubblica di Weimar di Weimar Su questa Germania socialmente e politicamente impoverita ma in ripresa economica, si abbatté la crisi mondiale del 1929; essa scatenò processi sociali incontrollabili, che portarono alla paralisi del sistema politico e all’ascesa travolgente del nazionalsocialismo, il quale fino ad allora era stato una forza del tutto minoritaria nella società tedesca. «Fu la Grande crisi a trasformare Hitler da personaggio ai margini della scena politica nel padrone potenziale, e infine effettivo, del paese» (Hobsbawm). L'avanzata dei nazisti e il complementare disfacimento della debole e impopolare democrazia di Weimar avvennero in tre fasi. Gli storici le hanno così indicate: 1) la «crisi di efficienza» del governo di Heinrich Brüning (1930-32); 2) la «crisi d’autorità» dei governi di Franz von Papen e Kurt von Schleicher (1932-33); 3) la «presa del potere» da parte di Hitler (1933). La «crisi di efficienza» del governo di H. Brüning (1930-32). La crisi del 1929 aumentò di colpo la disoccupazione in Germania. Il numero dei senza lavoro raggiunse i sei milioni, la produzione industriale crollò, diminuirono le entrate fiscali. Il governo di centro-sinistra del socialdemocratico Hermann Muller, in carica dal 1928, non riuscì a gestire una credibile politica sociale e nel 1930 si dimise. Allora il presidente Hindenburg nominò cancelliere Brüning, leader del Zentrum gradito alla destra conservatrice. In due giorni questi formò il nuovo governo, inaugurando una pratica di gestione extraparlamentare della crisi, divenuta poi consuetudine. Egli però non aveva la maggioranza in parlamento. Costretto a chiedere appoggi ora a destra ora alla Spd, governò aggirando il controllo del parlamento. Ma la politica economica di Brüning restò lo stesso contraddittoria e debole, aggravando l'indebitamento dello stato. Né seppe opporsi alla propaganda della destra e al rafforzamento delle Sa, che continuavano le loro La crisi del ’29 e la salita al potere di Hitler: le fasi 1 - La «crisi di efficienza» del governo di Heinrich Brüning (1930-32) 27 aggressioni criminali contro gli avversari politici. Le elezioni del settembre 1930 segnarono il suo fallimento: invece di rafforzare il suo governo, come Brüning sperava, le elezioni indebolirono tutti i partiti del centro (Spd, Zentrum, liberaldemocratici e liberalnazionali) che non superarono il 47% dei seggi. La «crisi d'autorità» dei governi di Franz von Papen e Kurt von Schleicher (1932- 2 - La «crisi d'autorità» dei 33). Mentre Brüning e i suoi sostenitori (il «fronte di Brüning») s'indebolivano, la governi di Franz von Papen e Germania era sempre meno governabile. La crisi economica radicalizzava le mas- Kurt von Schleicher (1932-33) se degli elettori e le spingeva a votare i partiti estremi: nazionalsocialisti e comunisti. Ne trasse vantaggio soprattutto il partito nazionalsocialista di Hitler. Esso riuscì ad ampliare le sue alleanze, trascinando con sé gli altri partiti di destra, la «destra nobile» (alcuni principi, alti ufficiali) e i rappresentanti della grande finanza e dell'industria pesante, nel cosiddetto «fronte di Harzburg» (l'11 ottobre 1931, a Bad Harzburg, queste forze tennero una grande adunata dimostrativa). Si arrivò così alle presidenziali dell'aprile 1932: l'ultraottuagenario Hindenburg, votato persino dai suoi tradizionali avversari socialdemocratici, ottenne il 53% dei voti, Hitler circa il 37% e il candidato comunista appena il 10%. Poco dopo Hindenburg, senza per nulla rispettare il mandato del suo elettorato, costrinse Brüning dimettersi e lo sostituì con un proprio uomo di fiducia, il maggiore di cavalleria Franz von Papen cattolico e vicino alla destra agraria tedesca. Il governo von Papen durò sette mesi. Alle elezioni del luglio 1932, richieste esplicitamente da Hitler per decidere se appoggiare o meno il governo dall'esterno, il partito nazionalsocialista ottenne la maggioranza relativa con il 37,4% e 230 seggi in parlamento. Hitler allora respinse sdegnato la carica di vicecancelliere offertagli da von Papen e pretese tutto il potere. Dopo una temporanea sostituzione di von Papen con il generale Kurt von Schleicher, altro collaboratore di Hindenburg ed esponente della medesima ala conservatrice dell'esercito, il 30gennaio 1933 Hitler fu nominato cancelliere. Come nel caso di Mussolini nell'Italia del 1922, il governo di coalizione di Hitler, oltre a due ministri nazisti, comprendeva esponenti dei partiti conservatori e dell'esercito e molti s'illusero che le nuove responsabilità di governo avrebbero «normalizzato» il nazismo. Hitler al potere La «presa del potere» da parte di Hitler (1933). Hitler, invece, ristrutturò rapidamente lo stato secondo i criteri del nazismo. Sciolse il parlamento e indisse nuove elezioni per il 5 marzo del 1933. Creò anche un corpo di polizia ausiliaria di fedelissimi del partito. Epurò sistematicamente la pubblica amministrazione e fece chiudere più di 150 giornali d'opposizione. Inoltre le Sa ebbero mano libera contro gli oppositori di sinistra e di centro da Herman Goering, allora ministro dell'Interno della Prussia. Quando poi il 27 febbraio 1933, a pochi giorni dal voto, fu appiccato un incendio al Reichstag (sede del parlamento tedesco), Hitler ne attribuì la responsabilità ai comunisti (solo più tardi fu provata la responsabilità di un olandese isolato), e, denunciando un presunto tentativo di insurrezione, sospese i diritti fondamentali e fece arrestare oltre 4.000 militanti comunisti. Le elezioni del 5 marzo 1933, svoltesi in un clima d'intimidazione, diedero il 43,9% al Partito nazionalsocialista, che, insieme all'8% dei voti del Partito nazionale tedesco, aveva ormai la maggioranza assoluta. Messo fuori legge il partito comunista, contro Hitler votarono in parlamento solo i 94 deputati socialisti. Nessuno più tentò di ostacolarlo politicamente: fu una capitolazione senza lotta. Anche il potente sindacato socialdemocratico - che, sperando di 3 - La «presa del potere» da parte di Hitler (1933) La costruzione dello stato totalitario 28 salvare il suo apparato, aveva accettato di partecipare alla manifestazione governativa del 1° maggio - vide il giorno dopo tutte le sue sedi occupate e i suoi dirigenti arrestati. Il 14 luglio 1933 tutti i partiti erano posti fuori legge. Hitler poté così vantarsi di averli annientati ed estirpati dal popolo tedesco. La costruzione dello stato totalitario nazista passò anche attraverso l'eliminazione fisica di esponenti del Partito nazionalsocialista. Quelli fra loro che più avevano preso sul serio la componente «socialista» del partito e usato un linguaggio accesamente anticapitalista, ora che il potere era conquistato s'illusero di poter realizzare una «seconda rivoluzione» nazionalizzando interamente l'economia o addirittura integrando l'esercito tedesco nelle Sa. Ma, nella notte del 30 giugno 1934 («la notte dei lunghi coltelli»), l'intero stato maggiore delle Sa di Ernst Röhm fu convocato con un espediente e massacrato da reparti di Ss, le formazioni militarizzate del Partito nazista. Questa drastica epurazione nello stesso partito di Hitler tranquillizzò definitivamente esercito e industria. E il 2 agosto 1934, morto Hindenburg, abolendo il titolo di Presidente dela repubblica, Hitler poté autonominarsi Fiihrer e cancelliere (Reichkanzler). Era solo a lui che i soldati giuravano fedeltà e lui solo poteva legiferare. Lo stato come emanazione diretta della volontà del suo capo (secondo la formula nazionalsocialista «un unico popolo, un unico movimento, un unico Führer») diventava una realtà, mentre i ministeri più importanti passavano tutti in mano nazista. Contemporaneamente, fin dai primi giorni della presa del potere, era cominciata sistematica quella persecuzione antisemita tanto spesso annunciata dalla propaganda nazista, e che assumerà con il tempo e soprattutto durante la Seconda guerra mondiale le forme del genocidio razzista. La discriminazione fu ufficialmente sancita, nel settembre 1935, dalle cosiddette leggi di Norimberga che tolsero agli ebrei la parità dei diritti conquistata nel '48 e proibirono i matrimoni fra ebrei e non ebrei (largamente diffusi nella Germania prenazista). Alla discriminazione «legale» si accompagnava una crescente emarginazione dalla :vita sociale: il che spinse molti ebrei — circa 200.000 fra il '33 e il ad abbandonare la Germania. La persecuzione anti-semita subì un'ulteriore accelerazione a partire dal novembre 1938, quando, traendo pretesto dall'uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi per mano di un ebreo, i nazisti organizzarono un gigantesco pogrom in tutta la Germania. Quella fra 1'8 e il 9 novembre '38 fu chiamata «notte dei cristalli» per via delle molte vetrine di negozi appartenenti a ebrei che furono infrante dalla furia dei dimostranti. Ma vi furono conseguenze ben più gravi: sinagoghe distrutte, abitazioni devastate, decine di ebrei uccisi e migliaia arrestati. Il regime di Hitler affrontò la crisi economica con misure militari e tecniche efficaci, che colpirono enormemente l'opinione pubblica. Fu attuato un imponente programma di lavori pubblici (soprattutto autostrade e canali). Fu imposto il lavoro coatto a decine di migliaia di disoccupati e fu rilanciata la produzione industriale di automobili. L'intervento dello stato nell'economia non divenne però mai predominante. S'intrecciò invece saldamente con il sistema privato, tanto che al vertice della burocrazia statale si ritrovavano spesso alti esponenti di imprese private. Anche il lavoro delle campagne fu riorganizzato secondo l'ideologia ruralista e razzista del partito: un terzo delle fattorie, per esempio, doveva appartenere a tedeschi «purosangue». Ma a determinare la ripresa economica tedesca fu soprattutto il massiccio sforzo che Hitler compì per riarmare la Germania, contravvenendo alle clausole del Trattato di Versailles. Così, in breve tempo, la Germania raggiunse la piena occupazione: i circa sei milioni di disoccupati del 1933 si ridussero a un milione nel 1936, e nel 1938 l'industria tedesca dichiarò un deficit occupazionale di circa un milione di lavoratori, mentre i salari (almeno della manodopera specializzata) aumentavano. Hitler non si preoccupò, come i precedenti governi, di pareggiare il bilancio né di «La notte dei lunghi coltelli» La persecuzione antisemita La politica economica, sociale e militare del Terzo Reich 29 procurare la copertura finanziaria per le enormi spese richieste da questa politica di riarmo: il bilancio dell'esercito, che era del 4% nel 1933, salì al 18% nel 1934, al 39% nel 1936 e toccò il 50% nel 1938. Sempre nel 1938 i debiti del Terzo Reich raggiunsero i 57 miliardi di marchi. I suoi creditori internazionali, dichiarando più o meno in buona fede che i «favori» da loro concessi alla Germania le avrebbero evitato avventure belliche, non posero mai vincoli alla concessione di prestiti. E Hitler, forte del consenso popolare e del sostegno dei grandi gruppi economici mondiali, poté rafforzare l'industria pesante e quella chimica in alcune zone chiave del territorio tedesco e collegare Berlino ai nuovi centri industriali con una gigantesca rete viaria, che gli servirà poi per il rapido spostamento delle truppe durante le già guerre di conquista. 5. VERSO LA SECONDA GUERRA MONDIALE La crisi del ’29 e l’instabilità politica degli anni trenta Alla vigilia della Seconda guerra mondiale La crisi del ’29 e l’instabilità politica degli anni trenta Le conseguenze della crisi del ’29 non investirono solo le strutture economiche (il Le conseguenze della crisi del mercato e la produzione) e istituzionali (lo Stato) del capitalismo. Ne risentirono ’29: l’instabilità politica tra anche gli equilibri politici e le formule governative dei vari Paesi. fascismo e Fronti popolari A parte la Germania, in cui la crisi fu determinante per la salita al potere di Hitler, anche negli altri paesi europei nelle lacerazioni aperte dalla crisi affiorarono pulsioni incontrollabili, che rilanciavano il fascino seduttivo della violenza ereditato dalla Prima guerra mondiale. Furono soprattutto i movimenti di estrema destra a sfruttare questo clima incandescente. In Francia, proprio a partire dal 1929, si delineò la virulenta presenza dell'Action Française, diretta da Charles Maurras, che opponeva ai simboli della tradizione rivoluzionaria (libertà, uguaglianza, fraternità) quelli del nuovo fascismo (ordine, autorità, nazione). La strategia politica dei partiti del movimento operaio venne invece determinata dalla svolta che si registrava in quegli anni nella politica estera dell’URSS. Fino al '33 la sua politica estera si era ispirata a una linea dura e spregiudicata: rifiuto dei trattati di Versailles, nessuna distinzione fra Stati fascisti e democrazie borghesi. I successi di Hitler, che non aveva mai fatto mistero di quali fossero i suoi progetti nei confronti della Russia, indussero Stalin a modificare radicalmente le precedenti impostazioni. Nel settembre '34 l'Urss entrò nella Società delle nazioni e nel maggio '35 stipulò un'alleanza militare con la Francia. Questa brusca svolta diplomatica ebbe immediato riscontro in un altrettanto rapido capovolgimento della linea seguita dal Comintern e dai partiti comunisti europei. Fu improvvisamente accantonata la tattica della contrapposizione frontale nei confronti delle forze democratico-borghesi e più ancora delle socialdemocrazie (già accusate di favorire «oggettivamente» il fascismo o addirittura di costituire «un'ala del fascismo», da cui l'espressione polemica socialfascismo): tattica che tanto aveva contribuito a isolare il movimento comunista e a spianare la strada al nazismo in Germania. La nuova parola d'ordine, lanciata ufficialmente nel VII congresso del Comintern (Mosca, agosto 1935) fu quella della lotta al fascismo, 30 indicato ora come il primo e il principale nemico. Ai partiti comunisti spettava il compito di riallacciare i rapporti non solo con gli altri partiti operai, ma anche con le forze democratico-borghesi, di favorire ovunque possibile la nascita di larghe coalizioni dette fronti popolari (dove l'aggettivo stava a indicare il passaggio in secondo piano degli obiettivi più propriamente socialisti), di appoggiare i governi democratici decisi a combattere il fascismo. L'avvicinamento fra l'Urss e le democrazie e il rilancio della politica di sicurezza collettiva non bastarono a fermare, nel '35, l'aggressione dell'Italia fascista all'Etiopia; né poterono impedire che, nella primavera del '36, Hitler violasse un'altra clausola di Versailles reintroducendo truppe tedesche nella Renania «smilitarizzata». Il solo risultato concreto della politica dei fronti popolari fu quello di restituire un minimo di unità al movimento operaio europeo, per la prima volta dopo la grande rottura della rivoluzione russa, e di ridare così alla sinistra l'opportunità di assumere il governo nelle democrazie occidentali. Nel febbraio 1936, una coalizione di fronte popolare comprendente anche i comunisti vinse le elezioni politiche in Spagna. Nel maggio dello stesso anno, in Francia il netto successo elettorale delle sinistre aprì la strada alla formazione di un governo composto da radicali e socialisti, sostenuto dall'esterno dai comunisti e presieduto dal socialista Léon Blum. In Francia gli effetti della crisi erano giunti più tardi e in parte attenuati, ma il Il Fronte popolare in Francia livello di stabilità istituzionale ne era stato comunque investito in pieno. Dopo il ritiro di Raymond Poincaré (1929), alla guida del governo erano andati esponenti conservatori poi, tra il 1932 e il 1938, si susseguirono coalizioni di partiti eterogenee e diverse; nel 1932, le elezioni fecero registrare la vittoria delle sinistre e due successivi governi in cui erano i radicali ad avere la maggioranza; a questi subentrarono due governi di "unione nazionale" (coalizione di tutti i parti ti tranne le sinistre) e, nel 1936, il Fronte popolare: l'alleanza di tutte le forze di sinistra (comunisti e socialisti compresi) formò il governo capeggiato da Léon Blum (1936-1937). Proprio in questo periodo, con gli accordi sindacali di Palais Matignon (7 giugno 1936), si vararono i provvedimenti più significativi per attenuare gli effetti sociali della crisi: riconoscimento dei contratti collettivi di lavoro e dei diritti sindacali; maggiorazione dei salari più bassi del 15%, dei più alti del 7%; istituzione dei delegati operai negli stabilimenti con più di dieci dipendenti; orario di lavoro fissato a quaranta ore settimanali, con due settimane di ferie all'anno. Quello del Fronte popolare fu però un intermezzo di breve durata. Ampi strati della popolazione, soprattutto tra i ceti medi urbani, manifestavano apertamente la propria insofferenza per la democrazia parlamentare, giudicata corrotta e inefficiente, lasciandosi sedurre dal miraggio di soluzioni autoritarie. Le forze di sinistra erano a loro volta divise: i comunisti premevano su Blum per rendere più incisiva la sua azione governativa, mentre molto più cauti sulla via delle riforme erano i radicali. Il Fronte popolare era così due volte debole: per i dissidi interni alla sua coalizione e per la pressione di uno schieramento di opposizione in cui si riconosceva tutto il blocco economico dominante. Lo "sciopero del capitale", come allora fu definita la scelta del grande padronato di esportare i capitali all'estero e bloccare gli investimenti, diede a Blum il colpo di grazia (si dimise nel giugno 1937). Nel 1938, il nuovo governo Daladier sconfessò gli accordi di Matignon. I partiti di sinistra erano allo sbando e il sindacato dei socialisti e dei comunisti, la CGT (Confederation Generale du Travail), si frantumò, perdendo oltre metà dei propri iscritti. Nella Spagna, dominata dal latifondo e da poche isole di sviluppo industriale, un La Guerra civile spagnola forte conflitto di classe, che aveva già portato nel 1931 all'esilio volontario del re (1936-39) e alla proclamazione della repubblica, arrivò al suo culmine, dopo la vittoria alle 31 elezioni del 1936 del cosiddetto «Fronte popolare», composto dalle sinistre (repubblicani, socialisti, comunisti). Il suo programma di governo era abbastanza moderato; ma la destra spagnola (grandi proprietari e mondo cattolico conservatore) rifiutò il risultato elettorale, si unificò attorno alla Falange, un partito di tipo fascista fondato nel 1933 dal generale Primo de Rivera, e ricorse ad azioni terroristiche, minacciando il colpo di stato. Nei mesi successivi, mentre il governo delle sinistre si rivelava debole e diviso e in tutto il paese si svolgevano disordinatamente scioperi, occupazioni di terre e di fabbriche e azioni violente contro i rappresentanti più odiati del precedente regime, la chiesa e gli antichi proprietari terrieri, un gruppo di ufficiali a capo dell'esercito di stanza in Marocco, capeggiati dai generali conservatori Francisco Franco ed Emilio Mola, si sollevò contro la legittima repubblica, occupando l'Andalusia e iniziando la guerra civile. Le ripercussioni sul piano internazionale furono immediate: Franco ottenne aiuti sostanziosi da Hitler e da Mussolini. L'Urss sostenne le Brigate Internazionali di volontari filo repubblicani; reparti volontari composti in buona parte da comunisti ma aperti ad antifascisti di tutte le tendenze e di tutti i paesi (fra questi non pochi intellettuali di prestigio, come l'americano Hemingway, il francese Malraux, l'inglese Orwell). Le potenze democratiche, invece, scelsero o l'equidistanza (gli Usa, per esempio, posero l'embargo contro entrambi i belligeranti) o l'ipocrita politica del "non intervento" del primo ministro francese, Blum, il quale fece anche chiudere le frontiere del suo paese con la Spagna su pressione del governo inglese. La Repubblica spagnola, malgrado le simpatie suscitate a livello internazionale soprattutto fra intellettuali e artisti democratici, si ritrovò perciò isolata, mentre le forze antifranchiste furono dilaniate da scontri interni. Mentre Franco, insignito del titolo di caudillo (duce, condottiero), si guadagnava l'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche, dell'aristocrazia terriera e di buona parte della borghesia moderata e realizzava l'unità di tutte le destre in un partito unico chiamato Falange nazionalista (ma con i veri falangisti ridotti in posizione subalterna), il Fronte popolare vedeva allontanarsi quei settori della borghesia progressista che, favorevoli in un primo tempo alla Repubblica, erano ora spaventati dagli eccessi di violenza cui si abbandonavano soprattutto gli anarchici. Mentre i nazionalisti mettevano in piedi nei loro territori uno Stato dai chiari connotati autoritari, i repubblicani si scontravano fra loro sull'organizzazione presente e futura della società e sul modo stesso di combattere la guerra. Particolarmente grave era il contrasto che divideva gli anarchici — insofferenti di qualsiasi disciplina militare e di ogni compromesso politico - dagli altri partiti della coalizione: a cominciare dai comunisti, favorevoli — in omaggio alla strategia dei fronti popolari — a una linea relativamente moderata, tale da non rompere l'unità con le forze democratico-borghesi. Il contrasto assunse toni drammatici soprattutto nella primavera del '37, quando, a Barcellona, gli anarchici si scontrarono armi in pugno con i comunisti e l'esercito regolare repubblicano. Nell'autunno del 1937, tutto il nord-ovest della Spagna passò sotto il controllo dei franchisti. Tra gennaio e marzo del 1939 cadevano Barcellona Madrid, le due roccaforti della repubblica. A guerra conclusa, il vincitore Francisco Franco continuò indisturbato la repressione, procedendo alla cosiddetta «feroz matanza» (feroce massacro). Furono eliminati fisicamente 200.000 antifascisti, mentre altre centinaia di migliaia ebbero condanne a pene varie e 300.000 furono costretti all'esilio. In quello stesso 1939, che vide la fine della Repubblica spagnola, a Franco giunse non solo il riconoscimento delle democrazie europee, ma anche la benedizione da parte del nuovo papa Pio XII. 32 Alla vigilia della Seconda guerra mondiale La Conferenza di Versailles doveva in teoria garantire un futuro di pace in Europa. Fu subito chiaro, invece, che punendo la Germania e deludendo alcuni paesi dell'Intesa, come l'Italia e il Giappone, le cui mire espansionistiche erano state sacrificate, aveva creato nuove occasioni di conflitto. Innanzitutto tra paesi vincitori e paesi vinti. E, infatti, prima ancora dell'affermarsi di regimi fascisti in Europa e in Giappone, gli stati sconfitti (soprattutto la Germania) si mossero per una revisione del Trattato di Versailles, suscitando le reazioni degli stati vincitori (in particolare la Francia), contrari a ogni aggiustamento. Ma nuove tensioni si ebbero fra le stesse potenze vincitrici, specie fra le due più grandi, Francia e Inghilterra. La Francia pretese un ruolo egemonico sul continente; e l'Inghilterra ne controbilanciò puntigliosamente il peso politico, spalleggiando le rivendicazioni della Germania. Anche l'Italia, potenza vincitrice ma insoddisfatta e dal 1922 retta dal fascista Mussolini, sostenendo ambiguamente ora la Francia (fino al 1924) ora l'Inghilterra (fino alla guerra d'Etiopia del 1935), alimentò l'incertezza politica europea. Restavano infine irrisolte per tutti gli Stati europei le questioni economiche, aggravatesi con la Prima guerra mondiale. Nel modo di affrontarle, apparve chiaro il limite politico degli stati-nazione del Vecchio continente. Ciascuno di essi, infatti, privilegiò caparbiamente il proprio interesse nazionale, quando per favorire la ripresa economica sarebbe stata necessaria una maggiore collaborazione. La volontà di realizzarla mancò ai governanti europei; come mancò agli Usa, che si rifiutarono di concedere loro l'annullamento dei debiti di guerra contratti durante il precedente conflitto e imposero rigidamente il libero scambio, subordinando così le economie dei Paesi europei al loro più potente sistema produttivo. Nonostante queste tensioni, tuttavia, nel corso degli anni Venti non erano mancati segnali favorevoli a un clima di pace, con accordi sui confini contesi (soprattutto quelli meridionali e orientali della Germania). La svolta bellicista si profilò all’inizio degli anni trenta, in coincidenza non casuale con i pesanti effetti della crisi economica del 1929. Dapprima la guerra s'affacciò su terre lontane dall'Europa. Nel febbraio 1932, infatti, il Giappone aggredì la Manciuria cinese e impose nella regione un suo governo fantoccio. Ma tre anni dopo fu una nazione europea, l'Italia fascista, a creare un secondo focolaio di guerra. Mussolini, che si era presentato in politica estera come un politico ambiguo, fautore ora della pace stabilita alla Conferenza di Versailles ora della revisione dei trattati là sottoscritti, superò le sue incertezze: il 3 ottobre 1935 iniziò una guerra spietata, inutile e costosa contro l'Etiopia. La palese impotenza della Società delle Nazioni, che comminò all'Italia sanzioni formali e inefficaci, lo indusse a insistere in una politica aggressiva e a legarsi ben presto alla Germania nazista, stipulando un'intesa con Hitler, l'asse Roma-Berlino (ottobre 1936). Si trattava di un'intesa formale e non di una vera e propria alleanza, ma indicava la propensione dell'Italia fascista a seguire in politica estera il bellicoso esempio nazista. Nello stesso anno si accese poi in Europa il terzo focolaio di guerra: la guerra civile in Spagna. I passi determinanti verso la guerra in Europa vennero compiuti però soprattutto dalla Germania nazista. Hitler, infatti, uscita la Germania dalla Società delle Nazioni, annunciò nel 1935 la reintroduzione della coscrizione obbligatoria (preclusa ai tedeschi dagli accordi di Versailles) e penetrò nel marzo 1936 con le sue truppe nella Renania, che secondo gli accordi doveva restare smilitarizzata. Nel marzo del 1938, poi, occupò con un atto di forza l'Austria; e il 10 aprile dello stesso anno un plebiscito sanzionò l'Anschluss, l'annessione dello Stato austriaco all'Impero tedesco, che fu accettata prima da Mussolini e poi dalla stessa Gran Il trabocchetto del Trattato di Versailles Le tensioni fra i vincitori della Prima guerra mondiale I limiti politici degli statinazione Anni Trenta: i primi venti di guerra Le prime iniziative hitleriane 33 Bretagna. Alle mosse bellicose della Germania nazista le grandi potenze democratiche europee risposero a lungo con la cosiddetta politica di appeasement, una politica basata sul presupposto che fosse possibile «ammansire» Hitler accontentandolo nelle sue rivendicazioni più «ragionevoli» e risarcendo in qualche modo la Germania del duro trattamento subìto a Versailles. Il presupposto era fondamentalmente sbagliato, visto che i programmi di Hitler non erano affatto «ragionevoli». Ma l'idea dell'appeasement, portata avanti soprattutto dal primo ministro inglese Chamberlain riscosse ugualmente notevole successo perché rispondeva a una tendenza diffusa nella classe dirigente e nell'opinione pubblica inglese, incline al pacifismo. La più coerente opposizione alla politica di Chamberlain venne da un'esigua minoranza di conservatori che facevano capo a Winston Churchill. Questi sostenevano che l'unico modo per fermare Hitler fosse quello di opporsi con decisione a tutte le sue pretese, anche a costo di affrontare subito una guerra. La Francia, che restava almeno sulla carta la prima potenza militare d'Europa, alle presa con i problemi di stabilità interna si adattò a una politica timida e oscillante, sostanzialmente subalterna a quella della Gran Bretagna. E ciò consentì alla Germania di cogliere una serie di grossi successi senza nemmeno dover mettere alla prova le sue forze armate ancora in fase di ricostituzione. Esemplare della condiscendenza delle potenze europee fu l’atteggiamento delle potenze europee a riguardo della questione dei sudeti. La questione austriaca si era appena chiusa, e già Hitler metteva sul tappeto una nuova rivendicazione anch'essa fondata su motivi etnici: quella riguardante i sudeti, ossia gli oltre tre milioni di tedeschi che vivevano entro i confini della Cecoslovacchia. Hitler mirava apertamente all'annessione della regione dei Sudeti e alla distruzione dello Stato cecoslovacco e il governo inglese si mostrò ancora una volta propenso ad accontentare Hitler in quella che avrebbe dovuto essere la sua «ultima richiesta». Due volte, nel settembre del '38, Chamberlain volò in Germania per sottoporre invano a Hitler ipotesi di compromesso. Alla fine di settembre, quando ormai l'Europa si stava preparando a una guerra che sembrava inevitabile, Hitler accettò la proposta di un incontro fra i capi di governo delle grandi potenze europee (Russia esclusa), lanciata in extremis da Mussolini su suggerimento dello stesso Chamberlain. Nell'incontro, che si svolse a Monaco di Baviera il 29-30 settembre 1938, Chamberlain e il primo ministro francese Daladier accettarono un progetto presentato dall'Italia che in realtà accoglieva quasi alla lettera le richieste tedesche e prevedeva l'annessione al Reich dell'intero territorio dei Sudeti. Ai cecoslovacchi, che non erano stati ammessi alla conferenza e nemmeno consultati, non restò che accettare un accordo che li lasciava alla mercé della Germania e apriva la strada al dissolvimento della loro Repubblica. I sovietici, anch'essi tenuti fuori dal tavolo delle trattative, capirono di non poter contare sulla solidarietà delle potenze occidentali in caso di aggressione tedesca e ne trassero le conseguenze, abbandonando la politica di alleanza con le democrazie adottata negli ultimi anni. L'atteggiamento arrendevole delle potenze europee di fronte al nazismo parve arrestarsi solo quando, nel marzo 1939, Hitler, proseguendo la sua politica espansionistica, diede un ultimatum alla Polonia perché gli cedesse la città di Danzica. Egli voleva cancellare così la «vergogna di Versailles», e cioè il "corridoio" verso il mare concesso alla Polonia dopo la Prima guerra mondiale. Francia e Inghilterra minacciarono la guerra in caso di attacco alla Polonia, pur ammorbidendo subito dopo la loro posizione. Ma nei mesi successivi (tra l'aprile e l'agosto del 1939) l'incertezza dominò fra i governanti europei. Nel frattempo però Hitler concluse due patti che, almeno quello con la Russia di Stalin, dimostravano chiaramente la volontà della Germania nazista di attaccare Francia e La politica di appeasement La questione dei sudeti La Conferenza di Monaco L’ultimatum alla Polonia 34 Inghiltera. Il primo rinsaldò l'alleanza "naturale" e da tempo avviata tra fascisti italiani e Il Patto d'acciaio e il Patto nazisti. Mussolini firmò il 22 maggio 1939 il Patto d'acciaio con il Reich, Ribbentrop-Molotov secondo il quale, se uno dei contraenti fosse stato coinvolto (per propria iniziativa o in seguito a un'aggressione altrui) in operazioni belliche, l'altro doveva sostenerlo. A causa dell'impreparazione militare dell'Italia, Mussolini era in una posizione debole rispetto a Hitler. Tuttavia accettò il patto, pensando di ritardare al massimo l'intervento militare italiano, malgrado la Germania, senza contare troppo né sull'Italia né sul Giappone, marciasse spedita verso la guerra, alla quale si era preparata da tempo. Il secondo, sottoscritto il 27 agosto 1939, prese il nome dei due ministri degli Esteri che l'avevano firmato: il tedesco Ribbentrop e il sovietico Molotov. Stalin si era deciso a questo passo, giudicando ormai improbabile l'alleanza da lui vanamente tentata con Francia e Gran Bretagna. Era un patto di non aggressione, ma apparve subito più "innaturale" e scandaloso. Era, infatti, un accordo tra due stati — la Germania nazista e l'Urss comunista — ideologicamente inconciliabili e, come poi si seppe, un suo protocollo segreto prevedeva anche la spartizione della Polonia fra Urss e Germania. Inoltre, mutando ancora una volta rotta, Stalin sacrificava la precedente politica antifascista dei Fronti popolari avviata dal 1934-35 e spiazzava di fronte all'opinione pubblica dei loro paesi gli stessi partiti comunisti europei che l'avevano seguita. Il patto si rivelò un fallimento per la stessa Unione Sovietica: Hitler non rinunciò ad attaccarla di lì a poco, come invece sperava Stalin, e il paese si trovò del tutto impreparato di fronte all'aggressione nazista. VERSO LA SECONDA GUERRA MONDIALE 1924 Piano Dawes rinegoziazione dei debiti di guerra 1925 accordi di Locarno la Germania accettò la perdita di Alsazia e Lorena, inaugurando un clima di distensione con la Francia 1933 Salita al potere di Hitler 1935 Hitler reintroduce la coscrizione obbligatoria Conferenza di Stresa (aprile) condanna del riarmo tedesco URSS e Francia stipulano un'alleanza militare L’Italia invade l’Etiopia I936 Hitler rimilitarizza la Renania Asse Roma-Berlino (ottobre): accordo tra Italia e Germania Guerra civile in Spagna (1936-39) 1938 Hitler occupa con un atto di forza l'Austria Hitler occupa i Sudeti Conferenza di Monaco (29-30 settembre) Francia, Inghilterra e Italia riconoscono l’annessione dei Sudeti 1939 Patto d'acciaio tra Germani e Italia (maggio) Patto Ribbentrop – Molotov tra Germania e URSS (agosto) Invasione tedesca della Polonia (settembre) 35 6. LA FORMAZIONE DEI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI E DELLA QUESTIONE MEDIORIENTALE In Medio Oriente, dopo il crollo dell'Impero ottomano, si assistette al diffondersi di movimenti nazionalisti arabi, alimentati dal mancato mantenimento delle promesse di indipendenza e dall'insofferenza per l'imposizione del sistema dei mandati, attraverso cui veniva affidato dalla Società delle Nazioni alle maggiori potenze l’amministrazione di paesi e popoli a cui si prometteva una futura indipendenza. L'Inghilterra, pur riconoscendo l'indipendenza di Iraq, Transgiordania ed Egitto, mantenne su questi territori un forte controllo economico e commerciale, mentre i francesi dovettero fare delle concessioni in Siria e in Libano a seguito delle numerose rivolte anticoloniali. In Palestina, incoraggiate tra l'altro dalle dichiarazioni del ministro inglese Balfour (1917), che affermava di guardare con favore alla fondazione di uno Stato ebraico, si moltiplicarono le comunità ebraiche immigrate aderenti al movimento sionista (fondato da Herzl nel 1897). Questo processo innescò presto forti tensioni con la popolazione araba. La Turchia trovò le forze per riscattarsi sotto la guida di Mustafa Kemal, un ufficiale appartenente al movimento politico dei Giovani turchi. Conquistata l'indipendenza, la Turchia ottenne, con il trattato di Losanna (1920) il riconoscimento del suo controllo sull'Anatolia e sugli Stretti; e Kemal (denominato Atatürk, “padre dei turchi”) si dedicò a trasformare il suo paese in una repubblica improntata a principi di laicità (nonostante l'opposizione dei musulmani tradizionalisti) e ad assecondarne la modernizzazione. Anche in India, deluse le aspettative di trasformazione in dominion alimentate dall'Inghilterra durante la guerra, si inasprirono le rivendicazioni autonomistiche. In questo contesto, l'iniziativa di Gandhi, che faceva leva sul recupero dell'induismo e delle istanze di rigenerazione dell'intera società attraverso gli strumenti della lotta non violenta, della disobbedienza civile e della resistenza passiva (satyagraha), raccolse una vasta adesione di massa. La battaglia per l'indipendenza, ancorché repressa violentemente dagli inglesi (come nel massacro di Amritsar) riuscì tuttavia a conseguire risultati positivi, come il primo Government of India Act (1935), che concedeva una più ampia autonomia ai rappresentanti locali. Traendo vantaggio dagli esiti della guerra e dall'alleanza vittoriosa con Francia e Inghilterra, il Giappone invece iniziò la sua ascesa in Asia conquistando ampie zone di controllo in Estremo Oriente. In politica interna il paese si presentava come un sistema parlamentare caratterizzato da un profondo conservatorismo, all'interno del quale maturò un movimento nazionalista fondato sul culto dell'imperatore e su un'ideologia imperialista. In seguito alla crisi del '29, per rispondere alle difficoltà economiche del paese venne intrapresa, col sostegno dell'esercito, una politica espansionistica verso la Cina, che prese avvio nel 1931 con l'occupazione della Manciuria. I militari assunsero un peso crescente nella vita pubblica giapponese, fino alla costruzione di un regime autoritario. La politica estera aggressiva perseguita dal governo si basava inoltre su una concezione esplicitamente bellicistica e razzista. In Cina, nel corso degli anni venti, l'alleanza tra i nazionalisti del Guomindang e i comunisti, prima uniti nella lotta contro il governo di Pechino dominato dai “signori” della guerra, si incrinò quando, alla morte di Sun-Yat-sen (1925), il capo dell'esercito nazionalista Chiang Kai-shek divenne il massimo leader politico. L'esercito nazionalista si scontrò nel 1927 con l'esercito comunista per i controllo di Pechino: dopo averla conquistata, i nazionalisti misero fuori legge il partito comunista e spostarono la sede del governo a Nanchino. I nazionalisti di Chiang Kai-shek 36 aspiravano a una modernizzazione del paese sul modello occidentale, ma di fronte a diverse difficoltà furono costretti ad abbandonare i progetti di riforma, a cominciare da quella agraria. I comunisti nel frattempo si riorganizzarono in clandestinità sotto la guida di Mao Zedong, cercando consensi fra i contadini delle campagne. Di fronte alle “campagne di annientamento” lanciate dai nazionalisti nell'ambito di quella che era diventata una sanguinosa guerra civile, l'Armata rossa di Mao iniziò un ripiegamento nel Nord del paese, che durò circa un anno (la “lunga marcia”). Solo di fronte alla sempre più pressante minaccia giapponese, entrambe le parti conclusero nel 1937 un accordo per la costituzione di un fronte comune contro l'invasore. CRONOLOGIA 1918- 1940 1918 Conferenza di pace di Parigi (18gennaio) Viene promulgata la Costituzione della Repubblica federale socialista russa Guerra civile russa (1918-21) 1919 “Biennio rosso” (1919-20) Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento (23 marzo) Elezioni politiche G. D’Annunzio occupa Fiume(settembre) Don Sturzo fonda il Partito popolare italiano Nasce la società delle nazioni (28aprile) Trattato di Versailles (28 giugno) Repubblica di Weimar (1919-33) 1920 Occupazione delle fabbriche (settembre) Trattato di Rapallo (12 novembre) Gandhi inizia la resistenza non violenta contro la Gran Bretagna 1921 Scissione dal Partito socialista e nascita del Partito comunista d’Italia(gennaio) I Fasci italiani si costituiscono in Partito nazionale fascista (Pnf) (novembre 1921) Elezioni politiche Lenin inaugura la nuova politica economica (Nep) 1922 Sciopero legalitario (agosto) Marcia su Roma(28 ottobre) Mussolini presidente del Consiglio dei Ministri Nasce il Gran consiglio del fascismo (dicembre) Nasce l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (30 dicembre) Stalin è eletto segretario del Pcus 1923 Istituzione della «Milizia volontaria per la sicurezza nazionale» (gennaio) Riforma Gentile della scuola pubblica Legge Acerbo e introduzione sistema elettorale maggioritario Il generale Miguel Primo de Rivera prende il potere in Spagna Nasce la repubblica turca 1924 Affermazione del «listone» fascista alle elezioni (aprile 1924) 37 Omicidio Matteotti (10 giugno) Secessione dell’Aventino Piano Dawes rinegoziazione dei debiti di guerra della Germania 1925 Mussolini rivendica alla camera dei deputati la responsabilità morale del delitto Matteotti ( 3 gennaio) Promulgazione delle «leggi fascistissime» (1925-26) Accordi di Locarno Hindenburg eletto presidente in Germania 1927 Promulgazione della «Carta del Lavoro» (aprile) Trotzkij, Zinov'ev e Kamenev vengono fatti espellere e poi esiliati da Stalin Guerra civile in Cina (1927-34) 1929 Firma dei Patti lateranensi (11 febbraio) Plebiscito del 24 marzo Crollo della borsa di New York e crisi dell’economia mondiale In URSS viene lanciato il primo Piano quinquennale 1931 Proclamazione della repubblica in Spagna (1931-1939) 1932 Roosevelt presidente USA Salazar instaura un regime dittatoriale in Portogallo (1932-1974) Occupazione giapponese della Manciuria cinese 1933 Hitler diventa cancelliere (30 gennaio) 1934 Conferenza di Stresa (aprile) condanna del riarmo tedesco URSS e Francia stipulano un'alleanza militare Hitler diventa presidente della Repubblica e capo dell’esercito Iniziano le “grandi purghe” staliniane “Lunga marcia” di Mao Zedon 1935 Mussolini invade l’Etiopia(3 ottobre) Leggi di Norimberga (15 settembre) Government of India Act 1936 Asse Roma-Berlino Il Fronte popolare di Léon Blum vince le elezioni in Francia (1936-1937) Guerra civile spagnola (1936-39) 1938 Introduzione delle leggi razziali in Italia (1 settembre) Hitler occupa con un atto di forza l'Austria Hitler occupa i Sudeti Conferenza di Monaco (29-30 settembre) 1939 Patto d’Acciaio tra Italia e Germania (maggio) Patto Ribbentrop – Molotov tra Germania e URSS (agosto) Hitler invade la Polonia: inizia la II Guerra Mondiale (1 settembre) 1940 L’Italia entra in guerra (10 giugno) 38
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