RIFIUTI PROVENIENTI DA CERTE ATTIVITÀ UMANE Emissioni industriali Prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento Gestione dei rifiuti delle industrie estrattive Strategia per una migliore demolizione delle navi Impianti offshore petroliferi e del gas in disuso Utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura Impianti portuali per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico Emissioni industriali L'Unione europea (UE) definisce gli obblighi che le attività industriali con un elevato potenziale di inquinamento sono tenute a rispettare. L’UE stabilisce una procedura di autorizzazione e fissa i requisiti soprattutto per quanto concerne gli scarichi. L’obiettivo è evitare o ridurre al minimo le emissioni inquinanti nell'atmosfera, nelle acque e nel suolo, nonché i rifiuti provenienti da impianti industriali e agricoli al fine di raggiungere un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute. ATTO Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento). SINTESI La presente direttiva integra la direttiva 2008/1/CE (detta «direttiva IPPC») e sei altre direttive in una sola direttiva sulle emissioni industriali. Settori d’attività La presente direttiva riguarda le attività industriali ad elevato potenziale inquinante, definite nell’allegato I della direttiva (attività energetiche, produzione e trasformazione dei metalli, industria dei prodotti minerali, industria chimica, gestione dei rifiuti, allevamento di animali, ecc.). La direttiva contiene disposizioni particolari per i seguenti impianti: impianti di combustione (≥ 50 MW); impianti di incenerimento o di coincenerimento dei rifiuti; taluni impianti e talune attività che utilizzano solventi organici; installazioni che producono biossido di titanio. La presente direttiva non si applica alle attività di ricerca, alle attività di sviluppo o alla sperimentazione di nuovi prodotti e processi. Requisiti ambientali Qualsiasi installazione industriale che si occupi delle attività enumerate nell’allegato I della direttiva deve rispettare determinati obblighi fondamentali: adottare tutte le misure di prevenzione dell’inquinamento; applicare le migliori tecniche disponibili (BAT); non causare alcun fenomeno di inquinamento significativo; limitare, riciclare o eliminare i rifiuti nella maniera meno inquinante possibile; massimizzare l’efficienza energetica; prevenire gli incidenti e limitarne le conseguenze; ripristinare i siti al momento della cessazione definitiva delle attività. Applicazione delle migliori tecniche disponibili Gli impianti industriali devono utilizzare le BAT, vale a dire le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso, sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente attuabili nell’ambito del pertinente comparto industriale. La Commissione europea deve adottare le conclusioni sulle BAT contenenti i livelli di emissione associati alle BAT. Tali conclusioni serviranno come riferimento per stabilire le condizioni di autorizzazione. Condizioni di autorizzazione L’autorizzazione deve prevedere le misure necessarie per garantire il rispetto degli obblighi fondamentali dell’esercente e le norme di qualità ambientale. Tali misure includono almeno: valori limite di emissione per le sostanze inquinanti; disposizioni che garantiscono la protezione del suolo, delle acque e dell’atmosfera; disposizioni per il controllo e la gestione dei rifiuti; requisiti sulla metodologia di misurazione delle emissioni, la frequenza, la procedura di valutazione; l’obbligo di comunicare all’autorità competente periodicamente ed almeno una volta l’anno i risultati del controllo; disposizioni per la manutenzione e la verifica del suolo e delle acque sotterranee; misure relative a circostanze (perdite, disfunzioni, arresti temporanei e arresto definitivo, ecc.); disposizioni per ridurre al minimo l’inquinamento a grande distanza o attraverso le frontiere; condizioni per valutare la conformità con i valori limite di emissione. Disposizioni particolari Disposizioni particolari si applicano agli impianti di combustione, alle installazioni di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti, alle installazioni che utilizzano solventi organici e alle installazioni che producono biossido di titanio. I valori limite di emissione per i grandi impianti di combustione di cui all'allegato V della direttiva sono generalmente più severi rispetto a quelli della direttiva 2001/80/CE. Una certa flessibilità (piano nazionale transitorio, deroga limitata nel tempo) è introdotta per gli impianti esistenti. Per le altre attività cui si applicano le disposizioni particolari sono state ampiamente mantenute le disposizioni delle direttive attuali. Ispezioni ambientali Gli Stati membri organizzano un sistema di ispezione ambientale delle installazioni interessate. Tutte le installazioni devono essere coperte da un piano di ispezione ambientale che va periodicamente riveduto e aggiornato. Sulla base dei piani d’ispezione, l’autorità competente redige periodicamente i programmi delle ispezioni ordinarie comprendenti la frequenza delle visite in loco per i vari tipi di installazioni. Il periodo tra due visite in loco è basato su una valutazione sistematica dei rischi ambientali delle installazioni interessate e non supera un anno per le installazioni che presentano i rischi più elevati, e tre anni per le installazioni che presentano i rischi meno elevati. Abrogazione La direttiva 2010/75/UE sostituisce in via definitiva, a partire dal 7 gennaio 2014: o la direttiva 78/176/CEE relativa ai rifiuti provenienti dell'industria del biossido di titanio; o la direttiva 82/883/CEE relativa alle modalità di vigilanza e di controllo degli ambienti interessati dagli scarichi dell'industria del biossido di titanio; o la direttiva 92/112/CEE relativa alla riduzione dei rifiuti provenienti dall’industria del biossido di titanio; o la direttiva 1999/13/CE relativa alla riduzione delle emissioni di composti organici volatili (COV); o la direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti; o la direttiva 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento; a partire dal 1° gennaio 2016: o la direttiva 2001/80/CE concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione. RIFERIMENTI Atto Entrata in vigore Direttiva 2010/75/UE 6.1.2011 Termine ultimo per il recep Stati membri 7.1.2013 Prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento L'Unione europea (UE) definisce gli obblighi che le attività industriali e agricole ad elevato potenziale inquinante devono rispettare. Per queste attività viene istituita una procedura di autorizzazione e vengono fissate prescrizioni minime che devono figurare in ogni autorizzazione, in particolare per quanto riguarda le emissioni delle sostanze inquinanti. Si tratta di evitare o ridurre al minimo il rilascio di emissioni inquinanti nell'atmosfera, nelle acque e nel suolo, oltre ai rifiuti degli impianti industriali e delle imprese agricole per raggiungere un livello elevato di tutela dell'ambiente. ATTO Direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento. SINTESI La direttiva (conosciuta anche come "direttiva IPPC") impone il rilascio di un'autorizzazione per tutte le attività industriali e agricole che presentano un notevole potenziale inquinante. Questa autorizzazione può essere concessa solo se vengono rispettate alcune condizioni ambientali, per far sì che le imprese stesse si facciano carico della prevenzione e della riduzione dell'inquinamento che possono causare. La prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento riguardano le attività industriali e agricole ad alto potenziale inquinante, nuove o esistenti, definite nell'allegato I della direttiva (attività energetiche, produzione e trasformazione dei metalli, industria dei prodotti minerali, industria chimica, gestione dei rifiuti, allevamento di animali). Le condizioni ambientali da rispettare Per ottenere l'autorizzazione un impianto industriale o agricolo deve rispettare alcuni obblighi fondamentali, riguardanti in particolare i seguenti elementi: utilizzo di tutte le misure utili per combattere l'inquinamento, ed in particolare il ricorso alle migliori tecniche disponibili (cioè quelle che producono minori quantitativi di rifiuti, che utilizzano le sostanze meno pericolose, che consentono il recupero e il riciclaggio delle sostanze emesse ecc.); prevenzione di qualsiasi fenomeno grave di inquinamento; prevenzione, riciclaggio o eliminazione dei rifiuti con le tecniche meno inquinanti; utilizzo efficace dell'energia; prevenzione degli incidenti e limitazione delle eventuali conseguenze; bonifica dei siti al termine delle attività. La decisione relativa all'autorizzazione fissa, del resto, alcuni requisiti concreti, in particolare: valori limite di emissione delle sostanze inquinanti (esclusi i gas ad effetto serra se viene applicato il sistema di scambio delle quote di emissione - cfr. sotto); eventuali misure per la tutela del suolo, delle acque e dell'aria; misure per la gestione dei rifiuti; misure in caso di circostanze eccezionali (fughe, guasti, chiusure temporanee o definitive degli impianti ecc.); riduzione al minimo dell'inquinamento a lunga distanza o transfrontaliero; monitoraggio delle emissioni e degli scarichi; ogni altra disposizione ritenuta opportuna. Per coordinare il processo di autorizzazione istituito dalla direttiva con il sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra, le autorizzazioni rilasciate a norma della direttiva non devono prevedere valori limite per l'emissione dei gas serra se tali emissioni rientrano già nel sistema di scambio delle quote di emissione, a condizione che non vi siano problemi di inquinamento a livello locale. Le autorità competenti avranno inoltre la possibilità di non imporre misure di efficienza energetica alle unità di combustione. Le domande di autorizzazione Le domande per il rilascio di un'autorizzazione devono essere presentate all'autorità competente dello Stato membro interessato, che deciderà se autorizzare o meno l'attività in questione. La domanda deve contenere, in particolare, informazioni sui seguenti elementi: descrizione dell'impianto, tipologia e portata delle attività, stato del sito dove è ubicato l'impianto; materie, sostanze ed energia utilizzate o prodotte; fonti di emissione dell'impianto, natura e quantità di emissioni previste in ciascun comparto ambientale e relative ripercussioni sull'ambiente; tecnologie e tecniche mirate a prevenire o a ridurre le emissioni prodotte dall'impianto; misure per la prevenzione e la valorizzazione dei rifiuti; misure previste per il monitoraggio delle emissioni; eventuali soluzioni alternative. Nel rispetto delle regole e delle prassi in materia di segreto commerciale e industriale, queste informazioni dovranno essere messe a disposizione delle parti interessate, cioè: il pubblico, attraverso gli strumenti più opportuni (anche per via elettronica); devono essere comunicate anche informazioni relative alla procedura di autorizzazione dell'attività, le coordinate dell'autorità responsabile del rilascio dell'autorizzazione del progetto e informazioni sulla possibilità di partecipare al processo di autorizzazione; gli altri Stati membri, se il progetto può avere ripercussioni transfrontaliere. Ogni Stato membro deve trasmettere tali informazioni alle parti interessate sul proprio territorio per permettere loro di esprimersi. È necessario fissare scadenze adeguate per consentire a tutte le parti interessate di reagire. Il parere delle parti deve essere preso in considerazione nella procedura di autorizzazione. Le misure amministrative e di controllo La decisione di rilasciare o meno l'autorizzazione ad un progetto, le motivazioni e le eventuali misure per ridurre l'impatto negativo del progetto sono comunicate al pubblico e trasmesse agli altri Stati membri interessati. In base alla legislazione nazionale applicabile, gli Stati membri devono prevedere la possibilità che le parti interessate presentino ricorso contro la decisione. Gli Stati membri sono responsabili del controllo della conformità degli impianti industriali. Fra la Commissione, gli Stati membri e le industrie interessate è organizzato periodicamente uno scambio di informazioni sulle migliori tecniche disponibili (che servono da base per determinare i valori limite di emissione). Ogni tre anni sono inoltre elaborate relazioni concernenti l'attuazione della presente direttiva. Il regolamento (CE) n. 166/2006, che istituisce un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (PRTR), armonizza le norme riguardanti la comunicazione periodica alla Commissione delle informazioni sugli inquinanti da parte degli Stati membri. Contesto La direttiva 2008/1/CE è sostituita dalla direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali. Tuttavia le sue disposizioni sono applicabili sino al 6 gennaio 2014. RIFERIMENTI Atto Data di entrata in vigore Direttiva 2008/1/CE 18.2.2008 Data limite di recepiment membri - Le modifiche e correzioni successive della direttiva 2008/1/CE del Consiglio sono state integrate nel testo di base. *** Strategia per una migliore demolizione delle navi La Commissione adotta una strategia comunitaria volta a rendere le pratiche di demolizione delle navi in disuso più sicure per i lavoratori e per l’ambiente. Benché l’Unione europea abbia recepito nel diritto comunitario la convenzione di Basilea sulle spedizioni di rifiuti pericolosi e la sua modifica sul divieto alle esportazioni di questo tipo di rifiuti ai paesi non appartenenti all’OCSE, la situazione non è ancora soddisfacente. Innumerevoli navi europee in disuso finiscono sulle spiagge dell’Asia meridionale per essere demolite. L’assenza di misure di protezione dell’ambiente e di sicurezza porta a un tasso elevato di incidenti, a rischi sanitari e a un inquinamento di vasta portata che interessa ampie distese del litorale. La strategia proposta per migliorare le pratiche di demolizione delle navi comprende azioni volte a contribuire all’attuazione degli elementi chiave di una convenzione internazionale di recente adozione sul riciclaggio delle navi. Prevede altresì misure destinate a incoraggiare gli interventi volontari da parte del settore dei trasporti marittimi e una migliore applicazione dell’attuale normativa comunitaria sulle spedizioni di rifiuti. ATTO Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 19 novembre 2008, intitolata «Strategia dell’Unione europea per una migliore demolizione delle navi» [COM(2008) 767 def. SINTESI La strategia dell’Unione europea (UE) fa seguito al Libro verde del 2007 per una migliore demolizione delle navi. La presente strategia deve garantire che le navi con un forte legame con l’UE (in termini di bandiera o di proprietà) siano smantellate solo in impianti sicuri e compatibili con l’ambiente, conformemente alla Convenzione di Hong Kong concepita dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO) e adottata il 19 maggio 2009. Tale strategia è conforme al regolamento (CE) n. 1013/2006 sulle spedizioni di rifiuti che recepisce la convenzione di Basilea. Essa mira quindi a vietare l’esportazione di navi in disuso pericolose dall’UE ai paesi in via di sviluppo e a proteggere la salute dell’uomo e l’ambiente durante le operazioni di demolizione, senza creare oneri economici superflui. Elementi chiave della strategia proposta dalla Commissione La strategia dell’UE propone una serie di misure volte a migliorare tempestivamente le condizioni di demolizione delle navi, in particolare durante il periodo transitorio che precede l’entrata in vigore della nuova convenzione dell’IMO. Sono previste in particolare le misure seguenti: avviare i preparativi per introdurre misure sugli elementi chiave della futura convenzione dell’IMO, in particolare in relazione ai controlli, ai certificati e all’inventario dei materiali pericolosi a bordo delle navi; promuovere interventi del comparto industriale, su base volontaria, mediante varie misure, quali l’istituzione di un riconoscimento per le attività esemplari di riciclaggio «verde», la pubblicazione di linee guida e la redazione di una lista di impianti di demolizione navale «ecologici»; fornire assistenza tecnica e sostegno ai paesi in via di sviluppo per programmi di formazione nel settore della sicurezza e dello sviluppo di infrastrutture di base per la tutela dell’ambiente e della salute; migliorare l’applicazione delle norme attuali in materia di spedizioni di rifiuti intensificando i controlli nei porti europei, rafforzando la cooperazione e lo scambio di informazioni fra le autorità europee, e preparando una lista delle navi da rottamare. La strategia propone inoltre una valutazione di fattibilità da parte della Commissione delle seguenti misure: sviluppare un sistema di audit e di certificazione degli impianti di riciclaggio delle navi a livello mondiale e valutare come le navi dell’UE possano essere incoraggiate a utilizzare tale sistema; far sì che le navi da guerra e altre imbarcazioni di Stato, escluse dal campo d’applicazione della convenzione, siano soggette a norme comunitarie destinate ad assicurare una loro demolizione «pulita»; istituire un sistema di finanziamento internazionale obbligatorio per la demolizione «pulita» delle navi. Contesto L’elaborazione di una strategia dell’UE per pratiche di demolizione delle navi compatibili con l’ambiente è uno degli elementi del piano d’azione della Commissione per una politica marittima integrata dell’Unione europea. La presente comunicazione ha l’obiettivo di promuovere il dibattito e aprire la strada alla proposta legislativa che comincerà il suo iter dall’adozione della convenzione di Hong Kong del maggio 2009. Dal ministero specificano che le navi avviate verso la demolizione sarebbero 13 alla Spezia, 10 «nell’area pugliese, Taranto e Brindisi, 15 di provenienza varia». Una breve ricognizione sui documenti della Marina permette di indicare che le unità in questione sono quattro pattugliatori, due cacciatorpediniere, quattro fregate, tre cacciamine, sei corvette della classe Minerva, 12 unità di servizio, tre mezzi da sbarco, per un totale di 69.400 tonnellate di dislocamento al netto delle unità più piccole (che dovrebbero essere rimorchiatori d’altura, rifornitrici, unità da addestramento e di supporto). Queste unità si trovano in effetti ormeggiate tra La Spezia e Taranto, meno tre mezzi da sbarco a Brindisi, tre corvette ad Augusta, e diverse unità che invece sono ancora operative, benché ne sia previsto il disarmo: è il caso ad esempio delle fregate, per le quali tra l’altro in un primo tempo era prevista la vendita. La Marina preme per il rinnovo della flotta: ancora a settembre il Capo di Stato Maggiore, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, svelava dismissioni previste per 51 navi entro il 2025, e chiedeva un piano di rinnovo «per almeno 25 unità», tutte da costruire. A Piombino si tenta di realizzare un unicum in Europa: «strutture per questo tipo di demolizione esistono solo in Gran Bretagna, noi saremo l’unico polo nel Mediterraneo per questo tipo di attività». La Marina da tempo sta studiando una struttura per le demolizioni delle proprie navi, tant’è vero che due anni fa circolava il progetto per realizzare un impianto presso l’Arsenale della Spezia, città dove le attività di demolizione navale andarono avanti regolarmente fino agli anni Settanta. Le istituzioni locali, a partire dall’Autorità portuale, avevano frenato per via dei timori legati al trattamento dell’amianto, nonostante l’ipotesi di un capannone chiuso dove realizzare l’intero ciclo industriale. La versione tranquillizzante del ministro della Difesa sugli interventi di dismissione e smaltimento delle unità da guerra è smentita però dai contenuti di uno specifico studio della Commissione dell’Unione Europea risalente al maggio del 2007. Il Libro Verde - Per una migliore demolizione delle navi, presentato in vista della preparazione di una strategia comune “finalizzata alla tutela dell’ambiente e della salute umana” e alla “promozione di strutture di riciclaggio ecologiche”, si apre con l’affermazione che la demolizione è un’attività “pericolosa”. “Nell’epoca della globalizzazione, la demolizione delle navi è motivo di preoccupazione”, aggiunge il Libro Verde. “Per il momento è sostenibile sotto il profilo strettamente economico, ma presenta costi elevati per la salute umana e per l’ambiente. Occorre dunque al più presto un cambiamento radicale”. Bruxelles ha stimato che nei dieci anni successivi alla pubblicazione del Libro Verde saranno smantellate circa 100 tra navi da guerra e altre unità battenti bandiera di uno Stato dell’UE, soprattutto francesi e britanniche. Si tratta in buona parte d’imbarcazioni militari costruite tra gli anni ‘60 e i primi anni ’80, con quantitativi “relativamente elevati” di materiali pericolosi. “Con le navi destinate alla rottamazione tra il 2006 e il 2015, si prevede che nei cantieri di demolizione confluiranno circa 5,5 milioni di tonnellate di materiali potenzialmente rischiosi per l’ambiente, in particolare morchie, oli, vernici, metalli pesanti, PVC, PCB (bifenili policlorurati) e amianto”, aggiunge lo studio UE. Sempre secondo la Commissione, le morchie derivanti dalle navi da rottamare inciderebbero annualmente per 400.000-1.300.000 tonnellate, l’amianto per 1.000-3.000 tonnellate, il tributilstagno (TBT) per 170-540 tonnellate, le “vernici nocive” per 6.000-20.000 tonnellate. La lettura del Libro Verde dell’Unione Europea pone inoltre serissimi interrogativi sulla reale sostenibilità economica-finanziaria del progetto NAMSA per l’Arsenale di Messina. La domanda internazionale di dismissione di unità navali non coprirebbe infatti minimante l’offerta d’intervento a basso impatto ambientale da parte dei numerosissimi cantieri e arsenali navali già esistenti in ambito UE o nei principali paesi partner. “La capacità oggi esistente di demolizione ecologica delle navi all’interno dell’UE e in Turchia (paese membro dell’OCSE dove è possibile esportare anche rifiuti pericolosi e dove sono presenti sul litorale di Aliaga, vicino Smirne, circa 20 cantieri di demolizione con una capacità complessiva di quasi 1 milione di tonnellate l’anno) è sufficiente per le navi da guerra e le altre imbarcazioni di Stato che saranno smantellate nei prossimi dieci anni, un centinaio circa, con una capacità di oltre 1.000 ldt, per una stazza complessiva di 500.000 ldt”, afferma Bruxelles. Se poi si guarda a livello mondiale, la capacità di riciclare le navi nel rispetto delle norme di tutela ambientale e di sicurezza viene stimata in 2 milioni di ldt/anno, come dire quattro volte in più della domanda europea per dieci anni. A complicare il quadro subentrano però alcuni degli effetti più negativi del mercato globale di matrice neoliberista. I costi nettamente più bassi offerti dai cantieri navali proliferati soprattutto in Asia meridionale hanno infatti reso sempre meno utilizzati e concorrenziali gli impianti ecologici o ammodernati degli Stati membri dell’Unione. “Viste le attuali condizioni di mercato, per gli operatori dell’UE è impossibile competere con quelli dell’Asia meridionale”, annota il Libro Verde. Attualmente oltre i due terzi delle imbarcazioni navali sono demoliti sui litorali e sulle rive dei fiumi di Bangladesh ed India. In questi paesi i lavoratori guadagnano appena 1-2 dollari al giorno, una cifra irrisoria se paragonata a quanto versato ad un operaio nei Paesi Bassi (250 dollari) o nella più “economica” Bulgaria (13 dollari). Ancora più le spese che i datori di lavoro devono sostenere per la salute e la sicurezza negli impianti industriali asiatici. “Nessuno dei siti impiegati per smantellare le navi nel subcontinente indiano è dotato di sistemi di contenimento per impedire l’inquinamento del suolo e delle acque, solo pochi dispongono di strutture per il conferimento dei rifiuti e il loro trattamento è raramente conforme anche a norme ambientali minime”, denuncia la Commissione europea. Di conseguenza le condizioni di sicurezza e salute all’interno di questi cantieri di demolizione sono ipercritiche. I dati ufficiali riportano che nel più grande sito di rottamazione indiano, Alang, tra il 1996 e il 2003 si sono verificati 434 incidenti con la morte di 209 persone. In Bangladesh negli ultimi 20 anni sarebbero rimasti uccisi invece più di 400 lavoratori e gravemente feriti 6.000 circa. “A questi dati vanno aggiunte le migliaia di persone che contraggono malattie irreversibili perché entrano in contatto o inalano sostanze tossiche senza la minima precauzione o protezione”, aggiunge il Libro Verde. “Secondo un rapporto medico presentato alla Corte suprema dell’India nel settembre del 2006, il 16% della manodopera che manipola amianto ad Alang risultava affetto da asbestosi e correva dunque un rischio elevato di contrarre il mesotelioma”, una forma di tumore al polmone che raggiunge il picco di incidenza solo vari decenni dopo l’esposizione. “Finché non ci sarà parità di condizioni sotto forma di norme obbligatorie efficaci e valide per le attività di demolizione delle navi a livello mondiale, gli impianti europei avranno sempre difficoltà a competere sul mercato e i proprietari delle navi tenderanno sempre a dirigere le loro navi verso siti asiatici che non soddisfano gli standard minimi”, conclude l’UE. Appare dunque impossibile che l’Alleanza Atlantica, guardiano armato del capitale finanziario globale, possa assumere comportamenti diversi. E comunque se pure non volesse scegliere l’India o il Bangladesh per rottamare fregate e sommergibili, sono già belli e funzionanti i centri navali della Turchia, pedina chiave NATO per il controllo del Mediterraneo e del Medio oriente. La demolizione navale (ship-breaking) è una delle attività più rischiose al mondo. La maggior parte delle demolizioni navali è stata spostata in diversi paesi in particolare nella Regione del Sud-Asia quali Bangladesh, India e Pakistan. Bassi salari, regolamentazione inesistente, scarsa attenzione ai problemi ambientali: questi i motivi principali che hanno determinato la delocalizzazione dell’attività in questi Paesi. In India i cantieri principali sono in Alang e Sosiya (nello Stato del Gujarat), che contano 55.000 lavoratori circa. A Mumbai (già Bombay, in Maharashtra) il settore occupa 6.000 persone. La maggior parte dei lavoratori, emigranti da altre Regioni o Stati, sono reclutati attraverso agenzie e intermediari. Sradicati dai loro villaggi alla ricerca di un’occupazione, raggiungono i cantieri di demolizione navali a miglia di chilometri di distanza, vivendo di fatto isolati dal resto della comunità. Alloggiano a ridosso dei cantieri in cui lavorano in baracche o capanne, senza acqua potabile, servizi igienici ed elettricità. L’integrazione con la comunità locale rappresenta un’ulteriore sfida per i lavoratori e le loro famiglie. Per i lavoratori migranti anche ottenere i documenti necessari per accedere a beni essenziali è un processo difficoltoso. Ottenere le Ratio Cards, per avere diritto ad una certa quantità di beni di consumo essenziali per le famiglie a basso reddito o la carta d’identità, che serve ad accedere a servizi sanitari ed educativi o ai servizi di credito a volte diventa impossibile. Con molti sforzi i lavoratori si sono costituiti in sindacati. A Mumbai hanno potuto fare affidamento sull’esistente sindacato dei portuali. Ad Alang il processo organizzativo è più difficile. La corsa alla demolizione si spiega guardando alla perdurante situazione di stagnazione del trasporto marittimo, con noli ancora molto bassi e un imminente rischio di oversupply: un eccesso di stiva disponibile sul mercato causato dalle numerose consegne di newbuilding previste in questo periodo, a fronte di una domanda di naviglio da parte dei caricatori ancora mediamente debole. Per questo, in molti casi, risulta più redditizio, o comunque meno oneroso, vendere le navi più datate a demolitori ricavando un buon introito grazie al valore dell’acciaio, piuttosto che continuare ad operarle con margini bassissimi, o addirittura in perdita. Analizzando nel dettaglio le demolizioni, Shipbreaking Platform evidenzia come il 65% delle navi mandate a scrapping in Asia meridionale – dove i controlli e le limitazioni sulla gestione di materiale pericoloso, come anche i vincoli relativi alla manodopera impiegata, sono pressoché assenti – battesse bandiere di comodo. Tra le più gettonate dagli armatori europei Panama, Liberia e Bahamas, anche in questo caso scelte per la bassa tassazione imposta sui proventi dell’attività commerciale delle navi e per le grandi libertà concesse in materia di gestione degli equipaggi. Per quanto riguarda invece la nazionalità delle unità demolite – e in questo caso l’ONG non ha considerato la bandiera (per i suddetti motivi) ma la sede dell’ultimo proprietario conosciuto prima della vendita ai demolitori – primeggiano i greci (in forza del loro primato mondiale tra le flotte mercantili), con 167 navi spedite sulla spiagge del Far East lo scorso anno. Seguono la Germania, con 48 unità, e la Gran Bretagna, con 30, mentre Norvegia e Olanda, rispettivamente con 23 e 5 navi demolite nel 2012, sono le uniche 2 nazioni ad aver registrato un calo rispetto all’anno precedente. Record di senso opposto, invece, per la Svizzera, dove la sola MSC di Gianluigi Aponte – che si può considerare a tutti gli effetti una compagnia elvetica avendo il suo quartier generale a Ginevra – è passata dalle 5 navi demolite nel 2011 a 23 nel 2012. Incremento notevole anche per gli armatori italiani, che hanno venduto a scrapping il 300% di navi in più rispetto all’anno precedente. Tra gli armatori nostrani ad aver demolito in Asia lo scorso hanno, Shipbreaking Platform ha individuato il gruppo carrarino Vittorio Bogazzi & Figli con 10 navi, l’ormai fallita BM Shipping, con 7 unità, le due compagnie genovesi Ignazio Messina e Stradeblu, con rispettivamente 4 e 2 navi vendute a demolitori del Far East. Seguono, con una sola nave mandata a scrapping lo scorso anno, i due gruppi partenopei Cafima e Grimaldi Napoli, la loro concittadina Polaris e la compagnia brasciana (con una sede anche a Singapore) Siba Ships. Riciclare le navi: business di domani ? La “Blue Lady”, nave passeggeri in disarmo e destinata alla demolizione, ha vissuto tempo fa un'odissea seguita da tutto lo shipping internazionale. Quell'unità infatti era stata in passato il mitico transatlantico “France” e poi la prima meganave da crociera dei Caraibi, la “Norway”. Prima di essere definitivamente accettata dagli impianti demolitori, la "Blue Lady" è passata attraverso varie vicissitudini ambientali, allungando così la sua agonia. Finalmente, giunta in India, le autorità avevano acceso, dopo molti accertamenti, il semaforo verde per il suo insabbiamento e la conseguente demolizione. Si voleva essere sicuri cioè che i materiali tossici contenuti a bordo non fossero pericolosi nè per il personale demolitore, nè per l'ambiente di lavorazione. La nave conteneva infatti grosse quantità di amianto e PCB, una neurotossina prodotta da materiali isolanti e fortemente inquinanti, usati negli anni '70 ed ora banditi dalle varie regolamentazioni internazionali. A prima vista, sembrava un'incongruenza che una nave con quel glorioso passato fosse foriera di prodotti tossici e pericolosi. Demolire o “riciclare” una nave A volte, capita d'osservare le struggenti fotografie delle navi in agonia sulle spiagge orientali. Il loro inesorabile smembramento strappa sempre qualche lacrima ai marittimi che vi avevano lavorato a bordo. Si dice: "la stanno demolendo". E' vero, ma la “nostra vecchia nave”, continua ad essere utile alla comunità con il reimpiego delle sue parti costruttive; viene sì demolita, ma riciclata. Questo processo la nomina quindi fattore importante dello sviluppo sostenibile globale. I principali riutilizzi della nave e dei suoi componenti /The major recyclings of ship items Pratici esempi del riciclaggio sono gli alberghi galleggianti, oppure le attrazioni turistiche o le barriere sommerse artificiali. Inoltre, le sue parti vengono riusate nelle varie industrie delle costruzioni o dei containers; i generatori e le batterie vengono riciclati nelle realtà locali; poi gli arredamenti, che vanno nelle case di riposo, alberghi; gli idrocarburi vengono riconvertiti in oli vari. Da notare inoltre che, per forgiare i metalli riciclati, c'è bisogno solo di un terzo dell'energia usata per crearne nuovi. Si potrebbe dire insomma, che nel demolire le navi, quasi niente si riduce in rifiuti dannosi per le persone e l'ambiente. Ma è davvero così? I materiali delle navi, pericolosi all'uomo e all'ambiente Per capire se tutti i materiali tossici di una nave demolita vengono propriamente riciclati, bisogna prima individuarli. In linea generale sono: l'amianto usato per isolamento, le acque di zavorra segregate da tempo, i refrigeranti dei motori, i vari prodotti chimici, le pitture, le leghe usate nei metalli di costruzione, gli oli e comustibili vari, le batterie, i residui del carico, i liquidi di trattamento delle caldaie, gli agenti chimici del materiale antincendio, bombole di gas vari, le acque di scarico. I materiali inquinanti solitamente presenti sulle navi/The usual polluting items on board ships Secondo quanto detto prima, questi prodotti dovrebbero essere tutti riciclati opportunamente, cioè elaborati adeguatamente da personale addetto e indirizzati a nuovi circuiti di economie. La vita di una nave e i suoi artefici Come è noto, una nave nasce in cantiere ed è costruita secondo i severi criteri internazionali di compartimentazione, sicurezza ed antinquinamento. Solitamente è commissionata da un “armatore iniziale” che ne cura i servizi commerciali nel tempo, fino a che la nave verrà dichiarata “pronta per la demolizione” (dopo circa un ventennio, per le navi di media grandezza). A questo punto, l'unità viene ceduta ad un “armatore finale”, il quale la appronta per la sua demolizione e la cede quindi all'impianto finale di riciclaggio. Da notare che molti armatori tradizionali, per questioni di mercato, preferiscono vendere la nave vecchia ad un “armatore finale”, esperto in demolizioni, il quale poi la cederà all'impianto di riciclaggio. La scelta di quest'ultimo resta quindi dell'armatore finale. Di conseguenza, si può ragionevolmente dedurre che, passando la nave in troppe mani, si perdono tutte le informazioni primarie sui materiali colla quale era stata costruita e gestita. I principali protagonisti dell'esistenza di una nave/The main protagonists of the ship's life Secondo alcuni, l'industria navale in genere dovrebbe essere in primis l'entità più responsabile del riciclaggio di una nave, poichè da essa parte l'intenzione di “metterla al mondo” e di beneficiare dei suoi profitti. Secondo il principio che “chi produce un rifiuto, deve provvedere al suo smaltimento”, la nave dovrebbe essere seguita e controllata per tutta la sua esistenza dai suoi utenti e dalle entità preposte, così da diminuire la presenza di materiali tossici durante il suo servizio e durante la sua demolizione o quantomeno tenerli sotto controllo. La Convenzione di Basilea del 1992 è quella che regola la gestione dei rifiuti prodotti in maniera globale. Se è osservata, è efficace, ma non basta. Essendo la nave, una realtà atipica, si deve affrontare nel dettaglio la sua proprietà di “gestire i propri rifiuti ed essere essa stessa un possibile rifiuto”. Inoltre, la Convenzione di Basilea si riferisce a realtà europee e non tiene conto dei molteplici regolamenti internazionali ai quali è soggetta una nave. Ecco l'IMO (l'Organizzazione Internazionale Marittima), con la Risoluzione A.962(23), che contiene le “raccomandazioni” sulla gestione dei materiali tossici usati per costruire e fruire una nave. Queste raccomandazioni, nel biennio 2008-09, dovrebbero divenire leggi esecutive, cioè da "raccomandazioni" si trasformeranno in "convenzione". Webpage dell'IMO, sulle raccomandazioni del riciclaggio delle nave/Webpage of the IMO Le regolamentazioni esistenti in questo campo hanno prodotto pochi benefici, soprattutto perchè è complicato mettere d'accordo tutti gli utenti interessati su un argomento che, sottoforma di prevenzione, mette loro le mani in tasca. Questo conduce attualmente alla libera gestione dei rifiuti prodotti da una nave in demolizione: si possono trovare infatti paesi che applicano norme diversificate rispetto ad altri, le quali possono aderire più o meno alle convenzioni suddette. L'intenzione dell'IMO è appunto quella di realizzare un sistema standard (tipo Safety Management System per la sicurezza o Codice ISPS per l'antiterrorismo). La sua applicazione globale cioè, non interessa solo le navi, ma anche i cantieri, gli armatori, gli operai, i fornitori, le autorità, gli assicuratori e quantaltro. In un primo riscontro, il suo obiettivo, sia nel metodo che nel merito, potrebbe però apparire difficile da raggiungere. Vediamo, qui di seguito, alcuni passi della risoluzione dell'IMO: La nave deve essere costruita e gestita con il famoso principio della “tolleranza zero”. Cioè l'unità deve già essere impostata nella sua struttura con materiali non tossici per le persone e per l'ambiente nella quale opera. Nel caso che, certi materiali debbano essere “per forza” usati, se ne farà propriamente cenno su un documento aggiornato che accompagnerà la nave in tutta la sua esistenza, il “passaporto verde”. Il passaporto conterrà l'inventario dei componenti a rischio e la loro posizione a bordo. Alla stessa manierà sarà disciplinato l'uso e lo smaltimento dei rifiuti durante la vita operativa della nave. Una volta controllata l'unità dagli enti ed autorità preposte, l'IMO regolerà la qualità del cantiere di demolizione: cioè se è in grado di accettare e trattare l'unità a seconda della tipologia della sua demolizione o se invece reindirizzarla in altro cantiere se non in possesso dei requisiti necessari. Inoltre, il cantiere di riciclaggio, deve prendere tutte le precauzioni per neutralizzare l'impatto ambientale sulle persone e sulla natura ed essere in possesso di tutte le informazioni possibili sulla nave (passaporto verde, piani, eccetera). Conclusione Il punto più significativo del nostro discorso è rappresentato dal fatto che oggigiorno, le informazioni complete sulla vita di una nave sono generalmente insufficienti e questo costituisce un pericolo nelle varie fasi di demolizione. Inoltre, senza impianti di riciclaggio adeguati, si rischia di rigettare i rifiuti tossici a contatto dell'ambiente e delle persone. Un'altra considerazione, economica, riguarda la gestione d'impianti in paesi in via di sviluppo: gli stessi dovrebbero essere messi in condizione di avere attrezzature adeguate per questi processi e la comunità internazionale, secondo certi, dovrebbe facilitar loro i costi d'importazione dei macchinari necessari. Da come s'intende dalle precedenti righe, lo sforzo necessario per raggiungere l'obiettivo di mantenere pulito il nostro pianeta sta diventando immane, ma se solo dovessimo concludere, sorridendo, che ciò è impossibile, non faremmo altro che gettare la spugna ed accettare quel lento processo di devastazione del clima globale che è già stato intrapreso inesorabilmente. Se invece, l'obiettivo della risoluzione IMO dovesse concretizzarsi, s'aprirà, di conseguenza, un business nuovo che, oltre a ricchezza, porterà una salute migliore al nostro pianeta. PIOMBINO 31 ottobre 2014 – Non è una novità il fatto che Genova abbia puntato anche ad altro e non solo alla Concordia nel settore della demolizione del naviglio. Lo si era capito benissimo già nella primavera scorsa quando la San Giorgio del Porto, capofila nello smaltimento del relitto del Giglio, presentò un progetto riferendosi al regolamento Ue 1257/2013 che dal 2015 disciplinerà la rottamazione delle navi europee in porti accreditati. E che, nelle previsioni, tra le unità da rottamare ci siano anche quelle militari è cosa pressoché scontata. Magari, a conti fatti, si vedrà che il business della demolizioni delle navi della nostra marina non è proprio enorme. Anzi. Insomma è chiaro da tempo che il porto di Genova batte la stessa strada ed è orientato sugli stessi programmi che persegue Piombino dopo il finanziamento di 113 milioni ottenuto in forza del decreto dell’aprile 2013 sul riconoscimento dell’area di crisi complessa. Quindi non meraviglia che l’autorità portuale di Genova, parli oggi, forse addirittura incidentalmente, di demolizione delle navi militari. Caso mai sorprende e fa notizia il fatto che finora era Piombino ad essere indicata, ad alto livello, come la destinazione privilegiata per questo tipo di operazioni. Lasciando qualche volta intendere perfino che il sito della Val di Cornia avesse una sorta di esclusiva nel settore. Da aprile scorso esiste infatti l’accordo di programma per la riqualificazione del polo industriale in cui, tra l’altro, si legge: “l Governo si impegna a rendere disponibili navi da smantellare presso il porto di Piombino e, a tale scopo, il ministero della difesa procederà alla definizione di un programma di dismissione delle navi anche in termini di numerosità e tonnellaggio, nell’ambito di uno specifico cronoprogramma determinato entro tre mesi”. Si comprende facilmente, quindi, come l’uscita pubblica del presidente dell’autorità portuale di Genova sulla rottamazione delle navi militari fosse inevitabilmente destinata a suscitare le reazioni di chi è direttamente interessato (il governatore Rossi, il commissario Guerrieri, il sindaco di Piombino ecc. ecc.) e anche di chi quell’accordo ha firmato per competenza istituzionale (vedi la presa di posizione, molto generica, del ministro della difesa Roberta Pinotti). La sostanza è che, come sempre, più degli annunci contano i fatti ed i fatti non sono proprio in linea con le rassicurazioni. Tanto per portare un esempio, c’è subito da chiedersi se siano stati rispettati i tre mesi entro cui il ministero della difesa doveva produrre “un programma di dismissione delle navi anche in termini di numerosità e tonnellaggio, nell’ambito di uno specifico cronoprogramma”. Come ha confermato il commissario Luciano Guerrieri, il governo ha fornito un elenco di 34 unità da demolire che indubbiamente però è qualcosa di assai diverso da un concreto cronoprogramma che nei dettagli non è mai stato aggiornato rispetto a quello realizzato nel 2013 da Giampaolo Di Paola, ministro della difesa del governo Monti. Un documento che faceva riferimento alla indicazione di sei miliardi di euro previsti, sotto forma di contributi ventennali, per la Marina militare dalla legge di stabilità di quell’anno. Di fatto il progetto era quello di dismettere in dieci anni una cinquantina delle circa 70 navi attualmente in servizio con la puntualizzazione che nel 2015 sarebbero stati demoliti il pattugliatore Aviere (2.525 tonnellate), la fregata Aliseo (3.040 tonnellate), la corvetta Sfinge (1.285 tonnellate) ed altre unità minori alcune addirittura con la scafo in vetroresina o addirittura in legno. Unità chiaramente di stazza assai contenuta. Va aggiunto che la dismissione di una nave militare non comporta necessariamente il costoso smantellamento in appositi cantieri ma spesso attiene alla vendita ad altre marine, come le fregate Lupo cedute al Perù, o anche alla semplice donazione a chi si assuma il compito di trasformare e adeguare le unità. Per notizia si deve riferire che nella legge di stabilità del governo Renzi non sono previsti stanziamenti per la rottamazione di navi militari. Che significa? Forse che, per dismissioni nel 2015, si deve intendere solo cessioni o regali. Non ci sono conferme al riguardo ma la possibilità non è assolutamente remota. In questa situazione e con un’ ottica proiettata nel futuro Genova, avendo già riconosciuti i requisiti richiesti, punta tutto sul mercato, ovvero sulla scelta da parte dei committenti circa le migliori condizioni per effettuare opere di demolizione o riciclaggio. E non c’è dubbio che il porto ligure sia, al momento, in grande vantaggio rispetto agli altri scali e cantieri italiani. Peraltro nessuno finora osa contestare una impostazione del genere. Non lo fa la Pinotti (vedi comunicato del ministero della difesa –http://www.difesa.it/News/Pagine/PiombinoDifesamantieneimpegniassunti.aspx) e non lo ha fatto neanche il sottosegretario Silvia Velo che il 28 luglio scorso ha dichiarato testualmente al Tirreno: “Quella delle navi militari è una commessa pubblica, il resto attiene al mercato”. Piombino, che sta realizzando le strutture necessarie, non può ancora avere gli attestati (Rina ed Europa ecc.), ma conta su un impegno del premier e di cinque ministri certificato da un atto ufficiale. Sulla stampa locale emerge l’annuncio del sindaco Massimo Giuliani che, parlando di “smantellamento, manutenzione e refitting navale” in un virgolettato così si esprime: “Non dimentichiamo inoltre la recente delibera del Cipe che ha previsto 20 milioni di stanziamento per la realizzazione di ulteriori lavori connessi a questa attività”. Al riguardo va puntualizzato che il Cipe nella seduta del primo agosto scorso, come si legge nel sito del Comitato, “ha individuato, relativamente all’Accordo di programma sulla messa in sicurezza del sito di bonifica di interesse nazionale di Piombino, ulteriori fonti di finanziamento, per complessivi 20 milioni di euro, finalizzati principalmente allo sviluppo delle attività di smantellamento, manutenzione, restauro e trasformazione di imbarcazioni (cd refitting)”. Quindi sembrerebbe di capire che i 20 milioni siano destinati a bonifiche per poi procedere all’attuazione del progetto per la manutenzione, il restauro e la trasformazione delle navi. E ovviamente, come ha precisato il Governatore Enrico Rossi, questo stanziamento dovrà essere confermato e sbloccato da un nuovo intervento del Cipe che lo stesso Rossi ha indicato nei “primi di novembre”. Nella fattispecie quindi un minimo di prudenza è consigliabile non fosse altro per i continui disimpegni del Cipe che finora non ha mai rispettato una sola scadenza tra quelle esplicitamente indicate negli accordi di programma del 2013 e dello scorso aprile. E tanto per conferma va ricordato che il Cipe si è riunito il 30 ottobre, nell’immediatezza della indicazione temporale di Rossi (“primi di novembre”), ma non ha deciso alcunché riguardo ai venti milioni per Piombino. O meglio qualcosa ha deciso per le bonifiche dei siti di interesse nazionale dal momento che ha assegnato, in via definitiva, l’importo di 15,4 milioni di euro alla regione Friuli Venezia Giulia per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza del sito di Trieste. Come finirà? Una previsione non è facile ma a lume di naso si può ipotizzare che Piombino non sarà ulteriormente ignorato ed è prevedibile che possa, in qualche modo, avere almeno un “contentino” dopo gli infiniti annunci che sono stati bellamente disattesi. E quindi – business tutt’altro che eccezionale – è probabile che prima o poi il porto abbia le sue (poche) navi militari. Resta inteso invece che, alla lunga, operazioni di smaltimento anche di questo tipo, passeranno attraverso il mercato e allora la competizione, indubbiamente non facile per Piombino, sarà quella dettata come sempre solo dalla legge della domanda e dell’offerta. Porto di Piombino, 20 milioni dal Cipe per smantellare le navi: Renzi ha firmato [5 febbraio 2015] Il relitto della Costa Concordia non è andato a Piombino ed è ancora “parcheggiato” a Genova – da dove invece la stessa compagnia di navigazione pensa di sloggiare, destinazione Amburgo - ma il governo ha mantenuto oggi un (altro) impegno preso con la Regione Toscana e il Comune di Piombino: il premier Matteo Renzi ha firmato il documento che stanzia 20 milioni di euro per riqualificare l’area portuale per poter realizzare lo smantellamento delle navi militari. Il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) metterà a disposizione della Regione Toscana il finanziamento e la Regione li trasferirà all’Autorità portuale di Piombino-Elba, che bandirà la gara di appalto per attrezzare il porto piombinese locale per la demolizione delle navi militari. Nel 2014, proprio mentre Genova, Piombino, Civitavecchia e Palermo si contendevano il relitto della Costa Concordia, l’Autorità portuale ha realizzato con i fondi stanziati dalla regione Toscana le prime strutture per accogliere le navi di grande stazza. Il governo Renzi alla fine scelse Genova, ma assicurando la Regione Toscana che comunque a Piombino sarebbe stata assegnata la demolizione delle navi della Marina Militare, sia per rilanciare il porto che le acciaierie ora acquisite da una compagnia algerina. «A questo punto – ha commentato il sindaco della città, Massimo Giuliani – si può davvero cominciare a parlare di rottamazione e refitting delle navi militari. Il porto di Piombino assume un’importanza strategica per l’Europa per il Mediterraneo. I porti che si occupano di smantellamento navale saranno infatti strategici, in linea anche con le nuove norme europee che dovranno stabilire i requisiti necessari alle navi per solcare le acque del Mediterraneo. L’obiettivo è infatti anche quello di salvaguardare sempre più il bacino del Mediterraneo dal punto di vista ambientale e l’impegno del governo italiano e del ministero dell’ambiente in tale direzione sono estremamente importanti e significativi». Il finanziamento da 20 milioni di euro, stanziato oggi, serve a completare la banchina: la gara d’appalto dovrebbe essere completata entro la prossima estate. Demolizione navale: nuove normative In data 10 dicembre 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea l'importante "Regolamento (UE) n. 1257/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, relativo al riciclaggio delle navi". Questo Regolamento ha come obiettivo principale il riciclaggio sicuro ed ecocompatibile delle navi, evitando al contempo l'inclusione delle medesime navi, a fine ciclo vita, nell'elenco dei rifiuti compresi nella Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti, del 22 marzo 1989, nonché nel Regolamento CE 1013 del 2006 sulla spedizione dei rifiuti. Negli ultimi anni si è largamente affermata la pratica dello smantellamento e del riciclaggio dei materiali di costruzione delle navi a fine vita. Tale attività si svolge essenzialmente presso alcune nazioni del Sud-est asiatico, in siti privi delle più elementari norme di sicurezza e di salvaguardia della salute umana ed ambientale. Le principali motivazioni che danno origine a questo fenomeno sono: - il continuo aumentare del prezzo dell'acciaio, del rame e dei metalli provenienti da rottamazione; - il bassissimo costo e la vasta disponibilità della manodopera ivi reclutata; - la reale mancanza di norme ed interessi a tutela dell'ambiente e della salute umana. Per arginare queste cattive pratiche di riciclaggio, l' "International Maritime Organization" (IMO), in accordo con l' "International Labour Organization" (I.L.O.), ha stabilito tramite la Convenzione di Hong Kong (HKC) una serie di protocolli, di criteri e di procedure da adottare per la costruzione, la demolizione ed il riciclaggio ecocompatibile in sicurezza delle navi. Tale Convenzione, pur sottoscritta nel 2009, appare di scarsa efficacia in quanto entrerà in vigore solamente dopo la ratifica di almeno 15 Stati Membri con tonnellaggio commerciale complessivo di almeno il 40% del totale mondiale, in aggiunta a precise percentuali, in TSL, di naviglio demolito. Al momento pare che a livello mondiale non vi sia una sufficiente convinzione per l'implementazione della HKC ma grazie all'entrata in vigore del Regolamento Europeo sul Riciclaggio delle Navi Mercantili sta avendo un nuovo impulso. Inoltre la "Decisone Europea n. 15902 del 23 Novembre 2013" l'Unione Europea autorizza gli Stati Membri alla ratifica della Convenzione di Hong Kong sul riciclaggio ecocompatibile delle navi per le parti di non esclusiva competenza UE. Al fine di dare nuova spinta alla Convenzione ed a seguito della Comunicazione della Commissione del 19 novembre 2008, COM(2008) 767 (Strategia dell'U.E. per la migliore demolizione delle navi), il 21 ottobre 2009 il Consiglio Europeo ha invitato la Commissione ad analizzare le relazioni tra la Convenzione IMO di Hong Kong "per un riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l'ambiente" e la Convenzione ONU di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento e il Regolamento (CE) n. 1013/2006. Tale regolamento Regolamento (CE) n. 1013/2006 interessa parzialmente la demolizione ed il riciclaggio delle navi in quanto istituì le procedure e i regimi di controllo per le spedizioni di rifiuti in funzione dell'origine, della destinazione e dell'itinerario di spedizione, del tipo di rifiuti spediti e del tipo di trattamento da applicare ai rifiuti nel luogo di destinazione, applicando i dettati dalla direttiva CE 2006/12 e recependo i principi della Convenzione di Basilea del 1989 sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e della loro eliminazione. Il regolamento norma anche la spedizione ed il controllo dei rifiuti destinati al riciclaggio (commi 14, 15, 21 e 22 delle considerazioni in premessa) secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 1) lettera B), partendo dall'assunto articolo 1, comma 1, lettera A) della direttiva CE 2006/12: "«rifiuto»: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi.". Nel marzo del 2012, la Commissione Europea, ha proposto la redazione e l'approvazione di un Regolamento Europeo sul Riciclaggio Ecocompatibile delle Navi Europee per conseguire i seguenti principali obiettivi: - evitare il posticipo "sine die" a livello europeo l'applicazione dei requisiti della Convenzione IMO di Hong Kong, accelerandone di fatto l'entrata in vigore a livello mondiale. - superare, relativamente alle navi in dismissione, il regolamento CE n.1013/2006, che recepisce la convenzione di Basilea, la quale vieta la spedizione/esportazione di rifiuti pericolosi o tossico-nocivi verso paesi al di fuori dell'OCSE/OECD. Tuttavia anche se l'approvazione di questo Regolamento Europeo sul Riciclaggio Ecocompatibile delle Navi non dovesse raggiungere lo scopo della ratifica della Convenzione di Hong Kong, esso comunque comporterebbe una forte riduzione degli effetti nocivi del riciclaggio della quota europea di navi in via di rottamazione in siti impropri, come spiagge e coste (cfr "beaching") senza adeguate strutture di salvaguardia per l'ambiente e della vita umana. La Direzione Generale per il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne ha evidenziato la necessità che nel regolamento in esame vi fosse un chiaro riferimento sia alla demolizione, come pratica propedeutica al riciclaggio, sia alla necessità di individuare nei cantieri le strutture indispensabili ha recepito le linee guida per la corretta demolizione e riciclaggio delle navi emesse dall'I.M.O., grazie anche all'impegno dell'Italia e di altre Nazioni, per evitare che il Regolamento rimanga una mera regolamentazione amministrativa. A seguito delle diverse posizioni espresse in sede di Consiglio da parte delle diverse nazioni europee, il testo del Regolamento è stato emendato diverse volte nel corso di questi mesi, cercando di contemperare le diverse necessità e le diverse legislazioni dei vari Stati Membri; molte modifiche hanno riguardato affinamenti legislativi, dall'entrata in vigore e applicazione alla sussidiarietà della legislazione europea. Da segnalare inoltre i confronti riguardanti la tempistica per l'entrata in vigore del Regolamento Europeo, con un gruppo di nazioni orientate comunque ad una data limite, mentre altre preferirebbero subordinare tale entrata in vigore al raggiungimento di un numero di recycling facilities, autorizzate, con capacità di riciclaggio del 3% della flotta mondiale. Ulteriori confronti si sono avuti sulle diverse possibili sanzioni alle navi che non ottemperavano ad alcuni requisiti riguardanti tutto il naviglio attraccante i porti europei, soprattutto relativamente al previsto certificato dei materiali pericolosi presenti a bordo, punto qualificante dell'emanando Regolamento Europeo in quanto il documento "Lista dei materiali pericolosi", dovrà individuare le sostanze tossico-nocive (hazardous materials), la loro quantità ed il loro posizionamento all'interno delle navi mercantili presenti e future. Sono ancora tante le navi battenti bandiera europea o di proprietà di armatori europei demolite con metodi altamente inquinanti e pericolosi. Ben 182 sulle 641 demolite “malamente” l'anno scorso, il 28,3% del totale. È quello che emerge dall'ultimo rapporto annuale dell'organizzazione no-profit Ngo Shipbreaking Platform, che monitora ogni anno le unità navali spedite in Asia meridionale principalmente in India, Bangladesh e Pakistan - che vengono demolite con metodi che violano la Convenzione di Hong Kong, non ancora adottata, dell'International Maritime Organization (IMO) del 2009 e la direttiva Ue 1257 del 2013. La prima impegna i 170 stati membri dell'Imo a «prevenire, ridurre, minimizzare e, per quanto possibile, eliminare» incidenti per l'uomo ed effetti nocivi per l'ambiente provocati dalla demolizione e dal riciclaggio delle navi (. La seconda, recependo la direttiva IMO, vieta alle navi battenti bandiera Ue questi metodi di demolizione, in particolare lo spiaggiamento. Nel 2014 il 62,4% delle navi demolite nel mondo sono state smantellate e riciclate inquinando gli oceani e le spiaggie dell'Asia, provocando la morte di numerosi operai che lavorano in condizioni molto pericolose, a contatto con metalli pesanti tossici. Si tratta di 641 navi su 1.026 (nel 2013 erano 645 su 1.213). Meno cambi di bandiera in Europa Almeno in Europa sono state poche le bandiere cambiate poco prima di mandare in demolizione la nave, il sistema più facile per aggirare la direttiva Ue 1257/2013. Nel 2014 sono state solo 15. I paesi peggiori La Grecia è il paese che ha spedito più navi tra India, Pakistan e Bangladesh: 71, il 10,9%; segue la Germania con 41 unità, il 6,3%. Gli armatori più virtuosi Sono la danese Maersk Line e la tedesca Hapag Lloyd che hanno sottoscritto in passato impegni esplici a non spedire nulle nei siti di demolizione asiatici. L'Italia Il nostro paese, pur non essendo tra i peggiori – l'anno scorso ha smantellato malamente 11 navi (1,7% del totale) – è nel podio delle compagnie armatoriali peggiori, dove al terzo posto figura Msc che nel 2014 ha demolito in Asia sette unità. Le prima è Ernst Komrowski con 14 navi, la seconda Hanjing Shipping con 11. In totale, sono sei gli armatori italiani che nel 2014 hanno demolito navi con metodi inquinanti. A fare compagnia ad Msc ci sono Ignazio Messina con cinque navi; Premuda, Vittorio Bogazzi & Figli e Internatioanl Global Invest con una ciascuno. Una considerazione particolare NGO la fa nei confronti della compagnia napoletana Grimaldi. Negli ultimi quattro anni ha inviato nel subcontinente indiano cinque navi, solo una nel 2014. «Grimaldi merita attenzione per la particolarità della politica interna adottata» afferma NGO. «Il gruppo ha anche fatto demolire nel 2014 un’unità presso una delle strutture turche di Aliaga, area che garantisce una maggiore protezione dell’ambiente e dei lavoratori viste le moderne tecniche adottate. Ci si chiede pertanto quale sia il motivo per cui non decida di optare, essendo a conoscenza delle differenze tra i metodi di demolizioni adottati in Asia del Sud e quelli europei, per uno smantellamento pulito e sicuro per tutte le proprie imbarcazioni». *** Utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura L'Unione europea disciplina l'uso dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo. In particolare, essa stabilisce i valori limite per la concentrazione di metalli pesanti e proibisce lo spandimento di fanghi di depurazione quando la concentrazione di determinate sostanze nel suolo supera questi valori. ATTO Direttiva 86/278/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1986, concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura [Cfr. atti modificativi]. SINTESI I fanghi di depurazione possiedono utili proprietà agronomiche nel settore dell'agricoltura. Il loro utilizzo deve tener conto del fabbisogno di sostanze nutrizionali delle piante, senza però compromettere la qualità del suolo o delle acque superficiali e sotterranee. Infatti taluni metalli pesanti presenti nei fanghi di depurazione possono essere tossici per le piante e per l'uomo. I fanghi di depurazione possono essere utilizzati in agricoltura, a condizione che lo Stato membro ne disciplini la loro utilizzazione. La direttiva contiene valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti nel suolo (allegato I A), nei fanghi (allegato I B) e per le quantità annue di metalli pesanti che possono essere introdotte nel suolo (allegato I C). L'utilizzo di fanghi di depurazione è vietato se la concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo supera i limiti stabiliti a norma dell'allegato I A. Gli Stati membri devono pertanto adottare le misure necessarie per garantire che questi limiti non vengano superati a causa dell'uso di fanghi. I fanghi devono essere trattati prima di essere utilizzati in agricoltura, ma gli Stati membri possono autorizzare l'utilizzazione di fanghi non trattati qualora vengano iniettati o interrati nel suolo. L'utilizzazione dei fanghi è vietata: sui pascoli o sulle colture foraggere, qualora su detti terreni si proceda al pascolo o alla raccolta del foraggio prima che sia trascorso un certo periodo. Questo periodo, fissato dagli Stati membri, non può comunque essere inferiore a tre settimane; sui terreni destinati all'orticoltura e alla frutticoltura, durante il periodo vegetativo, salvo le colture di alberi da frutto; sui terreni destinati all'orticoltura e alla frutticoltura, i cui prodotti sono normalmente a contatto diretto col terreno e sono normalmente consumati crudi, nei dieci mesi precedenti il raccolto e durante il raccolto stesso. I fanghi e i terreni su cui vengono utilizzati sono oggetto di campionatura e di analisi. Gli Stati membri garantiscono che vengano tenuti aggiornati i registri in cui sono annotati: i quantitativi di fango prodotto e quelli forniti per usi agricoli; la composizione e le caratteristiche dei fanghi; il tipo di trattamento impiegato; i nomi e gli indirizzi dei destinatari dei fanghi e i siti di utilizzazione dei fanghi. Gli Stati membri, qualora le condizioni lo richiedano, possono adottare misure più severe di quelle previste nella presente direttiva. Gli Stati membri redigono ogni quattro anni, e per la prima volta cinque anni dopo la notifica della presente direttiva, una relazione riassuntiva sull'utilizzazione dei fanghi in agricoltura, in cui saranno specificati i quantitativi di fanghi utilizzati, i criteri seguiti e le difficoltà incontrate e trasmettono tale relazione alla Commissione che pubblica le informazioni in essa contenute. In base a tale relazione, la Commissione presenta, se del caso, appropriate proposte per aumentare la protezione del suolo e dell'ambiente. RIFERIMENTI Termine ultimo per il recep Atto Entrata in vigore Direttiva 86/278/CEE 18.6.1986 Atto/i modificatore/i Entrata in vigore Direttiva 91/692/CEE 23.12.1991 1.1.1993 Regolamento (CE) n. 807/2003 5.6.2003 - Regolamento (CE) n. 219/2009 20.4.2009 - Stati membri 18.6.1989 Termine ultimo per il recep Stati membri Le successive modifiche e correzioni alla direttiva 86/278/CEE sono state integrate al testo di base. *** Impianti portuali per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico La presente direttiva migliora la disponibilità e l'utilizzo degli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, al fine di proteggere ulteriormente l'ambiente marino dall'inquinamento prodotto dalle navi. ATTO Direttiva 2000/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2000, relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico SINTESI La direttiva ha gli stessi obiettivi della convenzione Marpol 73/78 sulla prevenzione dell'inquinamento causato dalle navi, ratificata in tutti gli Stati membri. Tuttavia, a differenza della convenzione, che mira a regolamentare gli scarichi delle navi in mare, la direttiva si concentra sul passaggio delle navi nei porti dell'Unione europea. Essa affronta in maniera dettagliata le responsabilità giuridiche, finanziarie e pratiche dei vari operatori impegnati nel conferimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico nei porti. Le navi La presente direttiva si applica a: tutte le navi, compresi i pescherecci e le imbarcazioni da diporto, a prescindere dalla loro bandiera, che fanno scalo o che operano in un porto di uno Stato membro, ad esclusione delle navi militari da guerra, o ausiliarie o di altre navi possedute o gestite da uno Stato e impiegate, al momento, solo per servizi statali a fini non commerciali; tutti i porti degli Stati membri. Gli impianti portuali di raccolta Gli Stati membri provvedono a mettere a disposizione impianti portuali di raccolta adeguati a rispondere alle esigenze delle navi che utilizzano normalmente il porto, senza causare loro ingiustificati ritardi. Gli impianti devono tener conto delle dimensioni del porto e della tipologia delle navi che vi fanno scalo. I piani di raccolta e di gestione dei rifiuti Per ciascun porto è elaborato un piano di raccolta e di gestione dei rifiuti. Il piano è valutato e approvato dallo Stato membro interessato. Si procede ad una nuova approvazione almeno ogni tre anni. La notifica Il comandante di una nave (diversa da un peschereccio o da un'imbarcazione da diporto omologata per un massimo di 12 passeggeri) che sia diretta verso un porto situato nella Comunità deve notificare, menzionando in particolare la data e l'ultimo porto dove i rifiuti prodotti sono stati conferiti, nonché la quantità di rifiuti rimasti a bordo. Il conferimento dei rifiuti prodotti dalle navi Salvo deroghe, una nave che approda in un porto comunitario conferisce tutti i rifiuti prodotti dalla nave prima di lasciare il porto, a meno che il comandante non riesca a dimostrare che la capacità di stoccaggio della sua nave sia sufficiente. Le navi che non conferiscono i loro rifiuti, senza fornire motivi validi di deroga, non sono autorizzate a lasciare il porto finché non venga effettuato il conferimento. Il regime tariffario applicabile ai rifiuti prodotti dalla nave I porti devono predisporre sistemi di recupero dei costi che incentivino lo scarico dei rifiuti a terra e scoraggino lo scarico in mare. Tutte le navi che approdano nei porti di uno Stato membro contribuiscono in misura significativa ai costi (nell'ordine di almeno il 30% per la Commissione), a prescindere dall'effettivo uso degli impianti. Tale sistema di copertura dei costi è costituita da tale elemento non specifico fisso e, eventualmente, da un elemento variabile che dipende dalla quantità e dal tipo di rifiuti effettivamente conferiti. Le ispezioni Le navi che fanno scalo nei porti dell'UE possono essere soggette a ispezione, nella norma minima del 25%. Le ispezioni riguarderanno in modo prioritario le navi che non hanno adempiuto agli obblighi di notifica e quelle sospettate di non conferire i propri rifiuti. Qualora sia chiaramente dimostrato che una nave ha preso il largo senza aver conferito i propri rifiuti, in assenza delle dovute deroghe, la competente autorità del successivo porto di scalo ne viene informata. Inoltre, alla nave non viene consentito di lasciare tale porto fino all'avvenuto svolgimento di una più dettagliata valutazione. Le misure di accompagnamento La presente direttiva prevede una serie di misure di accompagnamento. In particolare, è previsto che le navi che rispettano le norme alle quali sono soggette, abbiano diritto al risarcimento del danno causato da ritardi ingiustificati dovuti all'assenza di adeguati impianti portuali di raccolta. La valutazione Gli Stati membri presentano, a scadenze triennali, alla Commissione una relazione sullo stato di attuazione della presente direttiva, in seguito alla quale la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione di valutazione sul funzionamento del sistema. RIFERIMENTI Termine ultimo di recep Atto Entrata in vigore Direttiva 2000/59/CE 28.12.2000 Atto(i) modificatore(i) Entrata in vigore Direttiva 2002/84/CE 29.11.2002 29.11.2003 Regolamento (CE) n. 1137/2008 11.12.2008 - Stati membri 28.12.2002 Termine ultimo di recep Stati membri Le modifiche e correzioni successive alla direttiva 2000/59/CE sono state integrate nel testo di base. Biossido di titanio Eliminazione dei rifiuti dell'industria del biossido di titanio Vigilanza e controllo degli scarichi di biossido di titanio Programmi per la riduzione dell'inquinamento RESIDUI E SOSTANZE RADIOATTIVI Spedizioni di residui radioattivi: sorveglianza e controllo Spedizioni di sostanze radioattive Gestione del combustibile nucleare esaurito e dei residui radioattivi Gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi
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